Epilogo - Prima parte
Tre settimane dopo la Grande Guerra
Tutto stava lentamente tornando alla normalità dopo la fine della guerra che aveva macchiato Holtre, sebbene ci fossero ancora molte città e villaggi su cui intervenire per la ricostruzione, soprattutto nei luoghi in cui le battaglie erano state lunghe e sanguinose; la stessa Olok versava in gravi condizioni.
Tutti i soldati degli eserciti alleati avevano scelto di collaborare affinché ogni città tornasse al suo splendore, spendendosi anche per aiutare la povera gente che, oltre a perdere i propri affetti, aveva perso la casa e tutto ciò che conteneva.
Fuori dalla città si trovavano dei rifugi di fortuna, in cui i sacerdoti ospitavano chiunque ne avesse bisogno mentre gli uomini a Olok continuavano la ricostruzione. I bambini, invece, giocavano imperterriti per le strade, tra le macerie, ed erano l'unica cosa che dava un senso di pace in mezzo a quella desolazione.
Quel pomeriggio Seamus aveva deciso di prendere una boccata d'aria prima dell'arrivo del sovrano della Terra del Toro, annunciato quella stessa mattina. Dovevano discutere di molte cose e temeva che sarebbero rimasti rinchiusi tra le mura per giorni interi, così si era lasciato convincere da Klethus ad abbandonare per poche ore le infinite riunioni e gli ambienti saturi di polvere del Real Castello.
Cavalcava talmente immerso nei propri pensieri che si accorse a malapena di un debole lamento. Si fermò tirando piano le redini del destriero e attese di sentirlo di nuovo per capire da quale direzione provenisse. Dopo qualche minuto, proprio quando pensava di averlo solo immaginato, lo sentì di nuovo più chiaramente. Fece fare qualche passo in avanti al cavallo e abbassò lo sguardo, trovandosi di fronte una scena a cui non era assolutamente preparato.
Il corpicino di un neonato era avvolto in una coperta, senza nessuna traccia né del padre né tanto meno della madre. Il re scese e prese il fagottino tra le braccia, scostando la lana che lo proteggeva dal freddo per guardarlo meglio. Il bambino aveva pochi mesi di vita a occhio e croce, era un maschio e, a parte la fame evidente e qualche tremore, sembrava stare bene.
Si allontanò stringendolo a sé per accertarsi che non ci fosse nessuno nemmeno al vicino ruscello, così tornò indietro con un'espressione alquanto perplessa. Lo cullò un po' e vide il piccolo accovacciarsi tra le sue braccia, felice del calore umano ritrovato. Il sovrano della Terra del Leone sorrise, rimontò a cavallo con il bambino saldamente premuto contro il petto e aumentò l'andatura del galoppo per raggiungere più in fretta il Real Castello.
Non era strano che i più piccoli venissero abbandonati nei pressi delle varie capitali, soprattutto a ridosso di scontri e battaglie, e molti venivano affidati ai sacerdoti che se ne prendevano cura. La guerra aveva lasciato non solo fame e miseria tra i più poveri, ma anche molti orfani.
Non appena giunto al palazzo si recò nei suoi alloggi il più velocemente possibile, sperando con tutto sé stesso di trovarvi Klethus.
«Sire, non vi aspettavo così presto» lo accolse il suo amante dandogli le spalle.
Seamus gli aveva ripetuto centinaia di volte di ignorare le formalità quando erano solo loro, ma era difficile lasciare andare vecchie abitudini e, soprattutto, il consigliere gli aveva detto di non voler prendere nuove consuetudini che non sarebbero potute diventare la normalità.
«Devi aiutarmi con... questo». La voce di Seamus era piuttosto concitata e l'altro si voltò nella sua direzione, notando l'ammasso di lana che stringeva convulsamente tra le braccia. Si avvicinò quasi con circospezione e non trovò nessuna resistenza quando spostò la coperta, scoprendo un neonato pacificamente addormentato.
«L'ho trovato nel bosco, abbandonato. Credo sia affamato e ha bisogno di cure immediate».
Klethus indietreggiò di qualche passo e si passò le mani sul volto.
«Dovreste portarlo dai sacerdoti, così che siano loro a occuparsene insieme a tutti gli altri orfani».
«No. Preoccupati di fargli avere le prime cure, ma dai disposizione di non portarlo fuori di qui. Passerò dopo a vedere come sta».
«Non ho la minima idea di cosa serva a un neonato, e neppure voi» replicò lui, intuendo immediatamente quale fosse il suo obiettivo.
«Re Liam sta arrivando, ho un importante Concilio a cui presenziare». Seamus quasi lo costrinse a prendere in braccio il neonato e si chinò per stampare un lieve bacio prima sulla fronte del piccolo e poi sulle labbra di Klethus.
«Khan tornerà a Rhowar con noi» aggiunse, avviandosi verso la porta.
«Gli avete già dato il nome di vostro padre?» replicò Klethus scuotendo la testa, ma un enorme sorriso gli si era aperto in tutto il viso. Seamus si voltò appena ricambiando quell'assurda felicità, poi si chiuse l'uscio alle spalle.
La carrozza di re Liam, sovrano della Terra del Toro, si fermò davanti alla distrutta Olok illuminata dal pallido sole invernale.
«Continuiamo a piedi» ordinò ai suoi sottoposti e, senza attendere il loro aiuto, scese dal lussuoso mezzo di trasporto e cominciò a camminare tra le macerie. La Capitale, però, era ben lontana dall'essere una città morta.
Subito dopo la fine della Grande Guerra, un emissario di re Seamus lo aveva raggiunto con un messaggio alquanto bizzarro. Gli comunicava che la battaglia era stata vinta e che Alec era morto, ma che nessuno dei soldati del Toro aveva voluto fare ritorno. I suoi uomini, infatti, avevano scelto di rimanere per aiutare nella ricostruzione di tutti i villaggi e le città che erano state rase al suolo dalla furia della guerra, e lo esortava a raggiungerli per vedere con i suoi occhi ciò che stavano facendo. In fondo alla pergamena che Seamus aveva riempito con la sua grafia elegante e precisa, inoltre, c'era un piccolo accenno a elfi e poteri magici che aveva destato immediatamente la sua apprensione, nonché una massiccia dose di curiosità, e si era quindi messo in viaggio quello stesso giorno.
Avanzò con facilità nella Strada Principale, già completamente sgombra di detriti, osservando con attenzione l'intensa frenesia di almeno un centinaio di persone, tra uomini e donne, che si davano da fare. La sua espressione mutò in fretta alla vista di massi e tocchi di legno librarsi nell'aria, passando dallo sgomento all'incredulità e, infine, compiacenza.
"Questi devono essere gli stregoni di cui ha parlato Seamus", si ritrovò a pensare con una certa riverenza mentre ricambiava i saluti cordiali che gli rivolgevano.
Giunto alle porte del Real Castello, la schiera dei sovrani di Holtre lo attendeva con trepidazione.
«Benvenuto a Olok, Vostra Maestà. Avrei voluto che la vedeste nel suo massimo splendore» iniziò Whyle, nuovo re della Terra Centrale.
«Sono certo che non mancherà occasione, Sommo Sovrano».
«Quello era il titolo di mio padre, non certo il mio». La risposta del giovane gli arrivò tagliente, e il re del Toro chinò il capo con accondiscendenza.
Seamus, alla destra di Whyle, sorrise tra sé; Liam lo aveva voluto mettere subito alla prova per vedere se fosse della stessa pasta di Alec ma, a giudicare dall'espressione soddisfatta che gli si leggeva in viso, poté intuire che la sua valutazione fosse stata positiva.
Il nuovo re della Capitale chiese a tutti i sovrani di seguirlo all'interno; il castello non aveva subito molti danni, e ogni traccia dello scontro con Angus era già stata cancellata da Stenphield. L'elfo, come evocato dai suoi pensieri, li raggiunse proprio in quel momento, gli fece cenno di stargli dietro e li condusse fino alla Sala del Concilio, già predisposta al loro arrivo.
Whyle era davvero felice che ci fosse lui a supportarlo: era piuttosto nervoso e a disagio in un ruolo che non aveva mai immaginato gli sarebbe spettato. Era sempre stato Fabian il guerriero che avrebbe guidato Olok, quello bravo a intrattenere nobili e a parlare in pubblico, mentre lui era solo il secondogenito che non era mai uscito dalle mura del castello.
Aveva potuto parlare a lungo con Stenphield in quelle settimane, aveva appreso ciò che succedeva al suo corpo e aveva scoperto la particolare natura del legame che lo univa a lui e al resto della sua famiglia. Aveva saputo di essere il discendente di un elfo e di avere una sorella.
Enora lo aveva raggiunto qualche giorno dopo la fine della Grande Guerra, debole e malconcia, ma con un grande fuoco che le ardeva in fondo agli occhi verdi. Aveva riso di gusto, poi l'aveva abbracciata.
Era stata presentata al popolo, o ciò che ne restava, come la figlia di Isidora. Le persone ricordavano molto bene la gravidanza della regina che, nell'ultimo periodo, era stata costretta a rimanere allettata nelle sue stanze, e ricordavano altrettanto bene il dolore che avevano provato quando il re aveva annunciato che la figlia di Olok era nata morta. Non faticarono a credere alla nuova versione di Whyle, che venne raccontata di bocca in bocca fino a spandersi rapida per tutta la Terra Centrale: la storia della prescelta. Enora era sopravvissuta alla ferocia di Alec, aveva vissuto in mezzo al popolo temprandosi l'animo con la cecità, ed era infine sorta per annientare il tiranno re di Holtre.
All'inizio, lei si era opposta fermamente a quella rivelazione. Il suo passato le sembrava troppo personale per condividerlo con tutto il Regno, ma il lavoro di persuasione di Whyle e Stenphield, alla fine, aveva avuto la meglio, e si era quindi trasferita a palazzo insieme a colui che continuava a chiamare padre: Danker.
I sovrani presero posto attorno al tavolo, dando così inizio al primo Concilio della Nuova Holtre.
«La battaglia contro Alec ha indubbiamente dato un nuovo volto a tutto il Regno» iniziò Seamus, con la voce un po' commossa. Attorno a quel tavolo erano riunite persone indissolubilmente legate dalla Grande Guerra anche se profondamente diverse tra loro, ma il re del Leone seppe con assoluta certezza che erano quelle giuste per poter ricominciare.
«Direi che il primo passo di questo Concilio debba essere il reintegro della regina Hemelya e di tutti i suoi possedimenti in Holtre. Coloro che hanno decretato un simile allontanamento non sono più tra noi, e credo che la faida sia durata abbastanza a lungo» intervenne Kamal, seduto al fianco della sua amata. Lei, con la mano posata sul suo ginocchio, gli strinse piano la stoffa del pantalone, guardandolo con un leggero rossore sul viso e un'immensa riconoscenza.
«La creazione delle Terre Escluse è stata un terribile sbaglio, mia regina. Meritate di essere seduta a questo tavolo non solo in quanto sovrana della Terra dello Scorpione, ma anche della Terra della Bilancia» convenne Whyle, gli occhi viola puntati su di lei e la voce seria di chi cerca di darsi una certa importanza.
Stenphield, in piedi dietro di lui in quanto suo tutore, gli mise una mano sulla spalla per comunicargli il suo consenso.
«Iniziamo con un gesto di pace, affinché la guerra non accada più» disse Liam, con il suo solito tono indecifrabile. Seamus lo squadrò con attenzione: non era ancora riuscito a comprenderlo del tutto, c'era qualcosa in quel viso pulito ed elegante che gli sfuggiva, ma non avrebbe saputo dire cosa.
«Sono certa che questa nuova collaborazione apporterà benefici a tutto il Regno. Ho intenzione di integrare ogni abitante di Shagos nella Terra dello Scorpione, affinché non vi sia più un popolo che necessiti dell'aiuto degli altri, e in modo che coloro che sono stati fedeli a mia madre fino alla fine abbiano finalmente la giusta ricompensa» affermò sicura Hemelya.
«Sono certo che riuscirete ad amministrare i vostri possedimenti nel migliore dei modi possibili, Maestà. Lasciate che vi conceda l'ausilio di alcuni degli stregoni per velocizzare il vostro insediamento a Lasion».
Alle parole di Whyle, pronunciate con fin troppa ingenuità, seguì il silenzio eloquente di tutti gli altri sovrani. La magia era un argomento di cui tutti avevano evitato di parlare e che si ostinavano a ignorare, come se così si potesse fingere che non esistesse.
«Dobbiamo decidere il modo migliore per gestire questa nuova conoscenza. Holtre merita di sapere tutta la verità, ma è necessario garantire la sicurezza di ogni cittadino. Credo che dovremmo essere noi a decidere il modo migliore in cui usarla» aggiunse il più giovane tra i re.
«Ve ne occuperete voi?» chiese Liam, fissando le orecchie puntute che spuntavano dai capelli scuri di Stenphield.
I presenti si voltarono verso l'elfo, nella muta richiesta di una soluzione che speravano avesse già trovato. Lui inarcò le labbra sottili in un mezzo sorriso e passò in rassegna tutti i presenti con i suoi penetranti occhi viola.
«Ho la soluzione che cercate, Vostre Maestà, ma non sarò io a occuparmene. La magia destabilizzerà molti equilibri, ed è mia opinione far sì che tali equilibri vengano scossi il meno possibile».
I sovrani non distolsero lo sguardo e persino Whyle si voltò quasi completamente per ascoltare ciò che avrebbe detto. Gli aveva accennato qualcosa in una delle lezioni che intratteneva quotidianamente per imparare a controllare i suoi poteri, ma non era a conoscenza di tutto ciò che aveva escogitato.
«È da millenni che i sacerdoti si occupano della magia, e questo dovrà rimanere immutato».
Stenphield e i nuovi regnanti di Holtre discussero animatamente per ore, arrivando a ipotizzare le metodologie più astruse per far sì che la magia avesse libertà di espressione ma che, al tempo stesso, non divenisse in qualche modo pericolosa per gli altri abitanti e, alla fine, si tornò esattamente alle prime parole dell'elfo. La magia doveva rimanere ai sacerdoti, che avrebbero istruito i prescelti alla luce del sole e senza alcun obbligo da parte di questi ultimi a far parte dell'ordine devoto alla dea Mysa. Avrebbero aiutato il popolo in tutti i modi di cui erano capaci, fornendo il loro supporto nelle opere di ricostruzione e nella guarigione dei feriti. Dopo il periodo di emergenza, invece, i prescelti si sarebbero limitati allo studio delle proprie abilità solo per limitarne la potenza distruttiva ed essere invece in grado di gestirle in modo consono: chiunque fosse stato scoperto a usarla in modo illecito, sarebbe stato punito.
Il Concilio si sciolse che era quasi notte, erano rimasti chiusi in quella stanza per tutta la giornata senza neppure mangiare, e i sovrani si diressero rapidi verso i propri alloggi per riposare un po'.
«Ho aspettato entrambi per cenare» disse Enora al suo fratellastro, accogliendolo nella Sala da Pranzo. Lui le sorrise reprimendo uno sbadiglio e allungò le braccia per distendere i muscoli.
«Non avresti dovuto, nelle tue condizioni. Il figlio che porti in grembo ha già dovuto affrontare parecchie prove difficili».
La ribelle dagli occhi verdi portò le mani al ventre e accarezzò la piccola rotondità che aveva iniziato a custodire da poco una nuova vita e sorrise a Whyle e Stenphield, addentando un pezzo di carne.
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