28. Tanto si risolve tutto coi farmaci
Sono in ospedale. Non dove dovrei essere, accanto ad Adele, ma sdraiato in un letto con una flebo in un braccio e degli elettrodi sul petto. Non so perché io non riesca a parlare, però alzo una mano in direzione di un infermiere che si blocca dal sistemare un monitor e mi si avvicina. Mentre preme un pulsante, mi chiede come mi senta e cosa ricordi.
Ricordo tutto. Cos'altro avrei potuto dimenticare oltre alla prima volta che ho fatto l'amore con Adele?
E di sicuro sono in forma. A parte il non riuscire a parlare.
La porta si apre ed entra Ryan, serissimo.
«Grazie, puoi andare» dice all'infermiere. Poi prende una sedia con molta calma e mi siede accanto tenendo una cartellina sulle ginocchia. «Io e te dobbiamo fare un discorso molto serio.» Apro bocca, mi esce un miagolio. «Tra poco ti tornerà la capacità di parlare, ti abbiamo appena stubato: per questo senti anche dolore alla gola... Nel frattempo mi ascolterai molto attentamente.»
Perché mai mi hanno intubato?
«Ti ricordi di essere stato male?»
Mi sono ubriacato, ho fatto una doccia, mi sono vestito e messo in macchina con lui per andare in ospedale da Adele.
«Per fortuna guidavo io, se te lo stai chiedendo, sennò a quest'ora eravamo morti tutti e due.»
Deglutisco a vuoto, ho la bocca secca e subito mi viene accostato alle labbra un bicchiere d'acqua con la raccomandazione di fare solo un piccolo sorso.
«Col lavoro che faccio ti assicuro che di idioti ne incontro quotidianamente. Non so se sia motivo di vanto, però tu hai vinto il primo premio.» Lo guardo senza capire. «Hai due aggravanti: una laurea in farmacia, quindi non puoi addurre la scusa dell'ignoranza, e possiedi un'azienda di medicine, quindi hai libero accesso a tutti i principi attivi.»
Scrollo la testa e farfuglio qualcosa che nemmeno io capisco, lui mi tocca il braccio per farmi comprendere che la paternale è solo all'inizio.
«Hai avuto una fibrillazione ventricolare... Se non sei disteso all'obitorio è perché due minuti dopo che sei svenuto eri già su una barella e in rianimazione. Comunque stai tranquillo: non hai avuto né un ictus né un infarto anche se a momenti me lo facevi venire tu.»
«Co-poss-?» domando con un filo di voce e lui apre la cartellina che ha in mano, tira fuori un foglio e legge.
«Nel tuo sangue c'era etanolo, a rischio di coma etilico, ma potevo immaginarlo visto che hai bevuto più di una bottiglia di whiskey. Poi ibuprofene e ketoprofene: un solo analgesico non bastava, vero? Ma sai qual è la cosa che mi ha sorpreso? Leggere: sildenafil in dose tripla a quella riscontrabile dopo il dosaggio corretto.»
«Che ca-z-zo!» gracchia la mia voce e Ryan sbuffa dal naso - credo di non averlo mai visto così.
«Che cazzo. Credo sia il commento più azzeccato. Io comprendo tutto, anche il fatto che tu abbia bisogno dell'aiuto del Viagra visto lo stress lavorativo che affronti, ma perché abusarne? Non posso credere che tu abbia sbagliato dose di proposito: volevi scoparti la moglie come un pornodivo, però sei solo un uomo. Un uomo vero, alla tua età, dovrebbe aver accettato il fatto di essere solamente un uomo e non chissà quale divinità del sesso!»
Cerco di mettermi a sedere, ma il monitor manda bip e segnali luminosi manco fossimo al luna park.
«Cla-cla-u-dia...» riesco a dire.
«Amico, capisco anche che tu abbia paura di perdere una donna meravigliosa come lei, ma dovreste parlarne e vedere come affrontare questa cosa assieme.»
Apro la bocca per urlare, ma non esce nulla. Claudia, una donna meravigliosa! Un'assassina!
«Sta-ta lei!» farfuglio non appena mi calmo. Ryan scrolla la testa. «Giu-ro. Io non biso-gno.»
Respira sonoramente e mi rifila un numero esorbitante di pacche sul braccio. Non mi crederà mai nessuno. È più facile pensare che mi sia imbottito di pillole blu perché non mi viene duro: è più plausibile rispetto al ritenere Claudia capace di drogare suo marito perché lui si rifiuta di scoparla.
Cos'ha detto Ryan, infatti? Che è una donna meravigliosa. Non sospetta nemmeno un po' che possa essere pazza.
«Ne riparleremo quando ti tornerà la voce. Ora riposa.»
Allungo una mano per afferrarlo per il camice.
«Ade-le?»
«Ho fatto solo una telefonata per sapere come sta perché, sai, ero impegnato a salvarti la vita.»
Scrollo la testa e farfuglio un paio di vocali a caso.
«L'hanno dimessa.» Fa un'espressione strana e io lo tiro per la manica. «Secondo me era presto, ma a quanto pare suo padre vuole darle le cure migliori perché si riprenda in fretta.»
Per fortuna Fred mi ha ascoltato!
«Te-le-fono.»
«No, amico, per ora non ti posso dare nessuna apparecchiatura elettronica. Non mi guardare così: sei quasi morto...»
«Ba-m-bino?»
Fred scrolla la testa: «Non lo ricordi? Lo ha perso.»
«S-ei. No qua-t-tro. In-cub-atri-ce?»
Ryan si rimette a sedere puntellandosi su una mano senza smettere di guardarmi.
«Perché ho l'impressione che tu c'entri qualcosa?»
Gli faccio segno di darmi una penna e lui prende quella che ha nel taschino assieme al mio foglio delle analisi del sangue.
"Il bambino era di sei mesi: perché non lo hanno messo in incubatrice?" scrivo con una grafia che pare il mio elettrocardiogramma.
«Quando le hanno fatto il cesareo, il bambino era già morto. »
"Possibile? Non si sono accorti con l'ecografo?"
Ryan non risponde, così scrivo ancora.
"Cosa dice il referto dell'autopsia?"
Scrivere autopsia e sapere che è riferito a mio figlio mi fa pizzicare gli occhi, ma non posso tradirmi. Il monitor inizia a fare dei bip ravvicinati.
«Non puoi emozionarti. Ti abbiamo stabilizzato, ma nei prossimi due giorni dobbiamo capire se si trattato di un episodio isolato dovuto al Viagra oppure al fatto che hai qualche patologia cardiaca di cui non sapevi nulla.»
Sbatto la penna sul foglio.
"Informati sull'autopsia, per favore."
Ryan si alza dalla sedia, riprende foglio e penna prima di guardarmi.
«Vedi di riprendere a parlare in fretta, così mi potrai spiegare cosa c'entri tu con quel bambino, anche se un'idea me la sono già fatta.»
«No-no co-me c-cre-di.»
«Cosa non dovrei credere, Nick? Che ha fatto tutto la cicogna e tu non c'entri niente?»
L'assenza non ha forma né suono.
Diventare madre è stato graduale, se si esclude il momento in cui l'ho scoperto. La natura però mi è venuta incontro stendendomi sugli occhi un velo tiepido che mi cullava in una sonnolenza morbida, densa di sogni di futuro, anche quando non avevo nulla a cui aggrapparmi. Durante quel torpore invincibile, la speranza cresceva e germogliava, combatteva persino quelle battaglie con la razionalità che non smetteva di urlare perché proprio ora, perché proprio a me?
Ho ignorato quel virgulto di cellule fino al momento in cui il primo battito di mio figlio è risuonato in ogni mia cellula. Non è stato l'udito a farmi accorgere, ma la vertigine. Quel potentissimo battito, pur silenzioso, è vibrato dentro il mio corpo di madre come un sasso lanciato in uno stagno. L'onda circolare si è allargata in cerchi concentrici, superando la barriera della pelle e propagandosi nell'universo, per sempre...
Il primo battito mio figlio, così come quella di ogni creatura vivente, crea e ricrea l'universo in un presente infinito. Ed è lì, in quel presente che sfonda le barriere del tempo, che tutti i primi battiti di noi esseri umani si incontrano per fondersi in un'unica grande onda che alcuni chiamano dio.
Sapere che, da qualche parte, il primo e preziosissimo battito di mio figlio c'è ancora ed è insieme al mio è l'unico pensiero che mi consola.
L'assenza non ha forma né suono. L'addome è un guscio svuotato, il corpo ha un solo battito.
La sento solo ora, dopo che ho sperimentato la presenza viva e costante di qualcosa o qualcuno.
L'idea romantica che avevo dell'Innominato, i suoi baci, le carezze, l'unione carnale, così vivi, tangibili, forti, si erano radicati in me così profondamente da prendere vita. E di quel miracolo, io, che ho fatto? Non ho forse pensato di separarmene?
Il pensiero si è trasformato in realtà proprio nel momento in cui ho realizzato che la separazione sarebbe stata la cosa più dolorosa.
Questo è ciò che vorrei dire allo psicologo che siede sulla sua poltrona di pelle, dietro una scrivania in radica allocata in una stanza da tre pareti ricoperte di una tappezzeria costosa. Nell'ultima c'è una finestra su un giardino di piante. Sono qui da due giorni e almeno cinque persone diverse mi hanno già ripetuto dieci volte che quelle piante hanno proprietà terapeutiche. E che ogni ambiente è stato studiato per il recupero fisico e psichico degli ospiti. Guai a chiamarli pazienti, ancora peggio chiamarli malati.
Lo psicologo mi ha tenuta sdraiata sul lettino di velluto blu per due ore, dice che ha tutto il tempo e che vuole sentirmi parlare. Anche solo una parola. Va bene anche se la scrivo. Mi sono addormentata, così mi ha fatto accomodare in poltrona.
Le statistiche parlano chiaro: in questo centro si registrano solo successi. Stacca la penna dal foglio, stira le labbra e lo ripete. Un mantra. Hanno solo successi e contro la statistica non si può lottare, non è così?
Non penso sia una minaccia di morte, credo piuttosto che facciano parte di quella nutrita schiera di persone che ritiene il successo nel lavoro un modo per affermare sé stessi.
La statistica però non vale per mio figlio di sei mesi, non è così?
Lo psicologo ha chiamato lo psichiatra e il neurologo. Questa trinità in camice bianco deve decidere se saranno i farmaci a farmi ritornare la parola. Del resto è solo la parola che ci differenzia dagli animali. Gli animali, comunque, non possono mentire perché non parlano.
Perché dovrei parlare con persone che non capiscono? Con luminari convinti che il problema sia nella mia mente?
La trinità ha fatto domande sulla mia infanzia. Secondo loro racconterò di mio padre, l'uomo che paga il loro stipendio? Cosa potrebbero dire di vero tre stimatissimi professionisti che si faranno costruire un'ennesima piscina grazie a colui che mi ha parcheggiato qui perché doveva andare con la moglie a Los Angeles per il Ringraziamento? Posso confessare che l'adorato paparino ha detto che era meglio, vista la delicatezza della situazione, non turbare Sylvie raccontandole cosa mi è successo? Potrei forse sostenere per l'ennesima volta che mio figlio non può essere morto cosicché possano imbottirmi di antidepressivi?
Ha iniziato a piovere. Le gocce rimbalzano sulle foglie degli alberi in una danza caotica che colma il silenzio imbarazzato del ticchettio ipnotico di un pendolo che deve avere un centinaio di anni. Lo psicologo cambia l'incrocio delle gambe e solleva la punta della stilografica per poi riadagiarla sul foglio, pronto ad appuntarsi le prime parole che non dirò mai. Il neurologo inizia a parlottare con lo psichiatra. Scrollano la testa e colmano l'aria di menzognose diagnosi.
Nessuno dice la parola pazza. Pazza è una parola scomoda. Le persone per bene non la dicono, ma la pensano tutti.
«Quando è stato fatto il cesareo, tuo figlio era già morto» dice il neurologo scandendo lentamente la frase. «Prima accetterai la realtà e prima potrai tornare a una vita normale.»
Che faccio? Ripeto per l'ennesima volta che mio figlio scalciava nel momento in cui mi hanno sedata? Oppure che nessuno ha voluto farmi vedere mio figlio morto?
«Ha tendenze complottiste. Crede che tutti le stiano nascondendo la verità e che per qualche ragione le sia stato sottratto il figlio.»
Anche se lo psicologo sussurra, io lo sento ugualmente. Quando finisce il suo verdetto, si gira verso di me, sorride mellifluo, poi guarda gli altri due. Obbedendo a un direttore d'orchestra inesistente, annuiscono in contemporanea, annotano qualcosa e si confrontano. Sono tutti giunti alla medesima conclusione: prenderò degli antidepressivi. Mi faranno stare meglio. Non mi devo preoccupare, sarà solo per un tempo limitato. Fino a quando ne avrò bisogno, ossia fino quando accetterò che mio figlio è morto.
Torno a fissare la pioggia. La mente scivola a quando mi sono risvegliata dall'anestesia e ancora non sapevo. L'Innominato mi abbracciava e mi guardava con dolcezza... Per un attimo ho creduto che la vita avesse deciso di regalare un po' di felicità anche a me.
Invece. Ci sono io. C'è la pioggia. Nient'altro.
Nella terza puntata del podcast che svela il dietro le quinte di Hot desire parlo di come è nata l'idea di scrivere un new adult (Guarda il link esterno o quello a fianco dell'immagine sopra).
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