Epilogo - Quarta parte

Sei mesi dopo la Grande guerra

Enora fissava la lettera posata sullo scrittoio come se fosse una bestia pronta ad aggredirla, e si massaggiava la pancia ormai vistosa, cercando di calmare i dolori che la tormentavano da giorni. Spostava lo sguardo da quel minaccioso pezzo di carta a qualsiasi altro oggetto della stanza da letto reale in cui dormiva ormai da mesi.

Aveva riconosciuto immediatamente la grafia che aveva scritto quelle pagine e non aveva il coraggio di leggerle.

Dalla fine della Grande Guerra aveva cominciato ad avere incubi ricorrenti, si svegliava nel mezzo della notte madida di sudore e, a volte, urlante. Ci volevano intere ore prima che riuscisse a calmarsi e a togliersi dalla mente tutti gli orrori a cui aveva assistito, e spesso non ci riusciva nemmeno. Durante la giornata, invece, le tornavano in mente ricordi e pensieri terrifici e viveva costantemente in allerta, coi muscoli tesi e pronta a scattare in qualunque momento. Solo da poche settimane erano riusciti a convincerla a non andare in giro con la spada, lei aveva finto di dargli ascolto, ma portava comunque sempre con sé un piccolo pugnale nascosto sotto le ampie gonne.

Aveva passato giornate intere rivivendo tutte le vicende degli ultimi due anni, fino al giorno in cui si era accasciata su Nayél donandogli tutta l'energia vitale di cui disponeva e sperando che lui si salvasse, e soltanto ultimamente aveva smesso di scoppiare in lacrime all'improvviso.

Si voltò indietro verso il letto più morbido su cui avesse mai dormito e scorse una massa arruffata di capelli rossi emergere da sotto le coperte. Nayél, suo marito, era ancora addormentato: la sera prima aveva anche lui fatto le ore piccole per accertarsi che i suoi dolori non fossero nulla di preoccupante, così decise di concedergli ancora qualche minuto. Giusto il tempo di leggere la lettera.

Prese un lungo respiro con gli occhi fissi sulle ginocchia e poi si decise a staccare la ceralacca che sigillava la pergamena.

La grafia disordinata di Arkara riempiva un paio di pagine ed Enora fu costretta ad allontanare i fogli da sé per evitare di bagnarli con le lacrime che avevano iniziato a scorrere senza nessun reale motivo.

Erano mesi che non aveva notizie della sua migliore amica, da quando aveva deciso di lasciare la Capitale insieme al soldato Flynn, per raggiungere la Terra del Toro. Erano rimaste strette l'una all'altra per diversi minuti, trasmettendo attraverso quel calore tutte le parole che non riuscivano a dire e tutte quelle che non potevano essere dette, e poi si erano lasciate senza versare una lacrima, semplicemente liete della felicità dell'altra.

Li aveva accompagnati alla carrozza che aveva insistito per donargli e poi li aveva osservati appoggiata alle nuove mura di Olok, fino a quando l'orizzonte non li aveva inghiottiti.

Rivedere quella scrittura le fece tornare in mente la sé stessa di appena qualche anno addietro, l'ingenua felicità che pervadeva le sue giornate prima che Alec vi allungasse le mani sopra e distruggesse ogni cosa.

Un piccolo movimento del figlio che portava in grembo le fece ricordare che adesso aveva nuove cose per cui lottare, per le quali valeva la pena di vivere, così il battito del cuore decelerò quel tanto che bastò per permetterle di iniziare a leggere.

Amica mia,

come puoi vedere la mia scrittura migliora sempre di più e sto anche diventando molto veloce a leggere! Flynn è un maestro molto paziente e, sebbene torni spesso tardi dal lavoro, trova sempre del tempo da dedicarmi. Sono felice di aver finalmente trovato un modo per poter comunicare con te senza il bisogno di qualcun altro che trascriva le parole al posto mio, perché ci sono cose che non voglio che sappia nessuno, se non tu.

Sono felice, Enora. Non pensavo che avrei mai potuto dirlo, non dopo... beh, non dopo la guerra, non dopo la mia ferita, eppure questa vita tranquilla sta riuscendo a donarmi una serenità che non credevo avrei più potuto avere. Certamente, l'uso di entrambe le gambe avrebbe migliorato la situazione, ma Flynn mi ha costruito un'altra sedia con le ruote con cui riesco a muovermi più agevolmente, e si sta impegnando notte e giorno per costruire una casa che abbia degli spazi adatti a questo ingombrante mezzo di trasporto, come lo chiamo io. Mi aveva chiesto di buttare via quella che mi aveva dato a Olok, appena prima dell'ultimo scontro, ma io mi sono opposta fermamente perché voglio ricordare ogni attimo di questi due anni passati. Ecco, questa è una di quelle cose che voglio sappia solo tu: io non voglio dimenticare.

Non voglio smettere di pensare a come eravamo nella nostra Olok, le nostre passeggiate e le nostre risate, ma non voglio nemmeno dimenticarmi di Noor, di Kimav, di Etios, Ares, Nahil, Breit. Li penso sempre, amica mia, e non credo sia sbagliato. Il dolore che abbiamo provato ci ha rese ciò che siamo, ci ha rese capaci di fare cose impensabili e, stranamente, ci ha reso possibile amare.

Sì, il loro ricordo mi permette di guardare la mia gamba martoriata con amore, perché sono felice di essere viva; mi permette di sbirciare il profilo di Flynn e amare ogni sua cicatrice, perché gli ha permesso di essere qui con me.

Siamo vivi, Enora, e questo è il dono più grande che la guerra potesse farci.

So che questi mesi sono stati difficili per te, e mi rammarica non esserci stata, ma c'è un'altra cosa che voglio dirti: il bambino che porti in grembo sarà sempre il riflesso dell'amore che ti lega a Nayél, un amore nato in mezzo alla morte, in mezzo agli orrori della guerra e, proprio per questo, prezioso. Alec ci ha portato via tante cose, non lasciargli prendere anche la tua felicità.

Io, per quanto vale, sono fiera di te, e sono sicura che lo sia anche Noor.

A presto, amica mia.

Arkara.

I singhiozzi di Enora svegliarono il ribelle dai capelli rossi, che la raggiunse velocemente per accertarsi delle sue condizioni.

«Qualcosa non va? Stai bene? Il bambino?»

Enora annuì lasciandosi asciugare le lacrime dalle mani di suo marito e successivamente gli poggiò la testa sull'addome, porgendogli la lettera.

Nayél impiegò qualche tempo prima di riuscire a finire di leggere, e strinse Enora con tutta la delicatezza di cui disponeva.

«Andiamo a fare una passeggiata, ̶ le propose, aiutandola ad alzarsi ̶ è una bella giornata».

Enora si sollevò con leggera fatica, mise la mano sulla camicia chiara con cui aveva dormito Nayél e toccò il punto in cui Angus lo aveva trafitto con la sua magia riducendolo in fin di vita. Si chinò un po' e vi posò un piccolo bacio.

Arkara aveva ragione: erano vivi, e questo lei lo aveva quasi dimenticato.

Dopo essersi accasciata sul suo petto, quella maledetta notte di sei mesi prima, Enora aveva perso i sensi per ore intere. Stenphield li aveva trovati stretti l'uno all'altra, in uno stato di morte apparente. Aveva fatto sì che lei si svegliasse, ma non era riuscito a fare molto per Nayél: le ferite magiche potevano essere curate solo da altra magia, è vero, ma ci volevano tempo ed energie e Stenphield non ne aveva ancora molte a disposizione. L'elfo, però, le aveva spiegato quali fossero le cure di cui necessitava e lei aveva passato i giorni successivi in quel minuscolo spazio insieme a lui, mangiando solo per avere le forze sufficienti a guarirlo.

«Che ne dici di lasciarmi un po' di spazio?» le aveva detto non appena aveva aperto gli occhi.

Lei si era addormentata sul suo petto, e quando aveva avvertito le sue dita tra i capelli si era svegliata di soprassalto. Aveva alzato il viso quasi con il timore di essersi immaginata tutto, ma gli occhi limpidi del suo Nayél la guardavano da sopra il solito sorriso beffardo.

«Sei vivo...» aveva balbettato emozionata, sfiorandolo con mani tremanti. Lui l'aveva avvicinata a sé, era ancora visibilmente sofferente e non riusciva a muoversi molto bene.

«Te l'avevo detto, uccidermi è più difficile di quanto credi, dolcezza».

Solo allora lei era scoppiata a ridere e piangere insieme, lo aveva baciato senza quasi lasciargli il tempo di recuperare fiato, e avevano passato il resto dei giorni, delle settimane e dei mesi sempre insieme.

La scoperta della gravidanza li aveva colti di sorpresa, non si immaginavano che da una cosa così terribile come la guerra potesse emergere qualcosa di talmente innocente e puro. Avevano quindi deciso di sposarsi al Real Castello, davanti ai loro più cari amici e al popolo di Olok, che li aveva acclamati come i principi della Terra Centrale.

I capelli rossi del giovane uomo venivano mossi dai suoi passi veloci. Si contorceva le mani, facendo avanti e indietro davanti alla porta di legno. Alzò lo sguardo verso il lungo corridoio e si sentì mancare il fiato, l'ansia lo stava divorando.

Non conosceva nulla in fatto di gravidanze, ma di una cosa era certo: era troppo presto. Enora si era sentita male mentre passeggiavano nel Giardino Reale, lui l'aveva aiutata a raggiungere il loro alloggio e aveva chiamato aiuto. Tutto ciò che poteva fare per rendersi utile terminava lì, adesso doveva solo aspettare pregando che lei e il bambino stessero bene.

«L'elfo sa quello che fa» lo rassicurò Danker, seduto per terra con le spalle al muro, le braccia conserte e un'espressione preoccupata. Aveva deciso di rimanere al palazzo, tuttavia visitava ogni giorno la casa sulla ventitreesima strada ovest.

Aveva finito di ricostruirla senza modificare nulla di ciò che la sua memoria ricordava, e gli piaceva pensare che Marianne e Noor continuassero ad abitarla. Quello era stato il cuore della sua famiglia, il luogo in cui aveva passato gli anni più belli della sua vita, in cui aveva visto crescere i suoi figli e in cui aveva amato la stessa donna per oltre vent'anni. Adesso viveva in stanze lussuose, circondato da nobili e servitori, ma quella sarebbe sempre rimasta casa sua.

Nayél si voltò verso di lui, non lo aveva neppure visto arrivare.

«Mi dispiace che Christopher non sia qui» continuò il fabbro.

Il ragazzo annuì mestamente senza smettere di camminare in modo nervoso.

«Prima o poi tornerà, il loro non è stato un addio. Sono certo che Enora saprà perdonarlo, le serve solo tempo».

Un urlo acuto squarciò la quiete del Real Castello, proveniva da dentro la stanza. Sua moglie stava partorendo. Stenphield gli aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per riuscire a salvare entrambi, e si fidava delle parole dell'elfo che in quei mesi aveva imparato a conoscere.

La sua convalescenza era durata tanto tempo e le sue cure, insieme a quelle di Enora, si erano rivelate fondamentali. Si era ripreso lentamente, non riusciva a ricordare quasi nulla quando si era risvegliato, e c'era voluto tempo affinché la memoria gli tornasse completamente. La rabbia era stata tanta, non avrebbe mai voluto lasciare Enora da sola ad affrontare Alec, e si era ripromesso che da quel momento ci sarebbe sempre stato per lei, a qualunque costo. E invece era di nuovo inutile in una situazione in cui non poteva fare altrimenti, se non tormentarsi le mani e continuare a camminare avanti e indietro.

Si fermò, guardando fisso l'uscio che non poteva ancora varcare mentre le urla crescevano e si susseguivano una dietro l'altra. Aveva le viscere attorcigliate, lo spazio attorno a sé prese a vorticare violentemente e gli arrivavano alla testa solo suoni attutiti e incomprensibili. La voce perentoria dell'elfo si confondeva con le grida di Enora, ma lui si costrinse ancora una volta a rimanere al di là della soglia: sapeva che sua moglie era incredibilmente forte e che avrebbe superato quell'ennesima sfida.

Si avvicinò alla porta e vi poggiò una mano sopra.

"Sono con te, amore. Non arrenderti, porta al mondo nostro figlio e saremo una famiglia".

All'improvviso calò di nuovo il silenzio e il rumore che arrivò subito dopo all'orecchio del ragazzo fu il più bello che potesse udire. Un pianto forte e vigoroso si elevò quel pomeriggio, nella stanza del Palazzo Reale di Olok.

Enora, incapace di muoversi, voltò la testa per vedere l'elfo che teneva in braccio suo figlio.

«È un maschio» mormorò ansimante.

Era piccolo, e quasi spariva avvolto in quel pezzo di stoffa. Il faccino rotondo era rosso e segnato dalle smorfie di pianto, ma quello che la fece sorridere più di tutto fu un ciuffetto di capelli rossi che gli ricopriva parte della testa.

«Fai entrare mio marito, per favore».

Ebbe la forza di sollevarsi un po' e di prendere finalmente in braccio la nuova creatura; era stremata, ma stringere a sé quel minuscolo corpicino la fece sentire felice e... viva.

Si sistemò sui cuscini che aveva dietro la schiena con il sorriso più ampio che avesse mai avuto, e fu pronta ad accogliere Nayél.

Lei e il piccolo Xander.

FINE

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