30. Perché non me lo hai detto?
«Adele? Tutto bene? Mi senti? Non sapevo cos'altro fare per...»
Il cuore mi fa esplodere il petto, nel cranio scuote i timpani fino ad assordarmi, nel ventre contorce le viscere, scalda il pube ghiacciando gambe e braccia. Non ho più saliva, lacrime, respiro, non ho più volontà, desideri, speranze, non ho piani, azioni, movimenti.
Sono una statua che fissa l'oggetto dei suoi pensieri scivolare lungo la porta fino a terra, sotto lo sguardo attonito e ferito di colei che avrebbe dovuto e voluto difendere.
L'assurdità della mia menzogna e del venire qui senza invito sono forse azioni dettate dal mio egoismo? Forse stare qui di fronte a lei calma me, ma la mette a soqquadro?
Il viso smagrito, gli occhi gialli circondati da occhiaie profonde, la ruga che le si è disegnata tra le sopracciglia, la piega disgustata delle labbra. Ogni tratto mi accusa silenzioso eppure non riesco ad andare via. Dovrei. Non è ancora pronta, lo vedo chiaramente, eppure non riesco a starle lontano.
Nicholas, di' qualcosa. Qualunque cosa.
Apro la bocca, non esce nulla. Avevo preparato un discorso. Conciso, efficace, onesto. C'entrava col diritto di conoscere la verità, di dirla al fine di vivere felici assieme. Quale verità le posso dire? Quale verità ci garantirà una qualsiasi via d'uscita?
Muovo due passi verso di lei e mi inginocchio per essere alla sua altezza.
I suoi occhi imperscrutabili non abbandonano i miei. Di quello sguardo innamorato che mi rivolgeva fin da bambina non c'è nemmeno l'ombra del ricordo. Lo davo così per scontato, un'infatuazione che mi lusingava e mi spingeva a starle accanto anche quando era piccola. Non per desiderio carnale di lei, ma perché mi faceva sentire di essere l'uomo che lei pensava che fossi. Attraverso il suo sguardo mi sentivo il principe delle fiabe, mentre ora sono l'orco, il mostro che divora i sogni e i bambini. Un solo bambino...
Abbasso le palpebre e, per quel brevissimo istante che mi isola dal mondo, il cuore impazzito nel petto prega così forte che mi pungono gli occhi e il naso.
Dio, ti prego, fa' sì che quando la guarderò di nuovo, potrò leggere in quelle sue iridi vergate dal sole una qualsiasi speranza.
Dio, non ti chiedo mai nulla, ma fa' sì che quel bambino sia ancora vivo.
Dio, ti ricordi il regalo che desideravo per il mio diciottesimo Natale? Va bene anche per il trentaseiesimo.
L'aria natalizia è così diverse dall'atmosfera di questo appartamento dove sembra essersi materializzato un buco nero. I capelli di Adele raccolti in una coda stretta, il maglione nero a collo alto, i jeans dello stesso colore che rivelano il suo forte dimagrimento. Quella totale tinta scura fanno risaltare il chiarore della sua pelle dove persino le labbra sembrano candeggiate.
Il contrasto tra il mondo là fuori , pronto a festeggiare una nuova nascita, e quello intimo è diviso da una lascia d'acciaio emotiva che impedisce la contaminazione dei nostri stati d'animo. I canti natalizi provenienti dalla strada giungono attutiti attraverso i filtri dei muri e delle nostre vite. Nessuno di noi due sta piangendo, ma alle mie orecchie arriva forte il lamento luttuoso del suo cuore.
Allungo una mano per sfiorarle la guancia con la speranza di restituirle chissà quale colore, lei si tira indietro anche se la porta alle sue spalle le impedisce di allontanarsi da me quanto vorrebbe.
La sto spaventando, non voglio che abbia timore, ma tutti i fatti nefasti accaduti si sono frapposti tra di noi. Invece di allontanarmi, mi avvicino ulteriormente e, questa volta, è la sua mano ad alzarsi.
Le dita sottili, ossute e il dorso dalle pelle sottile con le vene blu non somigliano nemmeno lontanamente a quelle che ho stretto mentre guardavamo il panorama a Vernazza. Non so perché mi sia tornato alla mente quel vecchio italiano che ci guardava e sorrideva. Cosa disse? Forse che, se fosse stato più giovane, me l'avrebbe portata via? Oppure ci invidiava perché eravamo innamorati? Lo eravamo. Senza saperlo. Lo sguardo di Adele era la prova, chissà se pure io la guardavo in quel modo?
Le sfioro la punta delle dita. Non so se il cuore stia battendo fortissimo o si sia fermato.
«Non mi toccare.»
Tre parole non fanno che acuire il desiderio di prenderla tra le braccia, stringerla a me, proteggerla dal dolore che le si è ricamato sulla pelle, negli occhi, persino tra le onde dei capelli. Un arazzo monocromo, senza sfumature, che racconta una storia di tristezza e perdita. Ritiro la mano e mi metto a sedere anche io sul pavimento, allontanandomi un poco per farla rilassare.
«Quel Nicholas che ti ha fatto soffrire è morto. Ora sono Alexhey e voglio aiutarti.»
Lei annuisce con la testa lentamente socchiudendo gli occhi, poi guarda in alto.
«Persino Alexhey è inesistente. Non ho veramente nessuno a questo mondo.»
Tali parole escono con un sussurro talmente flebile che le orecchie non sono in grado di percepirle, mentre il cuore sì.
«Tu hai me. Per te ci sono e ci sarò sempre.»
«Sempre?»
L'indice dall'unghia smangiucchiata si punta verso la mia fede.
«Lo sai che questo cerchietto non ha senso» le rispondo togliendomi l'anello e tenendolo tra due dita.
«Un uomo che non dà senso a ciò che fa, è lui a non averne.»
«Non dire così, lo sai perché ho dovuto sposarmi...»
«Perché aspettava tuo figlio? Rimettiti la fede, questa ipocrisia non la posso più sopportare.»
La sua voce calca le parole "tuo" e "figlio" facendomi sentire ancor più misero. Vorrei lanciare l'anello dalla finestra, ma me lo rinfilo per non acuire la sua frustrazione.
«Te l'ho detto che era una finzione: Claudia non è mai rimasta incinta.» Inspiro a fondo per raccogliere un coraggio che non sento di avere. «Tu, piuttosto. Tu aspettavi mio figlio, non è così?»
Alza il mento e serra la mascella.
«Io sono stato il primo uomo con cui hai fatto all'amore... È come se avessimo avuto due prime volte.»
I suoi occhi si distolgono dai miei mentre le mani corrono al maglione per stropicciarlo in modo convulso. Le sue palpebre rimangono aperte e le ciglia asciutte, ma la sclera si vena di rosso.
«Perché non me lo hai detto?»
Il silenzio è più eloquente di mille parole. In ogni caso, comunque, non vorrei sentire che frasi che andrebbero solo a dipingere un passato di errori infilati uno dietro l'altro come tessere del domino.
«Perché non mi hai detto che stavo per diventare padre?»
Le sua labbra si piegano in una smorfia di disgusto.
«Ti faceva così orrore che potessi diventare padre?»
Scuote la testa improvvisamente e si tira in piedi, io la seguo e mi metto davanti a lei, stando attento a non avvicinarmi troppo.
«Non ho forse il diritto di diventare padre?»
I suoi pugni alzati davanti al viso mi fanno fare un passo indietro per mettere tra di noi almeno la lunghezza del suo braccio.
«Credi che voglia tirarti un pugno?» mi domanda, ancor più disgustata di prima. «Ho sempre pensato che tu mi conoscessi e ti fossi cara.»
Mi avvicino, senza smettere di fissarla negli occhi. Vorrei prenderla per le braccia e baciarla per il resto della vita. Vorrei aggiustare tutto.
«Sei la persona a cui tengo di più al mondo.»
«Allora chissà come tratti tutti gli altri esseri umani...»
Quando l'afferro per le spalle, si libera subito e alza un dito minaccioso.
«Non osare toccarmi mai più. Non ti permettere nemmeno di sfiorarmi o di avvicinarti a me.» Afferra la maniglia e cerca di aprire la porta di casa, ma io glielo impedisco.
«Non me ne andrò senza sapere la verità. Ho il diritto di conoscere il passato che mi hai deliberatamente nascosto.»
«E poi te ne andrai?» Annuisco. «Allora, cosa vuoi sapere?»
Deglutisco a vuoto. «Mi sono venute in mente alcune immagini, ma non so se siano vere o frutto di un sogno. Sono stato il primo?»
«Sì» taglia corto lei, senza quasi farmi finire.
Vorrei raccontarle i dettagli del ricordo, persino chiederle se mi sono dichiarato, ma temo di gettare benzina sul fuoco ed essere buttato fuori prima di avere la conferma su mio figlio.
«Perché non me lo hai detto?»
«Cosa sarebbe cambiato?»
Non lo so. Forse sarebbe cambiato tutto, ma non so perché non riesco a dirlo.
«Il bambino era mio, vero?»
Adele raddrizza la schiena, come se ricercasse nella postura la dignità necessaria per affrontare questa conversazione.
«Credi che io sia passata da un letto all'altro come hai fatto tu?»
«Ho subito pensato che quel bambino potesse essere di sei e non di quattro mesi. Non credevi che volessi saperlo?»
«Quante volte ti ho sentito dire che non volevi diventare padre?»
«Non volevo che Claudia portasse in grembo mio figlio, con te era diverso!»
Scuote la testa, il disgusto non l'abbandona.
«Tu credi che i figli appartengano ai genitori? Che non siano persone, ma solo propaggini di due individui?»
«No, però...»
«Vorresti dirmi che avresti voluto bene al figlio avuto da me, ma non a quello avuto da Claudia?»
Cristo santo! La verità sbattuta in faccia così duramente mi fa vergognare di me. Credo che sarebbe stato proprio così.
«Io... Io... Io non...»
Taccio. Non riesco ad aggiungere altro. Adele apre la porta e rimango immobile a fissare lo spiraglio che si allarga davanti a me. Quando si chiude una porta, si apre un portone: chi l'ha detta questa cazzata? Non voglio uscire da questa porta quindi con una manata la chiudo per la seconda volta, sbattendola forte.
«Io non me ne vado.»
«Io. Io. Io, non sai dire altro, ma sai cosa dovresti fare? Curare quel tuo ego e capire cosa desideri dalla vita. Hai il doppio della mia età e tutti ti dipingono come un uomo di successo, ma io vedo solo un miserabile che ha subìto senza reagire gli alti e bassi di quella che lui chiama sfortuna e che il mondo gli invidia. Hai una bella moglie, una bella azienda: occupati di loro.»
«Tu non sai nulla di quello che ho passato.»
«No e non lo voglio nemmeno sapere. Non voglio più avere nulla a che fare con te.»
«Ho perso anche io un figlio! Nostro figlio!»
«Non osare! Che faccia tosta... Come ti permetti anche solo di nominarlo? Vattene e smetti di contattarmi con profili fake. Smetti tutta questa finzione.»
«E la tua faccia tosta dove vogliamo metterla, signorina bella?» le chiedo alzando la voce, forse più di quanto vorrei. «Chi cazzo sei per dire che non dovrei soffrire per nostro figlio?»
Cerca di aprire la porta, ma io la tengo bloccata.
«Sono quella che l'ha tenuto dentro di sé, che vomitava e soffriva senza sosta. Sono quella che è quasi morta per lui e, Dio mi è testimone, mi domando continuamente perché, se proprio doveva capitare a uno dei due, non sia successo a me. Tu che cos'hai fatto a parte scoparmi senza nemmeno ricordartelo? E ora lo chiami nostro! Con quale coraggio?»
L'abbraccio d'impulso, la tengo stretta, anche se lei si ribella. Voglio che tutto il suo dolore passi a me, che il peso nel suo cuore diventi il mio. Mi punta le mani al petto e mi scaccia via con una forza superiore alla sua fisicità tanto che quasi rovino a terra.
«Ti ho detto di non provare mai più a toccarmi. Mi fa schifo anche solo lo stare con te nella stessa stanza.»
Non ho intenzione di arrendermi.
«Non è vero. Io so che da qualche parte dentro di te sapevi che Alexhey non era altri che Nicholas King, l'uomo di cui sei innamorata fin da bambina.»
«Vattene. Non ti perdonerò mai» dice riaprendo la porta e facendomi segno di uscire.
«Non chiederò mai il tuo perdono, però farò ammenda per tutta la sofferenza che ti ho causato.»
Sembra perplessa, il disgusto è finalmente scomparso dal suo volto.
«E come? Chi è morto, è morto per sempre.»
Mentre la voce le si incrina, sono combattuto dalla voglia di dirle che forse nostro figlio potrebbe essere vivo. Potrebbe essere al sicuro in un'incubatrice, il suo cuore potrebbe battere ancora. Ma non è che rischio di illuderla ancora?
«Farò ammenda, Adele. Che tu lo voglia o no, io ti aiuterò a riprendere in mano la tua vita.»
«Non ho bisogno del tuo aiuto né di quello di nessuno.»
Metto un piede fuori dalla porta e mi giro a guardarla.
«Lo so, ma io voglio aiutarti. Forse lo faccio per me stesso, hai ragione a dire che sono egoista. Però, ti prego, dammi la possibilità di rimediare.»
Quando sono sul pianerottolo, mi rivolge uno sguardo carico di dolore.
«Se vuoi fare qualcosa per me, allora dimentica» la calma con cui pronuncia queste parole fa male perché racchiude in sé una tristezza infinita. «Dimentica che io esista e che abbia mai provato qualcosa per te. Qualunque cosa fosse, ora, non la ricordo nemmeno più.»
La porta si chiude davanti al mio viso proprio nel momento in cui la falsità in cui sono vissuto finora si scontra con la consapevolezza che nel suo grembo cresceva mio figlio.
Mi manca l'aria. La felicità ci ha sfiorato per un momento e non l'abbiamo afferrata. Il cuore ha ripreso a suonare una melodia tutta sua.
Guardo dalla finestra per vedere se finalmente se n'è andato. Voglio voltare pagina e, per farlo, quell'uomo deve essere lontano da me. Non deve più esistere.
Apro Instagram più per un impulso, mi ero scordata che Alexhey non è mai esistito, così lancio il cellulare sul divano. Sono arrabbiata, innanzitutto con me stessa! Cosa pensavo di trovare in una persona conosciuta su un social media?
L'Innominato non è ancora uscito. Cosa sta architettando adesso?
Riapro la porta. L'ascensore è ancora al mio piano.
Dove può essere andato? Per me è come morto! Se ancora non l'ha capito, cercherò di essere più chiara.
Imbocco le scale scendendole a due gradini alla volta, furente e pronta per vomitargli addosso tutta la mia rabbia.
Quando, però, lo vedo seduto sull'ultimo gradino con la testa appoggiata agli avambracci e le spalle scosse da movimenti sincopati, mi fermo a guardarlo.
Come osa piangere?
Grazie per aver letto anche questo capitolo.
Come farà Nicholas a fare ammenda e ad aiutare Adele?
Ha fatto bene o no a non dirle del bambino? Tu l'avresti fatto al suo posto?
Questo romanzo, iniziato un po' per sfida, sta mettendo alla prova il mio pensiero su maternità e la paternità. È un tema assai caldo (anche politicamente) e, come tutte le cose complesse, è bene non banalizzarle né semplificarle eccessivamente perché si rischia di trascurare alcuni particolari. Io spero di non farlo, nel caso lo facessi, fammelo sapere in modo che possa riflettere e approfondire l'aspetto psicologico dei personaggi. È una cosa bizzarra, ma quando scrivo un romanzo finisce sempre che i miei personaggi mi insegnino qualcosa... Fino a qualche anno fa credevo di essere io la genitrice dei miei protagonisti, ora credo di essere una loro alunna se non addirittura una figlia. Come sia possibile, io non l'ho ancora scoperto ma la cosa mi riempie di stupore.
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