22. Arcobaleno

       

Il liquido della flebo, prima di prendere la strada del tubicino di gomma collegato a una vena della mia mano, sgocciola lento in un piccolo cilindro trasparente costellato da minuscole goccioline che, colpite dai raggi di sole, si trasformano in prismi. L'arcobaleno che si colora sul muro davanti a me è un messaggio di rinnovamento e crescita a cui cerco di rimanere attaccata: se tengo gli occhi impegnati su ciascuno dei sette colori dell'iride, la mente non vagola in territori spaventosi. È un esercizio difficile, non sempre ci riesco, ma il medico mi ha detto che è importante che io mantenga la calma. Specialmente ora.

41,2°C 

Il mio corpo è una sauna impazzita. Passa dai 36,6 ai 41,2°C in pochi minuti e sembra che nessuno sappia il perché. Forse nessuno me lo vuole dire. In un momento in cui riuscivo a parlare, ho domandato se tutti questi sbalzi non siano pericolosi per il bambino, perché ancora non è nato è si ritrova con una mamma che gli fa fare la doccia scozzese... Il medico mi ha ordinato di stare calma e di non muovermi. 

«Il paracetamolo contenuto nella flebo ti aiuterà a tenere la temperatura sotto controllo.»

Farà male al bambino? L'infermiere che controlla la velocità dell'infusione mi guarda e scrolla la testa. Ehi, farà male o no al bambino? 

Una fitta alla schiena mi fa urlare. L'infermiere torna da me. Voglio una mano per cambiare posizione, invece mi blocca le spalle e mi ripete che devo stare ferma. Sdraiata su un fianco con le gambe raccolte a squadra. So che c'è il materasso ma ho la sensazione di giacere su un letto di chiodi, perché non posso girarmi sulla schiena?

«Respira profondo e pensa a qualcosa di bello.»

Concentrarmi su questo colore è un sollievo. 

Ho letto da qualche parte che ogni mattina bisognerebbe immaginare di dipingere di arancione tutte le cellule per prepararsi a una giornata meravigliosa. Io ho due corpi da dipingere, uno dentro l'altro, una sensazione strana perché, se da una parte sento che Outlier mi appartiene, dall'altra avverto la sua unicità e indipendenza. Una percezione diversa da quella percepita con l'Innominato, quando era dentro di me e mi guardava con gli occhi del l'uomo più innamorato del mondo.

Il piacere dei nostri corpi allacciati è così distante da questo momento. 
Non ricordo nemmeno più cosa sia il piacere, il fremito del desiderio, l'orgasmo che ha sconquassato ogni parte di me. 
Mi accontenterei dell'assenza di dolore, di non provare più nulla. Quel piacere effimero è stato pagato a un prezzo altissimo. 

Non ho resistito: in un attimo senza febbre, sono andata a guardare le ultime foto della coppia felice. Per intero questa volta, cosa che avevo sempre evitato per viltà. Ora che non ho più forze, però, so che un'altra delusione non potrà peggiorare ulteriormente la situazione. Passerà attraverso la mia persona senza scalfirmi. 

Per questo ci si conficca le unghie nella carne o ci si morde la lingua quando si deve sopportare il dolore: l'unico rimedio alla sofferenza è una sofferenza ancora maggiore. 
Simil similia solvuntur - il simile scioglie il simile - è uno dei principi della chimica, già noto agli alchimisti.

L'Innominato aveva detto il vero: Claudia non è incinta. Forse non lo è mai stata oppure... Non oso immaginare quanto debba aver sofferto se fosse accaduto qualcosa di brutto a lei e al bambino. 

Spero di no.

Spero di no. 

Spero di no.

«Adele! Adele! Sei con noi?»

Dove dovrei essere?

«Guardami, forza!»

Quando la luce si affievolisce, metto a fuoco la faccia del medico. 

«Sei svenuta. Come ti senti?» 

Sono sempre stata lucida. Sto bene. Ho solo molto dolore e ho freddo.

«Ha di nuovo 40°C.»

Qualcuno toglie la coperta e mi mette dei sacchetti di ghiaccio sulle gambe e sulla testa. 

«Cerca di rilassarti e pensare alle cose belle.»

Un giardino profumato. Una panchina di pietra. Un abito elegante. Il mare di notte. Due occhi verdi adombrati dal desiderio. Baci così intensi da farmi svenire.

Io e Nicholas.

Hai sentito Outlier? Ho chiamato di nuovo tuo padre per nome... Forse stiamo ancora sognando. 

Ti immagini quanto sarebbe bello se Alexhey fosse Nicholas? Se fosse disponibile a venire da noi in questo momento e ci dicesse che ha scelto noi due.

«Devi cercare di stare tranquilla. E ferma.»

Non sono io a muovermi. Il mio bambino decide da solo cosa vuole fare. Dove andare. Con chi stare. Come il suo papà. Piccolino mio, almeno tu vuoi stare con me? 

«Siamo riusciti a trovare tuo padre.» Dov'è Nicholas? «Tuo padre sta arrivando. Vedrai: andrà tutto bene.»

No! Urlo con tutto il fiato che ho e mi tiro a sedere. 

Il medico e due infermieri mi raggiungono subito. Non deve sapere che sono incinta. Non gliel'ho detto. Mi spingono di nuovo sul letto, tolgono il ghiaccio e mi coprono con la coperta.

«Difficile da nascondere una gravidanza di quasi sei mesi.»

Vi prego. Vi scongiuro. Uno ridacchia. Cosa c'è da ridere?

«Una madre si deve comportare da adulta.»

Ditegli che sono di quattro mesi. Poi vedrò cosa fare. Vi prego.

«Stai rischiando la vita tua e di tuo figlio.»

Mio figlio rischia la vita? Perché? Cosa succede? Ditemelo.

«Idronefrosi.»

Cos'è? Ditemi cos'è. Vi prego.

Non ricordo nemmeno il nome della malattia che abbiamo, piccolino. Hai tanto male? Mi dispiace, non volevo ammalarmi.

Ci sono momenti in cui la stanza è gremita di gente con la mascherina, altri in cui non c'è nessuno. Io vorrei potermi girare ma dicono che è importante che io stia ferma. Chissà se Alexhey ha letto il mio ultimo messaggio? Non avrei dovuto dirgli che sono ancora innamorata di un altro.

«Possibile che tu senta ancora dolore con la quantità di antidolorifico che ti stiamo dando?» 

Tutte queste medicine fanno male a Outlier? 

«Adele, tesoro mio!»

Papà? Papà!

Piango. La sua mano è sulla mia spalla, il volto è preoccupato, gli occhi sono lucidi quanto i miei. 

«Ma cos'ha mia figlia? Al telefono avete detto delle assurdità!»

La mano dalla spalla scivola lungo la coperta, sul mio ventre fino a quando si decide ad alzarla.

Papà, mi dispiace. Volevo dirtelo. Ti giuro sulla mamma che volevo dirtelo.

«Come ha fatto a rimanere incinta?»

«Mr Allen, non preferisce parlare nel mio studio?»

Papà non andare. State qui. Ditemi cos'abbiamo.

«Sua figlia è di...quattro mesi.» Il dottore mi guarda e scrolla la testa. Io gli sorrido per ringraziarlo, ma lui piega le labbra all'in giù.

«Quattro mesi? Ma com'è possibile?»

«Mr Allen, non è il momento di... Bisogna pensare ad Adele e al bambino.»

«Perché non è in una camera... più isolata?»

«Quando ha detto di chiamarsi Adele Stevens non pensavamo... Poi abbiamo visto la sua assicurazione e abbiamo mandato via l'altra paziente»

«Quella che avete mandato via è una persona che può andare dai giornalisti?»

«Ma no. Non ha nemmeno sospettato a quale famiglia Adele potesse appartenere ma ora bisogna...»

«Senta, ora che avete capito chi siamo, dovete spostarla e darle le cure migliori.»

«Le abbiamo già dato le cure migliori, ma non stanno...» Mio padre mi guarda e scrolla la testa. Perché scrollano tutti la testa quando mi guardano? «Mr Allen, non vede che sua figlia si agita?»

«Si agita. È incinta e si agita... Mi sembra il minimo. Ci lasci da soli.»

«Ha un'idronefrosi grave e bisogna subito prendere delle decisioni... La lascio due minuti, non di più: dobbiamo pensare al bene della mamma e del bambino.»

Quella che Dio non ascolta mai.

Dio non ascolta le preghiere dei senza speranza. Distoglie persino lo sguardo onnipresente dalle bombe lanciate sui palazzi o dai coltelli conficcati nel ventre delle donne. Si volta davanti ai bambini che muoiono di fame.

Perché dovrebbe ascoltare me? Io ho solo peccato... Volevo l'uomo di un'altra donna. E ora cresce in me il frutto della nostra lussuria. 

Chi scaglierà la prima pietra? Forse proprio Dio? Mi toglierà anche quest'ultima speranza d'amare?

«Perché non me l'hai detto?»

Ti ho chiamato. Stamattina. Ieri. Forse dieci giorni fa. Volevo farlo. Ti prego, credimi.

«Chi è il padre?» Lui non mi vuole più. Forse non mi ha mai nemmeno voluta. «Si dovrà prendere le sue responsabilità. Lo obbligherò a farlo, quanto è vero che mi chiamo Fred Allen.»

«Adele, Adele, guardami!»

Dov'è mio padre? Altra luce negli occhi, di nuovo il viso del dottore. Dov'è mio padre?

«Si sta riprendendo...ma ha di nuovo la febbre a 41°C. Le avevo detto di non stressarla. Lei sa chi potrebbe essere il padre del bambino?»

«Credo sia qui fuori...»

«Ci sono decisioni da prendere. Non si può più tergiversare.»

Solo io posso decidere di mio figlio. Nicholas non è suo padre. Nessuno è suo padre...

«Sta delirando. Preparate la paziente... Venga nel mio studio col padre del bambino.»

Tante persone armeggiano intorno a me. 

Mi toccano. 

Tastano la pancia. 

Infilano dita, aghi, tubi. 

Mi spostano su una barella. 

Rimettono la flebo. 

Quando chiedo spiegazioni, fingono di non sentire.

Mi misurano pressione, temperatura, ossigeno. 

Mi guardano e scrollano la testa. Smettete di guardarmi e scrollare la testa.

Mi infilano una cuffietta in testa dopo avermi raccolto i capelli. Gli stessi gesti di un film dove preparavano Maria Antonietta per il patibolo. 

Mi hanno lasciato nuda. Copritemi. Vi prego. Non guardatemi almeno.

Qualcuno mi mette un telo color speranza. 

Cerco l'arcobaleno sulla parete. 

Non c'è più.


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