Epilogo - Terza parte

Tre mesi dopo la Grande Guerra

Quando Kamal varcò le mura di Sansea rimase stupito da quanto fosse diversa dall'ultima volta che l'aveva lasciata. Erano passati solo pochi mesi dall'attacco dell'Armata Nera che l'aveva quasi rasa al suolo, eppure si cominciava a respirare aria di normalità. Le vie principali erano completamente sgombre dalle macerie e le persone avevano nuovamente ripreso a incontrarsi in Piazza del Mare per ridere e scherzare. Molte strade erano ancora dissestate, le abitazioni erano in gran parte distrutte, il castello non era stato ricostruito, eppure si respirava nell'aria un certo ottimismo.

L'arrivo della sua carrozza venne accolto con grida di esultanza da parte del popolo: il re era tornato e la voce si spanse rapida per tutta la capitale della Terra del Pesce, giungendo presto al palazzo reale.

«Tipico di Kamal, non ha nemmeno pensato di avvisarci del suo ritorno» cinguettò Syria tra sé, scendendo le scale di corsa con il cuore che le esplodeva dalla gioia. Aveva atteso questo momento con un'angoscia che non aveva mai provato prima, passando ore intere alla finestra a scrutare l'orizzonte nella speranza di vederlo arrivare. Raggiunse i gemelli Derlyn e Fergus, che avevano governato insieme durante la sua assenza, già in piedi davanti l'ingresso con un'espressione indecifrabile.

«Oh, su, perché quelle facce. Kamal è tornato, è vivo!». La principessa li superò quasi a spallate, posizionandosi in prima fila mentre la carrozza del re di Sansea si accingeva a superare i cancelli del palazzo.

I due gemelli si guardarono seri, non sapevano cosa aspettarsi dal ritorno di Kamal. Erano lieti, indubbiamente, eppure temevano di vedere cosa fosse diventato dopo mesi di guerra. Alec era stato sconfitto, la notizia gli era arrivata molto velocemente, ma sapevano anche che non era stato lui a porre fine alla sua vita, e avevano paura di subire tutte le conseguenze di quello che sicuramente lui considerava un fallimento.

Aileen li raggiunse in quell'istante, interrompendo il flusso dei pensieri dei fratelli Landok con la solita voce squillante.

«Il mio amato è tornato, potremo finalmente sposarci e dare a questa Terra l'erede che merita!» esultò con un tono che rasentava il falsetto.

Era rimasta al castello per tutto il tempo, rifiutando le continue e costanti richieste di Derlyn e Fergus di tornare al suo palazzo a Gergovia. Continuava a ripetere che sarebbe voluta essere presente quando il suo sposo avrebbe fatto ritorno, e che non si sarebbe persa per nulla al mondo il momento in cui l'avrebbe abbracciata dopo mesi di assenza. Era assolutamente certa, e supportata dalle sue dame di compagnia in tutto e per tutto, che la lontananza gli avrebbe fatto cambiare totalmente idea sulla loro unione e sull'utilità del proclamarla regina. Aveva passato quei mesi a mettere il naso in ogni cosa riguardasse il castello, apportando diverse modifiche nella sua ricostruzione e negli uomini e donne che vi facevano parte. Sembrava essere refrattaria a tutte le angherie che le rivolgevano le domestiche, che trovavano la sua presenza assolutamente invasiva e insopportabile, e che non erano affatto state dissuase né da Syria né dai reggenti.

L'allegria che ricopriva largamente il viso della contessa di Gergovia e l'urlo stridulo che era in procinto di liberare, vennero soffocati da un verso di stupore e da un'espressione di stizza alla vista della donna che accompagnava Kamal tenendosi al suo braccio.

«Regina Hemelya, vi presento la famiglia Landok» disse lui con un enorme sorriso, con un gesto che comprendeva Syria e i suoi fratelli. Camminava con uno strano battito cardiaco, tenendo l'altra mano saldamente ancorata a quella che Hemelya gli aveva poggiato sul braccio.

Syria gli corse incontro senza dargli la possibilità di fare nulla per evitare la presa che lo strinse all'altezza del costato e che gli bagnò la giacca di lacrime. Il re carezzò la riccioluta testa bionda che gli arrivava appena al petto e piegò la sua verso di lei.

«Sono tornato» le sussurrò piano, cercando di farsi udire sopra ai singhiozzi di sua sorella. Lei si staccò con lentezza, senza però allentare la stretta, e gli sorrise con gli occhi pieni lacrime. Tirò su col naso, poi asciugò le guance con una mano e prese posto dall'altro lato rispetto a Hemelya.

Kamal continuò ad avanzare con le due donne che amava di più a entrambe le braccia, e raggiunse la soglia del castello ignorando completamente le occhiate di fuoco che Aileen gli lanciava silenziosamente da dietro i gemelli.

«Vedo che avete fatto un buon lavoro in mia assenza» disse poi serio ai suoi fratelli. Derlyn abbandonò il contegno che le consuetudini richiedevano e gli poggiò le mani sulle spalle guardandolo con occhi umidi.

«È bello rivederti» riuscì a dire con voce commossa, poi fece un inchino verso la donna dai lunghi capelli corvini senza lasciar intendere nessuna delle perplessità che gli ronzavano per la mente.

Fergus, invece, rimase impalato con le mani dietro la schiena fissando suo fratello e colei che lo accompagnava.

«Voi siete...?» le chiese, senza scomporsi.

«Hemelya, Regina di Shagos e della Terra dello Scorpione» si presentò, alzando lo sguardo fiero su di lui.

«A cosa dobbiamo la vostra visita, Maestà?» intervenne Aileen, trattenendo a stento la collera nella voce, il seno che le si alzava e abbassava velocemente.

«È qui per la cerimonia di unione, contessa. Hemelya sarà presto anche la regina della Terra del Pesce» rispose prontamente Kamal, avvertendo la stretta ammonitrice di lei sulla sua manica.

Le aveva spiegato del matrimonio combinato subito dopo la decisione delle loro nozze, ma le aveva anche assicurato che non sarebbe stata presente al loro rientro, che avrebbero avuto tempo per sistemare ogni cosa. Non si aspettava di certo di trovarla lì fumante di rabbia, ma non le avrebbe permesso di mandare a monte l'unica cosa bella della sua vita, anche a costo di scatenare un'altra guerra. E, probabilmente, era quello che sarebbe successo.

«Mio padre e le nostre truppe saranno molto liete di ricevere la notizia» sputò lei quasi in uno sbuffo animale.

«Spero, allora, che abbiate la premura di comunicarglielo il prima possibile».

Aileen girò la vaporosa gonna nella direzione opposta e si incamminò rapida verso le scalinate, seguita a ruota dalle sue inseparabili dame di compagnia che bisbigliavano tra loro.

Calò il silenzio tra i presenti, si fissarono tutti senza sapere bene come reagire a quella poco velata dichiarazione di guerra e alla sfacciataggine di Kamal nel tornare con una donna nonostante fosse promesso sposo, poi Syria non riuscì a trattenere una risata e la sua voce limpida e genuina riempì l'ingresso del palazzo reale.

Hemelya guardava fuori dalla grande finestra della stanza in cui era stata fatta accomodare dalla servitù. Erano giorni che era praticamente chiusa lì dentro, eppure non sentiva la mancanza della libertà, totalmente appagata dal panorama che le si apriva davanti. Dai suoi alloggi, infatti, si riusciva a vedere il mare. Un'immensa distesa d'acqua dall'odore salmastro che arrivava fin lì trasportato dal vento. Era in grado di rimanere ore intere affacciata alla balaustra imbottita a osservare il perpetuo moto delle onde che si infrangevano sulla battigia, a studiare le geometrie dei voli degli uccelli che lo sorvolavano, a rimirare il riflesso del sole e della luna che si specchiavano sulla sua superficie frastagliata.

Erano giorni che Aileen aveva abbandonato il castello e che Paulne e Veerin sussurravano all'orecchio di Kamal le modalità migliori per evitare una guerra già praticamente dichiarata. E nessuno di quelli includeva la cerimonia di unione con lei.

Sapeva per certo che Kamal non si sarebbe fatto persuadere tanto facilmente dai suoi consiglieri, eppure aveva una strana sensazione che le gravava sul cuore e che le impediva di respirare a dovere.

Era cambiata molto da quando lo aveva conosciuto la prima volta a Lasion, e aveva scoperto tante cose di sé proprio grazie alla sua vicinanza; quando stava insieme a lui non emergeva affatto la scontrosità del suo carattere, né la scaltrezza che l'aveva contraddistinta tra il popolo, e si chiese quale di quelle due sé fosse quella vera.

Era la ragazza bisognosa di essere salvata, o la regina pronta ad affrontare da sola un esercito nemico alle porte della sua città?

L'uscio della stanza si socchiuse leggermente come sospinto da un alito di vento, così Hemelya si voltò in quella direzione notando un piccolo scorcio di stoffa blu spuntare dallo stipite.

«Entrate pure, Syria» la invitò, sicura che fosse lei. Le era sempre stata attorno da quando aveva fatto il suo ingresso in città, ed era stata una delle poche, insieme a Derlyn e a qualcuno della servitù, a non guardarla con sufficienza.

La principessa di Sansea fece il suo ingresso più fiero, nascondendo abilmente la sua agitazione, e si chiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi con la schiena. Prese a fissarla intensamente come se volesse trasferirle, con la sola intensità dello sguardo, la richiesta che la tormentava da giorni. Hemelya spostò interamente l'attenzione verso di lei e le fece un cenno con la mano per spronarla a parlare, ma Syria si morse il labbro e guardò in basso, combattuta.

«Potete intrecciarmi i capelli?» le chiese quasi d'un fiato, a bassa voce. La regina le si avvicinò sorridendo, le prese le mani e la condusse verso la sedia davanti lo scrittoio, su cui svettava una larga superficie riflettente. Syria sciolse il nastro che le teneva legata la corta chioma bionda e, per la prima volta, lasciò che qualcuno li acconciasse.

«Mi piace il modo in cui fate sentire mio fratello, Maestà, non lo avevo mai visto così felice. Quando è con voi, lui... risplende».

Aileen varcò le soglie della Sala Principale di Gergovia che quasi digrignava i denti per la rabbia. Suo padre, il conte Rion, come al solito sedeva mollemente sulla sedia di ebano e argento che si ostinava a chiamare trono.

Non aveva niente a che vedere con la maestosità della Sala del Trono di Sansea. Nulla poteva eguagliare la magnificenza di quel castello, anche se in rovina. Le alte guglie che sembravano voler sfidare il cielo, il pavimento marmoreo con i colori del mare in tempesta, il trono d'argento e oro bianco che svettava al centro di quelli minori dei principi. E invece era tornata di nuovo lì, in quel palazzo mediocre, nella sua mediocre città, con la sua mediocre ricchezza.

Il conte sobbalzò appena quando la figlia proruppe nella Sala spalancando le porte. Era assonnato, il sole non era neppure sorto quando era stato svegliato di gran fretta e avvertito del ritorno della contessa.

«Figlia mia, com'è bello riaverti tra le mura di quella che, spero, continuerai a chiamare "casa" nonostante la tua dimora sia adesso un ben più grande castello» la accolse, soffocando uno sbadiglio.

«Continuerò a chiamare "casa" questo posto ancora per molto tempo, padre. Il re Kamal si sposa, e non con me. È tornato da Olok con la figlia sciagurata di Minerva e mi ha cacciata dal castello» abbaiò con voce che rasentava l'isteria, senza nemmeno avvicinarsi per salutare il padre che si era proteso verso di lei.

Il conte ebbe bisogno di qualche secondo per comprendere a pieno il senso di ciò che aveva udito, e la sua espressione divenne immediatamente grave.

«Non è possibile, abbiamo un accordo con i suoi consiglieri!»

«Il re non è dello stesso avviso. Mi ha cacciata, padre, cacciata! Sono rimasta in mezzo alle macerie e ai popolani per mesi pregando la dea Mysa per il suo ritorno, e per cosa? Oh, ma non lasceremo che qualcuno si prenda gioco in questo modo della nostra famiglia, nemmeno il re. Dobbiamo muoverci contro Sansea, adesso che è ancora debole e con le mura abbattute».

Rion soppesò quelle parole mentre Aileen sembrava fremere, incapace di stare ferma.

«Non possiamo» dichiarò infine.

«Forse non avete ben compreso, padre. Il re è venuto meno non solo all'accordo con voi ma anche alla parola data a me! Ha mancato di rispetto alla nostra famiglia e alla nostra città e non può essere lasciato impunito» protestò, i capelli bruni in disordine per il lungo viaggio e gli occhi screziati di verde che sembravano fiammeggiare.

«La guerra ci ha chiesto un conto molto alto. Non abbiamo abbastanza soldati per iniziarne un'altra, né abbastanza denaro. E no, ̶ disse, anticipando l'obiezione della figlia ̶ non chiederemo il supporto delle altre città. Non ci aiuterebbero, nessuna di loro».

Aileen camminò verso il trono e poggiò le mani sui braccioli, avvicinando il volto a quello del padre.

«Né Kamal, né i suoi fratelli e neppure la servitù mi hanno mai trattata con rispetto. Il re si è sempre preso scherno di me, trattandomi con disprezzo; le domestiche quasi non mi rivolgevano la parola e mi hanno reso la vita impossibile; i gemelli non tenevano conto di nessuna delle mie proposte su come amministrare la città e il popolo, sebbene sarei stata io, di lì a breve, a governare su Sansea; la principessa non mi permetteva neppure di intrecciarle i capelli e continuava a evitarmi con le scuse più ridicole. Troverete un modo per farla pagare a tutti loro, o ci penserò io stessa. E sapete cosa sono in grado di fare, padre».

Rion si disimpegnò dalla quella vicinanza e prese a camminare per la stanza con aria assorta, toccando con la punta delle dita gran parte delle statue che seguivano il perimetro della stanza. Aileen si sedette sul trono accavallando le gambe e seguendolo con lo sguardo.

«La famiglia Landok non si prenderà gioco di Gergovia ancora per molto» disse infine, dopo interi minuti di tribolazione. Rivolse uno sguardo alla figlia, seduta regalmente in quello scranno che non le apparteneva ancora, e uscì dalla Sala Principale con il solo obiettivo di preservare l'onore della sua famiglia.

Gli incontri con i consiglieri di Sansea continuarono a susseguirsi di giorno in giorno, senza riuscire a pervenire a una soluzione comune. Paulne e Veerin insistevano su quanto fosse stata sconsiderata la scelta di Kamal nel portare un'altra donna a palazzo contravvenendo agli accordi presi con Gergovia, mentre il re si limitava a fingere di ascoltarli e a sbraitargli contro di tanto in tanto.

«Voi non capite, Sire. Non potete seguire i vostri sentimenti, non è nelle facoltà di un sovrano. Dovete fare ciò che è giusto per la Terra del Pesce e, di certo, un'altra guerra non lo è» disse Veerin per la millesima volta, le rughe attorno agli occhi maggiormente accentuate dalla stanchezza: erano giorni che ripeteva praticamente le stesse parole.

«Siete voi a non capire, consigliere. Io sposerò Hemelya perché è ciò che voglio, e non sono disposto a trattare in nessun modo. Se il conte Rion deciderà di far marciare il suo esercito su Sansea, vorrà semplicemente dire che dovremo vincere un'altra guerra». Alzò una mano per interrompere sul nascere l'intervento di Paulne e si diresse verso l'uscio della Sala del Trono con passo svelto.

«Questo metterà il popolo in ginocchio» lo ammonì il consigliere dalla schiena gobbuta.

«Non se vinceremo» gli rispose il re prima di chiudersi i battenti dietro la schiena.

Sapeva che stava anteponendo i propri interessi a quelli del regno, ma si rese conto di non essere disposto a rinunciare alla sua felicità per i doveri che gli competevano. Sposarsi per amore era l'ultima cosa che avrebbe mai potuto immaginare, ma adesso gli sembrava l'unica cosa importante. Stava scegliendo sé stesso prima di Sansea, ma era assolutamente certo che sarebbe stato in grado di governare al meglio il popolo solo con Hemelya al suo fianco.

Non avrebbe perso quella possibilità.

Si lasciò alle spalle la negatività dei consiglieri e si diresse verso il giardino reale dove poco prima, dalla balconata della Sala del Trono, aveva visto Hemelya e Syria passeggiare assieme.

«Seguitemi» disse rivolto alla regina, con aria estremamente seria. Lei si voltò verso la principessa e fece un breve inchino prima di congedarsi da lei e seguire Kamal, che la precedeva camminando spedito.

Giunsero alle stalle reali e la fece accomodare su una carrozza, mentre lui prese il posto di guida afferrando le redini dei due cavalli che gli aveva appena legato davanti, poi uscirono dalle mura del castello.

Aveva un'aria stranamente grave, gli occhi azzurri fissi davanti a sé e la bocca talmente serrata da far impallidire le labbra piene.

«Dove stiamo andando?» gli chiese la regina sporgendosi e cercando di superare il rumore del vento, ma Kamal non le rispose. Si guardò intorno e vide scorrere rapida la città di Sansea, che sembrava risorgere dalle ceneri più splendente che mai. Notò che stavano percorrendo una delle strade principali, o ciò che ne rimaneva, in direzione dei cancelli, e il motivo di quella corsa le apparve nitido nella mente.

«Non lascerò che fuggiate, Kamal, non per me. Fermate subito questa carrozza!» gli urlò, con la testa completamente fuori dal finestrino.

Il re si voltò appena, senza abbassare la concentrazione sulla strada che stava percorrendo e superando in quel momento i cancelli di Sansea.

«Non ho la minima intenzione di fuggire, mia amata».

Passarono pochi minuti, poi finalmente Kamal tirò le redini e i cavalli cominciarono a rallentare dal loro folle galoppo fino a fermarsi completamente. Il re saltò giù dalla sua postazione e si affrettò a raggiungere la portiera da cui subito dopo emerse Hemelya.

La regina strabuzzò gli occhi al panorama che le si aprì davanti e iniziò a camminare incerta, riempiendosi i polmoni di un'aria che non aveva mai respirato.

«Ve lo avevo promesso».

Hemelya poggiò la fronte sul suo petto e poi alzò il viso per guardarlo negli occhi, e solo allora riuscì a cogliere a pieno la loro somiglianza con il mare che le scrosciava alle spalle. Erano profondi e impetuosi, proprio come la distesa di acqua salata che si perdeva fin oltre all'orizzonte.

Tolse le scarpe che le stringevano i piedi e camminò sulla sabbia fermandosi a un passo dal bagnasciuga, poi proseguì fino a immergervi le caviglie. L'acqua era gelida, l'inverno non era ancora terminato sebbene le giornate avessero cominciato a essere più assolate ma, in quel momento, la sensazione di libertà era più forte di qualunque altra cosa.

Kamal la raggiunse bagnandosi fino alle ginocchia, la prese per mano e cominciò a camminare verso est, allontanandosi dalla carrozza che aveva lasciato appena fuori dalla spiaggia. La condusse poco lontano da lì, in una piccola grotta scavata nella roccia, e si fermarono prima di entrarvi. Hemelya tremava dal freddo, la gonna ampia completamente zuppa fin quasi alla vita.

«Non sono sicuro che riuscirò a convincere i miei consiglieri della felicità che mi fate provare, né del fatto che amare voi è, probabilmente, l'unica cosa giusta che io abbia fatto nella mia vita; ma voglio che i miei sentimenti siano chiari per voi, Hemelya. ̶ Kamal iniziò a parlare con gli occhi fissi su quelli scuri di lei, passando una mano tra i capelli che avevano ripreso a crescere ̶ Voglio che sappiate quanto profondamente mi avete cambiato, quanto mi rende felice persino rischiare la mia vita per la vostra, e quanto sia fiero di voi. Voglio che rimaniate al mio fianco finché i nostri capelli non diventeranno d'argento, e voglio che sappiate con assoluta certezza che non avevo mai fatto pensieri simili prima di incontrarvi. Se entrerete con me in questa grotta, troverete uno dei sacerdoti del castello che ho appositamente chiamato per celebrare la nostra unione, ma dovete sapere che, se accetterete, ci saranno delle conseguenze che non sono in grado di prevedere e che non so dove mi condurranno. Se...»

Hemelya interruppe il soliloquio nervoso del re stampandogli un rapido bacio sulle labbra. Gli sorrise e, con le dita incrociate alle sue, lo condusse all'interno della grotta.

Era pronta a sopportare ogni impervietà al suo fianco, sarebbe stata disposta a lottare contro il mondo intero. Non le importava chi sarebbero stati i loro nemici, l'unica cosa che contava è che sarebbero rimasti insieme.

Per sempre.

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