- La bambina -
"Come hai potuto..."
"Come hai potuto?"
"Perché?! "
Queste domande ronzavano continuamente nella mente di Aurora Flankem mentre dormiva.
Si placarono lievemente dopo che lei voltò la testa a destra, ma tornarono più feroci quando la riportò sul lato sinistro del cuscino.
Aprì gli occhi castani di scatto, con il respiro irregolare e il cuore che le batteva velocemente nel petto.
Un sottile raggio di luna si insinuava nei spiragli della persiana della finestra alla sua sinistra, e illuminava fiocamente la camera da letto.
- D-di nuovo...- balbettò sconvolta fissando lo sguardo sul soffitto, ma senza vederlo veramente.
Quello di cui lei stava parlando, ormai ne era certa, si trattava di un vero e proprio incubo. Un incubo che però non mostrava nulla, se non quella voce...
Appoggiò un braccio sulla fronte, come per calmarsi, e provò a pensare ad altro con lo scopo di riaddormentarsi.
Infatti, se la sua vista funzionava a dovere nonostante fosse buio pesto, l'orologio digitale sul comodino affianco lampeggiava le quattro e mezza.
Fortunatamente era una ragazza con il sonno facile, bastarono cinque minuti affinché si assopì.
Alcune ore più tardi, quando la luce nella stanza divenne intensa, Aurora si alzò serena dal letto: non aveva riavuto quel terribile e indesiderato risveglio da parte del incubo.
Si infilò le morbide pantofole a forma di cane e si avvicinò allo specchio, appeso sopra il comò.
Il suo viso tondo e piccolo, la sua carnagione semi scura e i capelli (in quel momento scompigliati) castani, risposero alla sua espressione normale.
- Aurora, sei sveglia? - gridò una voce femminile dietro la porta chiusa.
Aurora si girò e, camminando a grandi passi per arrivare all'armadio, disse: - Sì mà, tra un poco scendo! -
Il tono severo della madre entrò nelle orecchie di Aurora mentre sceglieva dei vestiti da indossare per andare a scuola.
- Bene, il latte è già caldo. Ti conviene sbrigarti prima che perdi il pullman -
Si preparò in fretta e scese a fare colazione dopo aver riempito lo zaino con tutto il necessario.
La sua famiglia, composta da madre e padre, era riunita al tavolo e alla sua venuta le diedero il consueto "buon giorno". Aurora aveva dei buoni legami con essi, loro le volevano bene e sin da piccola le avevano sempre insegnato che il mondo era pieno di pericoli e che quindi doveva stare attenta quando girava per le strade.
Forse era per questo motivo che lei a volte li reputava un po' troppo protettivi e appiccicosi.
Tese la mano sul vassoio al centro e afferrò qualche biscotto semplice, i suoi preferiti, e lentamente li inzuppò nella sua tazza di latte.
- Di questo passo perderai il pullman! - esclamò la madre squadrandola.
Il padre, che stava sorseggiando il caffè, annuì guardandola anche lui.
Aurora sbuffò, convinta che volessero farla strozzare, e mangiò il biscotto.
Non aveva mai detto loro del incubo perché non voleva farli preoccupare.
Finita la colazione si precipitò alla porta principale ed uscì di casa.
L'aria mattutina della lontana Copenaghen si immerse nei suoi polmoni, facendole provare un brivido freddo su tutto il corpo. Il cielo era azzurro e lo splendido panorama che intravedeva attorno la lasciava costantemente di stucco. La loro abitazione era esattamente fuori dalla città, verso le campagne sovrastate da alcune collinette.
Perdendosi un attimo per rimirare le nuvole bianche, Aurora non sentì le ruote di un mezzo fermarsi sulla strada.
- Signorina -
L'autista del pullman giallo scuro, dal quale tubo emanava del fumo, attirò la sua attenzione sporgendosi dallo sportello automatico. Aurora, presa dall'imbarazzo, non riuscì a chiedere scusa per cui salì e sedette al primo posto libero, lo sguardo puntato sulle scarpe.
Man mano che il pullman avanzava, la città si avvicinava alla sua vista.
Il tragitto che eseguiva comprendeva varie viuzze e strade dalle quali avrebbe caricato altri studenti che, come lei, non avevano il passaggio.
Reggendo lo zaino a terra dalla cinta, Aurora guardava fuori dal finestrino rimuginando sulla prima lezione del giorno che all'Istituto Alberghiero avrebbe ascoltato.
Aveva da poco iniziato il suo secondo anno che già non vedeva l'ora venissero le vacanze di Natale.
Studiava normalmente, senza appesantirsi dai compiti, però desiderava che i professori la smettessero di interrogarla tanto solo perché era la seconda della classe.
Qualche minuto dopo, il rumore del pullman che si svuotava la scosse dai pensieri.
Aurora, spintonata dai ragazzi dietro, cercò di uscire issandosi la cartella in spalla.
Come ogni giornata di scuola, il brusio di alunni chiacchieroni era inevitabile nell'ingresso; e Aurora in tutto quell'ammasso se ne stava in disparte, aspettando il suono della campanella elettrica.
Successivamente si accomodò al terzo banco della prima fila, posseduto ufficialmente da lei e dalla sua migliore amica.
Quest'ultima entrò nell'aula in leggero ritardo rispetto agli altri compagni, e sedette al fianco di Aurora.
- 'Giorno - disse Giada accennandole un sorriso.
Lei era di poco più bassa, i suoi mossi capelli neri le ricadevano sulle robuste spalle e i grandi occhi erano dello stesso colore.
Aurora era cosciente che non erano le uniche femmine della classe, ma delle altre tre non aveva molta confidenza, e non avrebbe mai raccontato loro alcun problema che l'affligeva... Cosa che fece in quell'istante con Giada.
- Hai detto quattro volte in questa settimana? - chiese Giada sbalordita quando Aurora ebbe finito.
- Esatto - rispose lei cupa.
- E...quella voce, dice sempre le stesse frasi? -
- Sì - affermò Aurora, concentrandosi sul incubo della scorsa notte.
- Ma cosa significa? - Giada sembrava pensierosa.
- Non lo so...non riesco a capire - mormorò Aurora a bassa voce, perché scorse la professoressa apparire dalla soglia e dirigersi alla cattedra.
Poi, prima che Giada aggiungesse altro, Aurora cercò di cambiare discorso: - Pronta per Storia? -
- Più o meno... - borbottò l'amica che stava mettendo il pesante libro sopra il tavolo.
Dopo qualche secondo di silenzio il richiamo della professoressa ( - Giada Dermy? -) le fece centralizzare sulla lezione che stava cominciando...
All'intervallo delle dieci quasi tutti uscirono dall'aula per fare merenda, compresa Aurora.
Però aveva l'abitudine di andare a lavarsi le mani, e solo dopo essersi accertata che fossero ben pulite avrebbe affondato i denti in uno dei buoni panini che le preparava la madre.
Quindi, dicendo a Giada che si sarebbero ricongiunte all'ingresso della scuola, percorse il corridoio evitando di urtare la folla di ragazzi che si divideva e restingeva ovunque in vari gruppetti.
Svoltò a destra e continuò marciando verso il bagno delle femmine, che era collocato di fronte a quello dei maschi.
Entrò e accostò la porta. Da come poté dedurre dalle porte spalancate dei gabinetti: la stanza era vuota.
Senza perdere tempo, che come ben sapeva era prezioso visto che gli scarsi dieci minuti di cui erano disposti finivano subito, si accostò al lungo lavandino in marmo e girò il rubinetto al centro.
L'acqua scorreva fresca sulle sue dita, dandole un moto di sollievo, e quando toccava il fondo veniva risucchiata immediatemente dallo scarico.
All'improvviso, proprio sul procinto di toccare la maniglia della porta, Aurora sentì una voce funerea e impetuosa rimbombare sui muri.
Questa, pensò, gli era familiare.
"Perché?!"
"Come hai potuto?..."
Si guardò terrorizzata attorno. Non poteva essere un incubo, era perfettamente sveglia!
Esaminò con gli occhi ogni angolo del bagno, dove la voce continuava a farle domande di cui non conosceva risposta, ne tantomeno sapeva il senso. Nulla, era completamente sola.
Con la vaga idea che qualcuno avesse voluto farle uno scherzo nascondendo un registratore, Aurora si abbassò cautamente per controllare sotto i lavandini.
Si drizzò in un baleno perché, lì, di registratori non vi era alcuna traccia.
"Perché? Perché?"
Rigirandosi; Aurora non riusciva a credere con quale coraggio stesse trattenendo le urla, perché se fosse stata un'altra avrebbe urlato eccome.
Non trovando una soluzione, si precipitò fuori e corse nel corridoio.
Voleva mettere una grande distanza tra lei e la voce, non poteva credere che stesse accadendo veramente. No, ora aveva bisogno di una sola persona...
Arrivò ansimando all'ingresso, arrestandosi un momento vicino agli armadietti per respirare.
- Hey, ti sei schizzata d'acqua la maglietta per caso? Altrimenti perché ci hai messo così tanto ad... - ma Giada si bloccò distinguendo il volto chiaramente sconvolto di Aurora - Che è successo? -
- In bagno...l'ho sentita... - disse Aurora traendo aria nei polmoni tra una parola e l'altra.
Giada impallidì.
- La voce? Sicura? - chiese.
Aurora annuì non molto convinta.
Dalla contrazione facciale di Giada, intuì che stava pensando a quello che fino a poco fa sosteneva lei, che era stato uno scherzo.
Però non indagarono oltre, il suono della campana le accompagnò fino all'aula, per svolgere la lezione successiva.
Le difficili operazioni di matematica, che il professore diede loro da completare in mezz'ora, la distrarono quanto bastava per calmarla.
Alle due di pomeriggio, restò in piedi con la mano serrata su uno dei pali di ferro del pullman, che partì, diretto fuori città.
I suoi genitori erano entrambi tornati dal lavoro e, mentre Aurora saliva le scale per andare in camera, non le dissero alcunchè eccetto un semplice saluto.
Aurora entrò e lasciò cadere la borsa sullo stipite. Aveva dei compiti da fare, ma decise di occuparsene la sera.
Si avvicinò al comodino e prese dal cassetto un libro dalla copertina verde. Era una storia d'avventura, uno dei suoi generi favoriti. Lo aveva letto cinque volte dal giorno in cui lo ebbe comperato e non si era mai stancata.
Con la breve preoccupazione che l'incubo la sarebbe venuta a trovare anche questa volta, si addormentò a mezzanotte.
"Come hai potuto?"
Il buio sprofondò su di Aurora fin sopra le orecchie. Ma a sua grande sorpresa, le domande non furono le uniche cose che le apparvero in sogno.
Un volto pallido galleggiava a mezz'aria; aveva lunghi capelli scuri che le coprivano il viso, per cui Aurora non seppe riconoscerlo.
All'improvviso la testa scattò in avanti urlando :- Perché? -
Aurora si svegliò stravolta. Essere al caldo tra le coperte e scorgere la stanza poco illuminata, la tranquillizarono a tal punto da farle dimenticare l'accaduto.
Ma l'incubo non sembrava pensarla allo stesso modo.
La testa si formò dal nonnulla in un secondo, sospesa a un metro da lei. Non una parola fuoriuscì dalla bocca di Aurora mentre la fissava terrorizzata.
Poi, lentamente, la testa fluttuò indietro, come se stesse prendendo la rincorsa, e schizzò dritta al capo di Aurora, attraversandolo...
Si svegliò ancora. Aurora respirò affannosamente, gli occhi strabuzzati che guardarono dal soffitto alla finestra, le mani che stringevano le lenzuola.
Era l'incubo, pensò trovando la ragione, ma era diverso rispetto a quelli che aveva vissuto...
Alcuni attimi dopo di silenzio, interrotto solamente dal leggero fruscio degli alberi, Aurora si diede un pizzico sulla guancia per verificare se era realmente sveglia.
Il dolore che provò, oltre a farle mormorare un "ahia", le portò la conferma.
Adesso quella che si doveva domandare il perché... era lei.
Perché continuava a sentire quella voce? Perché ogni sera faceva lo stesso incubo? E il pensiero più recente: di chi era quel viso? Che cosa voleva?
Dormire le sembrava ormai un impresa impossibile, perciò rimase immobile nel letto fino all'alba.
La mattina dopo scese a colazione di corsa aiutandosi con la ringhiera della rampa.
La madre si stupì quanto il padre nel vedere come Aurora mandava giù in fretta i biscotti.
- Che hai fatto? - le chiese la madre, le cui mani si bloccarono nell'intento di riempire la tazzina di latte.
- Mi sto sbrigando, come mi avete sempre detto - rispose Aurora volgendole uno sguardo innocente. Era una bugia, Aurora voleva assolutamente andare a scuola per sfogarsi con Giada.
Si avviò sul fronte della casa e attese il pullman, lasciandosi indietro i mormorii felici dei genitori.
- Era così reale... - sussurrò a Giada quando la ebbe raggiunta.
- Hai fatto un incubo in un incubo - disse Giada pensierosa, - Una cosa piuttosto normale! - aggiunse in tono rassicurante.
- E secondo te è normale ascoltare la stessa identica voce ogni singola notte? - chiese Aurora secca.
Giada ci rimuginò un po', - No... - disse poi.
Osservarono i compagni di classe entrare e collocarsi tra i banchi, chi era pronto e allegro e chi era infelice perché abbandonato il comodo letto, in seguito Aurora riprese.
- Non capisco... perché continua a farmi domande? -
Giada fece spallucce e Aurora poté supporre che di tutta quella faccenda ne sapeva quanto lei.
- Silenzio, prego - avvisò severo il professore mentre,
Aurora scorse dalla lavagna, scriveva i vari tipi di pentole e scodelle usate comunemente in cucina.
Suonata la campanella, Aurora andò idugiante in bagno.
Prima di aprire il rubinetto dell'acqua ispezionò attentamente l'area. Poi, sospirando al pensiero di non aver scovato alcunchè di diverso, si lavò le mani.
Infine si asciugò con un fazzoletto che aveva in tasca, e si voltò verso la porta. Tuttavia essa si chiuse non appena lei ebbe fatto un passo.
Aurora, incredula, si avvicinò e tirò la maniglia credendo che qualcuno dall'esterno lo stesse facendo apposta.
- Scusa, puoi lasciare la maniglia? - gridò Aurora in tono pacifico.
- Non fa ridere! - aggiunse quando non ottenne risposta.
Nemmeno un minimo rumore si sentiva dall'altra parte, era come se qualcuno avesse premuto il pulsante "muto" di un telecomando. Ma Aurora, mentre abbassava ripetutamente la maniglia, non si accorse che qualcuno la stava fissando.
- Aurora... -
Aurora trasalì. Mollò la presa tremando e si voltò. C'era una bambina, aveva la pelle di un bianco sporco, indossava un vestito grigio che arrivava sul ginocchio e la studiava intensamente.
Aurora si portò entrambi le mani alla bocca perché aveva notato che il suo viso era uguale a quello dell'incubo.
Tuttavia i capelli erano spostati dietro le orecchie, permettendo ad Aurora di intravederle gli occhi...circondati da due grosse macchie nere.
Trattenne un urlo quando, in quel istante, lei fece tre passi avanti asserendo:- Come hai potuto? -.
- C-come...come sai il m-mio nome? - chiese Aurora a bassa voce, schiacciando la schiena contro la porta allo scopo di starle il più lontano possibile.
La bambina stette zitta aumentando la già instaurata paura di Aurora, che intanto tentava di riaprire ostinatamente la porta.
I suoni tornarono di botto, stordendola visto che si era da poco abituata a quel terribile silenzio, e la bambina sparì.
La serratura scattò e lei non ci pensò due volte ad uscire di lì. Eppure avrebbe giurato che la ragazzina le avesse scoccato una smorfia delusa, prima di svanire...
La felicità che provava nel rivedere gli studenti della scuola in giro per le classi era indescrivibile.
Andò nella sua convinta di non essere impazzita, e si dirise da Giada, che stava buttando nel cestino della spazzatura l'involucro di una pastarella.
- Giada, è riapparsa! - le sussurrò affinché solo lei potesse sentirla.
- La testa? -
- Testa, e tutto il corpo... -
Giada spalancò gli occhi, gettò una veloce occhiata ai compagni, che stavano chiacchierando tra loro, e disse:- Tutto il corpo? -
Aurora fece di "sì" con il capo. - Era una bambina... bianca come il latte -
- Un fantasma! - esclamò Giada, attappandosi subito dopo la bocca sapendo di aver attirato troppo l'attenzione.
- Shh... Non lo so - fece Aurora angosciata.
Il professore di matematica, salutando severamente con un gesto della mano, entrò in aula e si recò dietro la scrivania.
Le due ragazze si sedettero al banco e, nonostante volessero arrivare fino in fondo, rimandarono la discussione a più tardi.
Nella seconda ricreazione, Aurora portò Giada con sé in bagno.
Doveva ammettere, mentre superavano la macchinetta del caffè, che quella era la prima volta che si accompagnavano a vicenda, cosa che tutte le normali migliori amiche farebbero.
Non era da mettere in dubbio il fatto che non lo fossero, però preferivano avere i loro spazi quando si trattava dei bisogni urgenti.
- Dici che ritornerà con la mia presenza? - chiese Giada ansiosa.
- Se io la vedo, riuscirai a vederla anche tu... O almeno credo - rispose Aurora dubbiosa, allungando un braccio per aprire la porta.
- Allora avanti! - terminò Giada in tono sagace, nascondendo una punta di insicurezza che Aurora poté lo stesso avvertire.
Quando furono dentro, Aurora tese al massimo le orecchie. Stare con qualcuno la faceva sentire un po' più tranquilla.
Ispezionarono il bagno con lo sguardo, restando nella prossimità della porta nel caso fosse stato necessario scappare. Ma della bambina fantasma, nemmeno un vapore.
- R-ragazzina? C-ci sei? -
- Giada! - esclamò Aurora contrariata.
Giada la ignorò e avanzò per gli scompartimenti dei gabinetti, guardando cautamente in ognuno di essi come se si aspettasse di scorgerla. Dove prendeva tutto quel coraggio?
Aurora la osservava, stringendosi le mani per il nervosismo, mentre quest'ultima giunse all'ultimo gabinetto...
E se i rumori sparissero? E se con essi sparisse Giada, abbandonando Aurora alla bambina?
- Niente - esordì Giada, girandosi disinteressata.
- N-niente? - ripetè Aurora stupita, sciogliendo le mani e andando a verificare di persona.
Aveva ragione, pensò poggiandosi sulla parete in calce, non c'era.
Come mai? Come mai l'aveva tanto terrorizzata quando aveva bloccato la porta? Per divertimento?
- Stai bene? - chiese Giada a Aurora preoccupata per la sua salute mentale.
- Se sto bene? - ripetè di nuovo Aurora meccanicamente. - S-sì... Ma sono confusa -
Giada le rivolse uno sguardo apprensivo, benché non sembrava assolutamente convinta dell'esistenza di un cosiddetto fantasma.
- Sai, ho un panino che non vede l'ora di finire nel mio stomaco... - soggiunse sorridendo.
Con quella frase Aurora, sospirando, sapeva che Giada si era stufata, e che era tempo di andare in classe.
Fino alla fine delle lezioni non si scambiarono una parola. Aurora era imbronciata perché non aveva pensato che lei, invece di aiutarla, si sarebbe subito arresa.
Si salutarono uscite da scuola, separandosi.
Ma nel viaggio di ritorno, trovato un posto libero nel pullman su cui sedersi, Aurora aveva un pensiero fisso nella mente: la bambina.
Aveva la netta sensazione di conoscerla, di averla già vista, di aver stretto un legame... Altrimenti perché continuava a fare incubi? A udire la sua tremenda voce?
Si sforzò di ricordare gli amici che aveva avuto alle elementari e alle medie...
Picchiò piano la testa contro il vetro freddo del mezzo, rassegnata. Neppure una le assomigliava.
- Com'è andata la verifica di matematica? - disse il padre curioso, che stava davanti le scale, quando la figlia mise piede in casa.
Aurora alzò lo sguardo, ancora un po' scossa dagli avvenimenti che aveva affrontato.
- Una risposta? - rise il padre avvicinandosi e liberandola dal pesante zaino.
- Il prof l'ha rimandata... - rivelò lei, cercando di eliminare i suoi problemi per soffermarsi sul presente. - Ha detto che ci sta dando l'opportunità di ripassare, perché ha notato che alcuni di noi aveva difficoltà. -
Le labbra del padre si curvarono a metà, facendo comprendere ad Aurora che era d'accordo.
Dopodiché, non sapendo cosa dire, si incamminarono per la cucina, inondata da un buon odore di frittata che fece brontolare i loro stomaci affamati.
Di sera andò a letto presto, credendo che magari tutto quello che aveva sentito o visto fosse causato dallo stress.
Ma poi, mentre spense la luce, si ricordò che lei non era mai stata stressata per nulla.
Appoggiando la testa sul cuscino, provò a dare la colpa ai film che aveva guardato.
Ma poi si rese conto che il genere horror non le era mai piaciuto.
Si mise a pancia in sù, fissando il soffitto.
Passarono altri minuti e non riscontrò una spiegazione a quel mistero.
In seguito, nel momento in cui le sue palpebre finalmente si chiusero esauste, un tonfo di scarpe sul pavimento in cemento la fece balzare atterrita.
Guardò a sinistra, strizzando gli occhi per abituarsi al buio, ma era inutile perché il bagliore sfocato di una figura lo fece al suo posto.
- Aurora... -
Aurora si appiccicò allo schienale del letto, gridando a pieni polmoni.
La bambina era affianco a lei, il volto bianco sporco e i capelli lunghi e neri.
- Come hai potuto? - disse in tono tetro, avvicinandosi ancora fino a toccare il materasso.
- C-come...- balbettò Aurora terrorizzata.
Non poteva essere davvero reale, non poteva. Non lo aveva detto ai genitori perché aveva paura che la prendessero per pazza, e lei non lo era...
- Perché?! - continuò la bambina, le sopracciglie corrugate dalla rabbia.
- C-chi sei? Che cosa vuoi da me? - chiese Aurora cercando di proteggersi con le coperte.
Inaspettatamente, la bambina cambiò frase:- Non ti ricordi di me? -
Aurora fece di no con la testa, chiedendosi se quello che stava trascorrendo fosse solo un altro infido incubo.
- Come hai potuto? - ripetè la bambina alzando la voce, evidentemente infastidita dalla sua reazione. - Come hai potuto! -
- F-fare cosa? - disse Aurora con un filo di voce, ora aveva davvero paura.
La bambina fissò gli occhi neri nei suoi, una lacrima cadde sulla sua guancia:- Come hai potuto... dimenticarmi -
Aurora abbassò lo sguardo perplessa. Non sapeva di cosa stava parlando.
- Non ti ricordi di me? - disse ancora la bambina, alzando una mano per indicarsi il petto.
- I-io...-
- Non ti ricordi? -
Aurora scosse nuovamente il capo, sentendo il cuore accelerare il battito.
La bambina avanzò scivolando al suo comodino, dove Aurora teneva i suoi affetti personali.
Stette in silenzio per pochi secondi e Aurora, seguendo il suo sguardo, vide che stava studiando un quadro che ritraeva lei e sua sorella da piccola.
Lo conservava con cura, era l'unica cosa che possedeva della sua sorellina, oltre ai giocattoli che i genitori avevano riposto in una cassetta. Dopotutto i Flankem erano quattro, prima della sua morte...
- Aurora, sono io - fece la bambina nostalgica, girandosi.
Aurora sobbalzò. - V-va... Valentina? -
- Come hai potuto dimenticarmi? -
- S-scusa... Non ti avevo riconosciuta così, s-sei.. - si giustificò Aurora, incapace di credere che quello era il fantasma di sua sorella.
- Bianca? - suggerì Valentina.
Aurora annuì, percependo il tremolio che dalle mani si propagava su tutto il corpo.
- Come hai potuto dimenticarmi! - tuonò la bambina, cambiando in un istante l'umore.
- Io non ti ho dimenticato... -
- Avevamo fatto una promessa, quando stavo per morire... Ricordi vero? - chiese gentilmente Valentina, abbozando un sorriso.
A quelle parole, Aurora fece un salto nel passato.
Era nella sua cameretta, occupata dai genitori, dalla sorella e dal medico che, dopo un ultima visita, comunicò rammaricato i risultati.
Quello era stato l'ultimo giorno per Valentina, la malattia era incurabile.
Aurora pianse sapendo che non avrebbe potuto più passare il resto della sua vita con la sua dolce sorellina, che l'avrebbe lasciata sola.
Ma la sorellina, minore di età, aveva stipulato con lei una promessa... Una promessa che avrebbe dovuto mentanere. Consisteva in una semplice parola: "Ricordami".
Il dolore che provava, si affievolì sapendo che avrebbe sempre avuto una parte della sorella nel cuore...
Tuttavia, crescendo, Aurora superò il lutto e tentò di andare avanti...
- La promessa - fece la bambina, riportandola alla realtà.
- S-sì...non ho mai dimenticat - riprese Aurora, però venne interrotta:- Non sei più venuta a trovarmi -
Aurora sapeva che si stava riferendo al cimitero.
-No... Non è vero - disse Aurora, nonostante fosse consapevole di aver smesso di portarle i fiori da ben tre anni.
- Mi hai dimenticato... - Valentina confermò rude, camminando velocemente verso l'altro lato del letto. - Tranquilla, non lo farai più! -
Furono le sue parole finali, quello che accade dopo Aurora non lo seppe perché si addormentò a comando.
La mattina successiva, si svegliò tramite il solito suono della sveglia, che spense sbuffando.
Si guardò attorno, del fantasma non c'era scia.
Un altro incubo, pensò alzandosi e attraversando la stanza.
Afferrò il pettine, posato sulla scrivania, e si accostò allo specchio con l'idea di raccontare tutto a Giada non appena sarebbe arrivata a scuola.
Tuttavia ciò che distinse nel suo riflesso la fece urlare.
- Mi hai dimenticato! - mormorò tristemente il viso di Valentina.
|Fine|
Angolo Autrice:
Ecco a voi il quarto capitolo della mia raccolta di storie Horror!
Scusate davvero per il ritardo, questa settimana mi sono concentrata solamente su questo libro per appunto finire "La bambina"😅.
Sono meravigliata per come è venuto fuori, sia grammaticalmente che descrittivamente, e spero lo pensiate anche voi.😉
Un piccolo appunto: avevo in mente un altro finale per questa storia, un po' meno macabra, ma che ho deciso di non scrivere proprio perché eliminerebbe la parte Horror.
Tuttavia, voglio comunque dirvela: Valentina, ovvero la sorella defunta di Aurora, dopo aver accettato le scuse di quest'ultima (pressoché sincere) sparisce del tutto... Senza straziare quindi Aurora, che cerca di andare avanti nella sua vita.
Bene. Il quinto capitolo, ne sono certa, inizierò a scriverlo da domani e so già il titolo da conferirgli: - L'appuntamento -.
~C.W. ~
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