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"Buongiorno, signorina. Cosa gradisce per colazione?" mi salutò Dolores destreggiandosi in cucina con piatti e padelle.
"Va bene qualunque cosa." Risposi con la voce impastata a causa della stanchezza.
Mi fermai davanti al tavolo osservando con ammirazione la velocità e la professionalità di Dolores. Prese un paio di uova dal frigorifero e le ruppe su una padella nera. Lo sfrigolio del cibo che si stava cuocendo e il profumo che aleggiava nell'aria mi ricordarono che quella mattina non avrei fatto colazione con degli avanzi presi dai cassonetti dietro i ristoranti.
"Le preparo uova strapazzate e pane tostato." La mano di Dolores si allungò verso uno scaffale dal quale prese un tostapane.
"Grazie." Mormorai sedendomi su uno sgabello di fronte al tavolo.
"Ryan è già andato al lavoro, ma le ha lasciato quelle." Spiegò indicando l'ingresso della cucina.
In un angolo erano accatastate buste di vario genere: piccole, grandi, colorate, in carta, in plastica.
"Che cosa sono?" chiesi avvicinandomi.
"Contengono tutto ciò di cui ha bisogno."
Mi chinai e, incuriosita, aprii una busta di plastica rossa. Al suo interno erano disposti in modo accurato prodotti di ogni tipo: dallo spazzolino al bagnoschiuma, dalle creme ai trucchi.
"Ma è davvero gay?" bisbigliai rovistando in un'altra busta.
Sembrava che Ryan Woods avesse svaligiato un centro commerciale. In quei sacchetti era racchiuso tutto il mondo di una donna.
"No, non lo è." La voce di Dolores alle mie spalle mi fece sobbalzare, ma cercai di sembrare indifferente.
"Come fa a saperlo? Guardi! O è gay o lavora nel campo della moda."
"Ryan non è gay, glielo posso assicurare. L'ho aiutato io a scegliere queste cose per lei."
"Oh mio Dio. È sua..."
"Certo che no. Lui è come un figlio per me." Chiarì Dolores con gli occhi spalancati. "È solo che non ama avere una ragazza fissa."
"Quindi sarebbe uno di quegli idioti che vanno in giro per locali per conquistare una ragazza diversa ogni sera?" La mia voce si alzò di un'ottava, risultando fastidiosa e piena di ironia.
"Lui è un bravo ragazzo."
"Certo, dicono tutti così finché..."
Il rumore di una chiave che apriva la porta d'ingresso mi interruppe.
"La colazione è pronta." Disse Dolores tornando ai fornelli.
Subito dopo, sulla soglia della cucina comparve Ryan. Camicia bianca slacciata sul collo, giacca e pantaloni neri e una ventiquattrore di pelle marrone nella mano destra. I capelli erano pettinati ordinatamente all'indietro e l'espressione del suo viso diventò serena e dolce appena mi vide in piedi di fianco alle cose che mi aveva comprato.
"Buongiorno." Mi sorrise mostrando la sua perfetta dentatura.
"Cos'è questa roba?" chiesi irritata indicando le buste per terra.
Il suo sguardo diventò subito serio e perplesso al tempo stesso. "Ho detto che mi sarei occupato io di tutto."
"Hai detto che ti saresti occupato del vestito e delle scarpe per la festa dei tuoi genitori."
"Pensavi che ti avrei permesso di girare in casa mia con indosso quei jeans rotti e scoloriti e una maglia bucata?" la sua voce calma e tagliente.
"Non voglio la tua carità." Sospirai sedendomi sullo sgabello. "Tra tutte le donne che avresti potuto avere a quella stupida festa, hai scelto me. Perché me? Ti hanno pagato? È una scommessa?"
"Perché sei così diffidente? Una persona cerca di aiutarti e tu l'aggredisci appena torna a casa."
"Perché dove vivo io è l'unico modo per sopravvivere." Sbottai prendendo il piatto di uova strapazzate e pane tostato che mi stava passando Dolores.
"Ci puoi lasciare un momento da soli?" chiese gentilmente Ryan rivolto alla governante.
Senza battere ciglio, Dolores si girò e si avviò verso le camere. "Non devi lavorare?" domandai fissando il pavimento.
"Sono venuto a casa perché volevo vedere come stavi."
"Sei piuttosto premuroso con una ragazza che conosci da meno di un giorno." L'ironia e l'arroganza nella mia voce fecero innervosire Ryan. Serrò le labbra che diventarono una linea sottile e i muscoli del collo si tesero.
"Ho scelto te perché i miei non potranno mai rintracciarti..."
"Perché non ho niente. Non sono nessuno." Terminai la frase al posto suo. "Mi fa piacere sapere che mi hai detto la verità."
"Ascolta, Ashley..."
"No, ascolta tu! Cosa farai quando i tuoi genitori scopriranno che li hai presi in giro? Quando sapranno chi sono cosa dirai?" sbottai spostando il piatto. All'improvviso avevo perso l'appetito.
"Hai davvero un'opinione così bassa di te stessa?" Ryan andò dall'altra parte del tavolo.
"Sono realista! Ma guardaci. Ci conosciamo da poche ore e già litighiamo. Come pensi di far credere alle altre persone che siamo una coppia se discutiamo continuamente?"
Nella stanza calò un silenzio profondo. Gli occhi di Ryan erano fissi sul tavolo e il suo corpo immobile, come pietrificato.
"Ricominciamo da capo." Mormorò dopo pochi minuti.
Lo fissai con sguardo perplesso, mentre nei suoi occhi vedevo solo una cosa: speranza.
"Ricominciamo dall'inizio. Conosciamoci meglio, cerchiamo di andare d'accordo."
Analizzai ogni sua parola, cercando di capire se quello che aveva detto era la verità. Non sapevo chi avevo davanti; l'uomo che mi ospitava in casa sua era un perfetto estraneo, eppure qualcosa dentro di me mi spingeva a fidarmi di lui.
"Va bene." Annuii con indifferenza.
Sul viso di Ryan si materializzò un sorriso sincero e compiaciuto, che scomparve appena parlai. "Allora..." canzonai. "Sei gay?"
"No, cosa te lo fa pensare?" disse con voce controllata.
"Il fatto che tu debba dimostrare ai tuoi che non lo sei. Ah, e quelle." Indicai le buste sul pavimento.
"Ashley, ti ho comprato il necessario per vivere qui." Sospirò impazientemente. "Mi ha aiutato Dolores. Io non capisco nulla di cose da donna."
"Come mai i tuoi pensano che tu sia gay?" chiesi senza distogliere lo sguardo dal suo. I suoi occhi grigi mi attiravano come la luce con le falene. Glielo avevo già chiesto, ma volevo saperne di più.
"Perché mi fai tutte queste domande?" Il sospetto nel suo tono di voce mi fece sorridere. Evidentemente, non ero l'unica a diffidare di qualcuno.
"Hai detto che dobbiamo conoscerci meglio."
Ryan si mosse verso il corridoio che conduceva alle camere. Il suo passo era lento ma deciso, la sua postura rilassata e rassicurante.
"Vieni." Mi fece cenno con la testa.
Camminando lungo il corridoio, notai porte e stanze che non avevo visto la sera prima. Superammo un bagno e un'altra camera da letto prima di fermarci davanti ad un porta chiusa. Ryan l'aprì e mi fece entrare per prima. Appena varcai la soglia della stanza capii di trovarmi in un posto diverso dal solito. Era enorme, con le pareti occupate da alti scaffali pieni di ogni genere di libri e una grande finestra che lasciava passare tutta la luce del sole. Due poltrone in pelle nera e un ampio tavolo da biliardo occupavano il centro della stanza, mentre sopra la porta si trovava un grande televisore a schermo piatto.
"Possiamo parlare qui." Disse chiudendo la porta dietro di sé.
Il mio sguardo vagava su ogni cosa: il pregiato tappeto che ricopriva il pavimento, il tavolino di legno scuro tra le due poltrone, le tende bianche della finestra.
"Perché proprio qui?" chiesi con sospetto.
"Dolores deve pulire la cucina e qui non ci disturberà nessuno." Mi indicò la poltrona sulla sinistra invitandomi a sedermi.
"Ti piace questa stanza, vero?" domandai notando il suo sguardo tranquillo e sereno.
"Sì, vengo qui ogni volta che ho bisogno di rilassarmi." Si sedette di fronte a me senza staccarmi gli occhi di dosso. "Ashley, perché vivevi per strada?"
"Ci vivo ancora." Risposi freddamente.
"No, sei qui adesso."
"Ma è una situazione temporanea. E comunque non voglio parlare del mio passato."
Ryan non disse niente, si limitò a guardarmi con un'espressione affranta. "Non ho mai avuto una relazione, non fa per me. Sono sempre stato con ragazze diverse e i miei genitori non ne hanno mai conosciuta una. Per questo motivo credono che sia gay."
Rimasi in silenzio cercando di immaginare un uomo con una donna diversa ogni sera.
"Perché non vuoi avere una relazione stabile?" chiesi con innocente curiosità.
Lo sguardo di Ryan vagò fino alla finestra, dove si fermò ad osservare la città. "Non fa per me. Lavoro tutto il giorno e non ho tempo per una relazione."
"Che lavoro fai?"
"Sono un architetto."
Fischiai per la sorpresa facendolo sorridere. Le sue labbra rosa attirarono la mia attenzione quando se le inumidì con la lingua e il mio sguardo rimase fisso su quelle due linee perfette.
"Quanti libri ci sono qui dentro?" Cambiai argomento per evitare di distrarmi e abbassare troppo la guardia.
La mia qualità migliore era quella di riuscire a gestire le emozioni; qualsiasi cosa accadesse io rimanevo sempre vigile e con i piedi per terra. Tranne quel giorno, quando mi sono trovata davanti al mio incubo peggiore. La sua forza mi aveva sconvolta e la mia impotenza terrorizzata. Avevo fatto di tutto per fuggire, ma quando si affronta la propria peggior paura non sempre si vince.
"Circa duecento."
"E li hai letti tutti?"
Annuì alzandosi e dirigendosi verso il tavolo da biliardo. Prese una stecca e posizionò le biglie al centro di quella piccola distesa verde.
"Sei scappata di casa?" mi chiese all'improvviso.
Lo fulminai con lo sguardo, usando tutte le mie energie per evitare di lanciargli addosso i libri che c'erano sullo scaffale di fianco a me.
"So che non ne vuoi parlare. Rispondi solo sì o no."
Stranamente, la sua voce bassa e calma mi rassicurò infondendomi il coraggio di cui avevo bisogno per parlare della parte della mia vita che odiavo di più. Il passato.
"No, non sono scappata." Risposi evitando il suo sguardo.
"La tua famiglia ti sta cercando?" Con un colpo sicuro e veloce, Ryan mandò in buca la maggior parte delle palle presenti sul tavolo.
"No."
Ryan si voltò e mi guardò con sofferenza. Sapevo benissimo cosa stava pensando: gli facevo pena. Mi vedeva come una ragazza debole e indifesa abbandonata da tutti, incapace di badare a se stessa e solamente in grado di rubare.
"Allora, che ne dici di quel film?"
"Quale film?"
"Quello che non hai voluto vedere ieri." Si avvicinò alla mia poltrona e si sedette sul bracciolo. Era pericolosamente vicino.
"Ok." Mi affrettai a rispondere. "Basta che non sia un film d'amore o natalizio."
Ryan mi guardò sorpreso mentre mi alzavo per mettere distanza fra me e lui. Averlo così vicino mi spaventava, come mi capitava quasi sempre con tutti. Le uniche volte in cui ero in grado di controllare questa mia paura era quando dovevo rubare. Niente poteva frapporsi tra me e la mia possibilità di sopravvivere un altro giorno.
"Credo proprio che andremo d'accordo." Disse divertito alzandosi per andare a prendere il telecomando del televisore.
Fu in quel momento che lo sentii. Quel brivido prima del panico, della paura. Quella sensazione di impotenza capace di far perdere la ragione. Ero tra il tavolo da biliardo e uno scaffale e Ryan doveva passare proprio dove ero io. Nel momento in cui mise una mano sulla mia spalla per farmi spostare, io scattai. Veloce come un felino, ma doloroso come un pugno in pieno stomaco. Arretrai per sottrarmi a quel tocco, ma sbattei la schiena contro lo scaffale e un libro cadde sul piede di Ryan.
"Ashley, stai bene?" mi chiese con un'espressione piena di dolore e preoccupazione al tempo stesso.
Fece un passo nella mia direzione, ma io lo bloccai con le mani a mezz'aria.
"Non ti avvicinare! Ti prego, non toccarmi." Dissi con il viso contorto da una smorfia di dolore. Le fitte si irradiavano lungo tutta la schiena.
"Ashley, cosa..."
"Non toccarmi!" Sentivo che non riuscivo a respirare e nemmeno a muovermi.
"Ok." Ryan alzò le mani in segno di resa. "Guardami, va tutto bene. Non ti toccherò."
"Giuralo."
"Lo giuro, Ashley. Lo giuro." Ripeté con gli occhi fissi sui miei. Il suo sguardo era così sincero che mi sentivo stupida e patetica per aver avuto una reazione del genere. Ryan sembrava una brava persona e non meritava assolutamente di avere una finta fidanzata psicopatica.
Lentamente, tutto tornò alla normalità. Il mio respiro, il mio cuore. Io e Ryan non ci eravamo mossi, ancora uno di fronte all'altra senza smettere di guardarci.
"Ti sei fatta male?" mi chiese con dolcezza.
"Passerà." Risposi ascoltando il battito del mio cuore che rallentava sempre di più. "Mi dispiace, non volevo spaventarti."
Ryan si chinò leggermente scrutandomi il viso. "Credi davvero di avermi spaventato? Ashley, io sono preoccupato, non..."
"Non devi preoccuparti. È tutto a posto." Mentii lasciando cadere lo sguardo sulla sua camicia, attraverso la quale riuscivo a vedere il profilo del suo addome.
"Beh, non sembra." Disse serio fissandomi negli occhi. Il suo sguardo non lasciava trapelare alcuna emozione; era inespressivo e vuoto.
"Invece, ho detto che sto bene." Mi lasciai cadere sulla poltrona. Mi sentivo debole, le ginocchia mi tremavano ancora.
Ryan si appoggiò al tavolo da biliardo e strinse i bordi con le mani, talmente forte da farsi sbiancare le nocche.
"Perché ti ostini così tanto a negare l'evidenza? Guardati! Stai tremando, hai le pupille dilatate e sei pallida. Tu non stai bene!" alzò la voce e, per un momento, la sua rabbia mi ammutolì.
"Ryan, lasciami in pace." Sussurrai. "Non voglio parlarne."
Per la prima volta ammisi, seppur indirettamente, che dentro di me qualcosa non andava.
Il suo sguardo si ammorbidì, ma non parlò. Restò fermo immobile a fissarmi.
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