Capitolo 45: La lunga notte
Il Sommo Sovrano non dormiva da due notti, ormai. Da quando i cancelli erano stati sfondati gli veniva difficile anche solo pensare di stendersi a letto e riposare, e come se non bastasse il dolore al petto non era affatto diminuito: gli bruciava ancora dopo lo scontro con Danker e Angus non aveva potuto aiutarlo; aveva altri compiti da svolgere e non voleva che perdesse tempo né energie.
Strinse i pugni istintivamente, ripensando al racconto del generale Razor. Le barriere magiche erano state spezzate via in un solo colpo lanciato da quel maledetto elfo. Un intero gruppo di stregoni non era bastato a fermarlo, e la cosa gli dava non poche preoccupazioni, sebbene dalla sua parte avesse ancora un esercito numeroso che poteva sfruttare.
La guerra che aveva cercato di evitare in ogni modo e con ogni mezzo lo aveva raggiunto, e adesso doveva vincerla sul campo usando la forza dei suoi uomini.
«Mio Re». La voce di Angus lo costrinse a tornare alla realtà. Si girò verso il servitore e notò che non aveva davanti la solita figura evanescente: Angus era davvero lì, ed era stremato.
«Che cosa è successo?» chiese allarmato, intuendo che portava cattive notizie.
«Vengo da Lasion, sono andato a controllare come mi avevate chiesto. A palazzo non ho trovato che un pugno di civili, i pochi rimasti mi hanno informato che la principessa Hemelya ha lasciato la città sana e salva, e adesso cavalca a fianco di Kamal da quasi due settimane. Ho cercato di avvisarvi prima, mio Re, ma... ho dovuto usare molta più energia». Non aveva mai fallito una missione, e non intendeva cominciare in quelle circostanze.
Alec stette in silenzio, soppesando ogni parola, poi scagliò il calice di vino che teneva tra le dita rovesciando il liquido rosso sul pavimento.
«Quella traditrice di Minerva! Lo sapevo!»
Angus fece un passo indietro, conosceva bene gli scatti d'ira del re, soprattutto se veniva a conoscenza di un tradimento perpetuato nei suoi confronti. Lo vide respirare piano, massaggiandosi le tempie per calmarsi, e seppe che stava sicuramente escogitando qualcosa per farla pagare alla nuova regina della Terra dello Scorpione.
«Abbiamo ancora un po' di tempo prima dell'arrivo di Kamal. Ho un nuovo compito per te, mio fedele servitore» pronunciò il Sommo Sovrano con la sua solita voce calma. L'uomo dai capelli corvini ascoltò tutto con attenzione e dopo un veloce e ossequioso inchino si dileguò.
Non appena lo stregone varcò la soglia, Alec si levò in piedi e uscì dai suoi alloggi come una furia. Aveva cercato invano di quietarsi, ma niente sembrava alleviare il peso che gli cresceva nello stomaco e che sembrava esigere vendetta. A passo svelto attraversò il corridoio dalle fredde mura in pietra e raggiunse le stanze di Minerva nella consueta torre est del Real Castello.
Non si prese neppure la briga di bussare, calò la pesante maniglia e spalancò la porta. L'unica cosa che lo accolse, però, fu la folata di vento freddo provocato dalla finestra lasciata aperta. Stava nevicando.
Un foglio di pergamena planò verso il pavimento, spostato dalla corrente d'aria improvvisa, il re si chinò a raccoglierlo e lesse le prime righe di una missiva lasciata incompleta. Ogni suo dubbio e sospetto venne confermato dalle poche parole scritte su quel foglio indirizzato al re della Terra del Leone, e sentì di nuovo la rabbia in corpo. Sbatté la porta alle spalle e tornò nei propri alloggi.
Minerva avrebbe capito nel peggiore dei modi quale grosso errore aveva commesso nel tradirlo.
Razor si sorprese quando uno dei suoi soldati gli venne a comunicare che Angus lo stava cercando. Non era solito avere contatti con lui, detestava parlare con gente di un rango così inferiore, ed era abituato a ricevere gli ordini da re Alec in persona. Ordinò al suo sottoposto di accompagnare quello strano uomo nei suoi alloggi, non gli avrebbe riservato l'importanza di un incontro ufficiale, e così poco dopo Angus fece il suo ingresso.
«A cosa devo la visita?»
«Generale, il Sommo Sovrano mi manda per comunicarvi la vostra prossima missione, e si premura di scusarsi per non essere venuto lui stesso ad avvisarvi, ma immaginate bene come sia impegnato in questo momento».
Razor annuì infastidito invitandolo a continuare con un gesto della mano, quel suo tono servile e lascivo non gli era mai piaciuto.
«L'esercito di Kamal sta arrivando, ma al re interessa la principessa che lo accompagna».
L'uomo a capo dell'Esercito Nero alzò un solo sopracciglio scuro. Cosa c'entrava una principessa con la sua missione? E perché diamine Kamal si portava dietro una donna? Angus riprese a parlare rispondendo a quelle mute domande come se gli avesse letto nel pensiero. La cosa lo inquietò.
«La principessa Hemelya ha lasciato Lasion con il nuovo re della Terra del Pesce e lo ha seguito a Olok, suggerendo così un'alleanza segreta tra Minerva e la Resistenza. Il Sommo Sovrano vuole che prendiate la figlia della regina e la portiate a palazzo».
Razor scosse la testa confuso, interrompendosi dal mordere un pezzo di formaggio che non aveva smesso di masticare dall'inizio dell'incontro.
«Minerva ha una figlia?»
Angus lo guardò impaziente trattenendosi dal roteare gli occhi; quell'uomo lo indisponeva oltre ogni ragionevole misura.
«Sì, generale, ve l'ho appena detto. Siete in grado di portarla al cospetto del re?»
«Certo che ne sono in grado!» rispose con fare sprezzante, rivolgendogli uno sguardo di sufficienza.
«Kamal arriverà questa sera, il Sommo Re vi aspetta a mezzanotte in punto nella sala del trono. Con la principessa, si intende». Il servo non lo ammonì su ciò che sarebbe successo se non avesse rispettato il patto, non ce n'era bisogno.
«Riferite a Sua Maestà che sarò puntuale». Detto questo congedò il servitore di Alec, dando poi ordine ai suoi uomini di non disturbarlo. Aveva poco tempo per preparare il piano.
Quando le tenebre avvolsero l'intera Olok, Razor si mosse.
Posizionò il suo fedele pugnale nell'incavo degli stivali, strinse intorno alla cinta una corda robusta, indossò un mantello scuro non troppo pesante per non impedire i movimenti, e attraversò la via principale tenendosi defilato, aiutato dal buio di una sera senza luna. Quelle missioni gli mettevano addosso un'adrenalina pari a quella che sentiva quando uccideva in battaglia, e il suo bersaglio poi lo rendeva particolarmente eccitato. Non vedeva l'ora di catturare la figlia di quella sgualdrina di Minerva, e pregustava già il terrore che si sarebbe dipinto sul volto della fanciulla. Era stato difficile dissimulare la verità con quei rammolliti dei soldati dello Scorpione, ma gli ordini del re erano stati chiari e lui non avrebbe dovuto far trasparire nulla di diverso. Adesso, finalmente, era lui ad avere il controllo.
Di notte la Capitale sembrava un territorio neutro. Si avvertiva la tensione della lotta e la paura di attacchi notturni, ma tutto era avvolto in un silenzio innaturale per una città che era stata così viva. Molte case erano ormai vuote, incendiate, depredate, trasmutate, e i suoi abitanti erano scappati via o erano già morti da giorni. Le strade si erano presto trasformate in un covo di criminali e sciacalli notturni, come se la gente non aspettasse altro che una guerra e il buio della notte per far emergere il lato peggiore della propria anima. Gli appostamenti nemici erano arrivati alla diciassettesima strada, i ribelli erano riusciti ad avanzare fin lì, e lui guardò bramoso i corpi che dormivano nella neve mentre degli inetti soldati di guardia sonnecchiavano sorretti dalle proprie spade.
Passò la punta della lingua tra le labbra: quello poteva sembrare un piatto ghiotto, ma sapeva benissimo che se avesse provato anche solo ad avvicinarsi a uno di quegli uomini, le barriere magiche lo avrebbero fatto esplodere in mille pezzi. Dopotutto, erano le stesse misure di sicurezza che avevano preso loro.
Quando superò le mura di cinta, non fu difficile individuare i nuovi arrivati. Un'enorme folla di gente era ammassata un po' più a nord rispetto ai distaccamenti per la cura di feriti e civili, così lui cominciò ad avvicinarsi mimetizzandosi nel buio della notte, cercando di evitare i cadaveri che si stavano ammassando.
Notò l'assenza dei bagliori blu e viola che aveva imparato a riconoscere in una barriera magica protettiva, e comprese così che quegli stolti non ne avevano alzata nessuna per evitare che i civili potessero farsi male accidentalmente. Sorrise: meglio per lui.
Raggiunse alle spalle una guardia che stava facendo la ronda e gli tagliò la gola di netto usando il pugnale che teneva assicurato al polpaccio, gettò il cadavere di lato e in una manciata di secondi pugnalò al petto il compagno che si era voltato per vedere cosa fosse stato quel tonfo. Ripulì la lama sul mantello di uno dei ragazzi e si diresse verso il gruppo di persone che intravedeva poco più avanti nell'oscurità della notte.
Razor non vedeva bene cosa stesse succedendo: c'era solo un fuoco acceso ma era quasi coperto da almeno un centinaio di soldati che discutevano animatamente tra loro. A quanto pareva, gli uomini di Kamal avevano ricevuto ordini diversi dal loro re e dai capi della Resistenza e stavano decidendo quale strategia adottare. In quella folla di gente, però, non vi era traccia della principessa.
Decise di lasciarsi guidare dall'istinto che non lo aveva mai tradito e si spostò silenzioso verso ovest, il rumore dei passi attutito dalla neve che stava cominciando ad accumularsi sul terreno freddo. Aveva una sola possibilità, era da solo contro mille e più uomini e sarebbe bastato un passo falso per mandare tutto a monte.
Un leggero nitrito ai confini dell'accampamento gli fece drizzare le orecchie. Si compiacque con sé stesso e si avvicinò in fretta lì dove aveva sentito il verso dell'animale. Con cautela, scrutò oltre il tronco di un albero stringendo gli occhi che ormai si erano abituati al buio, e la figura di una fanciulla si distinse chiaramente tra le ombre della notte. Quando parlò, Razor capì che aveva fatto centro. Ora o mai più.
Hemelya aveva appena terminato di legare la giumenta che le aveva regalato Kamal prima di partire per Olok, e le carezzava il fianco mentre l'animale infilava il muso nel suo meritato pasto serale. Aveva sempre desiderato un cavallo sin da quando era bambina, e sua madre le aveva sempre promesso che avrebbe provveduto a procurargliene uno, ma crescendo aveva presto capito che le risorse erano più scarse di ciò che immaginava e che la regina doveva faticare per non far andare tutti in miseria, tra il popolo da sfamare e i criminali a depredare quel poco che era rimasto. Aveva quindi smesso di fare i capricci ed era cambiata, affiancando Minerva in tutto quello che faceva come se servisse ad assorbirne la forza e il carattere.
Si sentì un po' fuori luogo quando arrivò, quasi nessuno era a conoscenza della sua esistenza e sapeva che sua madre non era lì ma che si trovava al castello. Conosceva la storia della sua nascita, se l'era sentita ripetere così tante volte durante tutta l'infanzia per giustificare il divieto di uscire da Shagos e far sapere agli altri di lei, che negli anni aveva ritenuto giusto non dare a quel padre così spregevole la possibilità di appigliarsi ai suoi diritti per ottenere ciò che voleva, come poi aveva realmente fatto. Sua madre aveva avuto ragione su tutto, e lei aveva col tempo fatto propria ogni briciola dell'odio che provava per Holtre, e ora era quasi a disagio tra quella gente che avrebbe dovuto disprezzare, insieme a Kamal, che non avrebbe dovuto amare.
Il lungo viaggio fino a lì era stato rivelatore per il giovane re quanto per lei: aveva scoperto lati di lui che sembrava non conoscesse nessun altro e si era riempita la mente e gli occhi di tutti i racconti sul mare in cui aveva promesso di portarla. Sua madre non avrebbe mai approvato, lo sapeva bene, eppure non riusciva a lasciare andare via dal suo cuore quell'uomo scorbutico dagli occhi blu. Si lasciò accarezzare dalla brezza fredda della notte e respirò a pieni polmoni: l'inverno era arrivato e si sentiva nell'aria l'odore della neve che era caduta per quasi tutto il giorno. Sfiorò il muso di Belia, così si chiamava la giumenta, e quella nitrì dolcemente in risposta al tocco della sua padrona, come se si conoscessero da sempre.
«Minerva, regina della Terra della Bilancia e dello Scorpione. – disse rivolta al cavallo mentre ne guardava assorta il pelo lucido, rendendosi conto solo in quel momento di quanto sentisse la sua mancanza – Ti piacerebbe, sai?». Si sentì sciocca, eppure aveva bisogno di esprimere ad alta voce che aveva bisogno di lei; non erano mai state separate così a lungo e cominciava ad avere paura, ma non l'avrebbe mai rivelato ad anima viva.
Decise che era meglio tornare all'accampamento, si era allontanata da molto tempo e stavano cominciando a gelarle i piedi in mezzo alla neve. Fece appena in tempo a formulare quel pensiero quando un rumore la distrasse, si girò allarmata e le tenebre l'avvolsero.
Razor la colse di sorpresa alle spalle coprendole naso e bocca fino a farle perdere i sensi, si affrettò a legarle polsi e caviglie ma il cavallo accanto a lei si agitò nitrendo forte e provocando una reazione a catena che coinvolse gli altri animali legati lì. Si caricò la principessa in spalla e corse via senza mai voltarsi indietro prima che qualcuno sbucasse dal nulla, e raggiunse in fretta le porte della città. Quando arrivò trovò Xavi ad attenderlo, la sistemarono sul destriero che gli aveva chiesto di portare e insieme si diressero al Real Castello.
Mentre entrava nella Sala del Trono, sentì in lontananza le campane del Tempio di Colle della Luce. Dodici rintocchi: era arrivato puntale.
Quando Kamal raggiunse il recinto degli animali la neve era piena di orme, ma di Hemelya nessuna traccia. I segni sul terreno parlavano chiaro: le impronte così più grandi rispetto a quelle minute del piede di lei che si allontanavano da sole sprofondando di almeno un palmo erano la prova che le fosse successo qualcosa di brutto. Con la testa pesante di mille pensieri sciolse le briglie di Belia che scalpitava impaziente, e fece per salirci sopra per cavalcare fino a strappare via la principessa da chiunque avesse avuto l'ardire e la stupidità di farle del male.
Due braccia forti si aggrapparono al suo mantello e lo costrinsero con la forza a tornare con i piedi per terra, letteralmente.
«Cosa avete intenzione di fare?». La voce di Seamus gli arrivò lontana, impalpabile, come se provenisse da un altro luogo. Il re della Terra del Leone glielo ripeté ancora una volta affinché il messaggio gli arrivasse chiaro.
«La vado a riprendere, lasciatemi andare» disse lui come se stesse ritornando solo adesso in quel luogo insieme alla dozzina di uomini che si era riunita attorno a lui, mentre altri stavano ancora arrivando. Il re del Leone gli tolse le redini della giumenta dalle mani, ma Kamal se le riprese con un movimento brusco.
«Non osate darmi ordini» gli sibilò a denti a stretti.
Christopher li raggiunse in quel momento dal fondo della folla e si interpose tra i due.
«Sire, non è saggio partire da solo, ci sono i nostri uomini che...»
«I vostri uomini? – sputò sprezzante il re del mare – Intendete quelli che non sono riusciti a impedire a un intruso di intrufolarsi fin dentro al cuore del vostro accampamento?»
Il generale degli Elyse dovette concentrarsi per non iniziare a inveirgli contro: li stavano guardando tutti.
«Chissà quante altre volte è successo sotto al vostro stesso naso e non ve ne siete neppure accorti! È questo l'esercito che dovrebbe vincere? Siete solo un branco di incompetenti, ecco cosa siete!». Kamal era fuori di sé e persino nella flebile luce della luna, che aveva timidamente fatto capolinea al centro del cielo, si riuscivano a scorgere le gote paonazze.
«Risolverò da solo questa situazione, lasciatemi spazio per cavalcare o non mi fermerò davanti ai vostri corpi». Il giovane re riafferrò le redini della giumenta che aveva lasciato cadere nell'impeto di rabbia, ma questa volta venne fermato non più dalle muscolose braccia di Seamus, ma da tre soldati che Christopher aveva chiamato in soccorso.
Kamal si dimenò fino all'inverosimile, oltraggiato per essere trattato come se fosse un comune criminale. I ragazzi della Resistenza riuscirono con fatica a trascinarlo poco lontano da lì, fuori dalla portata dei cavalli, e vennero presto raggiunti dal resto della folla che li seguiva curiosa.
«Come osate!» continuava a ripetere il sovrano dagli occhi blu, fino a quando Seamus non lo fronteggiò. Avevano quasi la stessa età, eppure erano profondamente diversi. Il re dalla gamba di legno si avvicinò a lui più claudicante che mai, incespicando tra la neve.
«Cosa avete intenzione di fare?». Era la terza volta che gli poneva quella domanda, Kamal si sentiva esplodere dalla rabbia.
«Vi prendete gioco di me, forse? Ho intenzione di fare ciò che quegli inetti dei vostri soldati non sono stati in grado di fare e andare a recuperare Hem... la principessa Hemelya» si corresse immediatamente. Seamus capì all'istante l'ardore che muoveva l'uomo che aveva davanti, e il suo cuore si addolcì un poco, senza però lasciarlo trasparire nel viso accigliato.
«E avete intenzione di andare da solo nel territorio nemico, senza armi adeguate né protezioni di sorta? Non rischierei mai di mettere in pericolo la mia missione a causa dell'avventatezza».
«Voi avete solo una gamba, Sire. Ci sono molte cose che non potete rischiarvi di fare».
Seamus ingoiò quel rospo amaro che per un attimo gli aveva impedito di respirare.
«Se amate quella donna, – disse poi come se non fosse ferito nel profondo – allora converrete con me che bisogna fare il possibile affinché vada tutto per il meglio».
Kamal strattonò la presa degli uomini che ancora lo tenevano, e l'altro re con un cenno della testa gli diede l'ordine di lasciarlo andare.
«Non posso correre il rischio che le succeda qualcosa, io... gliel'ho promesso». Non sapeva perché stesse dicendo quelle parole proprio a lui, davanti a tutti quei soldati che lo stavano guardando. La verità era che l'angoscia gli aveva attorcigliato le viscere e l'urgenza di agire gli tormentava il cervello. Eppure sapeva anche lui che andare da soli sarebbe stata una missione suicida, con mezza città e il castello ancora sotto il potere dei nemici. Ma qual era l'alternativa?
«Minerva cambierà schieramento, adesso che siete arrivato voi. – disse Seamus rispondendo ai suoi dubbi – Con l'esercito così riunito saremo in grado di conquistare il Real Castello entro pochissimo tempo, se siamo fortunati entro domani stesso. Aspettate fino a quel momento, poi potrete salvare la vostra principessa e uccidere il responsabile delle sue sofferenze».
Le spalle di Kamal si afflosciarono come se di colpo fossero caricate da un peso troppo grande per poter essere sorretto. Si sistemò la regale giacca rossa e blu sgualcita dai soldati che lo avevano trattenuto e si allontanò senza dire una parola, con la dignità di un bambino ferito che non aveva pianto.
Il generale dei ribelli, che fino a quel momento aveva assistito in disparte al diverbio tra i due, si avvicinò finalmente al re del Leone e gli parlò all'orecchio mentre la folla che si era radunata attorno a loro si dileguava piano.
«Dovremmo tenerlo d'occhio, la sua impulsività non mi piace per niente».
«Non è lui che mi preoccupa, mi chiedo piuttosto perché qualcuno abbia voluto rapire la principessa».
«Credete che Alec abbia scoperto di Minerva?»
«È ciò che temo. – confermò grave il re – E se corrisponde al vero, le parole che ho detto a Kamal non potrebbero essere più false. Se quel maledetto ha scoperto della regina, a quest'ora potrebbero essere entrambe morte, o peggio».
Un'ombra oscurò il viso di entrambi gli uomini rimasti da soli nel mezzo della notte, in sola compagnia dei cavalli. I racconti su Noor di cui Danker aveva parlato da quando li aveva raggiunti attraversarono le loro menti all'unisono e rabbrividirono.
«È meglio non parlarne a Kamal. – aggiunse Seamus – Ci serve lucido, e ci serve qui. Ci atterremo al piano, e pregheremo la dea Mysa affinché ci salvi tutti».
Il generale gli posò una mano sulla spalla e si congedò senza aggiungere altro, lui rimase qualche altro secondo esponendo il viso ai nuovi fiocchi di neve che avevano ripreso a scendere e poi preferì tornare in mezzo agli altri uomini. Quel luogo, evidentemente, non era più sicuro.
Minerva sobbalzò sul tavolo su cui si era addormentata con ancora gli abiti diurni. I secchi colpi alla porta che l'avevano svegliata sembravano non avere intenzione di cessare, così si alzò e con gli occhi ancora intorpiditi dal sonno trascinò i piedi fino ad aprire l'uscio. Il generale dell'Esercito Nero la guardava sprezzante dall'altra parte della soglia, con un ghigno che la regina avrebbe volentieri preso a pugni.
«Che cosa volete?» disse reprimendo a stento uno sbadiglio. Razor non attese neppure che terminasse la frase, talmente impaziente che quasi gongolava.
«Il Sommo Re vi attende nella Sala del Trono, e io ho il compito di scortarvi fin lì. Seguitemi».
La regina ignorò il braccio che l'uomo le aveva avvicinato in un gesto di finta cavalleria, si voltò verso la finestra che aveva lasciato aperta quando poco prima era andata a parlare con Kelys e si accorse che era ancora notte fonda. Affiancò il generale che teneva stupidamente il braccio piegato in attesa che vi posasse la mano sopra, e senza sfiorarlo si diresse verso il re, più in ansia di ciò che faceva trasparire.
"Se Alec mi avesse scoperta, a quest'ora sarei già morta" cercò di convincersi la regina mentre l'eco dei loro passi si diffondeva negli ormai deserti corridoi del castello, ma quel pensiero non riuscì a tranquillizzarla del tutto, e si affacciò alla Sala del Trono con il cuore che le pulsava tra le costole.
Fu lasciata da sola all'ingresso, il generale si allontanò e la donna dai grandi occhi scuri fece un bel respiro prima di spingere la lussuosa e pesante porta per entrare.
«Avvicinatevi, Minerva». La voce di Alec risuonò forte e decisa nell'enorme stanza vuota, la luce delle torce che illuminavano il trono da dietro gli donava un alone quasi divino.
Lo raggiunse con passo lento, simulando una sicurezza che non provava, ma si bloccò a metà strada riconoscendo la figura che stava rannicchiata ai suoi piedi. Per terra, alla base del trono, giaceva Hemelya priva di sensi.
«Mi congratulo con voi, avete una figlia splendida».
La donna non riuscì a trattenersi e si precipitò verso di lei, ma il re afferrò la spada che aveva appoggiato a uno dei pomposi braccioli del trono e gliela puntò contro per costringerla a mantenere le distanze.
«Non preoccupatevi per lei: sta bene, per ora».
Minerva gli lanciò uno sguardo colmo di rabbia, incurante di dissimulare tutto il disprezzo che provava, e indietreggiò di qualche passo senza mai distogliere gli occhi da lui.
«Cosa ci fa mia figlia qui?»
Alec non rispose subito, ma tirò fuori dall'elegante giacca amaranto un foglio ripiegato in due. Si schiarì la voce e cominciò a leggere.
«Re Seamus, non ho ottenuto ulteriori informazioni riguardo le mosse di Alec. Mi sembra ancora che non si fidi di me, ma cercherò nei prossimi giorni di carpire qualcosa che possa aiutarci nella nostra missione». Il re si fermò, ma Minerva sapeva perfettamente che la lettera non continuava più perché non aveva finito di scriverla: era stata mandata a chiamare da Kelys e, immaginando che avesse novità, lo aveva raggiunto in fretta lasciando quel maledetto foglio incustodito, invece di bruciarlo. Si sentì così stupida. Strinse i pugni, incapace di proferire parola.
«Peccato, Minerva, peccato. Eppure avevo riposto in voi tutta la mia fiducia, al contrario di ciò che scrivete. Vi ho dato la Terra di Marvin e osate ripagarmi così? Non capisco». Alec si finse seriamente stupito, e la regina lo guardò sventolare quel funesto pezzo di carta consapevole che fosse il preludio della sua dipartita.
«Punite me. Lasciate stare Hemelya, ho commesso io lo sbaglio».
Il re guardò la ragazza.
«Oh, ma non potrei mai lasciarvi sacrificare per vostra figlia un'altra volta! Avete già rinunciato alla Terra della Bilancia per la sua incolumità, dopo il brutale assassinio di Marvin, e sarebbe crudele da parte mia accettare nuovamente una proposta del genere». Alec portò la mano al cuore e piegò le labbra all'ingiù in una meschina messinscena di dispiacere.
«Vedete, – continuò – mi è persino giunta voce che sia stata lei a convincere Kamal a non attaccare Lasion, e che addirittura abbiano cavalcato assieme fino a qui. Romantico, non credete? Pare quindi che sia piuttosto implicata nella faccenda». Parlava con noncuranza, come se le sue parole non le stessero condannando a morte.
«Ecco quindi cosa farò». Il Sommo Sovrano si alzò scansando il corpo della principessa che sembrava dormire beata, se non fosse stato per le corde che le tenevano fermi polsi e caviglie, e si avvicinò alla regina notando con piacere tutto l'odio che trasmettevano i suoi occhi lucidi.
«I miei soldati ti scorteranno nelle segrete, e io mi prenderò il tuo esercito». Il re si prese una certa confidenza nel parlarle in modo così informale, e iniziò a camminarle in tondo.
Per chi lo conosceva bene, sapeva che quei due elementi erano la premessa perfetta che anticipava ogni suo folle piano. La regina, invece, lo avrebbe compreso a breve.
«Vincerò la guerra, poi ammazzerò tua figlia davanti ai tuoi occhi e ti lascerò marcire in prigione fino a quando il tuo corpo non cederà, così che ogni giorno potrai riflettere su quanto ti è costato caro questo tradimento».
Minerva abbassò lo sguardo, poi cadde in ginocchio tra i singhiozzi poggiando le mani sul freddo marmo chiaro. Quando il re le diede le spalle, la regina interruppe la sua pantomima, alzò l'orlo della gonna dello stesso colore della notte e in un gesto repentino estrasse lo stiletto che il generale l'aveva convinta a tenere legato a una coscia, indirizzandolo nella parte bassa della schiena di Alec.
Era l'arma con cui suo padre aveva ucciso Titch, interrompendo la tirannia della nascente Terra della Bilancia, era minuta e letale. Grazie alla sua lama così sottile aveva facilmente oltrepassato i piccoli fori della cotta di maglia arrivando fino al cuore di quel mostro, e così un contadino era riuscito a uccidere un re.
Minerva, però, non fu altrettanto fortunata.
«Dimenticate che sono stato un soldato» le sibilò lui a denti stretti mentre le torceva il polso che reggeva il pugnale, obbligandola a mollare la presa. La zona che Danker gli aveva ustionato urlò a quel movimento così repentino, ma il re non mostrò nessun segno di sofferenza.
Con il braccio innaturalmente piegato dietro la schiena, Minerva fu costretta a rimanere immobile lasciando che i soldati che il sovrano aveva chiamato a gran voce le legassero i polsi.
Hemelya aprì gli occhi in quel momento e lei scosse piano la testa per impedirle di dire qualcosa.
«Andrà tutto bene» mimò la donna solo con le labbra, in modo che nessun altro si accorgesse che si fosse svegliata, poi vennero entrambe trasportate fino alle segrete.
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