Capitolo 44: La missione di Danker

Il principe Whyle stiracchiò i muscoli intorpiditi delle braccia e fece un grosso sbadiglio. Erano ore che era chino sulla scrivania delle sue stanze a scrivere in maniera compulsa sulle pergamene che aveva davanti e che aveva ricoperto per intero della sua grafia minuta e allungata.

Non aveva avvisato della sua intenzione di rimanere chiuso lì dentro per tutto il pomeriggio, ma sapeva perfettamente che nessuno si sarebbe preso la briga di mandarlo a chiamare, benché meno suo padre. Quando alzò lo sguardo verso la finestra che occupava gran parte della parete opposta alla porta notò nel cielo le flebili striature arancioni del sole che tramontava. Richiuse le carte ordinatamente aperte sul tavolo e le soppesò pensieroso. Incurvò dietro le orecchie una ciocca di capelli scuri che gli impediva di avere una chiara visuale di ciò che aveva davanti e pensò per l'ultima volta a ciò che stava facendo.

Era il suo momento.

Inspirò per darsi coraggio, il rotolo saldamente stretto in mano e le spalle leggermente flesse in avanti sotto il peso della stanchezza e della responsabilità, si alzò di scatto rovesciando la sedia all'indietro e spalancò la porta con un colpo solo, incamminandosi veloce prima di cambiare idea.

Sapeva dove andare, ne aveva studiato i movimenti per giorni mentre cercava di prendere una decisione, e arrivò quindi in fretta alla porta della Torre Est che portava ai sotterranei, verso le segrete. Lì, vi trovò Danker intento a raggiungere il figlio e passare insieme a lui un'altra notte in quell'antro intanfato e invaso da mosche.

Incamerò quanta più aria poté, assunse l'espressione più autorevole che riuscisse ad avere e si avvicinò.

Aveva preparato un discorso da fargli, ma trovandosi davanti la sua espressione perplessa non riuscì a dire nulla di ciò che si era prefissato e finì solo col fermarlo da un braccio e consegnargli le pergamene senza aggiungere altro. Avrebbe voluto scappare subito via prima che qualcuno lo vedesse lì, ma lo stregone lo fermò.

«Maestà? Cosa ci fate, qui?» gli chiese stringendo il rotolo che gli aveva consegnato, abbozzando goffamente un piccolo inchino.

Whyle non lo sapeva ancora bene che cosa avesse in mente di fare. Ripensò a quando, tempo prima, si era recato nelle stanze del padre per prendere uno dei suoi libri sulla strategia militare, così da poter imparare a essere come lui voleva, e ricordò il dialogo che aveva origliato tra lui e il suo servo, Angus. La scena emerse così vivida dalla sua memoria che gli parve di essere di nuovo lì, nascosto dietro l'angolo, mentre ascoltava suo padre ammettere di avere ucciso suo fratello. Era l'ennesima conferma a ciò che aveva già intuito da tempo, così come per l'omicidio della regina, ma sentirlo pronunciare quelle parole con la più assoluta noncuranza aveva fatto scattare in lui un impellente senso di rivalsa. La rabbia per le loro perdite si sommò a quella che aveva covato dentro per tutti gli anni di prigionia nella sua gabbia dorata, affiorandogli impetuosa sul viso che si accingeva già a essere quello di uomo.

«Mio padre continua a portarmi con lui in tutte le riunioni del consiglio. – iniziò, con un'espressione di sdegno – Probabilmente crede che sia uno stupido e che non capisca ciò che vuole fare: cerca di abbindolarmi con le sue parole, ma io non sono come lui; nemmeno lontanamente. In questi anni gli ho perdonato molte cose, troppe, ma ho scoperto ciò che ha fatto a mia madre e a mio fratello, e questo non riesco a perdonarglielo». Si interruppe come se si fosse perso tra i ricordi, e lo fissò con i grandi occhi viola che, nella penombra delle segrete, gli conferivano un'aria sinistra, poi scosse la testa ritornando al momento presente e fece per andare via ma, di nuovo, Danker lo fermò.

«Perché mi state aiutando?»

Il principe lo guardò rinnovando la determinazione che gli illuminava lo sguardo, e parlò con tono secco e perentorio.

«Cerca di plagiarmi con i suoi giri di parole, ma io sono avanti a lui di dieci passi. E sarò la sua rovina».

«Cosa dovrei fare con queste carte?»

«Dovete portarle alla Resistenza e rimanere lì a combattere».

Danker fece per ribattere, decisamente perplesso, ma Whyle si congedò in fretta, cercando di ritornare nelle sue stanze prima che il calore che sentiva aumentare nel corpo esplodesse nuovamente e bruciasse tutto ciò che aveva attorno. Aveva rischiato molto l'ultima volta, quando aveva trovato suo fratello impiccato nelle segrete, e non aveva intenzione di ridursi ancora in quello stato. Inevitabilmente, il pensiero corse veloce a Fabian e si chiese se sarebbe stato fiero di lui. Si domandò che cosa avrebbe pensato se avesse saputo che il suo piccolo fratellino stava tradendo il padre che lui ammirava tanto, lo stesso padre che, però, lo aveva ucciso senza remore. Deglutì con fatica, il fiato gli diventava sempre più grosso a ogni passo, e sperò solo che quell'uomo riuscisse a custodire a lungo le prove del suo tradimento, almeno fino a quando avesse trovato il momento giusto per consegnarle ai ribelli.

E il momento giusto arrivò, inaspettatamente, il giorno successivo: il re sarebbe stato impegnato tutto il giorno con i suoi generali, e Danker era stato assegnato alla zona sud-ovest della città. Sebbene i cancelli fossero stati distrutti, infatti, tutti gli stregoni sotto i comandi di Helric, l'uomo dalla tunica cremisi e dalla barba bruna, avevano ricevuto l'ordine di procedere in avanscoperta prima della fanteria nella zona sud della Capitale con l'obiettivo di arrestare l'offensiva nemica. Aveva deciso che quella era l'occasione per tentare la sorte, ma doveva agire in fretta e tornare indietro senza destare sospetti: non sarebbe rimasto negli Elyse poiché non poteva scappare lasciando Noor da solo ad affrontare l'ira di Alec.

Fu semplice eludere gli altri stregoni: molti erano costretti come lui dal re sotto i più vili ricatti, e se anche qualcuno lo aveva visto sgattaiolare via tra le case sventrate accorpate al muro di cinta, non aveva detto nulla.

Superare gli avamposti, invece, fu più difficile. I soldati erano sparsi ovunque, e gli scontri si susseguivano violenti con una potenza dettata anche dagli incantesimi apposti da loro ad armi e scudi, mentre altri stregoni cercavano di accaparrarsi i posti più in alto per avere una visuale più ampia della zona su cui agire.

Voragini e colonne di terra sorgevano dal nulla mentre case, pietre, e persino cadaveri venivano trasmutati in qualcos'altro da coloro che possedevano la magia sensitiva, rendendo l'intera area cittadina un vero e proprio campo di battaglia ricolmo delle insidie più disparate.

Si maledisse per non essere capace di smaterializzarsi, nessuno glielo aveva mai spiegato e lui non era stato in grado di impararlo da solo. Riuscì, tuttavia, a celare la propria presenza per brevi tratti, sebbene questo tipo di magia richiedesse non solo molta energia, ma anche un'elevata concentrazione che, in quel momento, non aveva. Camminò piano costeggiando le mura, facendo attenzione a non incappare nelle armature di qualsiasi colore, e dopo quelle che gli parvero ore riuscì finalmente a oltrepassare le porte di Olok, domandandosi solo in quel momento come avrebbe fatto a raggiungere illeso gli Elyse.

Al di fuori della cinta muraria gli echi della battaglia che ormai imperversava all'interno arrivavano attutiti: i ribelli erano riusciti a spalancare le porte della città e ora erano quasi tutti dentro, lasciando fuori solo qualche gruppo di guardia, i feriti, e i civili che scappavano abbandonando le proprie abitazioni. Sentì un morso allo stomaco al pensiero della casa alla ventitreesima strada est che aveva pazientemente ricostruito negli ultimi due anni, poi scosse la testa e continuò a correre con il prezioso carico assicurato sotto la camicia.

Si unì a un gruppo di persone che non conosceva e raggiunse così uno dei distaccamenti che si occupavano di accogliere e curare gli sfollati; da lì, riuscì poi ad allontanarsi verso est dove aveva visto aggirarsi dei soldati e, gli era parso, persino il Sovrano della Terra del Leone.

Mentre correva furtivo, tra alberi sradicati e crateri nel terreno, si ritrovò a pensare a Etios, suo fratello, e alla vita che avevano condotto nei boschi quando erano scappati da Corem e di come lui gli fosse stato accanto nel periodo più buio della sua vita. Sembrava passato così tanto tempo da quando gli aveva chiesto un riparo per i suoi figli e avevano discusso per l'ennesima volta ma, adesso che sentiva l'oblio della morte sempre più vicino, si rendeva conto che non avevano più importanza i loro litigi, né le loro divergenze. Era suo fratello, gli voleva bene, e aveva davvero voglia di riabbracciarlo.

Arrivò in una zona più trafficata di ribelli e vi si accostò talmente vicino che, con un po' di fatica, riusciva persino a sentire i lamenti dei feriti e le imprecazioni di sacerdoti e guaritori che tentavano di farli sopravvivere. Tese le orecchie verso una delle poche tende che erano state erette e sentì un brusio basso e continuo provenire dal suo interno come se qualcuno stesse pensando a voce alta; pensò che dentro vi dovesse essere qualcuno di rango elevato per potersi permettere di non andare a lottare, così si appiattì dietro una siepe cercando di recuperare il fiato. Estrasse il rotolo di pergamena, chiuse gli occhi e vi si fiondò dentro sperando di non essere ammazzato.

Una lama gli venne immediatamente puntata alla gola per poi fermarsi all'improvviso. Danker aprì prima un occhio e poi l'altro quasi in attesa di essere trafitto, invece notò l'espressione dell'uomo che gli stava davanti, a metà tra lo sgomento e l'incredulità, così allungò le braccia e porse le carte strategiche a quello che, scoprì dopo, era il nuovo generale dei ribelli.

Christopher abbassò la lama tremante con lo sguardo di chi aveva appena visto un fantasma.

«Sono Danker, e mio malgrado sono uno stregone del re». Non era certo il miglior modo per presentarsi, ma era terribilmente agitato e a disagio in un ruolo che non era il suo.

«In queste carte, – continuò poi schiarendosi la voce – il principe Whyle ha trascritto le strategie e le mosse di cui suo padre e il consiglio hanno discusso negli ultimi giorni. Ora devo tornare al mio posto o il re potrebbe sospettare qualcosa».

Christopher non sentì una sola parola di quello che gli aveva detto l'uomo che aveva cresciuto sua figlia per sedici lunghi anni, ma continuava a fissarlo stupidamente senza riuscire ad articolare nessun suono.

«Padre».

La voce di Enora lo riscosse e si voltò verso di lei che, però, era corsa tra le braccia di Danker. I due si strinsero quasi con foga come per volersi ricongiungere con una parte di sé che avevano perso da troppo tempo, le lacrime scendevano irrefrenabili dal volto stanco del fabbro completamente addolcito dall'abbraccio, e lei non si curava di asciugarle quando arrivavano a bagnarle il viso e i capelli.

«Padre, che ci fai qui?» domandò la ragazza, staccandosi a malincuore dalla stretta. Danker le carezzò il viso bagnato con il dorso della mano.

«Sono qui per consegnare informazioni sulle possibili mosse di Alec». Aveva mille cose da dirle che gli premevano sulla lingua, su di lui e su Noor, ma le ingoiò una a una. Non era quello il momento, avrebbero avuto tempo dopo che fosse finito tutto. Loro tre, insieme.

«Come ne sei venuto a conoscenza?» gli chiese d'un tratto preoccupata.

«Non è importante, sappi solo che Noor è in pericolo, e io devo salvarlo».

Enora ebbe un tuffo al cuore: quello voleva dire che era ancora vivo.

«Vengo con te, padre. Lo tireremo fuori da lì».

«Non ancora» intervenne Christopher, avvicinandosi. Solo allora la ragazza si ricordò della sua presenza e del perché fosse andata a cercarlo.

«Non mi fermerete nuovamente».

Christopher non si lasciò intimorire da quegli occhi carichi di odio a cui si era ormai abituato, stava per replicare ma Danker lo anticipò.

«Quest'uomo ha ragione, figlia mia. Il castello è ancora una fortezza, ci sono soldati ovunque e le barriere non permettono di intrufolarsi con la magia».

Questo Enora lo sapeva, ci aveva provato senza successo lei stessa ogni giorno da quando Stenphield glielo aveva insegnato.

«Attendi fino a quando il tuo esercito non avrà conquistato parte del castello: quello sarà il momento giusto per attaccare. Finché ci sarò io, a Noor non potrà succedere nulla».

Lei ci pensò un po' prima di annuire, poi si crogiolò ancora qualche istante tra le braccia del padre come quando era bambina e sua madre era viva, come quando la morte ancora non esisteva. Niente avrebbe potuto minare la perfezione di quel momento, né la guerra né lo sguardo di Christopher piantato sulla sua schiena.

«Devo andare, tesoro mio, abbi cura di te». Le baciò la fronte e tornò al castello con il cuore un po' più leggero.

Enora rimase a guardarlo finché non sparì tra gli alberi lì vicini, raccolse la spada che aveva fatto cadere per lo stupore e si voltò verso il generale. Christopher incassò lo sguardo gelido che gli rivolse senza farsi annientare come capitava prima.

«Ero venuta a comunicare che abbiamo bisogno del supporto della regina Minerva. So che dovrebbe fare la sua mossa dopo l'arrivo di Kamal, ma la situazione in città è critica e non riusciamo ad avanzare».

Christopher strinse il rotolo che aveva appena ricevuto, realizzandone d'improvviso tutto il potenziale.

«Presto finirà tutto» disse poi, sciogliendo il nastro che teneva chiuse le pergamene.

Danker riuscì a rientrare al castello prima che calasse il sole: aveva perso più tempo del previsto per evitare di essere scoperto dai soldati neri che ormai lo conoscevano, e non era riuscito a trovare in fretta la tunica cremisi che aveva tolto prima di uscire dalla città. Appena varcata la soglia del Real Castello, notò Whyle seduto in cima a una delle due scalinate che dall'ingresso portavano al piano superiore; aveva l'aria afflitta e gli si avvicinò con cautela.

«Gli altri stregoni sono già rientrati e hanno fatto rapporto al re». Il principe era allarmato e sorpreso nel vederlo ancora lì e lo guardò con un'espressione che non ricordava più l'uomo che sarebbe diventato ma il bambino impaurito che era stato. Danker sentì montare il panico e sgranò gli occhi sentendo scivolare via tutte le forze, mentre Whyle nascose il viso tra le mani.

«Non immaginavo che... mi dispiace».

Come aveva potuto affidarsi al piano di un ragazzino! L'uomo scese le scale di corsa, rischiando di cadere più volte a causa delle gambe molli, e si diresse verso le segrete, verso Noor.

Lo trovò boccheggiante, riverso sul pavimento della cella, con un foro a dilaniargli il ventre e il sangue che si allargava come una pozza.

Alec aveva notato subito l'assenza di Danker nel gruppo degli stregoni inviati a sud-ovest della città, e aveva intuito immediatamente cosa fosse successo. Aveva pensato che l'incolumità del suo primogenito sarebbe stata sufficiente per farlo desistere dalla tentazione di fuggire, ma evidentemente la voglia di vedere la figlia bastarda era stata più forte. Si era quindi diretto verso la prigione di Noor, lo aveva afferrato per la maglia e lo aveva pugnalato: aveva esaurito la sua utilità.

«Tuo padre ha preferito Enora a te. Guarda cosa mi sta costringendo a fare quella bastarda! E pensare che non è nemmeno figlia sua» gli aveva detto mentre estraeva il fedele pugnale di rubini dal suo ventre, talmente vicino da alitargli in faccia.

Il ribelle non aveva avuto il tempo di reagire e con un gemito si era accasciato al suolo mentre il re andava via un po' più calmo di quando era arrivato.

Quando il padre lo raggiunse, Noor si trascinò per il pavimento di pietra e paglia e si avvicinò a lui quanto più possibile lasciandosi dietro una scia di sangue.

«Whyle mi ha detto tutto. Sono fiero di te, padre» disse in poco più di un sussurro.

Danker prese a scuotere le sbarre della cella, a colpirle con i pugni, con i piedi, ma quelle non cedevano di un solo millimetro. Provò e riprovò con la magia ma le barriere erano troppo forti e lui era troppo debole. Si sentì inutile e pianse. E urlò.

Quando i rantoli di Noor cessarono e l'orribile pozza attorno a lui smise di allargarsi, l'uomo si allontanò completamente svuotato, immerso nel silenzio che solo la morte può avere.

Camminò meccanicamente risalendo le scale di pietra e incedendo lungo i corridoi, interrogando chiunque incontrasse per chiedergli dove fosse il re.

Nelle sue stanze. Bene.

Si trascinò lentamente senza prestare attenzione a ciò che gli capitava attorno, focalizzando solo la porta che avrebbe dovuto aprire.

Il re era nel corridoio che chiamava a gran voce quel verme di Angus. Bene.

Si avvicinò a lui da dietro e gli sferrò un pugno nelle reni assaporandone la soddisfazione. Alec cadde in avanti ansante, voltandosi giusto in tempo per vedere Danker lanciargli una sfera di luce che gli ustionò la spalla e parte del petto.

Lo stregone notò il pugnale ancora sporco di sangue pendergli dalla cintola e sentì montare in petto una rabbia che non aveva mai provato. Colpì il re in pieno viso con la pianta dello stivale per impedirgli di rialzarsi e preparò un'altra sfera di luce.

Una voce giunse da oltre l'angolo del corridoio in cui si trovava, distraendolo; Alec ne approfittò per chiamare aiuto e dei passi cominciarono ad affrettarsi in quella direzione. Era Angus, e il fabbro non avrebbe mai potuto vincere contro di lui.

Diede un ultimo sguardo sprezzante al sanguinante re di Olok e corse in direzione opposta a quei passi, verso gli Elyse.

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