Capitolo 47: Parte 2 - L'impeto di Kamal

Lo scontro magico continuava a infuriare oltre la diciassettesima strada, spostandosi lentamente verso Piazza delle Comunicazioni. Dall'inizio dell'assedio il Real Castello si era velocemente indebolito di molti dei suoi collaboratori magici e, con sempre meno stregoni dalla loro parte, era diventato gradualmente più semplice riuscire a contrastare i loro attacchi ed abbatterne le barriere. Molti dei maghi in tuniche cremisi erano costretti dal re a svolgere un ruolo che non gli apparteneva, commettendo crimini che non volevano fare, così alcuni di loro imitarono Danker unendosi alla Resistenza, mentre altri approfittarono della confusione generale per sgattaiolare via durante la notte o fuggire durante le missioni che Helric gli assegnava. Gli uomini che restavano, tuttavia, continuavano comunque a lottare fino allo stremo dando filo da torcere agli stregoni ribelli.

Sfere infuocate, macerie tramutate in enormi massi, vortici d'aria, pioggia di legno, bolle d'acqua, terremoti e voragini nel terreno resero il campo di battaglia pressoché inagibile per i soldati di entrambi gli schieramenti, per cui gli scontri fisici si spostarono lentamente ai margini della Strada Principale, combattendo tra le macerie e gli ambienti distrutti delle case.

Stenphield lasciò il manipolo dei suoi stregoni sulla quinta strada. Avevano conquistato Piazza delle Comunicazioni ma il tramonto era ancora ben lontano e lui voleva sfruttare al meglio ogni minima possibilità di avanzata. Sapeva bene chi fosse il capo dei maghi che dovevano affrontare, ne conosceva le capacità ed era consapevole di quanto sarebbe stato difficile riuscire a sconfiggerlo.

Helric era già un ragazzo quando, più di trent'anni prima, lo aveva trovato nei pressi di Lanch, a confine con la Terra del Pesce. I suoi poteri erano letteralmente esplosi all'improvviso e lui aveva deciso di scappare prima di far del male a qualcuno. A quei tempi lui aveva da poco inscenato la sua morte e abbandonato il castello dei Territori del Sud; nonostante un'intera vita passata in solitudine, quegli anni con Ermenia e Isidora gli avevano fatto scoprire la gioia di avere qualcuno accanto e si sentiva tremendamente solo senza di loro, così lo aveva portato con sé durante il suo peregrinare lungo tutto il Regno, insegnandogli tutto ciò che poteva affinché riuscisse a governare le doti dei suoi antichi antenati elfici. Quel ragazzo divenuto uomo, però, cominciò presto a usare le sue capacità nel modo sbagliato per ottenere ciò che desiderava. Lui non aveva voluto averci più niente a che fare, e le loro strade si erano divise a Orden, nella Terra del Toro, dopo cinque anni insieme. Non sapeva come fosse finito a capo degli stregoni di Alec ma, se le cose erano rimaste invariate, conosceva il modo per fermarlo.

Lo raggiunse in fretta nella terza strada: stava rigidamente in piedi davanti a un piccolo manipolo di stregoni, non erano nemmeno una decina, circondato da sfere infuocate che lanciava a intervalli irregolari verso le fila dei ribelli. Dove un tempo sorgeva un rigoglioso mercato, adesso c'erano solo bancarelle distrutte e cibo rovesciato sul terreno fangoso.

«Non sei cambiato affatto» gli disse l'uomo dalla tunica cremisi non appena si rese conto della presenza dell'elfo, alzando la voce per sovrastare il rumore della guerra.

Stenphield allargò le labbra in un ghigno, puntò i palmi sul terreno e poi li rivolse verso il cielo, facendo sì che piccole schegge si staccassero dal suolo per scagliarsi come frecce contro quello stregone dalla folta barba bruna. Helric non mosse un muscolo, lasciando che quei minuscoli pezzi di terra si dissolvessero nella barriera che aveva innalzato senza nemmeno spostarsi. Stenphield non si aspettava nulla di meno dal suo vecchio allievo.

Lo stregone si voltò completamente verso di lui, lasciando disperdere le sfere infuocate che gli ruotavano attorno, e cominciando a creare grosse crepe nel terreno che destabilizzarono persino gli uomini sotto il suo comando.

L'elfo levitò per qualche secondo per poi posarsi delicatamente sul pavimento ricoperto di fango e neve sciolta. Con un braccio sollevato sopra la testa, senza smettere di fissarlo, cominciò a risucchiare tutto il vento che soffiava gelido, richiudendone la forza dentro un solo palmo.

Helric impallidì, consapevole di ciò che sarebbe accaduto.

Stenphield inspirò a fondo, il braccio ancora sollevato in aria, il volto perfettamente rilassato, poi schiuse le dita e con un sorriso a labbra strette liberò tutta l'aria che aveva accumulato. Il vortice che si creò nel suo palmo gli scompigliava i capelli, la luce del sole che tramontava alle sue spalle gli conferiva un alone terrificante e, in quel momento, per Helric lui era proprio la rappresentazione di una disgrazia che gli piombava addosso.

L'ultimo re dei Territori del Sud sollevò l'altro braccio, rimasto inerme lungo il fianco, e inserì in quella piccola tromba d'aria che reggeva in mano la stessa energia nera che aveva usato per distruggere il cancello. Con un movimento rapido del polso gliela scagliò addosso, travolgendo lui e gran parte dei suoi uomini.

Helric non ebbe il tempo di impostare una difesa abbastanza forte, ma non sarebbe stato in grado di farlo, lo sapeva. Era migliorato tanto, aveva passato gli ultimi venticinque anni della sua vita ad allenarsi, ossessionato dal raggiungere la stessa potenza dei suoi antenati; lui, però, rimaneva soltanto un misero essere umano e niente avrebbe potuto contro la loro naturale potenza. Venne travolto dal vortice di energia, provando per l'unica volta in tutta la sua vita la vera forza distruttiva degli elfi.

Il vento scatenò tutta la sua furia in un punto solo provocando una grossa voragine nel terreno, per poi disperdersi nuovamente nell'aria a cui apparteneva ricominciando a far muovere ogni cosa. Il boato echeggiò per tutta la città, fermando per qualche istante gli scontri che non avevano cessato di susseguirsi cruenti, facendo crollare case, spaccando il terreno e ingoiando persone innocenti.

Nello stesso momento in cui Helric e i suoi uomini morirono, le protezioni magiche che avevano innalzato si infransero all'istante.

Stenphield si accasciò al suolo, stremato. Si guardò attorno con aria contrita e abbassò lo sguardo per non guardare la desolazione che lo circondava. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, non avrebbe voluto distruggere Olok.

All'ennesimo colpo cieco di Kamal, la barriera magica si sgretolò come polvere, e il terreno tremò violentemente facendo perdere l'equilibrio a entrambi. Klethus guardò stupito il re mentre si rialzava attonito, incapace di credere che ce l'avesse realmente fatta. Lo raggiunse davanti a quella che ormai sembrava aria innocua e allungò incerto una mano per toccare il punto in cui fino a un attimo prima si trovava il muro trasparente.

Non accadde nulla.

Si rivolsero occhiate perplesse, Kamal gonfiò tronfio il petto d'orgoglio, poi iniziarono a correre verso il castello.

I soldati dalle Armature Nere cominciarono a ritornare in fretta alle loro postazioni dopo la sconfitta dei loro stregoni. Sembravano uscire a fiumi dalle mura del castello e i due ribelli si ritrovarono presto senza nessuna via sicura per avanzare.

Si nascosero dietro una delle enormi colonne che adornavano il Giardino Reale, muovendosi piano per non attirare l'attenzione, con il cuore che martellava forte nelle tempie sebbene nessuno di loro lo avrebbe mai ammesso all'altro. Il consigliere si guardò intorno in cerca di una via di fuga, di un appiglio, di una scappatoia, qualunque cosa che potesse tirarli fuori di lì. Alzò lo sguardo verso le finestre del palazzo alla ricerca disperata di una via d'uscita, e con sua enorme sorpresa notò due occhi viola che lo guardavano dalla finestra di una stanza al primo piano.

Il principe Whyle aveva assistito alla scena dalla sua stanza, rinchiuso come sempre tra quelle mura con il divieto assoluto di mettere un piede fuori. Suo padre gli aveva detto che voleva proteggere il futuro sovrano della Terra Centrale, ma lui sapeva benissimo che semplicemente non lo voleva tra i piedi mentre dava i suoi folli ordini. Lo aveva sentito mentre parlava con Angus della regina Minerva e di sua figlia, e aveva immediatamente riconosciuto il re Kamal, sebbene l'ultima volta che aveva varcato la soglia di casa sua portava i capelli più lunghi e un'espressione decisamente più spavalda. Aveva subito compreso il motivo della loro presenza, e nell'istante in cui incrociò lo sguardo dell'uomo che accompagnava il sovrano in quell'avventura suicida, decise di aiutarli. Con un solo indice gli indicò a destra, senza smettere di guardarli.

Il consigliere volse incerto lo sguardo in quella direzione notando una piccola porta ai piedi della Torre Est. Alzò nuovamente il volto verso il ragazzino alto e pallido, ma quello non c'era più. Diede una gomitata al braccio del re che gli stava di fianco e con un cenno della testa gli indicò quella porta che poteva significare salvezza, e decisero di fidarsi senza remore. Dopotutto, non avevano molte alternative.

Raggiunsero le assi di pesante legno scuro, le aprirono maledicendo ogni piccolo cigolio e, non appena ci fu abbastanza spazio, vi si infilarono dentro richiudendosela velocemente alle spalle.

Non sapevano dove si trovassero, l'oscurità improvvisa li aveva resi ciechi, ma il tanfo di sangue e sudore, nonché la presenza di celle e grate, non lasciò molti dubbi a nessuno dei due. Erano nelle segrete.

Avanzarono piano nel silenzio surreale di quel luogo impregnato di morte e decomposizione, fino a quando dei piccoli lamenti non li guidarono verso una delle tante ramificazioni di quel labirinto di pietra.

Molti corpi giacevano immobili all'interno di minuscoli spazi incasellati uno di fianco all'altro e intervallati da barre di metallo, uomini e donne gettati a marcire tra la paglia e luridi topi che banchettavano con coloro troppo deboli per reagire. Il re sentì una morsa stringergli il cuore al pensiero della sua amata rinchiusa in quel luogo angusto, senza tutte le accortezze e le comodità di cui bisognava. Poi finalmente la trovò, facendosi guidare non tanto dagli occhi che si erano abituati alla penombra, ma dall'istinto che sembrava guidarlo tra le sue braccia.

«Hemelya...». Kamal si avvicinò alla cella attratto da un gemito basso e continuo, un piagnucolio soave quanto struggente.

La principessa alzò lo sguardo dubbiosa, senza sperare che la voce che aveva udito nella testa appartenesse davvero a colui che pensava. Era seduta nell'angolo più buio, le braccia attorno alle ginocchia portate vicino al petto, e il viso nascosto dai lunghi capelli arruffati. Sollevò la testa mettendo in mostra i lividi che le ricoprivano il viso e parte del petto, le ferite sanguinanti e le croste di quelle che si stavano rimarginando, gli occhi gonfi di pianto e di botte. Ma il re non vide nulla di tutto ciò.

«Siete splendida».

Il muro che era spontaneamente sorto attorno al cuore di Hemelya in quei terribili giorni di prigionia si sgretolò all'istante, riprendendo a battere con la potenza di un fiume in piena. Si alzò reggendosi alla parete dietro di lei e avanzò malferma lungo il breve tratto che la separava dall'unico uomo che l'avesse mai guardata in quel modo. Si avvicinò quasi sfidandolo a guardarle il viso tumefatto, ma Kamal non sembrava intimorito a quella vista e le accarezzò delicatamente il profilo alterato dalle ferite e dalla sofferenza, con gli occhi chiari piantati nei suoi.

«Vi porterò fuori di qui». Le dita del re scorsero lungo il collo, sfiorandole la veste strappata all'altezza della spalla, continuando fino alle mani che le strinse con estrema gentilezza, portandogliele all'altezza del proprio petto. Da quella distanza così ravvicinata poté scorgere con maggiore nitidezza le sfumature verdi e viola dei lividi, i solchi che le lacrime sembravano aver scavato nella sua pelle, le abrasioni e i tagli sulle braccia e sulle mani a causa di vani tentativi di fuga.

Avrebbe fatto patire ogni tipo di sofferenza a chiunque l'avesse ridotta in quello stato.

«Spero che abbiate portato le chiavi adatte». La voce di una donna alle sue spalle fece voltare il re visibilmente infastidito, che si ritrovò al cospetto della regina Minerva, seduta a gambe incrociate con le spalle poggiate al muro, il viso sporco e gli abiti laceri.

Non aveva immaginato di trovarla lì, e provò un moto di rabbia verso quella donna completamente illesa che aveva permesso che facessero del male alla sua stessa figlia. Si allontanò leggermente dalla sua amata, sciogliendo a malincuore l'intreccio delle loro dita, ed estrasse la spada con tutta la fierezza di cui disponeva. Indicò a Hemelya di allontanarsi e prese a colpire con estrema precisione la serratura della cella, corrugando la fronte nello sforzo di concentrazione.

Klethus, che era rimasto fino a quel momento in disparte a osservare il drastico cambiamento del sovrano, rivolse uno sguardo quasi rassegnato alla regina. Aveva sperato che il re avesse ideato una strategia migliore di quella, un piano che non prevedesse di colpire ripetutamente un pezzo di duro metallo con una sottile lama d'acciaio ma, in mancanza d'altro, si rimboccò mentalmente le maniche e lo imitò in quella folle dimostrazione di forza.

I fendenti si susseguivano rapidi e il sibilo metallico si dipanava veloce in tutto l'ambiente, provocando un'eco che risuonava anche nei corridoi attigui. Il re sembrava instancabile nonostante delle gocce di sudore cominciassero a colargli dalla fronte fino al mento glabro, gocciolando fino alla dura pietra.

La principessa rimase in disparte, sorretta quasi totalmente dalla parete che le stava dietro, la sua attenzione completamente catturata dai movimenti ritmici e perfetti del re, e il cuore che saltava un battito ogni volta che la lama incontrava a vuoto la serratura.

Fu Kamal il primo a esclamare vittoria. Il colpo gli riverberò sulle braccia e in ogni parte del corpo quando il filo della spada finalmente oltrepassò il chiavistello con un sonoro stridio. Gettò l'arma sul pavimento recuperando all'istante tutto il fiato che aveva perso, spalancò la porta e raggiunse la sua amata che lo attendeva con occhi grandi e liquidi. Si strinsero per la prima volta da quando si erano conosciuti a Lasion, e i loro corpi combaciarono perfettamente in quell'abbraccio, così come i battiti dei loro cuori.

«Sono venuto a salvarvi» le sussurrò con il mento tra i capelli corvini, mentre con le braccia stanche le cingeva le spalle. Hemelya gli si poggiò al petto, imprigionata dalla sua forza, e si concesse di abbassare le difese sopraffatta dalla stanchezza. Era finalmente al sicuro.

Svenne. Kamal la sorresse senza fatica, passandole le braccia dietro la schiena e sotto le ginocchia, poi poterono finalmente uscire dalla cella per raggiungere Klethus e Minerva. Il consigliere, visibilmente stremato da quella fatica, raccolse la spada che il sovrano aveva gettato, mentre con la mano libera si portò un braccio della regina attorno al collo e, in questo modo, i quattro si diressero verso la porta da cui erano entrati.

Giunti all'uscita che li avrebbe ricondotti nuovamente alla flebile luce arancione del sole al tramonto, i due uomini si guardarono decisi. Sapevano che al di fuori delle assi di legno e metallo ci sarebbero state decine di uomini pronti ad attaccarli, e loro avrebbero dovuto combattere.

«Non possiamo farcela in queste condizioni» iniziò la regina, allontanandosi dalla salda presa del consigliere. Stirò le gambe coperte dal soprabito lercio che le era rimasto indosso, recuperando tutta la motricità degli arti inferiori indolenziti da giorni di immobilità.

«Rimarrò io a lottare, voi portatele in salvo».

Klethus girò lo sguardo stupito verso il sovrano della Terra del Pesce, che adesso stava fissando la porta malconcia con la stessa folle determinazione che indossava quando aveva iniziato a colpire la cupola magica.

«Nessuno si sacrificherà: raggiungeremo l'accampamento sani e salvi. Tutti quanti».

Kamal abbassò leggermente il capo verso la principessa che stringeva ancora tra le braccia, e la adagiò piano mentre lei riprendeva conoscenza.

«Non avevo pensato alle barriere magiche né alle chiavi della cella, ma sapevo che questo era uno dei rischi che avrei corso. Perché mai vi avrei chiesto di aiutarmi? – disse rivolto al soldato del Leone – Non avevo certo bisogno di voi per raggiungere la donna che amo, ma mi servite adesso per portarla in salvo». Il sovrano si chinò verso Hemelya, che aveva ancora gli occhi stropicciati e la testa confusa, le sfiorò piano la fronte con la sua e poi si diresse verso l'uscita sfoderando la spada.

«Abbiate cura di voi» si congedò senza nemmeno guardarli.

Né Klethus né le donne ebbero il tempo di ribattere: il re spalancò la porta con un piede e corse per attirare lontano da lì l'attenzione delle guardie nere.

Hemelya venne aiutata da Klethus a sollevarsi, i muscoli le urlavano di dolore a ogni movimento, e le labbra gonfie insieme alla bocca asciutta le impedirono di implorare il suo uomo di rimanerle al fianco. Osservò la sua schiena immergersi nell'ormai buio della sera, e si costrinse a non pensare che sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto di lui.

Varcarono la soglia mentre la neve cominciava a fioccare piano, e il terreno divenne presto scivoloso e instabile, facendo arrancare il consigliere sotto il peso della principessa e del senso di colpa.

Il grido disperato di Kamal richiamò su di lui gli sguardi delle guardie che si erano appostate ai piedi del castello per proteggerne il perimetro, e anche di qualche sentinella al di sopra del muro di cinta. Li guardò spavaldo, le labbra piegate in un ghigno, e si scagliò contro i primi uomini che accorrevano verso di lui. Non aveva paura di morire.

Mulinò la spada riuscendo a ferire in pieno volto un soldato che si era avvicinato troppo e, non appena quello indietreggiò, gli si lanciò addosso reggendo la spada alta sopra la testa, calandola su di lui con tutta la forza che gli era rimasta. Venne raggiunto da altri uomini che lo circondarono puntandogli addosso le armi, e lui girò piano su sé stesso con la guardia alta, solo per rendersi conto di non avere via di scampo. Assaltò l'uomo che gli stava davanti riuscendo a ferirlo al costato, ma quello si difese colpendolo con il taglio dello scudo.

Kamal si bloccò all'istante con il fiato rotto. Un solo secondo di esitazione e il filo di una lama gli trapassò la carne all'altezza del fianco. Si accasciò sul terreno umido e ghiacciato reggendosi su una gamba sola, diede un colpo alla cieca nel tentativo di colpire qualcuno ma sferzò solo l'aria gelida che quasi gli bruciava il viso. Qualcosa lo colpì alla nuca e lui si piegò su sé stesso sputando sangue, poi una luce abbagliante lo costrinse a coprirsi il volto con il dorso della mano.

Quando riaprì gli occhi i soldati non c'erano più, il castello era sparito e due fari viola lo scrutavano con quella che gli parve una certa apprensione. Si issò immediatamente, rendendosi conto solo in quel momento di essere disteso su qualcosa di morbido e caldo, e fissò con aria torva l'elfo che stava impalato al suo fianco.

«Cosa diamine è successo?»

Stenphield gli si avvicinò come se non lo avesse sentito, intimamente lieto che si fosse risvegliato, allungò i palmi verso di lui e nello stesso istante un alone luminescente cominciò a propagarsi fino alle ferite del re. Egli, con un certo disgusto, scacciò bruscamente le mani dell'elfo lontane dal proprio corpo protetto solo dalle pesanti coperte che qualcuno gli aveva gettato addosso, e si mise a cercare i pantaloni.

«Non osate toccarmi con quelle mani. La magia ha già creato abbastanza danni».

«È alla magia che dovete la vostra vita, Sire». Il volto di Klethus apparve nel campo visivo di Kamal con un'espressione indecifrabile. Era decisamente contrariato dal tono e dai modi usati dal sovrano, ma forse anche sollevato nel risentirne la voce boriosa.

«Non arrischiatevi mai più sacrificarvi per me, io non ho bisogno di essere salvato» gli sputò il consigliere tra i denti a una distanza pressoché nulla, con gli occhi verdi infiammati dall'orgoglio.

«Avete pareggiato i conti. – replicò il re con distacco, anziché comunicargli tutta la sua gratitudine – Che cosa è successo?» ripeté poi con uno sguardo completamente diverso dal precedente, indicando le chiazze di sangue che gli macchiavano gli indumenti in più punti.

«Quest'uomo vi ha salvato la vita, ecco cosa. – rispose l'elfo con la sua solita voce affilata – Ci siamo incontrati alla terza strada e, anziché chiedermi di aiutarlo a raggiungere l'accampamento sano e salvo, mi ha chiesto di soccorrere voi».

Il re della Terra del Pesce fece un passo verso il consigliere, poi si fermò portando una mano al fianco che aveva ripreso a sanguinare. Klethus si inchinò ironicamente al suo cospetto e si diresse verso la soglia della piccola tenda rossa.

«Come sta Hemelya?» lo fermò Kamal prima che potesse uscire.

«È sotto le cure dei guaritori e sacerdoti del campo, sta meglio. Ha chiesto più volte di voi».

Il re cercò goffamente di rendersi più presentabile possibile, oltrepassò in poche falcate il consigliere che gli bloccava la strada e si diresse verso la sua principessa, incurante delle fitte di dolore procurate dalle ferite.

Il peso che Klethus sentiva nel petto si sciolse completamente e non riuscì a trattenere un sorriso alla vista del sovrano che arrancava dolorante in mezzo alla neve. Era tremendamente sollevato che quell'uomo vanaglorioso fosse vivo.

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