Capitolo 48: Parte 2 - Spire di vendetta
L'alba era appena sorta quando Kelys diede l'ordine al suo plotone di prelevare i civili dalle celle come gli aveva ordinato il re. La differenza, però, era che i suoi soldati sapevano esattamente cosa avrebbero dovuto fare quel giorno. Gli stregoni di Alec erano morti o fuggiti, e questo significava che le Armate Nere e il castello avevano perso la loro protezione, affidata quindi solo alla forza dei soldati... e a lui.
I prigionieri vennero scortati verso Piazza delle Comunicazioni, in un silenzio assordante interrotto solo dai gemiti dei più spaventati. Raggiunta la meta Razor prese il comando e ordinò ai propri soldati di portare i mal capitati in prima linea, puntandogli la lama in gola.
Attesero in questo modo l'arrivo dell'esercito nemico e fu ben presto chiaro a ogni prigioniero che la loro presenza fuori dalle segrete non significava salvezza.
Razor vide lo strano uomo dalle orecchie a punta guidare la Resistenza, spavaldamente in prima fila senza nemmeno una barriera magica a proteggerlo, seguito dagli uomini del Leone e del Pesce.
Erano tantissimi.
Il generale strappò una donna dalle mani di uno dei suoi uomini e, tenendole la lama puntata alla gola, si avvicinò da solo verso gli Elyse.
«Il Sommo Re vi offre la resa incondizionata, in cambio delle vite di questi poveri innocenti».
Stenphield si mosse appena, e il generale delle Armate Nere premette la lama sulla prigioniera lasciandole scorrere un rivolo di sangue da sotto il mento.
«Non provare a fare uno dei tuoi trucchetti, mostro» gli intimò.
L'elfo indicò agli uomini dietro di lui di non continuare ad avanzare. Era una mossa che non si aspettava, doveva ammetterlo, ma non potevano lasciarsi fermare.
«Noi non ci arrendiamo» dichiarò poi con la sua solita voce alta e autoritaria.
La ragazza lo guardò sgranando gli occhi, sentendo crollare in quel preciso istante tutte le sue speranze. Le vennero in mente le parole del padre, rinchiuso con lei solo perché avevano provato a unirsi agli Elyse: le aveva detto di avere fiducia nella Resistenza, che li avrebbero salvati uccidendo Alec e liberandoli dalla sua oppressione. Le aveva instillato una fiducia cieca verso i ribelli, l'aveva riempita di speranza e voglia di rivalsa, l'aveva illusa che sarebbe andato tutto bene. Si sbagliava. Erano tutti assettati di potere e non si sarebbero fermati dinanzi a niente.
Razor rise sprezzante e si voltò verso gli altri civili tenendo salda la stretta.
«Vedete cosa vi ha portato aiutarli? Il Sommo Re non vi mentiva, sono solo barbari!» urlò in modo che tutti potessero udirlo, ma nessuno ebbe il coraggio di guardarlo.
«Voi e il vostro re siete solo dei vigliacchi che cercano di vincere con l'inganno una guerra che hanno già perso. Sono io che vi propongo di arrendervi e, in cambio, avrete salva la vita». Stenphield conosceva il peso di quelle parole e l'effetto che avrebbero avuto. Sapeva di non poter liberare la donna che era così saldamente stretta tra le braccia del generale, ma era una vita a favore di centinaia. Non abbassò lo sguardo sulla linea dritta e netta che la spada del generale incise sul collo della giovane, ma fissò impassibile l'abisso oscuro degli occhi di Razor, esaltati da quell'inutile violenza.
Nell'attimo in cui il corpo inerte della giovane toccò il suolo, gli uomini di Olok imitarono il generale, uccidendo ottantaquattro prigionieri. Uomini, donne e bambini, non ci fu differenza. Il sangue si propagò rapido tra gli stivali dei soldati, mischiandosi alla neve e divenendo fango.
Kelys osservò la scena con la schiena percorsa da brividi. Era una violenza inutile. Erano morti inutili. Si scambiò un cenno d'intesa con i soldati dello Scorpione, levò la spada e lanciò un urlo di battaglia scagliando i suoi uomini contro le Armate Nere.
E fu il caos.
I ribelli accorsero immediatamente con le armi ben levate in alto. Avevano deciso di non usare la magia: Olok era pressoché distrutta, il castello non avrebbe retto a un altro attacco dell'elfo, e loro non avevano voluto rischiare di uccidere tutta la gente innocente che ancora era costretta a vivere tra le mura.
Kamal spronò i suoi, Klethus e Stenphield lo imitarono. L'Armata Nera venne accerchiata, chiusa in una morsa letale che non lasciava scampo, lasciandogli solo la possibilità di indietreggiare verso il castello mentre cercavano di contrastare l'offensiva per limitare le già numerose perdite.
La forza dell'esercito ribelle si scatenò facendo leva sull'incredibile superiorità numerica, uccidendo e falciando ogni nemico che gli capitava a tiro, spingendo verso il palazzo reale.
Il Sommo Sovrano della Terra Centrale aveva le ore contate.
Razor lasciò cadere il pesante scudo dopo aver ucciso l'ennesimo nemico, la stanchezza cominciava già ad appesantirgli i muscoli. Solo allora si rese conto di quanto l'aiuto degli stregoni fosse stato fondamentale in passato, imprimendo maggiore forza a ogni singolo fendente, aiutandoli a stancarsi di meno, proteggendoli dai colpi più lievi.
Da quel momento, invece, avrebbe invece dovuto far leva solo sulle proprie capacità. Sapeva che non avrebbe avuto alcun problema in uno scontro equo, ma i nemici erano in troppi e la sconfitta era solo questione di tempo. Li avrebbero costretti al castello chiudendoli tra le mura, li avrebbero assediati e nessuno di loro avrebbe più avuto scampo.
Tutto questo non sarebbe accaduto senza il tradimento dell'esercito dello Scorpione. Tutta colpa di quella sgualdrina di Minerva. Lui aveva sempre guardato con sospetto all'unione dei due schieramenti, ma non aveva osato andare contro gli ordini del suo re e, adesso, il suo esercito era stato colto alla sprovvista, ritrovandosi come nemico il compagno con cui, fino a un attimo prima, lottava fianco a fianco.
Si guardò intorno e ovunque vide Armature Nere crollare come bambole di pezza. Lui non avrebbe fatto quella fine. Corse via tornando indietro nelle retrovie, sfruttando l'unico passaggio che era stato lasciato loro libero per indietreggiare, e usandolo invece per oltrepassare le proprie linee d'attacco e aggirare l'enorme esercito ribelle dall'esterno.
L'unica cosa di cui si rammaricava era non poter mettere le mani addosso a quella donna che si ostinava a credersi una regina: avrebbe voluto fargliela pagare e terminare il lavoro che aveva iniziato con quell'insolente di Hemelya ma, in quel momento, era la sua vita a importargli di più. Se fosse stato catturato era sicuro che non gli avrebbero dato una morte veloce, non dopo tutto quello che aveva fatto; si stava solo salvando la pelle, e questa gli sembrava una giustificazione più che sufficiente per lasciare il campo di battaglia.
Arrivò nei pressi di ciò che restava dell'ormai deserto accampamento nemico appena fuori i cancelli di Olok. Era riuscito ad attraversare quasi indisturbato l'enorme valle desolata che era la Capitale della Terra Centrale: tutti gli uomini erano all'attacco sotto le mura del Real Castello, e nessuno aveva notato un singolo uomo che camminava appiattito tra le macerie e i cadaveri.
Gli serviva un cavallo per poter fuggire e ricordava perfettamente il luogo in cui aveva rapito la principessa, così si diresse in quella direzione trovandone uno che tastava il terreno innevato con il muso alla ricerca di qualche ciuffo d'erba da brucare.
Minerva stava per recarsi nella tenda di re Seamus dopo essere andata a trovare la figlia. Stava meglio, gli orribili segni che Razor le aveva lasciato stavano pian piano scomparendo, ma era il suo animo che più di tutto era rimasto segnato. Continuava a fare incubi e in certi momenti si irrigidiva spaventata e in allerta, con la paura di essere catturata. Le si stringeva il cuore a vederla in quello stato e la rabbia le montava in petto, ma non poteva fare altro che sperare che i suoi soldati uccidessero quel carnefice del generale delle Armate Nere e gli portassero la sua testa.
Un rumore le fece aguzzare la vista alla sua destra, riuscendo a scorgere chiaramente una figura attraversare il campo, stagliandosi con la nitidezza di un gigante in contrasto al bianco candido della neve. Le si gelò il sangue nelle vene quando riconobbe in quella persona in fuga il generale Razor. Strinse i denti. Gettò uno sguardo a terra, raccolse una spada abbandonata e si incamminò rapida verso di lui, facendosi guidare dal sentimento di vendetta.
Bastò poco alla regina per realizzare che il suo gesto impulsivo aveva delle conseguenze che non era in grado di affrontare.
Si era appiattita tra i tronchi e le lance ancora conficcate sul terreno, aveva avanzato nascondendosi nell'ombra di un enorme masso crollato dal cielo durante l'assedio magico ma, quando aveva alzato la spada per colpire il generale alle spalle, non era riuscita a imprimere abbastanza forza. La spada le risultò più pesante di ciò che aveva immaginato e, invece di affondare nella carne, rimbalzò sul bracciale d'acciaio del generale. Lui si era voltato e l'aveva riconosciuta, e le aveva sferrato un pugno allo stomaco senza darle il tempo di reagire.
Minerva crollò a terra, lasciando andare l'arma che atterrò lontana.
Quando Razor la vide inerme e disarmata, decise che la sua fuga poteva ancora aspettare qualche minuto. La raggiunse mentre prendeva il pugnale dallo stivale, poi però cambio idea. Si mise su di lei imprigionandola sotto il peso delle proprie gambe, le afferrò il collo con entrambe le mani e cominciò a stringere. Voleva sentire la sua vita scorrergli tra le dita, decidendo la forza da imprimere per velocizzare o meno il soffocamento. In quella posizione era in grado di controllare ogni cosa della donna che si dimenava sotto di lui; era in grado di controllarne persino la morte.
Minerva scalciò e lo graffiò nel vano tentativo di salvarsi la vita, cercò di urlare per richiamare l'attenzione di qualcuno, ma la sua gola non riusciva a emettere nessun suono se non dei rantoli sempre più smorzati. Il cuore prese a batterle violentemente nel petto, poi sempre più lento. I polmoni si svuotarono in fretta di tutta l'aria che avevano incamerato, e la testa divenne prima pesante e poi incredibilmente leggera. La vista le si appannò tanto che non riuscì più a vedere neppure le proprie mani cercare di colpire il viso e il corpo di Razor, che sembrava calare su di lei con la potenza di un dio. Tutto attorno a lei divenne sempre più sfocato, il buio l'accoglieva come una vecchia amica, il suadente richiamo dell'oblio l'attirava irresistibilmente a sé, le forze le venivano meno. E si arrese.
Seamus se ne stava dentro la tenda a maledire il suo arto di legno. A volte credeva di aver fatto la scelta sbagliata nella battaglia di molti anni prima; avrebbe dovuto lasciarsi morire, piuttosto che rinunciare a ciò che lo rendeva quello che era: un guerriero. Aveva rivelato quei suoi pensieri anche a Klethus quella mattina prima che uscisse per unirsi al plotone, e avevano discusso. Il suo consigliere era andato via senza nemmeno guardarlo, e adesso il pensiero che gli potesse accadere qualcosa lo tormentava più delle altre volte, poiché gli sarebbe rimasto per sempre il ricordo della loro lite.
Un suono soffocato lo fece scattare sull'attenti, si recò verso l'entrata il più velocemente possibile e sbirciò fuori. A pochi metri da lui vide un uomo che si stava rialzando.
Riuscì a scorgerne il viso e venne subito pervaso da una scarica d'odio, così agì d'istinto. Si mosse rapido come non gli succedeva da tempo, e quando Razor si voltò scrollandosi di dosso la vita della regina, gli puntò immediatamente la spada alla gola.
«Sua Maestà Seamus, il re storpio» lo provocò con un ghigno sprezzante. Il sovrano lo conosceva bene, lo aveva visto al comando dell'esercito nero a Sansea e a Naos, e dopo i racconti di Danker ed Hemelya, poteva affermare con assoluta certezza che fosse l'uomo che più detestava al mondo.
«Avevo compreso che foste un vile bastardo, ma non avrei immaginato anche codardo. Lasciare il campo di battaglia e il proprio esercito per salvarsi la vita vi rende la peggior feccia, e io odio la feccia». Seamus parlò lentamente senza mai abbassare la guardia, Razor però si mosse rapido e lo colpì alla gamba sana, facendogli perdere l'equilibrio. La spada gli volò dalle mani, e finì a terra. Accanto a lui, giaceva il corpo senza vita di Minerva.
Il generale gli sferrò un pugno in pieno viso facendogli sputare sangue, e lui si sentì di nuovo inutile. Non voleva morire così. Cercò di difendersi, ma il suo debole colpo fu facile da parare. E si ritrovò a boccheggiare, la gola costretta tra le dita di Razor.
Il generale sembrava estasiato, avere il pieno controllo su qualcuno lo eccitava oltre ogni misura, e si crogiolava nei suoni sempre più sincopati che uscivano gorgogliando da tutte le inutili persone che nulla potevano contro la sua superiorità.
Il panico si impossessò di Seamus mentre provava disperatamente a liberarsi. Tra gli spasmi involontari del corpo ormai quasi privo di ossigeno, il re riuscì a scorgere un leggero luccichio nello stivale del suo assalitore e, facendo appello alle ultime forze, allungò il braccio per cercare di raggiungerlo. Le dita del re sfiorarono l'elsa del pugnale, così si sforzò ancora e lo afferrò.
Razor fece una strana smorfia quando l'arma gli attraversò ripetutamente il fianco. Seamus colpiva con la forza della disperazione, il viso che tornava lentamente al suo colore naturale man mano che il generale lentava la presa. Poi si tolse di dosso il suo peso e tornò a respirare a pieni polmoni.
Si mise a sedere tenendosi una mano sul collo, assaporando l'aria che non avrebbe mai più dato per scontata, osservando le piccole gocce del suo stesso sangue mischiarsi con il candore della neve. Nonostante lo spavento e lo sforzo, però, sorrise. Si era reso utile, aveva trionfato.
A fatica recuperò un pezzo di una lancia lunga che usò come bastone per alzarsi e si avvicinò a Minerva, che lo fissava con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca leggermente aperta in un'espressione mista tra terrore e dolore; le chiuse gli occhi, pensando a Hemelya.
Decise di restare lì a vegliare il corpo in attesa del ritorno dei soldati, non sarebbe riuscito a trasportala fino alla tenda e si sentiva completamente svuotato e privo di energie.
Aspettare era tutto ciò che poteva fare.
Klethus fu il primo ad accorrere, il sole stava tramontando e il campo era illuminato da un riflesso arancione che rendeva tutto quasi innaturale, inconsistente. Quando giunse al campo con un gruppo di soldati del Leone per dare aggiornamenti sull'avanzata notò subito il suo re seduto per terra, e lo raggiunse in fretta temendo il peggio.
«Sire...». Non riuscì a dire altro mentre osservava il corpo senza vita di Minerva, poco lontano da quello del generale delle Armate Nere.
«Quando mi sono accorto della sua presenza, era già troppo tardi. Stava per uccidere anche me».
A Klethus si strinse lo stomaco notando i lividi attorno al collo del sovrano, e sentì uno strano senso di colpa. Se il sentimento che provava per lui non fosse stato giudicato innaturale, sarebbe rimasto al suo fianco e niente di tutto ciò sarebbe successo.
«Darò disposizioni a qualcuno dei nostri soldati per portare il corpo della regina dai guaritori, così che possano occuparsi di lei. Merita una degna sepoltura».
Seamus annuì stanco, e lo guardò mentre dettava gli ordini senza allontanarsi dal suo fianco. Poi, prima che chiamasse qualcun altro per accompagnarlo in un posto all'asciutto, gli afferrò il braccio e si issò.
«Portami nella tenda». Aveva bisogno di lui in quel momento, solo di lui. Il tono era severo, gli stava dando un ordine.
Klethus obbedì, era da quando avevano lasciato Burok che non avevano nessun tipo di contatto, e ritrovarlo fu come tornare a respirare dopo una lunga apnea. Quando entrarono, il re tenne salda la presa sul suo braccio senza dire altro.
«Abbiamo assediato il castello, Vostra Maestà». Tra tutte le cose che poteva dirgli, scelse quelle che meno di tutte avrebbe voluto pronunciare. Ma erano vicini come non capitava da molto, e la distanza era stata l'unica cosa che gli aveva permesso di resistere.
«Davvero credi che mi importi di questo, adesso? Ho passato tutto questo tempo a temere per la tua vita. – sospirò – Mentre tu andavi in guerra, io ero qui a guardare delle stupide mappe. E invece...»
«Sei vivo, Seamus, sei qui con me» lo zittì Klethus, afferrandogli il viso con entrambe le mani.
Il sovrano appoggiò la fronte alla sua, specchiandosi negli occhi verdi del ragazzo dalla pelle ambrata e non resistette oltre, era passato troppo tempo. Lo baciò. Lo fece con foga, con rabbia, tristezza. Voleva trasmettergli tutto ciò che aveva provato, che stava provando. E il consigliere si abbandonò totalmente, tenendolo stretto come a comunicargli che aveva capito, che ciò che sentiva era anche parte di lui.
Durò poco ma sembrò passare un secolo. Si staccarono, ripresero fiato.
«Vado a chiamare il generale Christopher» disse poi il consigliere, assumendo quell'aria formale che gli stava ogni giorno sempre più stretta in presenza del re.
«Poniamo fine a questa maledetta guerra e torniamo a casa» rispose quando ormai il suo amante era andato via e non poteva più sentirlo, lasciandolo solo con i suoi pensieri, le sue paure e i suoi sentimenti.
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