Honey Blood

Another day, another tear

Os
Parole: 2000
SatoSugu

I RAGAZZI IN QUESTA STORIA SONO TUTTI MAGGIORENNI!!

[🍂🪷🥀]

«Da quanto non dormi, Satoru?»

Le dita lisce di MeiMei gli scorrono sulla pelle. La sua guancia perfetta, è fredda. Ha anche le dita fredde, gelide, con le punte che sembrano gocce di ghiaccio, ma non gli importa.

Vuole solo stare in pace, fare in modo che il borbottio che ha nella testa, cessi. Non ricorda neanche più a che ora ha avuto inizio. Cosa ha mangiato a cena, o se ha fatto colazione. Ricorda solo le dita di MeiMei, la sua carne bollente premuta contro il proprio fianco, i suoi capezzoli turgidi che gli graffiano il petto. 

MeiMei è calda. MeiMei ha due braccia morbide, ha le labbra soffici, la voce dolce. A Gojo piace quando lei gli sfiora il ventre in questo modo, gli piace sentirla canticchiare mentre cucina, o ridere con quel ghigno beffardo quando capita qualcosa che la diverte. E lui sa, in cuor suo, che potrebbe innamorarsi di una donna così. Una che lo aspetta a casa, che gli sorride e sa fare l’amore con lui, sa accarezzargli i capelli quando piange. Sa che dovrebbe innamorarsi di una come MeiMei. Di una donna che sarebbe in grado di amarlo, che vorrebbe il suo bene prima di tutto, che non lo farebbe piangere a singhiozzi, disperato, con un dolore dentro al petto simile a spine e chiodi su per la gola, che possa prendersi cura anche della sua parte fragile. Qualcuno che lo chiami Satoru senza quel tono mellifluo, senza quella nota canarina, che continua a ricercare in ogni parola. Forse è fatto male lui, forse sta solo giocando al gatto e al topo, forse.

Il fatto è che lui non riesce a vedere il nocciolo della questione, o meglio, ci riesce eccome, ma non vuole. Vederlo, significherebbe accettare che qualcosa non va. Significherebbe piangere ancora, disperarsi come un matto, perché non può averlo.

Perché Satoru sa di averlo perso. 

Sa di aver lasciato che il mondo si facesse beffe di ciò che ama, della sola cosa che ha preteso di avere. L’unica cosa che vorrebbe, l’unica cosa che ha, scioccamente, creduto di poter avere. Ma non può. Non può perché lui è Satoru Gojo e Satoru Gojo non si può permettere debolezze. Ha già visto i risultati dei lussi che si è concesso, ha già sperimentato la felicità e il prezzo che ha dovuto pagare è stato troppo alto. Non c’è modo che il mondo dimentichi chi è, quanto è forte o come può essere sconfitto. Se glielo permette, saranno proprio quelli che ama, ad ucciderlo. Perché se c’è una cosa che ha imparato in tutti questi anni, è che tutti fanno schifo.

Tutti, se necessario, diventano cattivi, subdoli, bugiardi. 

E Satoru è stanco, è davvero stanco morto di essere ferito. Di essere attaccato da ogni parte, di non poter lasciare scoperta neanche una puntina di pelle, perché appena riescono, le iene se lo mangiano. Sbranano la sua carne, si cibano dei suoi occhi, si abbeverano al suo sangue. Si sente un cazzo di dio, ma non per il potere, no, non è neanche per la superiorità, per la gloria, per la notorietà. No, si sente Dio perché non può sbagliare, perché lo attaccheranno, perché lo prenderanno a sassate, perché gli appoggeranno una croce sulle spalle e gliela faranno trascinare sino al monte più alto, se solo prova a mostrarsi umano. Non solo pecca di debolezza, ma ogni volta, ci ricade.

Ogni volta le spine vanno più a fondo, ogni volta la vita gli sembra una corda arroventata contro la sua gola.

E gli fa male il cuore. Gli fa male la testa perché le iene non finiscono mai di strillare. Gli fa male la mascella perché ha troppe parole in bocca, ma le deve sostenere, deve stare zitto e sopportarne il peso. Dirle non è possibile. Specie a MeiMei. Lei non ha mai supportato le persone che ragionano di pancia, che fanno dei sentimenti, il motore per andare avanti.

Bisogna essere pragmatici, Satoru, gli direbbe con quel suo tono da maestrina, bisogna guardare al futuro col cervello. E Satoru non vorrebbe proprio. Preferirebbe spararsi qualsiasi cosa nelle vene pur di non cedere ad un bisogno sciocco quanto il sonno, ma l'ultima volta che lo ha fatto, una persona è morta. Ha così tante responsabilità sulle spalle, che ormai, quelle sono diventate come due colline sporgenti. Piegate, tristi, ingobbite.

Non c’è luce che gli faccia brillare gli occhi. Soffre in silenzio, come ha sempre fatto, perché dirlo ad alta voce, non gli si addice. Nessuno crederebbe mai che lui, proprio Satoru Gojo, soffra. Per quale motivo dovrebbe? Ha tutto. Tutto, tutto ciò che uno può desiderare. È bello, è potente, è alto, ha gli occhi chiarissimi e un potenziale così alto da superare le celebrità più in voga. Però, ha l’animo vuoto. Ferito a sangue da una mancanza che nessuno - uomo o donna che sia - riuscirà mai a colmare. 

Ma come può lamentarsi? Come può cercare di dire qualcosa, se la gente cerca da lui solo sorrisi?

E allora fa quello che vogliono. Allora sorride e agita le mani quando la situazione lo richiede, e insegna a quei ragazzi, guarda Megumi da fuori, non si permette di scrutare nella sua anima, non si permette di chiedergli perché le sue occhiaie sono così profonde e violacee in questi giorni, né chiede ad Itadori perché negli ultimi mesi ha sempre le nocche ferite. Non si guarda più allo specchio, perché vedrebbe solo macerie. Frammenti di quello che è stato un tempo. 

Un uomo. 
Un uomo che amava.

Un uomo che sorrideva e cercava nel futuro le cose che il presente gli strappava via. Era forse sbagliato desiderare di poterla avere una vita normale, una famiglia normale, una casa sua? 

Ma a chi vuole mentire? Lui sa benissimo che tutto ciò che vuole ha un nome e un cognome. Ha gli occhi neri e la bocca rossa, più rossa e lucida delle ciliegie che si mangia a Maggio, ed ha ciuffi dello stesso colore dell'inchiostro, e gli ballano la salsa sulle spalle, sembrano cadere sulla sua fronte come piccoli steli di fiori. Satoru sa che quello che desidera, non ha nulla a che fare col sesso. Se lo è ripetuto, talmente tante volte, che se fosse solo sesso, il cuore non gli farebbe così male, che se fosse solo carne, e calore, e piacere, allora, allora riuscirebbe a digerire l’odio che sente nella pancia. L’odio che durante la notte gli impedisce di chiudere occhio. L’odio che gli fa girare la testa e venire la nausea nei momenti migliori della giornata. O peggiori, dipende da come guarda alle cose.

Non c’è più nulla che lo tenga legato a quella vita. Cerca di andare avanti, ma cosa gli è rimasto se non i ricordi? Le notti con lui, il suo profumo sulle lenzuola che non riesce a lavare, le foto che tiene sul comodino e delle quali, è così geloso che quando esce chiude la camera a chiave e se la porta appresso. Gli rimane il ricordo del modo in cui le labbra di lui si tendevano verso gli angoli quando faceva una battuta, e l’inclinazione della testa quando scrutava qualcosa che reputava interessante, quando scrutava lui. E il suo cuore moriva sul posto, per rinascere in un posto nuovo. Con una gioia diversa, contando un battito in più, uno più energico, uno più forte. Non sono mica innamorato, si diceva, ma ora, ora steso nel letto di qualcun altro, con lui chissà dove, chissà con chi, la fitta che gli attraversa il petto gli fa credere il contrario.

Ma poi MeiMei lo richiama. La sua mano passa ancora sul suo avambraccio e lo accarezza, come farebbe con il suo bambino. Le sue iridi color mare sono ancora lì. Gojo si volta appena, sorride in modo meccanico. Le pagliuzze negli occhi di lei sembrano pennellate turchine.

«Due giorni, tre, al massimo.»

«Satoru.» lo chiama MeiMei, quello - lo sa bene Gojo - è il tono che non ammette repliche. Così sospira, guarda verso la finestra, scruta la notte in lontananza, come se essa fosse una vecchia amica a cui chiedere aiuto.

«Una settimana. Ma ho dormito ogni tanto. Qualche ora.»

Non la vuole guardare, ora. Sa già che espressione ha sul volto, sa già come le sue sopracciglia sembrino creare parentesi tonde e come il suo labbro sporga in prossimità del mento, imitando un broncio. Lo sa che lei è preoccupata, lo sa che ci tiene, - nonostante i suoi modi discutibili - lo sa che vuole solo aiutarlo. Ma lui non le vuole leggere in faccia la pietà, non vuole vedere i suoi occhi intristirsi e la sua bocca farsi più severa. Non vuole rinunciare all'apparente silenzio che regna nella stanza. Tuttavia è MeiMei che spezza quel momento di stallo.

«Satoru…» inizia, e Gojo lo sa già quale saranno le sue successive parole. Però, non ha le forze per affrontarla, la lascia proseguire, incurante. «Non ti fa bene questo, lo sai bene. Io cerco di aiutarti, ma… questo tuo comportamento, quello a cui pensi sempre… lui… lui è sempre nella tua testa e stai impazzendo, stai letteralmente andando fuori di testa e-»

Lei continua, ma Gojo ha smesso di ascoltarla da un po' ormai. Il suo sguardo è totalmente concentrato sul puntino che macchia il soffitto, quello che sembra una stella dalle punte storte. Non vuole stare a sentire ciò che MeiMei decreterà su lui. Non vuole ammetterlo, non vuole darle ascolto.

Così la lascia parlare, annuisce, la rassicura ed è solo quando la donna si addormenta, con il viso rigato dalle lacrime, che lui si alza.

Cammina con i piedi scalzi sul pavimento gelido, ignora l'aria gelida di Dicembre e scivola sul terrazzo. 

Lì, nel firmamento, la luna brilla come una torcia accesa al buio. Sembra quasi un diamante, uno di quei bei gioielli che MeiMei vuole sempre. E poi, ci sono le stelle. Tutte sole, tutte perse, e Gojo un po' le capisce. Gli sembra di poterle sentire urlare, mentre con una mano si accende la sigaretta e la stringe tra le labbra. Odia farlo, odia il fumo, ma odia anche sé stesso. Ma può accettarlo finché avviene solo di notte, quando a giudicarlo c’è solo il cielo, le stelle, la luna e sé stesso. Serra le labbra attorno al filtrino e tira una lunga boccata. Il sapore dolciastro della nicotina gli resta sulla lingua come zucchero bruciato. Lo ignora e prende la sigaretta tra indice e medio. 

Aggrappato alla ringhiera, guarda giù. Gli avambracci sono l’unica barriera che lo sostiene, poi c’è il balcone, e il vuoto. Sono così in alto che una caduta da quella altezza a qualcuno di normale, causerebbe una morte istantanea, ma Gojo è sicuro - sicurissimo - che se fosse lui a cadere, non si farebbe più di un graffio. Anche senza poteri.

Qualcosa lo vuole vivo. Non sa perché, non sa come, ma qualcosa lo tiene vivo.

E mentre tira un'altra boccata dal filtrino, inalando un po' di veleno aereo, chiude gli occhi e dà ascolto al suo cuore singhiozzante. Lui sa perché vive ancora, lui sa cosa sta aspettando. E lo prega, lo prega con tutta l’anima - sempre ammesso che anche un organo possa avere l’anima - di ammettere qual è il demone che gli tormenta la testa. Strilla, strilla così forte che Satoru non può fare a meno di ascoltarlo. 

E lo ammette. Lo fa contento.

Sono innamorato, dice.
Ho il crepacuore, dice.
Mi manchi da morire, Suguru, dice.

Ti amo, ammette.

[🍂🪷🥀]

Angolino autrice:

Non si nota che stravedo per Gojo, vero?  Perdonate l'angst, ma nei miei racconti, straborda sempre.

Lilla

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