2

"Ehi, principessa! È strano vederti qui!"

Ignorai la voce di Spike e presi un vassoio dal tavolo all'entrata della mensa. Odiavo andare in quel posto; mi sentivo sempre osservata e giudicata, in più era il luogo preferito di Spike e i suoi amici. Mi avvicinai a un bancone, dietro al quale si trovava una donna grassa dai capelli rossi e ricci. Portava una rete bianca in testa e un grembiule nero intorno alla vita che evidenziava il suo fisico poco atletico.

"Ciao, cara." Mi salutò con un tono di voce pieno di compassione. "Oggi abbiamo brodo di pollo e patate al forno."

Annuii leggermente e la donna mi passò due piatti che posai sul vassoio, poi andai a sedermi ad un tavolo in un angolo della grande sala che ogni giorno ospitava poveri e senzatetto.

"In giro dicono che hai fatto un colpo grosso." Spike prese posto di fronte a me.

Al suo fianco, in piedi con le braccia incrociate sul petto e l'aria da duro, si trovava il suo fedele scagnozzo Ronny. Un ragazzino di circa sedici anni arrivato in strada in maniera misteriosa: un giorno comparve al fianco di Spike e non se ne andò più. Era alto, pelato e con gli occhi talmente scuri da sembrare neri. Il suo viso aveva sempre la stessa espressione prepotente animata soltanto da un ghigno beffardo. Come Spike, era una persona dalla quale era meglio stare lontani.

"Allora? È vero?" insistette Spike.

Ignorai le sue domande e la sua curiosità e cominciai a bere il mio brodo di pollo. Il cibo della mensa dei poveri non era mai il massimo; spesso pensavo che fosse meglio mangiare un panino trovato nella spazzatura, ma mi dovevo sempre accontentare. Non avevo una casa, ma di sicuro il buonsenso non mi mancava.

"Ti ha fatto una domanda." Grugnì Ronny avvicinandosi di più al tavolo.

Alzai lo sguardo dal mio piatto e fissai Spike con aria di sfida. "Se fosse vero non sarei qui."

Nessuno dei due uomini che avevo di fronte rispose. Si limitarono a scambiarsi un'occhiata sospettosa, poi si alzarono e se ne andarono dalla mensa.
Tirai un profondo sospiro di sollievo appena si allontanarono da me. La presenza di Spike e dei suoi amici mi metteva sempre a disagio. Credevano di essere i padroni di Los Angeles solamente perché vivevano in strada da molto più tempo rispetto alla maggior parte degli altri senzatetto della città. Stavo addentando una patata al forno quando sentii una voce familiare: bassa, profonda e che trasmetteva sicurezza. Ryan Woods si avvicinò alla donna che mi aveva servito il pranzo, scrutando la mensa con sguardo curioso.

"Salve, sto cercando una ragazza. Ha i capelli biondi, è magra e alta un metro e settanta circa."

Appena udii la mia descrizione appoggiai la forchetta sul vassoio e, silenziosamente, mi alzai avviandomi verso l'uscita. Nella mia mente si affollarono decine di domande riguardanti quell'uomo. Non sapevo chi fosse, cosa facesse e, soprattutto, perché mi stesse cercando.

"È seduta laggiù." Disse la donna. "Era lì, ne sono sicura." Esclamò titubante.

Raggiunsi la porta con passo calmo e deciso e, appena uscii dalla mensa, un'aria fredda mi investì facendomi venire la pelle d'oca. Si era alzato il vento e delle nuvole scure minacciavano la città. Dovevo trovare un posto per nascondermi da Ryan Woods. Scesi la scalinata del palazzo e notai un cespuglio ai piedi di un imponente albero. Mi nascosi tra le fitte foglie verdi e aspettai. Ero sicura che quell'uomo mi avesse visto uscire dalla mensa e mi aspettavo di vederlo correre in strada da un momento all'altro.
I miei sospetti vennero confermati appena lo vidi ai piedi della scalinata che guardava la strada e il marciapiede. I suoi occhi seri mi fece rabbrividire e percepivo la tensione che emanava il suo corpo. Prima che potessi farmi altre domande, Ryan Woods imprecò e salì su una macchina bianca parcheggiata lungo la strada. Avviò il motore, il cui rombo mi fece sobbalzare, e si dileguò nel traffico della città. Nel momento in cui lo vidi allontanarsi, ricominciai a respirare. Non mi ero neanche resa conto di aver trattenuto il respiro per così tanto tempo. Ero nervosa all'idea che uno sconosciuto potesse cercarmi con così tanta insistenza. In realtà Ryan Woods non era proprio un estraneo; era una mia vittima. Una persona che avevo scelto a caso in una notte tranquilla e deserta.
Meccanicamente, uscii dal mio nascondiglio e cominciai a camminare senza una meta precisa. Ogni volta che riuscivo a sfuggire a qualcuno, l'adrenalina continuava a scorrere nelle mie vene offuscandomi la ragione e lasciandomi agire impulsivamente. Iniziavo a muovermi senza sapere cosa fare o dove andare e alla fine mi trovavo in un posto sempre diverso dal precedente.
Alzai gli occhi al cielo quando una piccola goccia cadde sul dorso della mia mano riportandomi alla realtà. Mi trovavo in un vicolo senza uscita, circondata da palazzi vecchi e malridotti. I vetri delle finestre rotti, il legno delle porte marcio, i muri imbrattati da scritte colorate e offensive. La via era invasa da sacchetti della spazzatura, bottiglie e lattine di birra, cartacce e avanzi di cibo andato a male. Era una parte della città che avevo sempre evitato, mi spaventava e mi faceva sentire in pericolo. Mi voltai e mi diressi verso i quartieri che frequentavo di solito. Più belli, ricchi e sicuri. Pieni di persone che potevo derubare per ricavare qualcosa di utile. A metà strada, la furia della natura si abbatté su Los Angeles. Le strade si svuotarono e le persone scappavano alla ricerca di un riparo. Poche macchine giravano per la città, ma una in particolare attirò la mia attenzione. Era bianca e sportiva e, nonostante il temporale, riuscivo a sentire il rombo del suo motore. Una lampadina si accese nella mia mente quando capii. Era la macchina di Ryan Woods.
Mi guardai intorno alla ricerca di un nascondiglio, ma non ne individuai nemmeno uno. Cominciai a camminare a passo veloce lungo il marciapiede, guardando in basso e fingendo di essere un'altra persona. Il battito del mio cuore cominciò ad accelerare quando sentii la macchina avvicinarsi.

"Fermati!" La voce di Ryan Woods mi fece agitare ancora di più.

Ignorai quell'uomo e continuai a camminare finché non udii una portiera chiudersi. Fu in quel momento che iniziai a correre.

"Aspetta! Non voglio farti del male!"

Mi voltai continuando a correre e vidi Ryan Woods che mi inseguiva sotto la pioggia. Per un breve momento i nostri sguardi si incrociarono e lessi stanchezza e compassione nei suoi occhi. Compassione per me. La rabbia mi bloccò all'improvviso. Mi fermai in mezzo al marciapiede, sotto la pioggia, e fissai l'uomo che correva verso di me.

"Cosa vuoi da me?" ringhiai a denti stretti. 

Mi raggiunse in pochissimi secondi e si fermò davanti a me scrutandomi con i suoi occhi grigi.

"Sali in macchina."

"Neanche per sogno!" Arretrai di un passo. La sua vicinanza mi metteva a disagio. "Perché mi stavi cercando? Cosa vuoi?"
Il suo sguardo mutò, diventando più serio e cupo. "Per favore, sali in macchina. Ti spiegherò tutto. Voglio solo aiutarti."

Rimasi in silenzio, fissandolo attentamente ed esaminando le sue parole. Io non avevo bisogno di aiuto, soprattutto del suo.

"Avanti! Ci stiamo bagnando. Non ti farò del male, lo giuro." Indicò la sua macchina ancora accesa ferma al bordo della strada.

Notando la mia diffidenza, estrasse dalla tasca destra dei pantaloni il cellulare e me lo allungò.

"Potrai chiamare il 911 se ti sentirai in pericolo."

"Non sono stupida. Quel cellulare non funziona."

"Sì, invece." Rispose calmo. Fece qualche passo verso di me e iniziò a digitare un numero sullo schermo del telefono. Premette un tasto e mi guardò.

"Pronto?" La voce di una donna uscii dal cellulare facendomi sobbalzare. Ryan Woods non mi stava prendendo in giro.

"Sono io. Potresti preparare qualcosa da mangiare? Sto tornando a casa."

"Certo." Rispose la donna prima di interrompere la chiamata.

"Mi credi adesso?"

Annuii in maniera impercettibile senza distogliere lo sguardo dal suo.

"Per favore, sali in macchina." Ripeté con gentilezza.

Mi fece strada verso la macchina e aprì la portiera del passeggero per farmi salire. Mi sedetti sul sedile osservando il lusso che emanavano gli interni dell'auto; era tutto bellissimo e surreale.

"Come ti chiami?" La sua voce risuonò nell'abitacolo. Era bassa e roca e mi provocò una strana sensazione allo stomaco. Qualcosa che non avevo mai provato prima e che mi spaventava.

"Prima voglio sapere perché mi stavi cercando." Cercai di tenere la voce ferma, ma il panico si stava facendo largo dentro di me.
Nonostante quell'uomo stesse guidando tranquillamente, io mi sentivo troppo vicina a lui.

"Ti voglio aiutare." Rispose semplicemente.

"Non ho bisogno del tuo aiuto. Non ti conosco nemmeno."

"Mi dispiace." Sospirò e si fermò ad un incrocio per dare la precedenza ad un'auto. "Mi chiamo..."

"So chi sei, non c'è bisogno che ti presenti." Esclamai con rabbia. "Ti chiami Ryan Woods."

"Hai visto i miei documenti?"

Non risposi. L'ultima cosa che volevo fare era sentirmi ancora più in colpa per averlo derubato. Mi stava sbattendo in faccia quello che gli avevo fatto.

"Qual è il tuo nome?" chiese svoltando nella via in fondo alla quale si trovava la sua villa.

"Ashley." Sussurrai.

"Ashley, sarò sincero con te." Fermò la macchina davanti al cancello che avevo scavalcato quando ero scappata da casa sua. "Non mi è piaciuto quello che hai fatto."

"E allora perché non hai chiamato la polizia? Ma chi ti credi di essere? Non sei mio padre, non sei nessuno per me."

"Perché ho visto qualcosa in te che mi ha fermato." Confessò.

Proseguì poi accostò la macchina di fronte al garage.

"Oddio, sei un pervertito!" esclamai stringendo il suo cellulare tra le dita. Mi voltai e uscii dalla macchina. "Mi vuoi ricattare, vero? Vuoi che diventi la tua schiava e tu in cambio non mi denuncerai."

"Cosa diavolo stai dicendo?"

Improvvisamente, mi sentii stupida e vulnerabile. Avevo accettato un passaggio da uno sconosciuto che mi aveva portato a casa sua.

"Non sono un maniaco o un serial killer. Non voglio farti del male, desidero solamente aiutarti. Ho capito che non hai una casa e nessuno su cui fare affidamento, per questo..."

"Perché? Me la cavo benissimo da sola." Lo interruppi.

"Non lo so perché." Mi guardò a lungo, mentre la pioggia si riversava sulla città senza fermarsi. Eravamo uno di fronte all'altra, bagnati e tesi. Cominciavo anche a tremare per il freddo, ma cercai di fingere di stare bene.

"Entriamo in casa." Mi disse con voce rassicurante.

Si incamminò verso l'ingresso, lo stesso dove gli avevo lasciato il portafoglio e dove mi aveva scoperto. Lo seguii senza parlare; le sue parole mi avevano turbato e rassicurato al tempo stesso. Non capivo cosa stesse accadendo dentro di me. Non avevo mai accettato aiuto da nessuno, detestavo l'idea che qualcuno potesse offrirmi qualcosa; eppure quell'uomo stava cambiando il mio modo di pensare. Il senso di colpa per averlo derubato, l'essere andata a casa sua per restituirgli il portafoglio e l'aver accettato il suo aiuto... non era da me.

Ryan aprì la porta di casa e mi fece cenno di entrare. L'ingresso dava su un grande salotto con il pavimento lucido e nero e le pareti bianche. Un enorme divano ad angolo si trovava di fronte ad un televisore con lo schermo piatto, sotto al quale c'era un mobile in legno scuro. Niente di più e niente di meno. Non c'erano quadri, foto o soprammobili. Tutto era anonimo e privo di personalità.

"Da questa parte." Intimò Ryan notando la mia espressione titubante.

Mi guidò lungo un breve corridoio che conduceva ad una moderna cucina, al centro della quale si trovava un grande tavolo bianco. Davanti al lavandino, una donna bassa dai capelli scuri e ricci stava lavando i piatti.

"Ciao, Dolores."

La donna si girò, rivelando un paio di occhi scuri ed espressivi. Il suo viso era rotondo e paffuto, la sua pelle ambrata ricordava il caldo sole tropicale.

"Ciao, Ryan." La voce era melodica e caratterizzata dal tipico accento sudamericano; mi sembrava di averla già sentita prima. Era la donna che Ryan aveva chiamato poco prima.

"Dolores, lei è Ashley." Disse Ryan indicandomi con un cenno della mano prima di rivolgersi a me. "Ashley, lei è Dolores. La governante."

La labbra della donna si incurvarono in un leggero e caldo sorriso mentre si avvicinava tendendomi la mano. "Piacere di conoscerla, signorina."

Rimasi immobile. Le braccia tese lungo i fianchi e la mano destra chiusa intorno al cellulare che mi aveva dato Ryan. Notando la mia diffidenza, la donna non si scompose. Abbassò la mano, sorrise

gentilmente e tornò a fare il suo lavoro.

"Seguimi, ti mostro la tua stanza." Disse Ryan con indifferenza.

"La mia stanza?" Lo seguii attraverso la cucina raggiungendo una porta bianca che conduceva ad una scalinata.

Salii le scale in silenzio, mentre continuavo a mordermi il labbro per il nervosismo. Non sapevo cosa fare o dire, mi sentivo impotente e avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere nel caso in cui avessi abbassato la guardia.

"Resterai qui."

"Non voglio restare qui. La mia casa..." protestai con titubanza, lasciando a metà la frase perché non sapevo come completarla.

Da quando avevo visto la casa in cui viveva Ryan Woods, il mio desiderio più grande era diventato quello di vedere l'interno della meravigliosa villa. Mi immaginavo continuamente come poteva essere e questo faceva aumentare la mia volontà di avvicinarmi a quella casa.

"Tu non hai una casa. Sto cercando di aiutarti."

"Come fai a saperlo?"

"Indossi gli stessi vestiti di quando mi hai derubato e mangi alla mensa dei poveri, frequentata per lo più da senzatetto." Spiegò semplicemente Ryan fermandosi di fronte ad una porta. "E finora non hai mai parlato di casa tua. Quindi significa che non ce l'hai."

Poggiò la mano sulla maniglia ed entrò nella stanza per primo.

"Dormirai qui. Nell'armadio ci sono due coperte, se ne hai bisogno, e laggiù c'è il bagno." Disse indicando una porta in fondo alla stanza.

La camera era bellissima: spaziosa e accogliente. Un enorme armadio con le ante scorrevoli occupava l'intera parete di destra, mentre dalla parte opposta si trovava una portafinestra che dava su un ampio balcone. Un grande letto ricoperto da lenzuola rosse si trovava al centro della stanza, con a fianco un comodino dello stesso colore dell'armadio. Non trovavo le parole per descrivere quanto felice e fortunata mi sentissi, così rimasi in silenzio. Quell'uomo sembrava buono e gentile, ma a causa del mio passato avevo perso la fiducia nel prossimo. Non mi fidavo più di nessuno. Perché Ryan Woods mi stava aiutando?

"Ti serve qualcosa?" chiese guardandomi dritto negli occhi.

Dalla foto che avevo visto nel suo documento d'identità avevo capito che quello sguardo era diverso dagli altri. Più penetrante e oscuro. Però, avere Ryan Woods di fronte mi faceva sentire strana. Diversa dal solito.

"Direi di no." Sussurrai evitando il suo sguardo. In qualche modo mi intimidiva.

"Ti porto qualcosa..."

"Perché lo fai?" Lo interruppi facendo un passo indietro per mantenere le distanze. "Non credo che tu voglia aiutare una senzatetto solo per il bisogno di farlo. Nessuna persona farebbe entrare uno sconosciuto in casa sua, soprattutto se vive in una villa come questa. Quindi, dimmi perché lo fai."

"Io..."

La rabbia stava crescendo dentro di me, trasformandomi nella persona che ero realmente: diffidente e aggressiva. "Parla."

"Ok..." Ryan Woods sospirò e si passò le mani tra i capelli tirandoli leggermente. "Devo risolvere una questione e ho bisogno di una persona al mio fianco."

"Di cosa stai parlando?" ringhiai a denti stretti.

"I miei genitori pensano che sia gay e devo convincerli del contrario."

"Mi stai prendendo in giro? Tu sei gay?" chiesi stupita.

"Oddio, no! Mi piacciono le donne e parecchio..."

"Allora perché i tuoi pensano che tu sia gay?" Il tono della mia voce era un misto di rabbia e sarcasmo. La situazione stava diventando imbarazzante ed irritante.

"Ho ventiquattro anni e non mi hanno mai visto con una ragazza. Non gliene ho mai presentata una. Non amo i rapporti stabili." Confessò fissando il pavimento.

"Quindi dovrei fingere di essere la tua ragazza e tu in cambio mi ospiterai in casa tua?"

Ryan annuì passandosi nuovamente una mano tra i capelli. Appena capii tutto quanto, scattai come un felino verso la porta e imboccai le scale. Volevo uscire da quella casa.

"No, ti prego. Aspetta."

Ero entrata in cucina quando mi sentii afferrare per il polso e, in quel preciso istante, le mie difese crollarono. Mi liberai dalla presa di Ryan e mi allontanai, andando a sbattere contro il tavolo e facendo cadere un bicchiere, che si frantumò contro il pavimento.

"Non toccarmi." Sibilai con il respiro corto. 

Il mio cuore batteva forte contro la gabbia toracica e avevo cominciato a sudare. Il panico si stava impossessando di me.

"Scusa, io..." lo sguardo di Ryan era confuso e questo mi preoccupava ancora di più. Nessuno era mai riuscito a capirmi.

Fissai lo sguardo sul bicchiere rotto e mi immobilizzai. Nella mia mente iniziarono a susseguirsi tutte le immagini che mi avevano torturato per mesi e la paura di tornare in strada aumentava sempre di più.

"Ascolta, ci guadagneremo entrambi da questo accordo. Tu avrai un tetto sulla testa e i miei genitori mi lasceranno in pace una volte per tutte." 

"Ok." La mia risposta fu solamente dettata dalla paura e dall'angoscia. In realtà non avrei mai accettato un'offerta del genere, ma sapevo che in quel modo sarei potuta rimanere al sicuro almeno per un po'.

"Vuoi qualcosa da mangiare? Dolores ha preparato dei panini." Mi chiese raccogliendo i pezzi di vetro.

"Non ho fame." Risposi con le braccia incrociate sul petto.

Mi ero rinchiusa nel mio guscio a causa di quel contatto e la cosa mi stava terrorizzando. Non potevo permettere ad un semplice tocco di spaventarmi tanto, ma il mio corpo reagiva per conto suo senza ascoltare il mio cervello. 

"Io sì." Aprì il frigo e prese un piatto con sopra un hamburger. Quel panino aveva un aspetto completamente diverso da quelli che ero solita mangiare. Era più invitante e bello.

"Siediti, così parliamo."

Obbedii senza scompormi. Ryan mi parlava come se non fosse successo nulla. Come se non avesse notato la mia reazione. O era uno stupido o era bravo a fingere.

"Fra due settimane, i miei genitori daranno una festa a casa loro. Sarà una cosa piuttosto formale e penserò a tutto io. Vestito, scarpe e gioielli." Esordì Ryan dopo aver addentato il suo panino.

L'idea di trovarmi in mezzo a tante persone ricche mi innervosiva. Io non appartenevo a quel mondo e mai avrei potuto farne parte. Per me le persone come Ryan erano un mezzo per raggiungere un fine: la sopravvivenza.

"Ashley..." la voce di Ryan si fece strada tra i miei pensieri. Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi grigi, che mi provocarono un brivido lungo tutto il corpo.

"Calmati, fa' come se fossi a casa tua." Le sue labbra si piegarono in un sorriso rassicurante.

Per la prima volta, fissai lo sguardo sulla bocca di un uomo. I denti di Ryan erano perfetti e bianchi e le labbra carnose e rosa.

"Vuoi vedere un film?" Mi chiese per riempire il silenzio che si era creato.

"Penso che andrò a dormire." Mormorai ripensando all'ultima volta che avevo visto un film. Mancavano pochi giorni a Natale e avevo aiutato gli altri bambini a decorare l'istituto. Come da tradizione, ogni anno guardavamo le classiche pellicole natalizie che detestavo. Erano piene di illusioni. Quel giorno, la signora McLeod scelse un lungometraggio che aveva come protagonista una renna. Niente di più noioso.

"Ti do qualcosa per dormire." Ryan si alzò di scatto facendomi trasalire. Da quando mi aveva toccata ero diventata tesa come una corda di violino.

Raggiunsi la mia camera con passo veloce, mentre Ryan proseguì entrando nella stanza dopo la mia. Mi sedetti sul letto e aspettai. Le lenzuola erano lisce e i cuscini soffici mi invitavano ad appoggiarvi sopra la testa lasciandomi trasportare da un sonno profondo. Non dormivo su un letto da anni. Ero abituata a passare le notti sull'erba o sull'asfalto, sotto gli alberi o sotto i ponti.

"Questa dovrebbe andare bene." Ryan entrò nella stanza e poggiò di fianco a me una maglietta bianca. Appena la presi in mano capii che era sua. Era grande e lunga, di sicuro mi arrivava a metà coscia.

"Grazie." In realtà non ero sicura di cosa dire. 

Quell'uomo mi aveva ricattato proponendomi un'offerta che di certo non potevo rifiutare, quindi non dovevo ringraziarlo. Però, la mia bocca si era aperta prima che potessi fermarla.

"Buonanotte." Disse Ryan uscendo dalla stanza.

"Buonanotte."

Rimasi ferma, sul letto, a guardarmi intorno per un tempo che mi parve infinito. Mi sembrava così strano essere in un casa vera che stentavo a crederci. Le pareti beige, l'armadio, il letto, il bagno privato. Pensavo che tutto quello che avevo davanti agli occhi fosse solo un magnifico miraggio. Invece, potevo realmente toccare ciò che mi circondava. Per la prima volta dopo tanto tempo, il mio cuore batteva forte per la felicità.

Mi alzai e mi diressi verso il bagno, dove mi attendeva un'ampia doccia circondata da lastre di vetro opaco. Mi spogliai velocemente e mi gettai sotto l'acqua calda; sentirla scorrere sulla mia pelle era la sensazione più bella del mondo. Per un breve momento mi dimenticai tutto: chi ero, da dove venivo, cosa mi era successo. Non esisteva più niente e nessuno intorno a me; ero sola e in pace con me stessa.

Quando mi specchiai dopo aver fatto la doccia stentai a riconoscermi. I soliti aloni scuri che mi circondavano gli occhi erano quasi spariti, la mia pelle era liscia e morbida come non l'avevo mai sentita prima e avevo il viso invaso da una serenità che mi era del tutto nuova.

Indossai la maglietta di Ryan e, senza rendermene conto, inspirai a fondo il suo profumo di acqua di colonia. Era così intenso e buono che mi fece girare la testa e il cuore iniziò a galopparmi nel petto. Era l'unico rumore che riuscivo a sentire, a parte quello della pioggia che cadeva incessantemente su Los Angeles e che mi accompagnò verso il sonno.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top