Capitolo 49: Parte 2 - La ragazza dalla collana di perle

Christopher si divincolò dall'enorme calca di soldati che spingeva per entrare, e raggiunse l'androne del castello alla disperata ricerca di Enora. Quando Klethus e un manipolo di soldati erano tornati indietro per avvisarli della conquista del castello e per portargli il messaggio di Nayél, lui si era catapultato dentro le mura di Olok.

Aveva giurato che non avrebbe più combattuto. Aveva messo tutto sé stesso nelle mani di Isidora, e aveva promesso che non avrebbe più imbracciato un'arma se non per lei. Enora, Elisea, era tutto ciò che gli era rimasto della regina: era sua figlia, nonostante lei si ostinasse a ignorarlo, e avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per proteggerla. Aveva già infranto quella promessa in passato, durante la prima battaglia di Enora, quando era appena entrata negli Elyse, e adesso si ritrovava di nuovo con una spada in mano.

"Vediamo se mi ricordo ancora come si fa". Fece mulinare la lama sopra la testa, sentendone il sibilo familiare, e assunse la classica guardia alta.

Un soldato lo caricò di lato con una spallata, lui perse l'equilibrio per un attimo poi piantò bene i piedi per terra, cercando di allargare le gambe e abbassare il bacino. Resistette all'assalto e, da quella posizione, contraccambiò il colpo atterrando il nemico. Impugnò l'arma per calare sull'uomo, ma un altro gli venne addosso ferendolo al braccio con cui la reggeva.

Si voltò verso il vile che lo aveva attaccato alle spalle, con un ringhio di rabbia e dolore. L'elsa era diventata scivolosa e faticava a mantenere la presa salda, ma non aveva la minima intenzione di lasciarla cadere.

Con la coda dell'occhio notò che il primo uomo che aveva atterrato si stava pericolosamente rialzando, così si spostò da quella posizione centrale tra i due e si defilò leggermente. Approfittò della distrazione del soldato a terra e, prima che l'altro trovasse un modo per colpirlo senza finire addosso al compagno, sferrò un calcio dritto sul braccio su cui si reggeva, rompendoglielo di netto.

Le urla dell'uomo riecheggiarono nella sala dal soffitto alto, illuminato da enormi candelabri appesi, e Christopher si riempì di quel dolore come se, in qualche modo, potesse mettere a tacere il suo.

Il secondo soldato guardò di sottecchi il proprio alleato, urlante ai piedi del nuovo generale degli Elyse, gettò lo scudo di lato e lo caricò con la spada levata sopra la testa. Il ribelle sorrise famelico, pronto a difendersi.

Si abbassò flettendo le gambe per evitare il fendente a mezz'aria e, con un movimento della lama dal basso verso l'alto, gli lacerò la coscia.

Il soldato lasciò cadere l'arma e si accasciò al suolo pallido in viso, senza avere la forza neppure di urlare. Christopher lo guardò dritto negli occhi mentre gli affondava la lama nella gola, poi uccise anche il primo che lo aveva attaccato, che nel frattempo aveva strisciato sugli avambracci per allontanarsi il più possibile.

Si concesse un attimo di pausa per riprendere fiato e si concentrò per dirigere lo sguardo ovunque fuorché sul taglio che gli squarciava il braccio dal gomito in giù. Non guardava mai le ferite durante le battaglie: credeva che dovesse essere il corpo a reagire al dolore e impedire di continuare a combattere, e che non dovesse quindi essere una scelta razionale dettata da una ferita più o meno orribile alla vista.

Allentò la presa sull'elsa afferrandola con la mano sinistra, potendo quindi aprire e chiudere le dita del braccio offeso. Piccole scariche glielo percorsero interamente e dovette notare con disappunto che la mobilità si era ridotta. Poco male: avrebbe impugnato l'arma a due mani, per evitare di sovraccaricare un solo braccio.

Alzò lo sguardo e girò in tondo su sé stesso alla ricerca della figlia, e la vide dopo qualche secondo in piedi sulla balconata del primo piano. Dietro Angus. La vide essere scaraventata alla parete senza che quello la toccasse, e la vide immobile riversa sulle scale.

«Elisea!»

«Enora!»

L'urlo dei due uomini si profuse all'unisono sopra lo stridio della battaglia, e Christopher e Danker si ritrovarono a sgomitare e combattere assieme per raggiungere le scale che conducevano al primo piano, destreggiandosi tra i nemici e spalleggiandosi a vicenda.

Angus raggiunse la ragazza e la sollevò dal pavimento di marmo con il solo movimento di due dita, facendola levitare in modo che rimanesse dritta davanti a sé. Enora era priva di sensi, la testa ciondolante sul busto e gli arti mollemente abbandonati.

Quando il servitore del re le infuse un globo luminoso all'altezza del cuore, la ribelle spalancò gli occhi ed emise un urlo muto.

«Non è ancora il tuo momento, ragazzina. Sarà il re a porre finalmente fine alla tua ignobile vita» le sibilò a un passo dal viso, mentre lei riprendeva lentamente conoscenza.

Stenphield si materializzò tra lui e la nipote, sferrandogli un pugno sullo stomaco. Decisamente inusuale per uno come lui, ma l'espressione nel suo viso, solitamente impenetrabile, lasciava trasparire una certa soddisfazione.

Angus indietreggiò leggermente piegato su sé stesso. La mancanza di concentrazione interruppe il controllo sul corpo di Enora, che cadde nuovamente sul pavimento; questa volta, però, fu in grado di rialzarsi quasi subito. L'elfo si interpose ancora tra loro due, lasciandole il tempo di riprendersi.

«Che ne dici di smettere di fingere ciò che non sei? Combatti contro di me, come ai vecchi tempi» lo provocò Stenphield, riappropriandosi di tutta la sua compostezza.

Il servitore arricciò le labbra all'insù mentre i suoi lineamenti mutavano lentamente, lasciando emergere tutta la bellezza della razza elfica, nonché le emblematiche orecchie a punta.

«Non mi puoi sconfiggere, Stenphield. Ci provi da secoli, e il risultato non è mai cambiato».

Aveva ragione. Non c'era mai riuscito quando erano solo dei ragazzini che scoprivano le proprie abilità durante gli allenamenti nella loro comunità, lontana e schermata dagli esseri umani; non lo aveva sconfitto quando aveva distrutto il luogo in cui vivevano, e non lo aveva fermato quando aveva deciso di allearsi con Alec e aiutarlo a unire i Territori del Nord e del Sud. Aveva lasciato che quel mostro sposasse sua figlia Isidora, aveva permesso che Angus la plagiasse a tal punto che neppure lui era riuscito a dissuaderla. Ma, adesso, sarebbe stato diverso.

Mosse le mani in circolo con i palmi vicini, creando un piccolo vortice di energia scura che gli lanciò mirando al petto. Angus rimase immobile, lasciando che il pavimento dinanzi a lui si sollevasse in uno scudo che accusasse il colpo al posto suo.

Si spostò lateralmente per cercare di colpire Enora con un globo infuocato, ma una freccia gli ferì una guancia, non più ruvida e ispida come la maschera che indossava da essere umano, ma liscia e diafana.

Angus portò un dito sulla ferita e osservò il sangue viola impregnargli le dita. Erano decenni che non lo vedeva. Si sporse oltre il parapetto e guardò in basso da dove era arrivato il colpo, scorgendo una testa rossa sovrastare un paio dei soldati di Olok, le braccia ancora tese per reggere l'arco e un sorriso trionfante stampato in viso.

Enora seguì la direzione dello sguardo del nemico e vide Nayél che, nonostante il braccio dolorante, era riuscito a prendere una mira sufficientemente buona. Gli rivolse un grande sorriso anche per scusarsi del modo in cui lo aveva trattato prima, ma notò lo sguardo azzurro di lui adombrarsi all'improvviso e scorse con la coda dell'occhio un fascio luminoso partire dal palmo di Angus e trafiggergli il petto.

Vide il sorriso che aveva imparato ad amare spegnersi lentamente, e lo vide accasciarsi sanguinante al suolo, tra spasmi e gemiti.

«Ammazzateli tutti!». La voce dell'elfo dagli occhi neri arrivò nitida dal parapetto della scalinata. Non aveva abbastanza energie per occuparsi da solo della protezione e del potenziamento di sé stesso e di tutti i soldati, né aveva più le energie per scagliare attacchi ad ampio raggio come aveva fatto durante il breve assedio al castello. Era esausto, e sapeva che senza il suo aiuto tutti quegli uomini sarebbero presto morti, ma quantomeno avrebbero trascinato con loro centinaia di quei criminali che si credevano eroi.

Enora sentì qualcosa spezzarsi dentro di lei. Il suo corpo non era capace di reggere altro dolore, le sembrava che il cuore le stesse per scoppiare, e si sentì bruciare fin nelle viscere. Indirizzò ad Angus uno sguardo spettrale, opaco, in totale contrasto con il fuoco che le divampava nello stomaco, sollevò la spada che era ancora sul pavimento macchiato del suo stesso sangue e si preparò per scagliarsi su di lui.

Ancora una volta venne fermata da Stenphield, che le afferrò un polso e la tirò dietro di sé, mentre con l'altra mano issava uno scudo largo abbastanza per difendere entrambi dalla pioggia infuocata che l'elfo gli aveva lanciato contro.

«Nayél starà bene» le disse, indicando con un pollice il campo di battaglia sotto di loro, dove Christopher e Danker avevano raggiunto la base delle scale e si stavano occupando di spostare il corpo del ragazzo.

«Va' dal re. È lui la tua missione».

Enora inspirò a fondo, il nodo che le attorcigliava le viscere sembrava essersi sciolto un poco alla vista di suo padre che si prendeva cura di Nayél, ma il fuoco che sentiva arderle dentro era ben lungi dall'essere estinto. Strinse l'arma fino a che le nocche non divennero bianche, piantò lo sguardo sulla porta chiusa della Sala del Trono e si incamminò in quella direzione senza degnare Angus di ulteriori attenzioni.

Stenphield evitò che lo stregone arrivasse a lei: fece in modo che il pavimento gli tremasse sotto i piedi e lui fu costretto a fermarsi.

«Non capirò mai che cosa ti abbia spinto a legarti ad Alec. Hai addirittura mutato il tuo aspetto, infrangendo una delle nostri leggi più sacre, per andare dietro a un pazzo come lui». L'elfo dagli occhi viola abbassò i palmi, poi li mosse piano verso l'esterno spazzando via tutti i detriti che si erano accumulati attorno a loro, lasciando il piano sgombro da ogni ostacolo.

Angus leccò con la punta della lingua l'unica goccia di sangue che gli era scivolata dal taglio sulla guancia e che era giunta fino all'angolo della bocca. Sfregò le dita e le allontanò velocemente, creando dei piccoli fulmini tra le mani. Sapeva che Stenphield si stava trattenendo per non distruggere il castello, ma a lui adesso non importava più la fine che avrebbero fatto tutte le persone ancora lì dentro, né gli sarebbe importato se l'intero palazzo fosse crollato.

Scagliò le saette contro il suo nemico, ma il ribelle si scansò rapido lasciando che si schiantassero contro la parete dietro di lui, formando un enorme cratere bruciacchiato sul muro e facendo vibrare il pavimento.

Stenphield non si scompose, creò dal nulla una spada e la impugnò con entrambe le mani.

«Credi che ti lascerò avvicinare tanto da potermi colpire con quella?»

L'elfo dagli occhi viola sorrise, mirò con la lama dritto davanti a sé e, senza che muovesse nessun altro muscolo, decine di spade gli comparvero da dietro le spalle con tutte le punte rivolte verso Angus.

Una pioggia di lame lo travolse. Alcune si scontrarono con la protezione magica che aveva eretto, ma quella presto svanì a causa dei colpi rapidi e incessanti che si susseguivano e della scarsa energia dell'elfo, così che venne colpito ripetutamente.

Si accasciò al suolo, sanguinante e incapace di reagire alla velocità degli attacchi, un'altra blanda difesa blu-violacea faceva in modo che non venisse trafitto ulteriormente, ma presto avrebbe ceduto pure quella. Alzò leggermente la testa notando che Stenphield si avvicinava a lui implacabile, pronto per farla finita una volta per tutte, e capì che non ce l'avrebbe fatta.

Con uno sforzo incredibile chiuse gli occhi e sparì, materializzandosi molto lontano dal Real Castello.

L'elfo ribelle rimase stupidamente in piedi a fissare il punto in cui fino a un attimo prima era rannicchiato il fedele servitore di Alec. Provò a raggiungerlo, ma Angus si era già schermato e non fu in grado di comprendere dove fosse andato. Scagliò di lato l'arma che ancora reggeva tra le mani, accatastandola a tutte quelle che si erano ormai accumulate sul pavimento, e con passo svelto percorse il corridoio davanti a lui.

Quando Enora spalancò la porta della Sala del Trono con un calcio, lui era lì, da solo, intento a osservare la distruzione della sua città dal grande balcone che concedeva una visuale piuttosto ampia della Capitale.

«Ti aspettavo. Sapevo che saresti arrivata» le disse il re senza nemmeno voltarsi.

Enora avanzò lentamente con il petto leggermente affannato, la punta della lama che strideva sul pavimento e gli intensi occhi verdi fissi sulle spalle di Alec.

«Voltatevi. Voglio guardarvi in faccia mentre morite per mano mia».

Il Sommo Sovrano sorrise, lo sguardo rivolto alla città che si dispiegava sotto di lui, la sua Olok. Sguainò la spada appesa alla cintola, e si voltò.

Eccola lì la ragione di tutti i suoi problemi, la bambina che aveva distrutto la sua famiglia e il suo Regno. La ragazza che era costata la vita a Isidora e Fabian, stupidamente pronti a morire per la sua incolumità. La guardò con sdegno, ostentando tutta la superiorità che la figlia di due traditori non avrebbe mai potuto avere, e mosse qualche passo nella sua direzione.

Fu Enora ad attaccare per prima. Alec parò il colpo con il filo della sua arma, e le due lame stridettero fino a toccarsi le else. Con uno scatto la ragazza tornò indietro, e il re assunse la posizione di difesa, con le gambe larghe e il bacino basso.

Si squadrarono per alcuni secondi girando in tondo, poi il re affondò sul fianco di lei, che riuscì a parare il colpo con il piatto della lama. Un rapido movimento del polso ed Enora girò la spada, colpendo il sovrano a una coscia.

Alec indietreggiò veloce, toccò la ferita con la mano libera e la ritrovò sporca di sangue. Lurida ragazzina. Si gettò su di lei con una collera che non provava da tempo, una rabbia viscerale.

Lui non combatteva da anni, era vero, ma Enora era visibilmente stremata, e i suoi movimenti bruschi e ampi erano dettati dall'odio più che dalla strategia. Lui, invece, era perfettamente in grado di mettere a tacere i sentimenti che provava e agire lucidamente. Il colpo successivo, infatti, colpì la ribelle nel braccio, facendola cadere.

Enora si ritrovò a terra, disarmata, esausta, e Alec troneggiò su di lei pronto a colpire. La ribelle chiuse gli occhi e, con le ultime forze che le restavano, sferrò un calcio colpendolo in pieno petto.

Il Sommo Re indietreggiò senza fiato, così lei ebbe il tempo di rialzarsi in uno scatto di reni, recuperare l'arma e ferirlo su un fianco. Il sovrano cadde sanguinante sul pavimento, pervaso da un dolore che non provava da anni.

Enora allontanò la spada dal nemico con un calcio, afferrò l'elsa della propria con entrambe le mani e calò sullo stomaco. Gli schizzi di sangue le arrivarono persino in viso, e sorrise feroce.

Alec non ebbe il tempo di reagire.

Lo colpì al petto, alle gambe, al ventre, al viso, continuando fino a quando del Sommo Sovrano non rimase che un corpo irriconoscibile, fino a quando le forze non la abbandonarono completamente.

Strappò con un solo gesto la collana dalle ventiquattro perle che indossava da quasi due anni. Erano poche quelle che avevano mantenuto intatto il loro colore, adesso macchiate indelebilmente del sangue dell'uomo che aveva appena ucciso.

Macchiate come le sue mani, come la sua anima.

Le ginocchia le cedettero e cadde senza più riuscire a muoversi. Strinse gli occhi, completamente inzuppata nel sangue di Alec, si cinse le ginocchia e pianse.

Alla fine ce l'aveva fatta, aveva concluso la sua missione.

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