24. Le quattro R della disfatta

Vivo nell'attesa. 

Che l'operazione di Adele finisca. 
Che Fred esca dallo studio del primario.
Che mi dicano che lei è viva.
Che un miracolo lasci nella pancia quel bambino.

Non mi ricordo come si prega, ho smesso quando mia madre se n'è andata, però non saprei a cos'altro aggrapparmi. Vorrei rammentare almeno una di quelle cantilene per mettere a tacere la voce che sovrasta tutti gli altri pensieri. 

Non riesco a togliermi dalla testa che se non l'avessi illusa, lei non avrebbe dovuto affrontare questo momento. 

...Ci sono cose che non andrebbero fatte nemmeno se si desiderano: il prezzo che si paga è quello di assistere impotenti al crollo di quelli che non lo meritano, di quelli a cui si vuole più che bene che a sé stessi.

Quale menzogna mi racconto ancora? Se avessi veramente tenuto a lei più che a me, non l'avrei sedotta ben sapendo che la nostra storia aveva inciso la parola fine persino nel nostro primo bacio.

La voce della mia coscienza non sta urlando, non serve, il suo lieve bisbigliare si insinua tra le sinapsi e tiene in ostaggio tutto me stesso. Sono qui, col corpo, ma la mia mente è prigioniera dell'impossibilità di fare qualcosa di concreto per salvarla.

Delle persone in camice azzurro hanno fatto accomodare me e quel Tyler su delle sedie di plastica in sala d'attesa, un luogo che non mi permette di tenere d'occhio lo studio del primario, Ryan invece è andato a cercare di sapere qualche notizia in più. Al suo ritorno, i suoi occhi fuggenti non mi tranquillizzano.

«Sembra che Adele abbia una crisi ipertensiva.»

«Quanto?»

«Ha la pressione molto alta e non riescono a stabilizzarla.»

«Quanto?»

Ryan si morde l'interno della guancia, titubante sul fatto o meno di rispondermi.

«230 su 130 mmHg.»

Deglutisco a fatica e guardo Tyler che si è avvicinato per sentire le notizie. Il suo viso non tradisce alcuna emozione. Come fa ad avere tutto questo autocontrollo? Io vorrei prendere a cazzotti sia me che lui. 

«Ce la farà?» domanda dopo avermi guardato. Le rughe che gli si disegnano una V tra le sopracciglia sono il primo segno di preoccupazione che dimostra. 

Ryan gli dà due pacche sulla spalla: «Stanno facendo il possibile.»

«E il bambino?» domanda guardandomi di nuovo.

«Stanno facendo il possibile» gli risponde una seconda volta Ryan prima di andarsene perché ha del lavoro da sbrigare.

Il giovane continua a guardarmi: «Tu non sei Nicholas King?»

«E se fosse...?»

«Nulla» dice trattenendo un sorriso sardonico. «Strano che tu sia qui.»

Stringo la mandibola per cercare di non mostrare alcuna emozione, ma Tyler inclina la testa senza smettere di fissarmi. Non so perché, ma credo stia cercando di provocarmi. Forse per come l'ho afferrato prima per il bavero? C'è qualcosa che non va in questo ragazzo, ma non so cosa. 

Fred compare dalla vetrata della sala d'attesa accompagnato dal primario. Apre appena la porta per mettere la testa dentro, poi fa un cenno al giovane perché vada con lui senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Io mi avvicino per sapere se si hanno ulteriori notizie. Vorrei solo che mi dicessero che Adele sta bene e che posso vederla.

«Non si sa nulla, Nick. Se vuoi tornare in azienda, ti chiamo appena ho notizie.»

«Rimango qui. Non riuscirei a concentrarmi sapendo quello che tu e lei state passando.» 

Entra nella sala e mi tira da una parte: «Qui però ti posso vedere tutti.» Lo guardo senza capire. «Vedere e riconoscere. Collegare te a me e poi spettegolare su Adele è un attimo.»

Fred e il suo terrore che uno scandalo arrivi alla stampa!

«Allora mi rinchiudo nella camera di Adele e aspetto lì.»

Fred sembra soppesare il quadro della situazione.

«Sì, lì va bene. Non possiamo affrontare uno scandalo. Pensa se sapessero che era incinta.»

Lo afferro per un braccio: «Era?»

Cazzo, ha detto era! Non era mio figlio, ma non so cosa mi prenda. 

«Amico, che ti succede?» mi domanda comportandosi come se l'aborto non lo toccasse per niente.

«Cosa prende a te, Cristo santo. Era tuo nipote!» cerco di non urlare perché non voglio che Tyler scopra la cosa così. Anche se non mi piace per niente, era pur sempre il padre del bambino.

Fred libera il braccio con uno strattone, quello che senza accorgermi gli stavo stritolando, e lo muove per riattivare la circolazione, un movimento che sottolinea il suo totale menefreghismo.

«Certo che mi dispiace, cosa credi? Alla lunga si rivelerà una cosa migliore per tutti. Anche Adele lo capirà...»

Migliore. Una cosa migliore. 

«Non conosci tua figlia. Come puoi pensare che dirà che è meglio averlo perso?»

Lui abbassa la voce: «Sei tu che non la conosci. È ancora una bambina lei stessa e di sicuro non potrebbe, ora come ora, crescere un figlio. E poi ti sembra che acconsentirei a farla sposare a un giocatore di football? Quel bellimbusto ha fatto i conti senza l'oste...»

«E con chi dovrebbe sposarsi tua figlia?»

Scrolla la testa, esattamente nello stesso modo di quando gli ho parlato dei modi violenti di Claudia e del ricatto di Mr Talbot. 
Dimmi un po' Fred: dopo aver messo sull'altare sacrificale il buon vecchio Nick, come pensi di immolare tua figlia? Con chi le farai scambiare i voti? Anche lei con una persona violenta così potrai dirle che alza le mani perché l'ama profondamente? Che la tratterà come un oggetto e la sottometterà col ricatto? 

«Adesso pensiamo a sistemare la questione senza che accadano altri incidenti.» Lo guardo incredulo mentre un sapore amaro mi guasta la bocca. «Perché fai quella faccia?»

«Lo hai chiamato incidente, questione, non posso credere che tu non sia almeno rammaricato.»

Fred scrolla di nuovo la testa prima di aprire bocca ma, anche se ha gli occhi lucidi, non riesco a decifrarne lo stato d'animo.

«Non sono rammaricato, sono incazzato nero. Soprattutto con mia figlia per avermi taciuto una cosa di tale gravità. Ha rischiato la vita e Dio mi è testimone se non temo che la stia rischiando anche adesso... Cosa pensava di fare? Di arrivare con un bebè tra le braccia e presentarmi mio nipote?»

L'immagine di Adele con un neonato tra le braccia mi blocca il respiro, forse perché è ciò che ho sognato in questi mesi. Mi guardavo attorno e mi chiedevo perché, al posto di Claudia, non ci fosse Adele e, invece di un bimbo inventato, non ce ne fosse uno vero. 

L'idea di avere una famiglia quando la mia si è disgregata fin troppo in fretta era allo stesso tempo un desiderio e un miraggio. Dicono che i figli dei divorziati possano costruire solo famiglie disfunzionali come se avere per genitori due persone che smettono di amarsi fosse uno stigma che si trasforma in un domino inarrestabile di sfortune. In effetti, però, la mia vita sarebbe l'ennesima prova di quanto teorizzato. Che si fottano tutte 'ste teorie!

«Cosa avresti fatto se fosse venuta da te dicendoti "Sei diventato nonno"

Fred strabuzza gli occhi.

«Cosa avrei dovuto fare?» domanda a sua volta stizzito mentre si volta per guardare Tyler che sta scrollando lo schermo del suo cellulare col pollice. Probabilmente è su Instagram. La sua ragazza rischia di morire e lui è su un social. «Avrei dovuto pagare ancora di più quel tizio... Fammi andare, così sistemo anche questo grattacapo.» Incidente. Questione. Grattacapo. Inizio a pensare che se Adele gliel'avesse detto un mese fa quando era ancora di tre mesi, l'avrebbe costretta ad abortire. «Mi faresti il favore di aspettare mia figlia e controllare che non ci siano giornalisti nei paraggi?»

Mentre si allontana assieme al primario e a Tyler, io vado nella stanza 43.

La delusione è un marchio a fuoco sul mio cuore. Fred ha avuto la fortuna di avere una figlia come lei...e come la tratta? Non pensavo che potesse essere insensibile fino a questo punto. Dio, quanto sono stato cieco?

Ora comprendo perché, anche da bambina, avesse quel velo di tristezza e solitudine nello sguardo. Se solo avessi compreso prima e avessi potuto fare di più. 

Possibile che lei si sia invaghita di me perché mi vede come una figura paterna? Questo, se fosse vero, mi ucciderebbe. La differenza di età tra noi è tanta ma nemmeno tale da... Oddio, ho esattamente diciotto anni più di lei come lei ne avrebbe avuti più di suo figlio. 

Respiro a fondo. Possibile che sia stato solo un surrogato di suo padre?

«Mi scusi, non può stare qui» mi dice un infermiere distogliendomi da questi pensieri.

«Guardi: sono d'accordo con Mr Allen, il padre della ragazza. Starò qui io ad attendere la paziente» rispondo e la voce mi si incrina sull'ultima parola perché mi fa male chiamarla così.

L'uomo corruga le sopracciglia e poi trattiene a stento la sorpresa: «Mi scusi, non l'avevo riconosciuta.»

«Perché avrebbe dovuto?»

L'infermiere è ancora più perplesso: «Beh, lei è il famoso Nick King...»

«Così sembra» rispondo scrollando le spalle e domandandomi che senso abbia tutto questo. Cosa frega agli altri esseri viventi della mia vita? Vorrei prendere queste persone che pensano che io sia realizzato e mostrare a ciascuna di esse quale sia la verità: Nicholas è solo un uomo che ha fatto soffrire una splendida donna e che non è in grado di fare ammenda. 

«Ho saputo che la paziente sarà qui a momenti» farfuglia e scompare. Il mio cuore inizia a battere più velocemente e il respiro si fa più profondo. Lei è ancora viva. 

La porta si riapre e il letto con Adele viene portato all'interno da due infermiere. 

Distolgo lo sguardo, ma riescougualmente a intravedere i capelli scappati alla cuffietta che macchiano il cuscino bianco di onde brune. Ho paura di guardarla per scoprirla diversa, per leggere il dolore inciso sul suo bel volto.

«Potrebbe attendere fuori che sistemiamo la paziente?»

Esco richiudendo la porta dietro di me e mi guardo attorno. Il chirurgo si sarà probabilmente fermato per riferire a Fred e al primario. Dopo un tempo che pare infinito, mi fanno rientrare.

«Dorme come conseguenza dell'anestesia. Se si dovesse svegliare, ci chiami subito perché ancora non sa del bambino» dice una delle due mentre l'altra tiene gli occhi bassi.

«Com'è andata l'operazione?»

«Deve parlare col chirurgo, noi non possiamo riferire.»

Senza osare ancora guardarla, mando un messaggio a Ryan che mi telefona. Per fortuna sto guardando il telefono perché sono in modalità silenziosa.

- Fred Allen deve aver minacciato tutti: nessuno si lascia scappare alcunché. Sarebbe più facile avere notizie del Presidente.

Li avrà pagati più che spaventati... 

«Grazie, amico. Ora sono qui con lei e non posso parlare. Tu informami subito se scopri qualcosa.»

Chiudo la telefonata e vedo che mia moglie mi avrà chiamato dieci volte, che cavolo vorrà ancora? Spengo il telefono e lo dimentico nella giacca. Non ci sono per nessuno se non per Adele.

Mi avvicino fissando il pavimento. Mi siedo lì accanto, faccio un profondo respiro e alzo il viso. L'aria rimane intrappolata nei polmoni mentre cerco di non mettermi a piangere.

Ha gli occhi chiusi e le ciglia lunghe ricadono sulle guance cosparse da puntini rossi, capillari che probabilmente devono essersi rotti durante lo sforzo che ha affrontato. Ha le labbra spaccate e la pelle umidiccia. Le sfioro la fronte con le dita, è caldissima tanto che, al contatto con la mia mano che sembra gelida, farfuglia qualcosa, forse perché sente sollievo. Cerco una pezzuola, la bagno con dell'acqua lasciata sul comodino e gliela appoggio alla fronte, poi controllo la flebo da cui scende, goccia dopo goccia, l'infusione di chissà che cosa. 

Il lenzuolo, sul petto, è un'onda lunga che insegue il suo respiro: rimango a fissarlo pregando quel movimento come se fosse un dio perché mi assicura che è viva e ancora qui con me. Lo alzo un po' per cercare la sua mano, quella libera della flebo, e la prendo tra le mie. Le dita freddissime tremano e hanno piccoli scatti. 
Da quanti mesi non eravamo così vicini? 
Mi chino per baciarle i piccoli polpastrelli e strofinare il naso per sentire ancora il suo odore, ma è nascosto da quello dell'ospedale.

Ancora non ho avuto il coraggio di guardarle la pancia. 
Faccio un altro respiro e gli occhi corrono più in basso.

 C'è qualcosa di ingiusto però in quella porzione di lenzuolo - tirata, bianca, fredda. 
C'è qualcosa di crudele in quell'assenza - di una pancia prominente, di un secondo battito, di un futuro. 
C'è qualcosa di terribile - nell'inesorabilità, nella morte, nella mancanza d'amore. 

Approfitto del fatto che non entra nessuno per sdraiarmi sul letto accanto a lei, cercando di non urtarla né di darle fastidio. Le giro la pezzuola che si è scaldata e le sfioro la punta del nasino, resistendo all'impulso di baciarglielo. 

Come potrà affrontare tutto da sola? Né suo padre né quel Tyler sembrano uomini che possano sostenerla. 
Nemmeno io sono un uomo simile. 
Le lacrime, trattenute per troppo tempo, fuggono bagnando il cuscino. 
Che fine ha fatto l'uomo che volevo diventare da grande? 

Le bacio la bocca. 
Non sono un principe azzurro, né lei la bella addormentata ma c'è qualcosa di fiabesco in questo gesto perché vi è racchiusa la minuscola speranza che il destino possa regalarci una seconda occasione per diventare chi vorremmo essere.

Le sua labbra si muovono sotto le mie. Non faccio nemmeno in tempo a staccarmi che i suoi occhi gialli si spalancano colmandomi di luce.

«Ciao» le dico sulle labbra prima di allontanarmi.

«Nich...las?»

«Sono io, tesoro mio, sono qui.» Le accarezzo le guance calde e i capelli mentre lei sbatte ancora le palpebre e cerca di mettere a fuoco qualcosa. Per non infastidirla mi alzo dal letto e la lascio respirare, ma mi devo sforzare per non tornare da lei e abbracciarla stretta. 

«Dove sono?»

«Va tutto bene, Adele» le dico pur sapendo che dovrei chiamare l'infermiera. Non riesco a farlo perché so che, nel momento in cui arriverà, tutto andrà a rotoli. E io non voglio che soffra...

Si agita sul letto e, al diavolo i miei,buoni propositi, la prendo tra le braccia. Con un urlo si ferma per il dolore e si porta una mano proprio dove sente male. L'espressione del suo viso cambia tanto improvvisamente che non so più cosa fare. «Aiuto» ma non so se ho urlato io o lei. 

«Dov'è? Dov'è Outlier?»

«Stai calma, Adele, ti prego. Stai calma...» la stringo + a me più forte e lei si abbandona a piangere sulla mia spalla.

«Dov'è il mio piccolino? Mio figlio! Era qui!» 

«Amore mio, un bambino di quattro mesi... non ce la fa.»

Avrei voluto morire piuttosto che dirle una cosa simile. Mi spinge via con una forza tale da sorprendermi e si mette a urlare «Dov'è? Dov'é? Ditemi che l'avete salvato. Ditemi che lo avete messo nell'incubatrice.»

Cerco sia di schiacciare il pulsante per chiamare l'infermiera sia di stringerla di nuovo al mio petto, fallendo in entrambe le missioni.

«Adele, ti prego, calmati. Respira. Ci sono qua io, supereremo questa cosa assieme.»

«Dov'è mio figlio? Non può non esserci più...»

La porta si spalanca ed entrano un medico seguito dalle due infermiere di prima, quella che si era raccomandata di chiamarla scrolla la testa in un rimprovero muto.

«Cosa le ha detto?» mi domanda il medico mentre inietta nella flebo un liquido che probabilmente è un calmante. 

«Io...»

«Esca da qui subito» ordina alzando la voce per contrastare le urla di Adele. 

Sono in corridoio. Non riesco a giustificare in alcun modo il mio comportamento da coglione e ho l'impressione che tutti mi stiano guardando con biasimo. Che altro potrebbero fare se non condannarmi? E lo farebbero ancora di più se sapessero cosa le ho fatto... Le sue urla scemano poco a poco, ma continuano a echeggiare dentro di me.

«Avresti anche potuto avvisarmi e rispondere al telefono.» La voce di Claudia giunge improvvisa alle mie spalle facendomi sobbalzare. Mi volto ed è di fronte a me, truccata da serata di gala. Che diavolo ci fa qui? «Mi vuoi dire che diavolo ci fai qui?»

«Pensa che stavo per chiederti la stessa cosa.»

«Per fortuna la tua segretaria mi ha detto dove fossi.»

«Mi hai trovato.»

«Cosa sarebbe successo di così grave alla figlia di Fred?» la sua vena ironica mi pungola come un ferro incandescente. Ho l'impressione di essere una bomba H.

«Ha rischiato la vita e ha avuto un aborto... Un aborto vero.» 

Tutto il rancore accumulato in questi mesi mi fa dire ciò che avrei dovuto tacere. La faccia di Claudia si piega in un sorrisetto smaliziato che rinfocola ancor di più il mio odio nei suoi confronti.

«Guarda un po' la santarellina...»

L'afferro per un braccio e la scuoto proprio mentre il dottore esce dalla porta della stanza. 

«Va tutto bene, signora?» domanda a mia moglie e guardandomi in modo che io capisca che non tollererà tale comportamento. «Vuole che chiami la sicurezza?» La sicurezza? Ci manca solo che io sia accusato di violenza su mia moglie. 

«Grazie , dottore. Mio marito si è solo agitato per l'accaduto. Come sta la nostra Adele?»

Nostra?

«Ora dorme serena. Per il resto, posso solo conferire con Mr Allen.»

Cammino verso l'uscita accanto a Claudia, incapace di pensare, di agire, quasi di respirare. 

«Stasera saremmo invitati al vernissage di Damien Hirst.»

Mi fermo su due piedi e la  guardo. 
«Allora vai. Vai! Con la mia benedizione!»

Mi prende sottobraccio e mi dà piccoli schiaffetti per blandirmi: «Invece andremo a casa, ci prepareremo una cenetta romantica e ci rilasseremo po'.»

Ma che cosa vuole questa da me? E io che cazzo sto facendo della mia vita?

Il capitolo è dedicato proprio a te che stai leggendo. 
Spero che questo mio romanzo ti aiuti a non perdere la speranza, anche nei momenti che sembrano bui come può esserlo quello attuale. La stessa Adele (che però ha il vantaggio di essere un personaggio di fiction) dovrà superare un momento difficile...vedremo se sarà un bene o meno continuare a sperare che le cose belle arrivino! 🤞🏻
Lottiamo tuttə, ogni battaglia ci lascia a volte una cicatrice, altre un dono che rende unica la nostra esistenza. Ti auguro di trovare quel dono anche in questo momento di grande lotta. 
Ti abbraccio stretta,
Andelon Curse






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