Capitolo 6: La bottega di ceramiche
Noor era da poco rientrato a casa con un'aria stranamente cupa e si diresse mesto verso la stanza in cui Enora stava riposando.
«Devo dirti una cosa importante» esordì appena entrato. Enora riuscì a percepire la preoccupazione dalla sua voce e si voltò preoccupata verso di lui.
«Riguarda Arkara» disse in risposta all'espressione della sorella.
«Le è successo qualcosa di grave?»
«No, ma abbiamo parlato, e mi ha detto che deve andare fuori dal Regno». Noor prese a tormentarsi le mani e poggiò la spalla alla parete per evitare di cominciare a camminare in tondo, sperando che non gli facesse ulteriori domande. Enora, però, contrariamente a ciò che si era aspettato, gli diede le spalle e parlò a voce talmente bassa che fece fatica a capirla.
«Non mi ha detto nulla... credevo che le importasse la mia opinione».
«Ma a lei importa di te! - la interruppe - È stata una decisione che ha dovuto prendere all'improvviso, non ha avuto il tempo di realizzare ciò che stava accadendo ed è dovuta andare... via».
«So che c'è qualcosa che non vuoi dirmi, ma per adesso mi va bene così». Conosceva fin troppo bene suo fratello per credere a quelle parole, ma non voleva essere lei a costringerlo a parlare e, inoltre, era troppo arrabbiata per starsene lì a sentirgli rivelare un segreto che la sua migliore amica aveva deciso di raccontare solo a lui. Si strinse nelle spalle e lo sentì voltarsi per uscire dalla stanza.
«Sai che dovrai darmi delle spiegazioni» aggiunse prima che il fratello varcasse la soglia. Lui abbassò lo sguardo senza rispondere e si chiuse la porta alle spalle.
Arkara camminava lenta per la strada deserta. Ogni passo che faceva in avanti aggiungeva un altro dubbio a tutti quelli che le affollavano già la mente, riempiendola così tanto che quasi le doleva. Non era ancora convinta che la Resistenza fosse la scelta giusta o se invece si stava condannando a morte certa, e all'improvviso la prospettiva di reggere una spada ed entrare in battaglia le attanagliò le viscere costringendola a fermarsi per non vomitare. Inspirò più volte per recuperare tutto il coraggio che sembrava aver perso per strada e ricordò a sé stessa l'obiettivo che si era prefissata. Riuscì a calmarsi quel tanto che le bastò per alzare nuovamente gli occhi chiari sulle botteghe sbilenche della seconda strada ovest, e si ritrovò davanti a una che vendeva ceramiche; o, almeno, era ciò che recitava l'insegna.
"Ne vale davvero la pena?". Tirò un bel sospiro ed entrò a testa bassa.
Il suono del campanello posto sopra la porta d'ingresso risuonò nel piccolo negozio, attirando l'attenzione del ragazzo dietro al bancone.
La bottega era quasi totalmente in penombra e Arkara riusciva a scorgere soltanto le ceramiche più vicine grazie alla luce di qualche candela, che le rendeva quasi macabre. Azzardò un mezzo saluto imbarazzato per far capire di essere entrata, e proseguì dritto cercando di non soffermarsi sulle ombre che le sculture gettavano sui muri.
«Il negozio è chiuso, siamo a lutto per la nostra amata Regina».
Arkara sussultò. Nella quasi totale oscurità non si era nemmeno resa conto che ci fosse qualcuno, così distolse lo sguardo dagli oggetti attorno a lei e cercò di scorgere al meglio i lineamenti di colui che le stava di fronte. Aveva parlato un ragazzo giovane, di bell'aspetto, con dei corti capelli biondi e dei grandi occhi color miele che splendevano alla fievole luce della candela, donandogli una strana brillantezza. La corporatura massiccia, che si intravedeva dalla semplice casacca scura che indossava, era in netto contrasto con i lineamenti sottili e quasi fanciulleschi del viso, e ci vollero diversi secondi prima che la ragazza notasse l'espressione goliardica con cui la stava scrutando.
«Cerco Etios, sei tu?» chiese poi con aria disinvolta, come se sapesse esattamente ciò che stava facendo.
«Il capo arriva domani: se vuoi fare delle ordinazioni dovrai aspettare lui, ma prima della fine del lutto non torneremo comunque in attività» rispose con un sorriso professionale, ma Arkara non cambiò la propria espressione.
«Sono qui per il gruppo di Resistenza» gli disse guardandolo negli occhi ambrati che, alle sue parole, si sgranarono di sorpresa.
«Non so di cosa stai parlando, questa è una semplice bottega che vende ceramiche e noi... noi non andremo mai contro il re». Fece saettare lo sguardo da una parte all'altra cercando di scorgere qualche eventuale guardia reale, ma Arkara non si scompose, né titubò: sapeva di essere nel posto giusto.
«Erik Rakall deve avervi parlato di me, aveva persino cercato di organizzarmi un incontro con Etios a mia insaputa. Allora non ero a conoscenza di ciò che so adesso e non mi sono presentata, ma adesso ho le idee decisamente più chiare; quindi, come avrai capito, non c'è bisogno di recitare».
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
«Non credi di essere troppo giovane? Quanti anni hai?»
«Non importa la mia età, ciò che conta è che so che razza di persona sia il re. Ha ucciso la regina e ha inscenato tutto questo solo per rifilare alla gente chissà quale altra bugia mentre si finge a lutto, e io non voglio più stare a guardare». Non sapeva da dove le saltasse fuori tutto quel coraggio, non aveva mai parlato così apertamente a nessuno, se non a Noor ed Enora, ma era davvero andata troppo oltre per potersi tirare indietro, e forse se avesse continuato a mostrarsi così sicura magari si sarebbe convinta di esserlo realmente.
Il garzone la guardò colpito, e forse anche Etios sarebbe stato d'accordo con lui: di certo non le mancava la grinta, e inoltre sembrava avere delle informazioni piuttosto importanti. Si chiese come facesse a sapere dell'omicidio, ma non era compito suo interrogare le possibili reclute prima di arruolarle.
«Mi hai convinto, ragazzina, ma dovrai tornare ugualmente domani; è Etios che decide, non io».
Lei lo guardò senza riuscire a nascondere una certa soddisfazione, poi si girò e si diresse verso l'uscita.
«E comunque mi chiamo Arkara, non ragazzina. Cerca di tenerlo a mente» aggiunse prima di andare via.
«Piacere di conoscerti, Arkara» rispose lui dopo che uscì.
Arkara aprì piano l'uscio della porta di casa e cercò di fare meno rumore possibile. Era buio già da un pezzo e non era mai rientrata a quell'ora.
«Madre, padre, sono tornata».
Nessuna risposta; non era un buon segno.
Entrò in cucina e trovò i genitori seduti a tavola, la sua cena ormai fredda servita al suo solito posto: era nei guai, ne era consapevole, ma sapeva cosa avrebbe dovuto dire.
«Vi prego di perdonare questo terribile ritardo, ma...»
«Non voglio sentire scuse, Arkara». La voce forte e autorevole del padre non ammetteva repliche. Ogni volta per lei era come ricevere uno schiaffo, ma quella volta era diverso e avrebbe dovuto trovare il coraggio di parlargli.
«Mi dispiace, padre, ma stavolta mi dovrai ascoltare. Domani sarà l'ultima volta che mi vedrete. - disse rivolta anche alla madre - Andrò via, devo farlo. Ho diciassette anni ormai, ho bisogno di sapere e non posso più aspettare».
«Cosa stai dicendo? Cosa è questa storia?». Heugene strinse i pugni per evitare di urlarle contro, ma dovette sedersi e respirare a fondo per processare bene quelle parole. Angelin, la moglie, gli aveva detto che quel momento sarebbe arrivato, che non avrebbero potuto trattenerla a lungo, ma non poteva permettere che accadesse così...presto. Era troppo pericoloso, e non poteva rischiare di perderla.
«Devo farlo! È il mio compito».
«No, Arkara, tu non lo farai».
La figlia alzò lo sguardo un po' sorpresa dalla rabbia con la quale il padre aveva parlato.
«Non puoi impedirmelo, padre, non questa volta».
Non avrebbe retto i loro sguardi per un secondo in più, così corse nella propria stanza senza aspettare una risposta, e chiuse la porta.
Era notte fonda quando si svegliò; non era stato facile prendere sonno, e quando finalmente c'era riuscita era stato popolato da incubi. Sapeva che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi, così decise di andare in cucina.
Cercò di camminare cautamente: era successo tante volte che lei si svegliasse di notte e sua madre con lei, ma adesso non voleva che accadesse. Restò sorpresa quando la trovò accovacciata su una sedia, gli occhi rossi, il volto stanco e pallido, il corpo sempre più abbattuto dai troppi anni di lavoro. Aveva lavorato il doppio nel feudo del re da quando Arkara era entrata nella sua vita e adesso che il tempo stava facendo il suo corso, anche il fisico ne risentiva.
«Stavolta sarai tu a dovermi fare compagnia». Angelin parlò piano, con voce estremamente afflitta. Arkara rimase pietrificata nell'esatta posizione in cui si trovava, incapace di avanzare. Non era molto brava negli addii, e sua madre era l'ultima persona a cui avrebbe voluto dirlo.
«Per l'ultima volta». Ormai era una supplica quella che la donna rivolgeva alla figlia.
«Madre...» iniziò Arkara senza sapere bene come continuare. Voleva mostrarsi forte, voleva trasmetterle sicurezza e rassicurarla che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe tornata presto, ma non riuscì a dire nulla. Le lacrime si erano accumulate in fretta sulla rima degli occhi, e sentiva che se avesse detto anche una sola parola sarebbero irrimediabilmente scese senza che le potesse più fermare.
«Non hai bisogno di giustificarti, tesoro, non con me. Io non sono contraria, è giusto che tu debba fare questo viaggio per capire chi sei. Sono dalla tua parte come sono sempre stata, e come sarò sempre. Non preoccuparti per tuo padre, ci penserò io a convincerlo che è la scelta giusta, e vedrai che con il tempo lo accetterà».
Arkara non riuscì più a trattenersi e scoppiò in un pianto liberatorio tra le braccia della madre lasciando che le carezzasse i capelli.
«È difficile per lui, lo sai che ti ama più di qualsiasi altra cosa» le disse piano la donna.
La ragazza annuì mentre le lacrime continuavano a scendere: dire addio era più difficile di quanto pensasse.
Etios era arrivato presto quella mattina, aveva viaggiato tanto e aveva bisogno di riposarsi.
«Come mai già qui?». Breit stava sistemando le ceramiche più belle in vetrina, e lo aveva visto arrivare dalla punta della strada.
«Sono distrutto. Questo viaggio è stato particolarmente difficile, ho rischiato più volte di lasciarci le penne».
«Come se fosse una novità» rispose abbozzando un sorriso, e l'altro ricambiò con un ghigno divertito.
«Cosa è successo mentre ero via?». Etios si recò nel retro bottega e si tolse la casacca per medicarsi le ferite che si era procurato a furia di lotte con soldati e cinghiali. Fece una smorfia quando allungò il braccio verso il giovane per prendere delle bende pulite, ma il suo corpo aveva superato prove ben più ardue e a dimostrarlo erano le numerose cicatrici.
«Allora, ragazzo, cosa è successo?».
Breit lo guardò per qualche istante.
«Dovresti reclutare altri ribelli».
«Sai che per ora non possiamo rischiare» rispose facendosi d'un tratto serio.
«E tu sai che specialmente adesso ne abbiamo bisogno».
Si guardarono entrambi negli occhi, poi Etios si sedette dietro la scrivania, poggiandovi i piedi sopra.
«Chi sarebbero?».
Breit distolse lo sguardo, e fece finta di essere impegnato con qualche cassa lontano da lui.
«I ragazzi che lavorano nel feudo. Sono tornati di nuovo, e sono diventati un piccolo gruppetto, adesso. Credo che dovresti dargli una possibilità».
Etios si limitò solo ad annuire. Erano un po' troppo piccoli per i suoi standard ma doveva ammettere che si erano dimostrati piuttosto determinati negli ultimi mesi, testardi addirittura, e poi non se la sentiva di lasciarli lavorare come schiavi dall'alba al tramonto. Dopotutto lottava affinché tutti ottenessero la libertà che gli spettava, e in quel momento la Resistenza era l'unico posto in cui avrebbero potuto averla.
«E poi c'è una ragazza di nome Arkara» aggiunse in fretta.
L'uomo dagli occhi scuri si girò di scatto verso di lui. Stava per ricadere in una delle sue solite sfuriate, ma il suono del campanellino all'ingresso lo frenò.
"Sarà lei" pensò Breit senza dirlo a voce alta, e tornò dietro al bancone stampandosi addosso uno dei suoi soliti sorrisi professionali.
«Ah, sei arrivata».
«Pensavi che avrei avuto dei ripensamenti?».
Lui non rispose e si limitò a indicarle con la testa la porta che aveva dietro; lei annuì e superò il bancone, pronta a cominciare una nuova vita.
Aprì lentamente la porta e quasi non soffocò. L'aria in quella stanza era pesante e piena di polvere. I muri non si vedevano quasi più coperti da scaffali e quadri di poco gusto; una moltitudine di libri era sparsa per tutta la stanza, mentre i ripiani erano pieni di vecchie ceramiche rotte e bottiglie di alcolici mezze vuote. La flebile luce che riusciva a penetrare nella stanza, nonostante fosse pieno giorno, proveniva da una piccola finestra posta in alto nella parete di fronte l'entrata e, come se non bastasse, c'erano due candele accese che contribuivano all'atmosfera soffocante che si respirava.
L'uomo era ancora seduto sulla vecchia sedia cadente con le gambe poggiate sulla scrivania, senza curarsi delle carte che erano cadute attorno. Non mostrò nessun segno di attenzione verso la ragazza, così cominciò lei a parlare: era troppo importante per badare alle buone maniere.
«Il mio nome è Arkara Farrell, e sono qui per entrare nel gruppo di resistenza».
Etios non si mosse; si sentì solo sbuffare.
«So che mi state ascoltando, e se pensate di farmi cambiare idea con questo comportamento vi sbagliate di grosso. Non mi conoscete, non sapete come sono e...»
«Calma, ragazzina, io non sono Breit». Etios tolse le gambe dalla scrivania e alzò lo sguardo su di lei.
Arkara rimase impietrita, non era affatto come si aspettava.
Gli occhi scuri sembravano spiccare dai capelli che gli cadevano sul volto nascondendo una cicatrice che gli attraversava l'occhio sinistro fino allo zigomo, regalandogli un'aria truce; non portava la barba, ma aveva un pizzetto che ormai aveva bisogno di essere tagliato, e delle piccole bruciature si riuscivano ancora a intravedere nonostante la carnagione scurita dal sole. Aveva lo sguardo profondo e sembrava osservarti dall'interno, come se sapesse cosa stessi pensando, come se avesse vissuto troppe esperienze per considerarsi ancora un uomo normale.
Arkara non disse nulla, si sentiva quasi paralizzata. Doveva avere una grande forza per essere diventato così importante tra i ribelli.
«Arkara Farrell, eh? La figlia del fornaio» disse squadrandola con sufficienza.
«Conoscete mio padre?»
Etios inarcò un angolo della bocca e poggiò le spalle allo schienale di legno dietro di lui, soppesando la ragazza che gli stava di fronte e ciò che si portava dietro.
«E tu vorresti entrare nel gruppo di Resistenza?»
Arkara lo guardò sentendo addosso la pesantezza del suo sguardo, e annuì con vigore.
«Non mi spaventano i vostri modi da difficile. So ciò che ho visto, e non voglio rimanere in disparte mentre il Regno viene distrutto da un povero pazzo».
L'uomo scattò in piedi e batté forte i pugni sul tavolo. Anche Breit balzò in aria.
«Ragazzina, qui non si va avanti con belle parole! Dovrai sacrificare i tuoi capelli puliti e i tuoi vestiti da grande festa! Dovrai lasciare la tua casa, la tua famiglia, la tua Terra, e dovrai combattere contro dei bastardi che potrebbero ucciderti ogni giorno, ogni notte e in ogni momento della tua vita! Non sarai mai realmente al sicuro, non sarai mai del tutto sazia né dissetata, dovrai alzarti ogni giorno all'alba, combattere, combattere e ancora combattere! E non aspettarti qualcuno che ti venga a rimboccare le coperte alla fine della giornata, perché a volte neanche le abbiamo le coperte! E se solo lo hai pensato sei una stupida ragazzina che non conosce nulla della vita, nulla!»
Si era sporto in avanti e le aveva urlato in viso con tanta ferocia che Arkara dovette resistere per non abbassare lo sguardo. Non aveva considerato questo aspetto, non aveva pensato a niente di quello che aveva detto lui. Ma che cosa credeva, che sarebbe stata una passeggiata? Che avrebbe avuto tutto a disposizione? Ma no, lei non si sarebbe arresa, non l'avrebbe data vinta a quell'uomo. Non avrebbe rinunciato al suo compito, non adesso.
Lei era coraggiosa, lei poteva farcela. Lei doveva farcela. Etios la fissava in attesa di una risposta e lei si sforzò per pensarne una che riuscisse a convincerlo.
«Non è stata una decisione presa all'improvviso, sono consapevole di quello che patirò e di come sarò costretta a vivere. Credete forse che sia una mocciosa che vuole fare l'eroina? Credete che sia una ragazzina che vuole solo farsi notare? E se solo lo avete pensato non siete altro che uno stupido».
Etios la guardò interessato. Non si aspettava certo di annoverare il suo nome tra quelli dei soldati della Resistenza, ma doveva riconoscerle una massiccia dose di coraggio solo per il fatto di essersi presentata. Era grintosa, tenace, e il fisico minuto l'avrebbe resa agile nei combattimenti dopo gli allenamenti di Nahil. Le reclute scarseggiavano nell'ultimo periodo, soprattutto a causa delle battaglie di confine che facevano ripiombare le persone nell'incubo di un'altra guerra, e non era esattamente nella posizione di rifiutare due braccia che si offrivano volontarie, anche se erano quelle di Arkara Farrell. Ares non l'avrebbe presa bene. Si sistemò di nuovo sulla sedia poggiando pesantemente la testa sulle mani e poggiò il viso sulle nocche, lasciando che lunghe ciocche scure gli ricadessero davanti gli occhi.
«Bene. La tua missione inizierà domani. Partirai con Breit all'alba insieme a tutti gli altri. Non ammetterò un ritardo, e se non sarai puntuale potrai ritenere la tua esperienza conclusa. Avrai capito che la strada da percorrere sarà tutta in salita. Puoi andare, adesso».
Arkara si lasciò sfuggire un sorriso di soddisfazione e annuì.
«Non ve ne pentirete».
Il ribelle la guardò qualche istante fino a quando non si chiuse la porta alle spalle e poi riprese la stessa posizione in cui lo aveva trovato.
La ragazza dai capelli rossi uscì dalla bottega di ceramiche ed espirò come per levarsi un peso.
Ora iniziava davvero la sua nuova vita.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top