Capitolo 47: Parte 1 - L'impeto di Kamal
Razor era rientrato a tarda notte nei propri alloggi. Aveva ricevuto solo cattive notizie circa l'avanzata dei ribelli, ed era andato di persona a controllare la situazione nella diciassettesima strada urlando ordini e insulti a tutti i suoi soldati. Quei criminali degli Elyse avevano avuto fortuna ad arrivare fin lì, ma non avevano i mezzi per prolungare l'assedio, mentre loro avevano uomini e provvigioni.
Nonostante le poche ore di sonno, si alzò di buon'ora e trangugiò qualcosa senza appetito insieme ai sottoposti, per farsi aggiornare sui fronti che non aveva potuto visitare la scorsa notte.
«Chi è di guardia ai sotterranei?» chiese a uno dei soldati vicini a lui. Quello scattò subito sugli attenti, piedi uniti e pugno sul cuore.
«Xavi, Signore».
Lui si alzò senza dire nulla, l'ultimo pezzo di pane ancora in bocca, e percorse la strada che lo portava alle segrete scendendo in fretta la tromba di scale della Torre Est che ne dava l'accesso.
«Generale Razor, non vi aspettavo qui». Il ragazzo alto e tarchiato si fermò sull'ultima rampa di scale.
«Come stanno le nostre prigioniere?» chiese lui senza cerimonie. Il solo pensiero di quelle contadine rinchiuse in quel luogo putrido e insalubre lo fece ribollire d'eccitazione. Quello era il luogo adatto per chi aveva sovvertito l'ordine naturale sottraendo il trono a un vero nobile. Lui e il re avevano lo stesso senso di giustizia.
«Stavo portando loro del cibo proprio adesso». Indicò con lo sguardo il vassoio con due piccole ciotole d'acqua e dei pezzi di pane duro.
«È il pasto giusto per due campagnole che giocano a fare le reali, dà a me». Razor prese il vassoio e si avviò lungo i corridoi di pietra tra i lamenti degli altri prigionieri, fermandosi davanti alla cella di Minerva.
«Buongiorno, Vostra Altezza» la salutò con un disgustoso ghigno sul viso che scopriva i denti bianchi e dritti. Lei lo guardò sprezzante e sputò a terra a pochi centimetri dai suoi piedi, ma Razor rise di gusto a quell'inutile dimostrazione di orgoglio.
«Qualche giorno in questa cella ed ecco che la vostra vera natura viene fuori. Non siete altro che una popolana con ambizioni troppo grandi».
«Sta' zitto!» urlò disperata, i lineamenti stravolti dall'ira e dall'impotenza. Tutta la fierezza che fino a quel momento l'aveva caratterizzata sembrava non essere mai esistita. La regina dello Scorpione e della Bilancia era stanca, affamata, si sentiva sola, sconfitta, e stava perdendo le speranze. Ogni giorno in più che passava in quella cella, era un giorno in meno per la sopravvivenza di sua figlia.
«Stiamo vincendo la guerra, Maestà. Vi consiglio di approfittare del tempo che vi resta con la principessa: sta arrivando la sua ora» le sibilò avvicinandosi alle sbarre.
La regina si alzò di scatto e tentò di colpirlo, ma lui si spostò abilmente senza nemmeno rovesciare il contenuto del vassoio che reggeva ancora tra le mani. Si chinò lentamente, poggiandolo appena fuori dalla sua portata, e si issò guardandola con una scintilla di divertimento nei penetranti occhi scuri. Si voltò poi verso il minuscolo fazzoletto di pietra in cui era rinchiusa Hemelya e l'aprì per posare la sua razione di cibo, rivolgendole uno degli sguardi languidi e lascivi che riservava alle sgualdrine del bordello.
Quando il generale aprì la porta della cella, la principessa, seduta con le ginocchia al petto, indietreggiò di qualche passo aiutandosi con le mani, resistendo alla tentazione di distogliere lo sguardo: quell'uomo le provocava un tale disgusto che non voleva nemmeno guardarlo. Lo vide posare il vassoio, lo vide chinarsi e darle la schiena, e il cuore le accelerò i battiti mentre passava in rassegna la distanza che intercorreva tra quel mostro e la porta aperta.
Si voltò verso la madre dall'altra parte del corridoio, ma lei scosse la testa intuendo ciò che aveva intenzione fare. La ragazza le sorrise furba e si mosse prima ancora di formulare altri pensieri. Scattò in avanti e si accinse a richiudere la cella alle spalle quando la mano del generale le bloccò il polso, torcendolo in una stretta che la fece urlare di dolore.
«Lasciala andare!». Minerva sapeva che le sue erano parole vane, Razor non l'avrebbe mai ascoltata, era come paralizzato in quella posizione mentre caricava sua figlia con uno sguardo ricolmo d'odio.
«Dove credevi di andare?»
Hemelya iniziò a tremare annichilita da quegli occhi feroci, e si pentì amaramente del suo gesto. Era immobile, con il corpo che aveva raggiunto la libertà e il braccio imprigionato nella sua morsa. Cercò di divincolarsi dalla presa che le stritolava il polso, sostenendo il suo sguardo con l'espressione più risoluta che riuscì a fingere, e non disse nulla.
Razor si dipinse in viso un'espressione di puro sdegno. Quell'inutile boria rivolta a un uomo del suo rango era semplicemente oltraggiosa. Le colpì il viso con una mano aperta, facendola ruzzolare nuovamente all'interno della cella, e la principessa sentì bruciare gli occhi di lacrime quando si accorse del sapore del sangue che aveva cominciato a sgorgare dal labbro.
«Ti ho chiesto dove credevi di andare!» le urlò addosso, afferrandola per i lunghi capelli; lei cercò di liberarsi, ma le mani di quel mostro erano saldamente attorcigliate nella chioma corvina.
«Lasciala andare!». Ancora una volta il grido di Minerva non venne ascoltato: il generale non la degnò di attenzione, aspettando da Hemelya una risposta che non arrivò.
«Tua madre avrebbe dovuto insegnarti che è buona educazione rispondere alle domande degli uomini».
Caricò il pugno e la colpì ripetutamente. Allo stomaco. Al petto. Alla spalla. Sul viso.
In quel preciso momento l'angoscia ampliò ogni senso della regina, facendole arrivare alla coscienza ogni atto di quel macabro spettacolo con la potenza di un uragano. Si catapultò alle sbarre di quella maledetta cella che la condannava all'impotenza e cominciò a scuoterle e percuoterle. Cominciò a urlare seguendo le grida di sua figlia; le lacrime quasi le oscuravano la vista, mentre con sempre meno fiato pronunciava il nome di Hemelya, le parole che si perdevano nell'eco delle grida di lei.
Xavi accorse in fretta, era andato via dopo aver accompagnato il generale dalle prigioniere, ma era tornato indietro udendo le grida delle donne. Afferrò il suo superiore dalle spalle e lo costrinse a mollare la principessa.
«Non sono questi gli ordini del re!» gli urlò strattonandolo per allontanarlo dalla sua preda. Nessuno poteva disobbedire al Sommo Sovrano, nemmeno lui. Razor diede un ultimo calcio alla ragazza sanguinante riversa sul terreno, poi il soldato lo trascinò fuori.
«Hemelya...»
La regina allungò un braccio per riuscire a toccare quello martoriato che la figlia aveva mollemente posato sul terreno freddo e umido, ma le loro dita non riuscirono a toccarsi. La principessa la guardò con occhi lividi e privi di lacrime, fissandola come due fari nell'oscurità delle segrete; il dolore le impediva di muovere qualunque muscolo o anche solo di respirare, e rimase immobile per molto tempo.
Klethus stava per uscire dalla tenda in cui i generali si riunivano, quando la voce di Seamus lo fermò.
«Non scordare di tenere d'occhio il re, non deve arrivare al castello o perderemo questa guerra». Lo guardò dritto negli occhi, erano le prime parole che gli rivolgeva direttamente quella mattina ed era la prima volta da giorni che si trovavano da soli nello stesso luogo.
«Ci penserò io, Sire, non preoccupatevi». Era difficile mantenere le formalità quando l'unica cosa che avrebbe voluto fare era stringerlo senza lasciarlo più andare, ma non potevano commettere imprudenze di nessun tipo, e si costrinsero entrambi ad accettare la distanza che li separava senza provare a ridurla.
«Adesso va', e torna da me». Dopo l'assedio, ogni volta che lo vedeva andare via per unirsi alla battaglia gli ripeteva quella frase come un rituale. Il consigliere ricambiò con un ampio sorriso e uscì con il cuore un po' più pesante.
La sua armatura verde si mischiò perfettamente con quelle amaranto della Terra del Pesce, e si portò avanti reggendo una lancia e lo scudo, così da poter controllare i movimenti del re da più vicino. Era nella prima fila del battaglione guidato da Kamal, che se ne stava rigidamente seduto sulla sella del suo stallone con lo sguardo rivolto alle mura distrutte di Olok. Berut e Okoni, i suoi generali, erano a capo di altri due plotoni schierati poco più indietro, in modo da formare tre squadroni che avanzano in formazione stretta.
Quando tutti furono in posizione, il grande esercito si mosse marciando dentro le strade deserte e distrutte della città: quel giorno il loro obiettivo era avanzare almeno fino alla Piazza delle Comunicazioni, tra la terza e quarta strada, in modo da rispedire l'Armata Nera verso il castello e chiuderla in una morsa che li avrebbe visti circondati su ogni fronte.
Era difficile per Klethus riuscire a combattere e allo stesso tempo controllare che il re Kamal non commettesse una sciocchezza. Dopo il primo assalto alle linee nemiche aveva abbandonato la lancia spezzata dagli zoccoli di un cavallo, guadagnandosi qualche livido e una fitta perenne all'avambraccio per la posizione innaturale che aveva assunto nel tentativo di resistere, e si era affidato alla spada che aveva tenuto nel fodero.
Aveva guardato in disparte la disputa che aveva coinvolto Kamal e Seamus la notte in cui la principessa era stata rapita, e con fatica si era trattenuto quando il sovrano del Pesce si era permesso di deridere il suo amato per via della gamba di legno. Ora si trovava a fargli da guardia, e si sentiva una balia incaricata di sorvegliare il principino ribelle.
Combatteva non troppo lontano da lui per non perderlo di vista, ma il re si muoveva in modo dannatamente veloce e doveva sforzarsi parecchio per concludere gli scontri con la sua stessa rapidità e spostarsi in modo così repentino. Aveva appena trafitto un altro soldato della Terra Centrale quando un colpo alla tempia lo stordì. Le orecchie presero a fischiargli, mentre la vista si offuscò velocemente; fece qualche passo cercando di capire da dove fosse arrivato il colpo, e mandò un fendente alla cieca per allontanare il possibile avventore. Quella mossa, però, gli fece perdere il precario equilibrio. Cadde sul terreno urtando qualcosa con la testa e, con gli occhi spalancati al cielo per il dolore, vide un soldato nemico entrare nel suo campo visivo.
Chiuse gli occhi e si scusò mentalmente con Seamus per non essere stato in grado di rispettare la promessa che gli aveva fatto. Non sarebbe tornato da lui.
Quando non sentì nulla trafiggerlo aprì un occhio solo, cogliendo lo scintillio della punta di una spada che usciva dal collo del nemico. Il sangue gli schizzò in faccia, mentre quello rantolava.
Kamal estrasse l'arma e spinse il cadavere di lato.
«Almeno, il vostro continuo pedinamento vi ha fruttato qualcosa di buono». Il re alzò la visiera dell'elmo e lo guardò sprezzante con i suoi regali occhi chiari. Klethus afferrò la mano che gli offrì e si issò senza però proferire parola.
«Non sono uno stolto, immaginavo che re Seamus avrebbe mandato uno dei suoi mastini a controllarmi, visto che non può farlo lui di persona».
«Sua Maestà voleva solo accertarsi...»
«Vi ho salvato la vita, – lo interruppe con un gesto – e adesso voi mi aiuterete. Me lo dovete». Si voltò guardando dritto davanti a sé, gli occhi blu riflettevano la flebile luce del sole che filtrava tra le massicce nuvole bianche, lasciando liberi solo piccoli sprazzi di cielo. La mente gli corse veloce a Hemelya, non pensava ad altro da quando gli era stata portata via.
«Le truppe sono quasi arrivate in Piazza delle Comunicazioni: sfrutteremo la confusione di quello scontro, faremo irruzione al castello e la porteremo via. Lo farò con o senza di voi, non riuscirete a fermarmi». Elaborò il piano in quel preciso istante; non c'era raziocinio, ma solo il suo animo impetuoso che non smetteva di tormentarlo. Doveva salvarla, doveva riportarla al suo fianco.
«Immagino di non avere molta scelta» si arrese il consigliere, consapevole che non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. Non poteva impedirgli di raggiungere il palazzo reale e non sarebbe sopravvissuto se fosse andato da solo; probabilmente sarebbero morti entrambi, ma aveva promesso a Seamus di tenerlo d'occhio, e avrebbe onorato la parola data a qualunque costo.
Il re sorrise leggermente togliendosi l'elmo, i capelli dorati illuminati dal sole che contornavano perfettamente il volto dai lineamenti decisi.
«Salverò la principessa e, quando domani il sole sorgerà, distruggeremo il castello e Alec».
Klethus rivolse una supplica alla dea Mysa prima di raggiungerlo: non condivideva la positività del nobile uomo che gli correva davanti, e avrebbe avuto bisogno di tutto l'aiuto possibile.
Infiltrarsi tra le linee nemiche in un territorio non ancora conquistato si rivelò più complicato di quanto avessero immaginato. Furono costretti ad abbandonare le loro armature, troppo evidenti in quel tappeto di grigi detriti e di soldati in nero e blu che correvano da un punto all'altro.
Avanzarono lentamente tenendosi vicino ai muri delle case, passando tra cumuli e cunicoli di macerie per evitare di essere scoperti, e cercando di non avvicinarsi nemmeno alle pareti invisibili striate di blu e viola che segnalavano la presenza di barriere magiche.
«Cosa avete intenzione di fare adesso, Sire?»
I due uomini si fermarono dietro le pareti di una bottega alla prima strada, di fronte a un enorme cupola blu-violacea che circondava l'intero Palazzo Reale. Klethus sperava che il re gli rispondesse in maniera netta e precisa, esponendogli per filo e per segno tutto quello che avrebbero dovuto fare di lì a breve, ma dalla sua espressione perplessa comprese che non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò che aveva pensato.
„Non tutti sono come Seamus", rifletté, con una punta d'orgoglio.
Kamal passò una mano tra i corti capelli chiari pensando intensamente a qualcosa da fare: qualunque cosa pur di togliersi di dosso gli occhi del consigliere, visibilmente in attesa di una risposta che non aveva. Afferrò un piccolo sasso e lo lanciò contro il muro luminescente, osservando con estrema perizia il modo in cui si sgretolava al solo contatto. Sotto lo sguardo attonito dell'uomo che gli stava affianco, Kamal prese a lanciare massi via via sempre più pesanti ottenendo tuttavia sempre lo stesso risultato. Quello era il suo grande piano.
«Sassi, Maestà? Non riuscirete a distruggere le protezioni magiche con delle... pietre». Klethus era quasi sollevato dall'evidente inettitudine del sovrano che, per fortuna, non governava la Terra in cui viveva ma che, si ritrovò a pensare, aveva un grande bisogno dei suoi servigi. Il fallimento di quei tentativi lo avrebbe indubbiamente portato a desistere dal suo folle piano, sarebbero tornati all'accampamento sani e salvi, e Seamus non avrebbe mai saputo della loro piccola deviazione dai piani iniziali.
Kamal, invece, risoluto e cocciuto come poche persone al mondo, non aveva la minima intenzione di arrendersi a pochi metri dalla sua Hemelya. Stupidamente non aveva pensato a quell'eventualità, non era abituato a ragionare considerando gli interventi magici, ma avrebbe dimostrato a tutti di non essere il re borioso e presuntuoso che necessitava di una continua sorveglianza. Avrebbe dimostrato a Hemelya di essere degno di lei. Si guardò intorno appurandosi che nessuno dei soldati neri fosse nelle vicinanze, notando con piacere che avevano lasciato la protezione del castello alle sole barriere magiche, e preso dalla frustrazione corse incontro a quell'enorme cupola eterea.
Klethus allungò un braccio nel tentativo di fermarlo, ma la cotta di maglia gli sfuggì dalle dita e, con lei, anche il sovrano. Chiuse d'istinto gli occhi aspettandosi di vederlo esplodere da un momento all'altro, ma il re invece prese a colpire le pareti del muro invisibile con la propria spada sfogando tutta la disperazione che aveva in corpo, provocando scintille blu-violacee che si disperdevano nell'aria gelida.
L'uomo dagli occhi verdi si passò una mano sul viso esasperato, poi accadde l'impensabile.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top