25. Una lunga notte
Non è vero. Non può essere vero! Vi dico che scalciava!
Una madre sente se il bambino che le sta dentro l'utero si muove: non può essere come dite voi! Non è nato morto!
Fatemelo vedere! Fatemi vedere il suo corpicino, ho detto. Non m'interessa se mi impressionerà, se mi porterò la sua immagine davanti per la vita, fatemelo vedere. È mio diritto. Di madre. Di donna. Di essere umano. Che libertà vi prendete di fare come volete voi con mio figlio e con me?
Non potete darmi nulla che io non voglia. E ora non voglio dormire. Non dovete dirmi voi di cosa io abbia bisogno...
Quel medico, quello che mi ha detto che mi avrebbe operato e che dovevo stare tranquilla... Quello ha detto che ci sono speranze, molte speranze, di vivere per un bambino nato di sei mesi. Portatemi quel medico, allora. Come fa a non esserci più quel dottore? È stato trasferito? Lo vedete anche voi che c'è qualcosa che non va: qualcuno non vuole ridarmi mio figlio.
Lui è vivo. Quel medico ha detto che sarebbe sopravvissuto. Se non è dentro un'incubatrice, se non è dentro una bara, dov'è?
Non mi calmo. Non mi voglio calmare. Non dovete dirmi che devo ragionare perché è proprio la razionalità che sto usando. Il mio piccolino scalciava forte, era vivo quindi non può essere nato morto come dite voi. A vedere la vitalità mia e di mio figlio: lui aveva più possibilità di me di vivere. Io sono viva, quindi lo è anche lui.
Una madre lo sente se suo figlio è morto. Voi dovete ragionare! Voi dovete dirmi dov'è perché so che è vivo.
Papà, diglielo tu. Trova mio figlio. Non dire che devo rassegnarmi.
Il mio bene?
Non c'entra il mio bene.
Non è per il mio bene che voglio ritrovare mio figlio.
Mio figlio ha diritto di stare con me, sua madre.
Non chiamare il medico, ti prego, non farmi dare più niente. Portami via
È stato mio padre? Mio padre: è lui, non è così? Vi ha pagati? Corrotti? Mi fate tutto schifo. Ridatemi mio figlio.
Dottoressa, lei che è donna... Mi deve credere: le dico la verità. La supplico. È madre lei? Ha due bambini? Non ci credo che non sentirebbe se i suoi figli stessero male. Io lo sapevo che c'erano problemi, ma non mi credeva nessuno. Lei mi crede adesso?
Perché nessuno mi crede?
Non mi potete legare, non mi potete far dormire di nuovo. Non ho bisogno di dormire.
Voglio un avvocato. Voglio... I miei diritti...
«Fred, come sta?»
- Le hanno dato un sedativo. È nella fase della negazione: pensa che qualcuno le stia nascondendo la verità perché non riesce ad accettarla.
«Si sa quando la dimetteranno?»
- Non ancora.
«Il padre del bambino?»
- Terrà la bocca chiusa.
«Volevo sapere come l'ha presa?»
- Ha vent'anni. Ti sembra che un giocatore possa avere tutta questa voglia di diventare padre così giovane?
Stringo la cintura dell'accappatoio con la mano libera per non imprecare né mandare Fred affanculo. Inspiro ed espiro.
«Forse è meglio se vai a prendere Adele domani stesso, così poi la fai seguire da casa... Almeno sta con qualcuno che conosce.»
- Domani parlerò col dottore per capire la cosa migliore da farsi. Proprio adesso doveva capitare questo incidente? Ti saluto che sta arrivando Sylvie. Non sa niente: di' a tua moglie di tenere la bocca cucita.
«Come non sa niente?»
«Non ho fame, ti ho detto.»
Che cazzo ci faccio seduto al tavolo della mia sala da pranzo davanti a una bistecca di seitan e broccoli al vapore con mia moglie? L'odore della verdura si mescola a quello delle candele allontanando il mio appetito ancor di più.
«Devi mangiare qualcosa. È da ieri sera che...» mi dice Claudia prendendo in mano il calice di rosso e aspettando che io faccia altrettanto.
«Non avevi un vernissage?» La guardo scrollando la testa. Vorrebbe veramente che innalzassi il mio calice? «A cosa vorresti brindare esattamente?»
Lei mi sorride e poi ripete quelle mossettine che fa per attirare l'attenzione su di sé, sistema i capelli biondi dietro le orecchie con un movimento a conchiglia delle mani e frulla le ciglia come ali di colibrì.
«Da quando non succedeva tutto questo? Candele, vino, buon cibo...»
Abbasso lo sguardo su seitan e broccoli, ma l'unica cosa che sento è la nausea. Non mi interessa il buon cibo, né il buon vino, né il buon niente. L'unica immagine che ho stampata nella mente è la disperazione di Adele quando si mette la mano sulla pancia. Sento montare dentro una rabbia che non riesco a esprimere, ma che è rivolta anche verso me stesso perché ho vissuto collezionando baggianate. Il mio agire ha danneggiato anche altre persone, per prima la mia... Mia?
«La figlia di Fred ha appena perso suo figlio, è sola e disperata all'ospedale, e tu sei lì pronta per brindare?» Mi alzo, afferro il bicchiere e ingoio il vino tutto d'un fiato. «L'alcol adesso serve solo per dimenticare che questo mondo è ingiusto.»
Si alza per afferrarmi per le braccia e, blandendomi con mossettine e una vocetta insulsa da bambina, vorrebbe farmi sedere di nuovo. «Senti, voglio stare da solo. Meglio se vado in albergo...»
«Hai già una stanza tutta per te: che senso ha l'albergo?» Mi lascia andare, le sue labbra si piegano in un sorriso sornione che non riesco a decifrare e poi cammina verso la finestra per guardare lo skyline di San Francisco. Io non riesco a vedere nulla, nulla a parte il viso di Adele disperato, anche se non è qui con me.
Se chiudo gli occhi o li apro non cambia nulla. La disperazione che accartoccia Adele come un foglio di carta consumata è sempre lì, nella mia mente e nel mio cuore.
Tenere così tanto a una persona da non riuscire a tollerare il suo dolore è qualcosa che non avevo mai toccato con mano. Se mi dessero la possibilità di prendere sulle mie spalle la sua sofferenza, lo farei senza nemmeno pensarci. Vorrei almeno starle accanto, tenerla stretta, non mi importa in che veste, ma vorrei stare lì con lei per dirle che... Per non dire nulla.
Le ombre della notte ricalcano quelle dell'anima, scivolano sulle pareti, sul soffitto e si arrampicano senza alcuna pietà fino a premere sul mio petto. Mi sfiorano, mi accarezzano, mi artigliano, addirittura scivolano verso il mio sesso prendendolo in mano.
Spalanco gli occhi. Stavo dormendo. Sognando.
L'ombra è ancora sopra di me, stretta attorno al mio cazzo.
Mi tiro a sedere di colpo e accendo la luce.
«Che cavolo stai facendo?» urlo a mia moglie in piena notte, ormai completamente sveglio. Ha il mio cazzo in mano e continua ad agitarlo. La spingo via e rimango lì seduto, incapace di capire perché voglia umiliare sé stessa e me in questo modo.
«Perché continui a negare che mi vuoi?» risponde invece con un'altra domanda alludendo sorniona alla mia erezione. Cristo santo, ce l'ho durissimo. Fa male talmente ce l'ho duro. Rimango fermo a guardare la parete, lei strizzata in una guepiere nera , le lenzuola, la punta del mio cazzo pulsante. Mentre sono ancora immerso in pensieri caotici, mi salta addosso di nuovo, mettendomi sotto di lei.
«Non voglio» le dico, risoluto.
«Il tuo corpo dice tutt'altro» e se lo prende dentro fino in fondo. Odio quell'espressione di trionfo che le altera i lineamenti.
«Smettila!» le ordino, ma si mette a ridere. La predo per la vita per girarla sotto di me, il suo sorriso di trionfo si allarga sempre di più fino al momento in cui mi sfilo da lei e le getto addosso il lenzuolo per distanziala da me.
«Anche se sono un uomo, questa si chiama violenza. Tu non hai nessun diritto...»
«Sono tua moglie, ho il diritto!»
«Non mi frega chi cazzo sei per la legge: se ti dico che non voglio scoparti, non voglio farlo. E tu sei tenuta a rispettarmi.»
Si toglie il lenzuolo e si mette in ginocchio sul letto mentre mi guarda respirare forte.
«Allora come spieghi quel monumento al sesso che ti svetta tra le gambe?» domanda ancora una volta, con un'espressione che vorrei cancellarle dalla faccia.
«Preferisco fare da solo piuttosto che...» La domanda, però, non è stupida. E quell'espressione, stasera, l'ho già vista. Non può aver... «Mi hai messo del sildenafil nel vino?» Le sue labbra si assottigliano mentre il naso si arriccia in modo impertinente. «Ti dovrei denunciare! Ma come ti viene in mente di drogarmi?» Un ricordo si fa strada nella mia coscienza, di lei piegata davanti allo specchio mentre la scopo da dietro. «E non è la prima volta, vero? Nel whiskey di tuo padre, la sera del party?»
Lei tira un urlo, prende il cuscino e me lo lancia addosso. Prima che agguanti altro di più duro, mi rintano nella cabina armadio e cerco un paio di jeans e una maglietta per vestirmi. Mi raggiunge, mi strappa i vestiti dalle mani e me li lancia addosso.
«Dove hai intenzione di andare? Io ti ordino di stare qui!»
Prendo altri jeans e maglietta, poi mi dirigo verso il bagno mentre lei continua a urlare.
«Vado in albergo.»
Altre urla.
«Voglio vestirmi in santa pace: vattene.» Mi supera e afferra la confezione di profumo più voluminosa che ho sul ripiano. «Sei prevedibile. Basta lanciarmi oggetti!» le ordino togliendole di mano la potenziale arma e scuotendola per le braccia. Devo dominarmi altrimenti le prenderò la testa e gliela spaccherò contro il muro. Inspiro ed espiro.
«Io. Adesso.» scandisco ogni sillaba a fatica perché la rabbia che provo è così densa da imbrigliare tutte le mie parole «Mi. Vesto. Me. Ne. Vado. Tu. Togliti. Dalla. Mia. Vista.»
Cosa ti importa se me ne hai già mandata una? Pago, pago. Te lo pago doppio, triplo, fai tu, basta che me mandi 'sta fottuta bottiglia. E non metterci le pilloline blu eh. A parte che non sei la mia dolce e bellissima mogliettina. Se vedete una bionda arrapata, tenetela lontana dal mio fottuto whiskey che quella è bipolare non trattata.
- Mr King, si sente bene? Vuole che le mandi un medico?
Strappo il telefono dal muro della camera del Palace Hotel e un due tre. Canestro!
Nick King è la futura star del basket! E che il football si fotta insieme a tutti i suoi fornicanti...
Le persone vogliono solo i miei soldi, il mio uccello, i miei farmaci, la mia faccia: della mia anima non fotte niente a nessuno. Ah no, a una interessava... Tardi. Troppo tardi per i rimpianti. Ti ha bello che rimpiazzato col giovanotto che gioca a football. Beh, io sono la star del basket...canestro anche col bicchiere di vetro.
Tanto si beve dalla bottiglia, un vero uomo beve dalla bottiglia. Sono forse uno smidollato che gioca a football?
E bevi, Nicholas, che alla mia anima ci pensiamo noi, voi, loro. Decidetevi. Chi sono? Siete? Parappapaaa.
Il telefono squilla. Squilla ah ah ah. Ma non lo avevo staccato dal muro? Dai, vediamo quanto squilli. Uno. Due. E dopo c'è il tre...
Squilla ancora.
Non è possibile. Ah già, quando hanno inventato gli smartphone è stato il primo giorno della fine dell'umanità.
Non sono ancora le sette e già mi cercano per qualcosa. Vuoi vedere che è quel gran cornuto di mio suocero?
Oh, applauditelo: questa volta avrà vinto l'Oscar per la più visionaria minaccia di 'sta minkja a quel fetente di Nicholas! Applausi. Dai, non siate avari, quanti applausi si merita? Lui, il genio più genio visionario dell'ingegneria genetica, l'uomo più buono al mondo, Mr Talbot! Standing ovation.
Talbot, sai cosa dovresti fare coi tuoi esperimenti sui geni? Per farci diventare tutti maledettamente ricchi più ricchi schifosamente ricchi eliminando completamente l'infelicità? Prendere il DNA dello squalo, non per quello che stai già facendo, il cancro, dai, secondo te il cancro è il male del secolo? No, prendi il DNA di quei pescioni - pescioni fa ridere - e infilacelo su, ma non essere volgare, infilacelo nelle cellule e facci crescere due gran bei cazzi... Due al posto di uno, uno sopra l'altro. Goduria doppia. Ecco risolto il male dell'umanità.
Che poi nessun prete mi ha mai spiegato come mai Dio abbia detto di preferire tra le creature l'uomo però abbia dato due cazzi agli squali... Qui il gran Padre onnipotente racconta palle più grandi di quelle di Claudia. No no, dio cattivello, non si fa. Per questo poi non fulmini all'istante la tua bellissima creatura bionda che mi ha raccontato di aspettare mio figlio! Hai la coda di paglia, Dio Padre che sei nei Cieli e nella Terra...
Il telefono suona ancora.
Questo è accanimento terapeutico.
«Che sta minaccia fare vuoi? Ah ah ah riprenditi la tua bambina pazza, vecchio stronzo.»
- Ehy, amico!
Guardo il telefono. Le lettere del nome del chiamante sembrano immerse in candeggina. O in etanolo.
- Nick, sei tu?
«Non so se sono io, tu chi credi che io sia?»
- Ma sei ubriaco?
«Ubriaco sarai tu o tua sorella. Io sono l'unica persona sobria in un mondo di drogati.»
- Dimmi dove sei. A casa?
«Acqua.»
- Sei da Fred?
«Acqua.»
- Siamo grandi per la caccia al tesoro. Dai, pirla, dimmi dove sei.
«Al. Ber. Go. Vuoi vedere che sei Ryan!»
- Sì, sono io. Dimmi in che albergo sei.
Mi passo la mano sulla faccia e metto a fuoco lo schermo del cellulare. Oddio...
«Adele sta male?»
- Dai che vengo lì...
«Dimmi che sta bene, ti supplico... »
- Sta come una che ha perso suo figlio, ma ho scoperto una cosa strana.
«Dimmela.»
- Sei sbronzo marcio...
«Dimmela, cazzo!»
- Non so perché abbiano tenuta nascosta la cosa, non ha nessun senso, però Adele non era al quarto mese quando ha perso il bambino. Era al sesto.
Grazie per aver letto questo capitolo.
E grazie anche a tutte le lettrici e ai lettori che si sono uniti in queste ultime settimane.
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Buon 25 aprile,
Andelon Curse 🪷
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