33. Non lasciarmi

Cammino sull'orlo di uno strapiombo. Il bianco dei pavimenti e delle pareti si è liquefatto in un mare di pece densa. Cammino. Anzi, le mie gambe camminano, così come i polmoni respirano, gli occhi vedono e le dita afferrano il cellulare. Lo fa solo il corpo, la mia anima è invischiata in quell'inferno nauseabondo. 

Cerco di ritornare in me. 

Le persone mi passano accanto come spettri fuggiti da un circo, il cellulare scivola dalle dita, mi accascio su una sedia da cui ogni cosa che mi circonda sembra esattamente ciò che è, ossia senza alcun significato. 

Tutto sta tornando piano piano al colore originario mentre la sensazione di soffocamento si dilegua.

Dopo tutto quello che mi hanno detto, dovrei pensare a cosa fare. 

Vorrei trovare un modo per elaborare quanto mi è successo, ma ora riesco solo a vedere le imperfezioni di questo luogo come se fossero la priorità assoluta. Il bianco delle pareti interrotto da piccole crepe dalla tinta più scura. Una pianta di spatifillo con una foglia secca che ha mantenuto la sua forma arcuata anche nel trapasso. Il pavimento attraversato da tre linee nere, probabile ricordo di anfibi dalla suola di gomma. Provo pena per quelle imperfezioni -le crepe verranno stuccate e fatte sparire, lo stesso destino cadrà sulla foglia secca, che verrà tagliata, e sul pavimento, opportunamente lavato - non esisterà più alcun ricordo di esse perché a nessuno piace l'imperfetto.

La sensazione di pece nei polmoni torna a bloccarmi il respiro. Stringo i braccioli della sedia e cerco di riconoscere il luogo in cui sono.

Ospedale.

Sì, sono ancora qui. Devo cercare un taxi, devo tornare a casa, al sicuro, lontano da tutti.

Lo squillo del cellulare mi riporta alla realtà del presente. L'iPhone caduto sul pavimento suona e vibra, lo schermo lampeggia evidenziando l'immagine dell'unica persona che vorrei accanto. 

Non posso permettere a niente e a nessuno di calpestarmi, né alla diagnosi della mia infertilità né tantomeno a... Lo devo fare per Outlier!

Io, Ryan ed Erika ci siamo separati per cercare Adele. 

Dopo la notizia che ha ricevuto non voglio che sia da sola, ma non è più in ginecologia. 

«È una ragazza forte» ha detto Ryan con ragione, ma tutto quello che le sta capitando è un peso che sarebbe gravoso anche per Atlante. 

Camino veloce verso l'uscita dell'ospedale, ho le palpitazioni e il fiato corto, ma l'unica cosa che desidero è trovarla, inutile preoccuparsi di cosa le dirò. La chiamo al cellulare. Dopo che ha tolto il blocco al mio account, mi sono limitato a scriverle dei messaggi, ma non le ho mai fatto una telefonata per paura che non mi rispondesse o che mi bloccasse di nuovo perché giudicato troppo insistente. Non le ho più scritto nemmeno come Alexhey. Ora che sa chi sono, non avrebbe senso, anche se a volte rimpiango di non poter impersonare più l'amico lontano. La terribile gentilezza con cui mi tratta mi fa sentire solo, l'inquietudine mi invade il corpo e la mente, mi spinge a ricercare in qualunque modo la confidenza che avevamo un tempo. 

Lo squillare ripetuto di un telefono attira la mia attenzione verso un corridoio. È vero, potrebbe essere di chiunque, però ho la certezza che sia il suo. Mi metto a correre, incurante dello sguardo stupito di alcune persone, e finalmente la vedo. 

Seduta su una sedia situata in un corridoio vicino all'uscita, stringe i braccioli e guarda il pavimento. 

Cosa sta facendo? 

Mi fermo per capire, poi faccio un respiro profondo e mi avvicino piano piano. Quando le sono accanto, noto che sta fissando lo schermo del cellulare dove compare la mia faccia. 


Cristo Santo, mi ha registrato come Innominato? Chiudo la chiamata sul mio telefono, raccolgo il suo per porgerglielo mentre mi siedo accanto a lei.

«Ciao.» La saluto cercando di mantenere un tono neutro ma, col battito cardiaco nelle orecchie, non so come possa essere sembrata la mia voce. 

«Sei veramente qui o...?»

Ha la pelle del volto grigio, umidiccio, le mani tremanti. Ed è solo per questo, e per ciò che le hanno appena riferito, che non dico nulla al riguardo del nome coi cui mi ha salvato sul telefono.

«In carne e ossa» le rispondo a bassa voce per tranquillizzarla e le mie mani cercano istintivamente le sue per confortarla. Come al solito, però, non aspetta nemmeno che la sfiori e le nasconde dietro la schiena. La vedo stringere i denti e poi rivolgermi un sorriso di cortesia. Odio quando fa così, quando mi tratta come se fossi superfluo.

«Non pensavo di incontrarti anche oggi. Come mai in ospedale?» Sta veramente cercando di fare finta di nulla? Credevo di trovarla in lacrime, invece sta recitando la parte di quella forte. «Non ti senti bene?»

«Io?» 
Ci tieni a me, non riesci a nasconderlo...

«Beh, sì. Tu. Hai detto di avere un'importante riunione di lavoro e ti ritrovo in ospedale.»

Avevo scordato la scusa inventata lì per lì per disdire la lezione di oggi e fare i controlli medici. 

«Finita da poco. La riunione era qui in ospedale, cosa abbastanza frequente... Sai com'è, produciamo e vendiamo farmaci nell'azienda mia e di tuo padre.»

«E di tuo suocero.»

E del mio cazzo di suocero, sì, Adele. E anche della mia cazzo di moglie. Sono qui per consolarti e non per litigare.

«Tu perché sei in ospedale, invece?» 
Confidati con me. So che stai fingendo che vada tutto bene, ma non è così.

«Un controllo di routine.»

«E com'è andata?» chiedo quando vedo che non aggiunge altro.

«Tutto come doveva essere.»

Tutto come doveva essere? 

A parte il pallore del volto non mostra nessun'altra emozione. 

Nel sentire squillare il mio telefono, rispondo a Ryan, ma continuo a tenere sott'occhio Adele che cerca qualcosa nella borsa senza prendere però in mano nulla.

 «Tutto ok anche per la riunione di domani. Ci aggiorneremo in seguito per le nuove decisioni» gli dico sperando che capisca che l'ho trovata e, infatti, mi saluta formalmente con un «a domani, Mr King, ci sentiamo per accordarci su come procedere con la ricerca», sottolineando con la voce la parola ricerca.

«Perché mi hai telefonato?»

Nell'udire la domanda, la fisso perplesso perché non mi viene altro in mente altro se non E tu perché diavolo mi memorizzi come Innominato al telefono?

«Ah, vero... Siccome la riunione è finita prima del previsto, volevo chiederti se ti andasse di studiare un po'.»

«Ma è pomeriggio inoltrato...» Quando si alza, noto che anche oggi è vestita di nero e i capelli sono stretti nell'ormai consueto chignon castigato. Possibile che sia dimagrita ancora? «Non dovresti tornare a casa?» 

«Casa è dove si trova il cuore» cito Elvis Presley guardandola in volto, ma lei distoglie lo sguardo, fingendo di non sentire. «Dai, ti accompagno a casa. La casa di Berkeley.»

I numeri, i calcoli, le teorie sono mondi ordinati. Nulla è scontato, tutto è sempre più complesso di quanto si possa pensare a prima vista e l'errore che tante persone commettono consiste nella semplificazione. La semplificazione sottrae senso, lo stravolge fino a far illudere della possibilità che chiunque possa accedere alla grotta segreta della conoscenza, anche senza conoscere la parola d'ordine. Nessun "apriti sesamo" ma mero esercizio e studio fino a quando anche le cose più complesse iniziano ad allinearsi. Mentre le strutture delle molecole e le leggi chimiche disvelano lentamente anche le parti nascoste, la mente riesce a ritrovare lo stesso equilibrio. 
Reagente, reazione, prodotti ed energia. 
Tutto prevedibile con calcoli di entalpia ed entropia. 

«Facciamo quest'ultimo problema, il n°1122. Voglio essere certo che tu abbia ben capito il ΔG» dice l'Innominato continuando a sfogliare il voluminoso eserciziario di chimica generale. 

«Il punto G l'ho capito bene.» La frase mi esce maliziosa, gaffe che non riesco a spiegarmi. Lui si ferma immediatamente e mi guarda deglutendo a vuoto. Possibile che sia arrossito per questo? Ma no, cosa vado a pensare: lui che si imbarazza per...?

«Intendi l'energia libera di Gibbs?»

«Dovrei intendere altro?» 
Oh no, cosa mi prende?

«Tu hai appena...», torna a sfogliare il libro e aggiunge asciutto: «No, nient'altro.»

Devo tornare all'ordine, alla prevedibilità, all'assenza di emozioni.

Oggi mi sento strana. Dopo quanto mi hanno detto in ospedale, non riesco a venire a capo dei miei pensieri. Passo dall'incredulità alla rassegnazione. Se non trovo mio figlio, mi ripeto, non ho motivo di vivere e cosa cambia sapere che non potrò avere altri figli? Se poi invece dovesse accadere un miracolo?

Una vocina impertinente nella testa mi fa spostare l'attenzione sulle labbra morbide dell'Innominato. Se dovessi innamorarti ancora?

No. No. «E poi no.» L'ho detto ad alta voce?

«Cosa no? Non hai capito il punto G?» 
Questa volta è lui a sbagliare, ma non si corregge e mi fissa intensamente.

Voglio veramente che succeda ancora qualcosa tra di noi? Non ho imparato nulla da ciò che ho vissuto? 

Gli prendo il libro dalle mani e mi concentro subito sull'esercizio. L'attenzione, però, rimbalza ora sulle sue labbra, ora sul vuoto della mia vita. Quando riesco a dare il risultato, lui riprende in mano il testo per confrontarlo con quello del libro e poi lo chiude.

«Per oggi può bastare.» 

Si alza senza nemmeno guardarmi. 

Una paura immotivata mi assale, ho di nuovo quella sensazione di essere invischiata nella pece densa e puzzolente. Apro la bocca per salutarlo, ma non mi esce nessuna parola. Dov'è? È andato via?

Non lasciarmi!

- Non lasciarmi!

Ho sentito bene? Poso immediatamente il cappotto per tornare da Adele. La trovo con le testa tra le mani che trema come una foglia. Dieci minuti fa stava bene, anzi, se non ho sognato, forse stava addirittura scherzando sul punto G. 

«Ehi, piccola, che c'è?»Mi inginocchio accanto a lei per cercare di guardarla in viso, senza però riuscirci perché si copre con le braccia come se si aspettasse di essere colpita. La vita, in effetti, le ha dato parecchi schiaffi. Le tocco una mano per tranquillizzarla, ma subito si ritrae.

«Non toccarmi. Non. Toccarmi.»

«Va bene, Adele, scusa. Respira e fammi vedere il tuo bel viso.»
Inspira a fatica, mi devo trattenere perché vorrei accarezzarle la schiena e stringerla a me. Finalmente esce come una tartaruga dal suo guscio, mi guarda, apre la bocca ma la richiude scrollando la testa e abbassando lo sguardo.
«Parla. Non avere paura.»

«Puoi rimanere qui ancora un po'?»

Non credo alle mie orecchie. Mi sta veramente chiedendo di restare?

«Ceniamo assieme?» le chiedo speranzoso mentre una serata romantica si palesa nella mia immaginazione.

«Cenare?» 

«Mettere sotto i denti qualcosa di nutriente, anche se dai l'idea di voler diventare trasparente...» 

Sgrana gli occhi gialli e, per un attimo, sembra l'Adele di sempre.

«Non ho molto appetito e poi non credo di avere granché nel frigo.»

Si alza per andare in cucina e io la seguo, incapace di distogliere lo sguardo dalla curva del suo collo.

Più che mangiare, ha spostato il cibo da una parte all'altra del piatto. Del resto non sono riuscito a cucinare granché visto che aveva in casa tre uova, un po' di spinaci e dei piselli surgelati. Ho chiamato il delivery per farci portare anche pasta, ma lei non ha apprezzato molto i miei sforzi per ricordarle l'Italia, anzi non ne ha fatto minimamente accenno.

Nonostante siamo rimasti seduti l'uno di fronte all'altro senza dire nulla, non c'è stato alcun imbarazzo. Solo ora che si sono fatte le dieci di sera sono a disagio perché vorrei parlarle di nostro figlio, dell'investigatrice privata che ho assunto per cercarlo. Vorrei anche confidarle cosa sto facendo per tornare a essere un uomo libero, ma non so nemmeno se sarebbe giusto coinvolgerla in questo. Quel poco terreno che ho guadagnato questa sera non vorrei perderlo coinvolgendola in un affare che, alla fine, è solo mio. Quando sarò libero, allora mi presenterò da lei e... 

«Sono un po' stanca, vorrei andare a dormire.»

Per un attimo rimango impalato sulla sedia. Sapevo che la serata sarebbe volta al termine, ma non sono pronto salutarla. Mi alzo e la guardo, incapace di dirle quanto tenga a lei.

«Ci vediamo domani?» 
Non mi esce nient'altro dalla bocca.

«Non hai una riunione?»

«Appena finisco, vengo subito. Non dovrei fare tardi...» Si alza e mi si avvicina come non faceva da tempo. Il cuore inizia a battereforte nel petto, non sento fastidio, anzi. È una sensazione di calore molto piacevole. «Se dovessi tardare, ti telefono.»

«Potrai tardare?»

Me lo chiede con un tono di voce così mesto che mi chiedo quale pensiero l'abbia intristita così all'improvviso.

«No, sarò qui alla solita ora. Promesso.»

Non mi rimane altro che incamminarmi verso la porta con lei che mi segue, quando sento di nuovo la sua voce spezzata.

«Non lasciarmi.» Mi fermo. Forse ho sentito male. «Ti prego, non lasciarmi.»

«No, non lo farò di nuovo» le prometto voltandomi e allargando le braccia speranzoso che desideri stringermi a sé almeno la metà di quanto lo voglia io. 

Stropiccia il maglione nero a testa bassa fino al momento in cui si fa coraggio a parlare. Solamente a parlare.

«Puoi stare fino a quando non spengo la luce?»

«Certo.»

È comunque un gigantesco passo avanti. Riabbasso le braccia per togliermi il cappotto e mi siedo sul divano, mentre lei va in bagno a lavarsi i denti e il viso.Quando torna, indossa un pigiama nero. Possibile che sia nero persino il pigiama? Se lo sarà fatto fare su misura perché nessuno al mondo confezionerebbe mai un pigiama nero.

«Halloween è già passato da un pezzo» 

Lei si accomoda sul divano accanto a me a gambe incrociate, fingendo di non aver sentito la mia battuta.

«Ti va di guardare Orgoglio e pregiudizio

«È un reality?»

«Un film stupendo, tratto dal famosissimo romanzo di Jane Austen.»

Schiocco la lingua: «Non conosco questo Jim Austen, è bravo?»

«Jane!»

«Ah... Dimmi che è un'autrice americana a cui piacciono azione e inseguimenti!»

«È inglese. Anzi, era inglese, visto che è vissuta a cavallo tra Sette e Ottocento. Ma non hai mai letto Orgoglio e pregiudizio oppure Ragione e sentimento?», quando vede che faccio spallucce va avanti imperterrita. «Emma? Persuasione? Ma ti è morta la professoressa di letteratura inglese al college?» 

«Aspetta un attimo... Hai detto ottocento? Non è che mi vuoi far vedere un film in costume?»

Mi prende di mano il telecomando e fa partire il film. Sono così contento che mi abbia invitato a rimanere che accetterei di guardare persino Harry Potter se dovesse farle piacere. 

Mi sveglia un messaggio whatsapp. Muovo il collo a destra e a sinistra per scioglierlo dall'indolenzimento. La tv dev'essersi spenta in automatico perché è tutto buio. Credo di essermi addormentato poco dopo i titoli di testa, nel momento in cui una donna vestita in modo improbabile dava di matto per sposare le figlie al miglior partito.

Ho una spalla completamente anchilosata, speriamo non me la debbano amputare visto che non ho più sensibilità. Il cellulare si accende di nuovo illuminando debolmente la stanza e solo ora mi accorgo che la spalla in questione è così perché Adele si è addormentata sopra. 

Rimango incredulo a fissarla: evidentemente è solo da sveglia che non vuole che la tocchi. 

Apro e chiudo la mano informicolata sperando di riacquistare un po' di sensibilità mentre avvicino il naso alla sua pelle per respirare il profumo che mi è tanto mancato in questi mesi. 

«Ti prego non lasciarmi» biascica nel sonno.

«No, piccola. Sono qui con te.»

Le appoggio le labbra sulla fronte per depositarle un bacio infinito mentre il cuore corre veloce nel petto. Questa è la vita che voglio, questa è la moglie che desidero con tutto me stesso.

Muovo ancora le dita fino a riacquisire l'uso di entrambi gli arti e poterla prendere in braccio. Cerco di farlo in modo da non svegliarla, poi apro le due porte che danno sul soggiorno per scoprire quale sia la camera e la metto a letto. Sto per andarmene, ma torno indietro apposta per scioglierle i capelli dallo chignon, quando all'improvviso sento il polso stretto tra le sue dita.

«Tienimi abbracciata, ti prego.»

La sua richiesta è talmente flebile che per un attimo penso di averla sognata.

«Vuoi...vuoi dormire tra le mie braccia?» le chiedo per non rischiare di aver capito male.

«Se non vuoi, non...»

Mi tolgo le scarpe e le calze alla velocità della luce, mi sdraio accanto e un attimo dopo la sento appoggiarsi al mio petto. Sto sognando, non ci potrebbe essere altra ragione. 

«Hai freddo? Stai tremando.» 
La stringo ancora di più e le massaggio la schiena e le braccia per scaldarla.

«Un po'... Tu sei caldissimo.»

Sono talmente felice che sto andando a fuoco. Non mi importa di quanto stanco sia, non ho alcuna intenzione di addormentarmi. Voglio rimanere sveglio tutta la notte per guardarla e godermi questo miracolo. 

Vorrei dedicare una puntata del podcast che svela il dietro le quinte di Hot Desire alle interviste dei due protagonisti. Leggendo il romanzo, ti è venuta voglia di sapere qualcosa in più?

Ho creato un link su google per poter inserire le domande che vorresti fare ad Adele & Nicholas. Se vorrai lasciare il tuo nominativo, potrai partecipare anche all'estrazione per ricevere una lettera da un'amica di penna, proprio come si usava nel secolo scorso.

L'estrazione sarà il 22 giugno 2023.

Il collegamento lo trovi sia come link esterno sia qui accanto nel commento. 

Grazie per aver letto anche questo capitolo e spero di ritrovarti anche nei commenti...

Un particolare ringraziamento va a Dragonfly_Ren (a cui dedico il capitolo) per avermi riferito il cliché dell'amore dei protagonisti di Young&New Adult per i romanzi di Jane Austen 😂 Non potevo esimermi dallo scherzarci un po' sopra. Si sappia che faccio parte da decenni del club di Jane Austen!

Alla prossima,
Andelon Curse

La vera schermata del cellulare di Adele ma la traduttrice ha insistito perché mettessi Innominato!






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