18. Outlier

Non volevo mettere il cuoricino sul messaggio, ma il dito si è mosso da solo. Se non fosse stato per Alexhey, del resto, sarei completamente abbandonata a me stessa. Per questo motivo, mi viene spontaneo mettere un cuore sull'unica dimostrazione d'affetto di queste giornate infinite.

Il piccolo appartamento che ho affittato poco lontano dal Campus mi permette di avere più intimità di quella che normalmente avrei se lo condividessi con qualcuno. Ci sono una camera, una cucina, un bagno con la vasca e un balconcino su cui non ho mai messo piede in cinque mesi che abito qui.

Avevo deciso di prendere un appartamento in affitto da sola ancor prima di sapere di Outlier e di farmi registrare con il cognome di mia madre, Stevens, cosa che è stata accettata senza problemi. Altrimenti, non solo sarebbe stato difficile affrontare questa nuova vita lontana da casa, ma avrei anche dovuto evitare che altri studenti mi scattassero foto di nascosto per rivenderle ai rotocalchi. Se penso a quanto sarebbe potuto succedere, sarei dovuta scappare in Australia per evitare lo scandalo.

Da quando l'Innominato ha sposato la Future Genes, è sempre in prima pagina con mio padre, Sylvie e, ovviamente, Claudia. Si parla di investimenti miliardari e sembra che tutti siano già lì pronti a vedere la nascita del prossimo farmaco. Ci vorranno anni, possibile che non lo sappiano? Foto, articoli, interviste... Dimenticare che l'Innominato esista è una delle sette fatiche di Ercole. Addirittura un mese fa, lo hanno invitato qui a Berkeley per tenere una lectio magistralis sull'applicazione dell'AI alla biotecnologia. Già solo il titolo del seminario era incomprensibile, poi... Poi lui sarà stato formidabile come al solito, con le parole ci sa fare. Il giorno dopo tutte le studentesse parlavano di quanto fosse bravo, bello e molte elencavano cosa gli avrebbero fatto se si fossero trovate sole con lui.

Stringo i denti e rileggo l'ultima frase che mi ha scritto Alexhey: ricordo la sensazione delle tue labbra. Sì, anche della tua lingua. Questa è stata la cosa più  carina nei miei confronti da mesi e io che ho fatto? Ho pensato all'Innominato. Almeno adesso penso a lui senza piangere, ma forse perché sono così stanca che mi manca l'energia di produrre lacrime. 

Mi preparo un porridge di avena e mirtilli, semi di zucca e bacche di goji. Il miscuglio informe sembra un conglomerato di caccole di troll. Anche l'odore... Oh no, non di nuovo...

Vomitare da soli è brutto, ad esempio, così come il non riuscire a controllare le emozioni e voler piangere sempre. Ho i brividi dal freddo, però devo trovare la forza di farmi forza. Non posso permettermi né di piangermi addosso né di saltare altre lezioni. Se la chimica riesco a comprenderla, la fisica quantistica è  uno scoglio insormontabile. Dovrei parlarne con Alexhey, magari potrebbe darmi un consiglio anche in questa materia. Grazie a lui, del resto, sono passata da una B a un'A+. Essere la prima del corso dovrebbe riempirmi di orgoglio, ma invece sono rammaricata perché questo risultato non ha migliorato i miei già scarsi rapporti sociali.

È difficile trovare un'amicizia vera qui, l'unica persona che sento "vicina" è Alexhey, credo. Anche se forse lui vorrebbe qualcosa di più. Probabilmente ha scritto quelle cose solo per dire, del resto lui è a Cambridge e io sono a Berkeley, a più di tremila miglia di distanza. Quello che vorrei davvero è un suo abbraccio, la calda stretta di un amico. Quanto mi piacerebbe proprio stamattina? Quanto mi piacerebbe che frequentasse anche lui Berkley? Ma poi, si comporterebbe allo stesso modo?

Metterò il porridge in frigo, ma probabilmente è meglio buttarlo via subito perché rischia di ammuffire prima che decida di provarlo di nuovo. Ho perso un altro chilo di peso nell'ultima settimana, il che è preoccupante, ma non riesco a mangiare senza vomitare. Ho addirittura comprato integratori alimentari che vengono dati ai pazienti oncologici, ma neanche quelli rimangono nello stomaco. Ogni giorno annoto il mio peso sull'apposita app e vedo la faccina triste accanto all'ovvio consiglio di mangiare e nutrirmi. Ma perché l'app non mi suggerisce anche come smettere di vomitare e alleviare il dolore che sento alla schiena?

Indosso un secondo maglione di lana prima di uscire, controllo il calendario con le lezioni appeso alla porta e conto i giorni che mi separano dalla prossima visita dalla ginecologa, che sarà mercoledì prossimo. Devo resistere solo una settimana. La dottoressa Martin mi ha detto che è normale avere qualche doloretto e che probabilmente ho una bassa soglia di tolleranza al dolore. In altre parole, devo solo sopportare e smettere di lamentarmi. Perché, in  fondo, me la sono voluta...

Me lo ripeto come un mantra mentre le gambe si muovono il più velocemente possibile verso la facoltà, le spalle strette nel cappotto mentre la testa e gli occhi non osano alzarsi dall'asfalto. Vorrei poter infilare la punta degli indici nei padiglioni auricolari e spingere forte fino a sentire dolore. È così strano il corpo umano: non riesce a percepire con esattezza il dolore in due punti e sembra che l'intensità del luogo più dolente venga divisa in parti uguali, diventando meno fastidiosa. Dolore alle orecchie più dolore alla schiena, diviso per due. Ma la patologia non segue pedissequamente le leggi matematiche.

Per raggiungere il dipartimento di scienze, mi piace abbandonare l'asfalto e attraversare l'area naturale di Grinnel. Durante il tragitto, la mente si riempie del profumo della terra umida e degli eucalipti che dominano la zona, una fragranza che attenua il senso di solitudine, anche se non so spiegare come sia possibile. Forse mi trasporta indietro nel tempo, fino alla mia prima infanzia, quando mia madre mi portava ancora nel passeggino alla ricerca di freschezza in un giardino che non saprei individuare. Di quel tempo ho viva l'immagine dell'armonia della voce materna, che si fondeva perfettamente col canto degli uccelli e il fruscio delle foglie mosse dal vento.

Appoggio la mano sui reni, non è solo la schiena a farmi soffrire, ma anche le risatine degli studenti, che sembrano essere diventate la colonna sonora della mia vita universitaria. Anche le più piccole, probabilmente nemmeno indirizzate a me, sembrano scalfire la già poca stima che ho di me stessa. Vorrei scomparire, soprattutto durante i cambi di lezione, quando i ragazzi iniziano a parlare e a raccontarsi la loro vita fatta di feste e relazioni tra coppie.

Una notifica del cellulare mi invita a fermarmi per leggere il messaggio ricevuto e, soprattutto, per riprendere fiato. Il profumo mentolato e legnoso degli eucalipti mi ricorda la purezza insita nell'amicizia, mentre i loro tronchi con la corteccia sfaldata mi ricordano la difficoltà, se non l'impossibilità, di mantenersi integri.

«Stevens, ti serve una mano?» 
«Hey, Stevens, parliamo con te.»

Alzo la testa di scatto e il cuore inizia a battere più forte mentre un goccia di sudore mi scivola tra i seni. Purtroppo non sono ancora abituata a reagire con prontezza al sentirmi chiamare col cognome di mia madre. 

Tre ragazzi del mio corso mi stanno sbarrando la  strada. Sono giocatori di football della California Golden Bears e, da quando mi invitarono a una loro festa mesi or sono, non mi danno pace perché sono convinti che nessuna ragazza possa dire  loro  di no. Nonostante i due che hanno parlato siano più alti di me di venti centimetri e grossi  almeno cinque volte,  è il terzo, più smilzo, a mettermi a disagio. Dicono che sia fortissimo perché non ha mai paura di nulla. Il suo sguardo non mi abbandona mai, nemmeno a lezione, anche se non mi ha mai parlato.

«Scusate, stavo leggendo un messaggio» balbetto mentre mi guardo attorno per vedere se ci siano altre persone.

«Del tuo ragazzo?»

«Sì» e alzo il mento con orgoglio. Non devono fiutare la mia paura, altrimenti diventerò facilmente una loro preda.

«Il padre?»

Deglutisco a vuoto e appoggio una mano sulla pancia nascosta dal cappotto: «Vuole sapere come stiamo.»

Rimetto il cellulare in tasca e riprendo a camminare, aggirando la triplice barriera umana. Sono sudata, ma sento freddo come se fossi sotto una forte nevicata. Ci vorrebbe proprio un amico come lui, accanto a me.

«Non  vuoi fare la strada  con noi? Girano persone poco raccomandabili.»

«Vi ringrazio per la gentilezza, ma volevo  approfittarne per telefonare» rispondo fingendo di comporre il  numero. Cosa stupida perché dovrei averlo in memoria, ma spero che non si  accorgano. Riabbasso la testa, cerco di muovere le gambe velocemente e inizio un monologo di bugie penose parlando al cellulare. Per un attimo, ma solo per un attimo, ho pensato di chiamare Alexhey veramente. Il passo celere dei tre alle mie spalle mi fa comprendere che hanno mangiato la foglia. Uno mi prendo sottobraccio ridacchiando e l'Outlier ne approfitta per darmi un calcio fortissimo che mi fa piegare in avanti. 

Buongiorno, piccolino. Ti sei svegliato?

«Dai che si capisce che stai facendo finta» mi  prende in giro rubandomi il cellulare. È ancora sbloccato ed è aperto sui messaggi Instagram scambiati con Alexhey. 

«Ridammelo» dico con un filo di voce tirandomi dritta mentre maledico la mia bassa soglia del dolore. 

Vedo il pollice lavorare alacremente sullo schermo mentre gli altri due si ergono a muro. Ma perché mi hanno preso di mira? Possibile che sia solo perché li ho rifiutati? Hanno stuoli di ragazze ai loro piedi e si preoccupano di me?

«Mi dite una buona volta perché fate così? Non avete mai visto una ragazza incinta?»

«A te la gravidanza dona particolarmente, anche se sei un po' magrolina, sai?» 
Per la prima volta, sento la voce del terzo, il suo tono è vagamente minaccioso anche se non so perché. 
«Ti potrei dare una mano io, o meglio... Più che la mano, potrei darti il mio cazzo. Sai che ingoiare è consigliato alle donne che vogliono partorire un figlio sano?»

Sento il sangue affluire alle guance e mi maledico perché l'ultima cosa che vorrei fare è mostrare imbarazzo  davanti alla sua allusione volgare. 

«Oh, sentite qui» ridacchia quello col mio telefono in mano e io mi allungo verso di lui inutilmente con l'intenzione di riprendere ciò che è mio, ma i due mi trattengono per le braccia. «Ma non  gliel'hai detto? Il tizio non sa nemmeno di essere cornuto in partenza? Capirai la chimica più di noi, però non è che noi uomini  siamo così imbecilli da non accorgerci che hai il pancione. Guardate che faccia da babbo di minchia che ha! Forse si fa incastrare...»

«Stevens, c'è qualche problema?»
Una voce autorevole di  donna fa mollare la presa su di me immediatamente. Appena riesco  a scorgere la mia salvatrice, mi accorgo che è proprio la professoressa Jones di chimica generale. «Williams, Brown, Davis, vi aspetto dal direttore del dipartimento alla fine della giornata.»
Il telefono mi viene prontamente restituito e la stradina lasciata pervia. 
«Stevens, venga con me.»

Mentre camminiamo in silenzio l'una accanto all'altra, sento il cuore rallentare anche se non mi sento ancora completamente a mio agio. Mi volto indietro per vedere se siamo da sole e, quando ho la certezza che nessuno ci possa sentire, ringrazio la professoressa che mi guarda con un sorriso triste. Deve aver passato da poco la cinquantina ed è una delle menti più brillanti della facoltà. Dicono che sia iscritto al MENSA e abbia finito l'università a nemmeno diciannove anni.

«Stevens, deve aver cura di sé nel suo stato. Anche io ho avuto una figlia da sola, non è una tragedia. Siamo nel Terzo Millennio, la maggior parte delle donne è madre single. La sua famiglia ha reagito bene?»

Deglutisco a vuoto cercando di non arrossire. 

«Sì, professoressa. Nonostante lo shock iniziale, ne abbiamo parlato e tutto andrà bene.»

La professoressa si ferma, stringe la cartellina che ha tra le mani e mi guarda per mezzo minuto: «Non mi dica che lo vorrebbe dare in adozione.»

Abbasso la testa. «Io... No. Forse dovrei. Non lo so ancora, in verità.»

La donna annuisce mentre gli  occhi scuri scivolano sulla mia pancia. «Crescere un figlio è difficile. Lei  è giovane, è vero, però non è indigente ed è intelligente. Ci pensi bene prima di pentirsene.»

Non riesco a parlare di quanto mi è successo, del mio stato. Tra me e me, il piccolino nella mia pancia lo chiamo Outlier, prendendo spunto da come viene definito in statistica un dato che non è previsto. E l'unico motivo per cui abbia pensato all'adozione è  perché l'Innominato non voleva diventare padre. Nemmeno padre di un solo bambino, figuriamoci quanto scalpiti per diventare padre anche di mio figlio. Forse la professoressa Jones potrebbe darmi qualche consiglio? 

«Non vorrei farlo adottare, ma non so come la prenderà il padre.»

«Non lo sa?»

«Non vuole diventare padre, lo ha ripetuto tante volte che ho tentato di dirglielo, però non ha mai risposto al telefono... E ho lasciato perdere.»

«Ma lei vuole diventare madre?»
Outlier mi tira un altro calcio, ancor più forte del precedente, e ho conati per il dolore anche se non rimetto nulla. Nonostante il pianto che ho fatto quando ho visto le due sbarrette blu sul test di gravidanza, l'idea di avere un bambino  tutto mio mi ha fatto pensare al futuro con dolcezza. Io e lui potremmo essere una famiglia, la famiglia che non ho più. E chissà? Forse un uomo buono come Alexhey, un amico, potrebbe completare il quadretto familiare.
«A che mese è?»

«Mi scusi: oggi si fa sentire. Sono al quinto mese.»

Mi accarezzo la pancia per far rimanere tranquillo Outlier, ma non sembra funzionare. Non potrò far rimanere segreta la gravidanza a lungo... E se poi l'Innominato trattasse male il mio piccolino o, peggio, lo trattasse come un trastullo come ha fatto con me?

«Mi sembra troppo  magra per essere al quinto mese.»

«La ginecologa dice che ha avuto altre pazienti con nausea fino  all'ultimo ma che, comunque, va tutto bene.»

Non va bene niente!

Vorrei confessarle che mi angoscia il non aver avuto l'opportunità di dire al padre del  bambino la verità, ma non ha mai risposto alle mie chiamate e così ho deciso di cancellare il numero di telefono e bloccarlo su  tutti i social. Anche se la professoressa Jones è gentile, non posso raccontarle che nemmeno mio padre lo sa perché in cinque mesi sembra che non ci sia stata l'occasione di vedersi. Ogni volta, il lavoro o gli appuntamenti con Sylvie lo portavano altrove. Tu sei già grande. Quante volte lo ha ripetuto? Farlo sapere a mio padre, comunque, sarebbe come avvisare l'Innominato.

Apro la bocca e la richiudo.

Cosa mi salta in mente di confidarmi con una sconosciuta, anzi con  una docente? Cosa dovrei dirle poi? Che sono incinta di un uomo più grande che mi ha usato e abbandonato? Oppure che mio padre pensa alla figlia che sta per nascere e mi ha praticamente abbandonata? 

I tre giocatori di football hanno ragione: forse, per un attimo, mi sono immaginata con mio figlio tra le braccia e , se non con un amore, con un amico a cui voler bene. Ma quale uomo si prenderebbe mai una ragazza con un figlio? 

La professoressa Jones mi saluta e io mi siedo su una panchina davanti al dipartimento di scienze per riprendere fiato. Il sudore è ghiacciato  sulla pelle, non riesco a non rabbrividire. 

Prendo il cellulare e metto fine a qualsiasi cosa esista tra me e Alexhey. Io devo crescere un figlio, lui trovarsi una ragazza che lo ami e non solo che gli voglia bene come amico. Non sarebbe giusto nei confronti di nessuno. 

Siamo soli, piccolino. Magari ce la faremo lo stesso. Però saremo soli. Ti va di crescere senza un papà? Io sono cresciuta senza mamma, magari tu riesci senza un padre.

Grazie mille per la tua lettura ❤️‍🔥

Adele fa bene a tenere il bambino e a non darlo in adozione? 

E al riguardo di non dirlo  a Nicholas, cosa ne pensi? 

Secondo te, un uomo innamorato come Alexhey potrebbe accogliere il  figlio di Adele come proprio? 

Fammi sapere il tuo pensiero con un commento e, se il capitolo ti è piaciuto, incoraggiami a scrivere il prossimo con una ⭐️
Alla prossima settimana,
Andelon Curse




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