Capitolo 43: L'assedio

Razor si svegliò che era ancora notte, probabilmente mancavano un paio d'ore all'alba e così decise di andare a fare un giro di ricognizione sulle mura del castello. Aveva piazzato sentinelle e arcieri lungo tutta la cinta con il compito di scagliare frecce e pietre a chiunque osasse avvicinarsi, e aveva ordinato di essere avvisato quando quei reietti sarebbero arrivati, per godersi lo spettacolo.

«Nessun movimento da segnalare, generale». Xavi gli si era avvicinato con il pugno rispettosamente chiuso sul cuore. Era lui l'uomo che aveva lasciato al comando del plotone sulle mura di Olok, l'uomo di cui si fidava di più tra quell'ammasso di incompetenti.

«Non abbassate mai la guardia, secondo le ultime informazioni dovrebbero arrivare a breve. Quando saranno abbastanza vicini, fai scoccare le frecce. Non voglio che si avvicinino alle porte della città».

«Agli ordini». Xavi fece un breve inchino e si congedò per consegnare ai suoi uomini il comando appena ricevuto.

Razor scrutò oltre la finestrella scavata sulla torretta del lato settentrionale, aveva guidato molte battaglie ma si sentiva come se fosse sempre la prima. La stretta allo stomaco, il formicolio alle mani e quella lunga estenuante attesa prima della tempesta, erano sensazioni che lo accompagnavano da quando era solo un semplice soldato e combatteva per il giovane re di Olok.

Aveva combattuto per i Territori del Nord, ma allora la sua inesperienza gli era costata molto. Ripensò a Lydia e al modo buffo in cui correva quando lo cercava per giocare con lui. Si era arruolato per proteggere lei e la loro madre dopo che quel vigliacco del padre era fuggito via dalla guerra. Non era riuscito a proteggere nessuno, però, e quei barbari dei soldati del Sud gli avevano portato via le uniche persone di cui gli era realmente importato qualcosa in tutta la sua vita. Da quel momento aveva cominciato a combattere con una furia che non accennava a calmarsi, tranciando chiunque gli capitasse davanti come se fosse l'assassino della sua famiglia. Il ricordo di sua madre e sua sorella strette senza vita in mezzo al bosco come degli animali qualsiasi gli si presentò vivido e prorompente come se i trent'anni passati non contassero niente. Scosse la testa per cacciare via quel pensiero che era solo una distrazione e fissò i piccoli occhi scuri all'orizzonte.

Adesso, il suo compito era proteggere la città e schiacciare i nemici. E non aveva nessuna intenzione di fallire.

Christopher notò subito gli arcieri pronti a colpire appostati in cima alle mura: li stavano aspettando, e si erano già preparati al loro arrivo. Affiancò il cavallo di Seamus poco più avanti e gli fece notare ciò che aveva visto.

«Non mi stupisce. Sapevamo che Alec non si sarebbe fatto cogliere impreparato».

«Dobbiamo cercare di non prolungare l'assedio. - rispose, rendendolo partecipe dei propri pensieri - Voglio sfondare le mura prima dell'arrivo del re Kamal. Con il suo esercito e il restante di Minerva sarà semplice fare fuori le Armate Nere e arrivare al castello». Guardava dritto di fronte a sé, come se riuscisse a realizzare con il pensiero ciò che aveva in mente.

«Il vostro è un buon piano, generale, ma questa sarà una battaglia... particolare».

«Intendete gli stregoni?»

«Sono sempre stato un soldato, - sospirò il re - conosco l'arte della spada e il tiro con l'arco, so disporre i miei soldati ed elaborare strategie. Ma non so cosa aspettarmi dall'uso della magia, né so ideare piani per contrastarla».

«Posso comprendere le vostre preoccupazioni, Sire, ma di una cosa sono sicuro: non sarà la magia a essere determinante, ma la forza che tutti i nostri uomini metteranno in questa guerra. Nessun incantesimo potrà fermarci».

Il re sorrise nervoso, sperando con tutto sé stesso che quelle parole fossero vere, sebbene fosse molto più che preoccupato sotto molteplici punti di vista.

Aveva evitato il palazzo per troppo tempo: erano mesi che non tornava a Rhowar. La verità era che nella lotta e in mezzo al campo di battaglia si era di nuovo sentito vivo dopo così tanti anni, aveva finalmente trovato il coraggio di vivere ciò che desiderava di più a questo mondo, e la prospettiva che tutto stesse per finire di lì a breve lo impaurì. Sì, paura era il nome giusto del il trambusto che sentiva dentro: paura di morire, paura di perdere Klethus, ma anche paura di sopravvivere e dover tornare al palazzo come se nulla di tutti quei mesi fosse successo davvero, come se lui e il suo consigliere non si fossero mai amati.

Si sentì un egoista anche solo a formulare quei pensieri mentre diverse migliaia di soldati erano pronti a rischiare la vita, si costrinse quindi a ritornare a riflettere sulle sorti di tutte le persone che dipendevano da lui e realizzò che, sebbene la vittoria sembrasse una mera formalità data l'incredibile superiorità numerica, non avrebbe dovuto dare nulla per scontato e sfruttare ogni singolo uomo in suo possesso.

Tirò le redini del proprio stallone e si fermò lontano dai cancelli della Capitale, imitato da tutti gli altri ribelli. Il silenzio era quasi tangibile. Smontò dalla sella e raggiunse Christopher e Nahil poco più indietro di lui per consultarsi ancora una volta prima di attaccare.

«Manderemo avanti i soldati, e gli arcieri copriranno gli attacchi dei nemici appostati tra i merli della cinta muraria. - Seamus sembrava deciso ad adottare quella strategia, lo aveva ripetuto decine di volte e il tono di voce non ammetteva repliche - Mentre i soldati in avanscoperta si faranno largo verso le mura, gli altri avanzeranno posizionando le scale sulla torretta centrale. Una volta in cima, da lì potremmo aprire i cancelli e far entrare il resto».

Nahil ascoltava in silenzio, lui non era mai stato d'accordo a quella avanzata. Gli sembrava troppo presto e temeva sarebbe stato un fallimento, anche se i numeri erano a loro favore ed erano destinati ad aumentare. Si voltò indietro osservando le impronte che quell'enorme mole di persone aveva lasciato dietro di sé. Per molti, quelle sarebbero state le uniche tracce a dimostrare che avevano vissuto e che erano morti lì, per combattere una guerra che non gli apparteneva. Si chiese ancora come avesse fatto a permettere che accadesse una cosa simile, con Ares non sarebbero mai arrivati fin lì senza un'adeguata preparazione. Ma suo fratello non c'era, lo aveva lasciato solo, e questo non riusciva a perdonarglielo.

«Cosa vi fa credere che Alec non abbia avvolto le mura con incantesimi di protezione? Io e gli stregoni dobbiamo avanzare prima dei soldati: dopo che avremmo abbattuto le barriere, allora potrete attaccare con le vostre armi». Stenphield li raggiunse in quel momento dalle retrovie e parlò come se avesse ascoltato l'intero dialogo dall'inizio.

Seamus rimase in silenzio, non aveva pensato a quell'eventualità, ma la sua mente stava già lavorando, gli occhi chiari ridotti quasi a due fessure nello sforzo; poi alzò lo sguardo verso tutti i presenti e fece un gran sorriso.

«Ecco cosa faremo, allora».

Nayél si avvicinò a Enora prima di mettersi al comando dei suoi arcieri: sarebbero partiti in avanscoperta insieme agli stregoni, e voleva stare con lei prima di fare qualsiasi altra cosa.

«Sei pronto?» gli chiese la ragazza vedendolo arrivare.

«Sono sempre pronto, dolcezza». Le schiacciò l'occhiolino e la strinse dandole un bacio tra i capelli bruni raccolti dietro la nuca.

«Beh, - continuò poi cominciando ironicamente a riscaldare i muscoli - adesso possiamo solo sperare che la prossima volta che ci vedremo saremo tutti interi».

Enora gli diede un leggero buffetto sulla spalla e lui fece finta di cadere.

«Ehi, guerriera, vacci piano».

Lei, per tutta risposta, allungò un braccio indirizzando il palmo in un punto tra i suoi piedi e chiuse le dita a pugno. Due piccoli ciuffi d'erba si staccarono dal loro naturale giaciglio per librarsi a pochi centimetri dal naso lentigginoso dell'arciere; poi, quando riaprì la mano, si incenerirono.

«Ricordami di non farti mai arrabbiare» commentò ridendo. Enora sapeva che quel sorriso largo e contagioso che aveva imparato ad amare nascondeva in realtà una grande tensione, così si avvicinò a lui e lo baciò delicatamente sulle labbra.

«Andrà tutto bene» lo rassicurò. Sciolse i capelli che aveva legato in occasione del combattimento e avvolse il nastro verde attorno al polso di lui senza nemmeno sfiorarlo, con il solo aiuto della magia. Si beò del sorriso che comparve sul suo viso dopo la prima espressione di stupore, gli passò scherzosamente una mano tra i capelli e si girò dandogli la schiena.

«A dopo». Lo salutò guardandolo dall'angolo dell'occhio sinistro e corse verso Stenphield e gli altri stregoni, con lo sguardo fiero davanti a sé. Sentiva che niente poteva scalfirla.

Nayél pensò che la luce in quegli occhi così intensi era cambiata molto dal loro primo incontro, quando lei aveva appena perso sua madre e stravolto la sua intera vita. In quasi due anni aveva assistito alla trasformazione che da un cucciolo spaurito aveva portato Enora a diventare una donna forte e indipendente, con un piccolo aiuto magico che non faceva altro che renderla ancora più interessante ai suoi occhi. Aveva aspettato a lungo prima di farsi avanti e ora rimpiangeva ogni istante del tempo che avevano perso.

Rimase ancora qualche istante a guardarla correre incontro al suo destino, voleva riempirsi gli occhi della bellezza che lei aveva portato nella sua vita e goderne fino a quando ne avrebbe avuto l'occasione. Non sapeva se l'avrebbe rivista o se in futuro avrebbe ancora sentito quello che sentiva in quel momento, ma sapeva che ciò che gli aveva fatto provare fino ad allora gli sarebbe bastato per una vita intera.

Il lungo suono di un corno catturò l'attenzione dei ribelli: in prima fila, su uno dei pochi cavalli rimasti, Christopher diede l'ordine che tutti stavano aspettando.

«I soldati stanno iniziando a marciare, devo andare con loro». Klethus si intrufolò nell'unica tenda che avevano montato per permettere ai generali dei ribelli e al Re del Leone di discutere con più riservatezza, ma rimase sulla soglia. Seamus gli dava le spalle, intento a studiare carte e pedine, e sentendo la voce del suo amato si voltò immediatamente. La distanza che intercorreva tra loro gli parve immensa, uno spazio che né il suo corpo né il suo cuore potevano sopportare, ma rimase immobile a fissarlo.

«Vai, e torna da me».

Lui tentennò un solo istante, indeciso se corrergli incontro o scappare via, poi annuì convinto e corse lontano da lì.

Solo allora il re della Terra del Leone si affrettò a guardare oltre quel lembo di stoffa che lo separava dal combattimento, e si rese conto di essere rimasto da solo. Ogni ribelle aveva imbracciato un'arma e ogni briciola di coraggio di cui disponeva, e ora aspettava solo di scatenare tutta la sua furia e guadagnarsi la giustizia a suon di fendenti. Il peso dell'arto di legno si fece ancora più pesante, come il terribile senso di oppressione che gli attanagliava il petto prima dell'inizio di ogni battaglia.

Il ruolo da spettatore gli stava sempre più stretto.

Si sentiva vulnerabile di fronte alle tuniche viola che aveva deciso di schierare in prima linea, lui che aveva sempre creduto che non potessero esistere armi di distruzione più potenti di quelle umane. Contemplava in apprensione, perché non era sicuro che ciò che aveva elaborato sarebbe bastato per riuscire ad abbattere i cancelli.

Razor guardava l'esercito nemico avanzare lentamente, erano ancora distanti ma sarebbero stati sotto tiro delle frecce molto presto. Attese il suono del corno, poi si issò sulla pedana che dava l'accesso alla guardiola.

«In posizione!» urlò. Il suo comando venne diffuso tra le fila degli arcieri che proteggevano le torrette centrali, quelle che consentivano l'ingresso in città, mentre nelle altre disseminate lungo tutto il muro di cinta aveva lasciato un pugno di sentinelle, in modo da non essere completamente scoperti per un eventuale attacco laterale.

In mezzo ai suoi uomini, il generale poteva chiaramente riconoscere quegli strani individui in tuniche cremisi che il re aveva insistito ad affiancargli; rimanevano pressoché immobili e in silenzio, non gli piacevano affatto con quell'aria di superiorità che si portavano addosso e lo sdegno nei suoi confronti che non cercavano di dissimulare, ma non aveva mai fatto domande su chi fossero: era tenuto a obbedire, comandare e vincere. Il resto non gli importava.

Le frecce perfettamente incoccate fecero capolinea tra i merli, pronte a partire. Razor attese che gli Elyse fossero vicini abbastanza da colpirne in molti.

«Scoccate!»

La sua voce riverberò nel silenzio mattutino e la pioggia di frecce calò inesorabile sui soldati; molti colpi andarono a buon fine, sebbene gli parve di notare qualche assurdo cambio di traiettoria, e il terreno cominciò a riempirsi dei primi feriti e cadaveri.

Gli arcieri caricarono ancora e mirarono nuovamente.

Un boato assordante fece perdere per un attimo il senso dell'orientamento al generale dell'Esercito Nero, che si affacciò dai merli della torretta in cui si era appostato con le orecchie che ancora gli fischiavano. Guardò sotto di lui, e ciò che vide lo lasciò perplesso.

Un folto gruppo di tuniche viola scagliava qualcosa verso di loro, sembravano sfere di luce che fluttuavano nell'aria, ma ogni volta che stavano per colpire la cinta muraria esse si schiantavano contro qualcosa di invisibile provocando quel rumore sordo e un esplosione di strani colori.

«Generale, prendo io il comando. I vostri arcieri non possono nulla contro gli stregoni».

Razor si girò verso la voce sconosciuta che aveva parlato, vide un uomo alto dalla lunga barba nera e gli occhi scuri, e finalmente capì appieno ciò che stava accadendo. Aveva sospettato qualcosa ma, prima di allora, non aveva mai avuto prove concrete che confermassero ciò che pensava. Fece un breve cenno d'assenso con la testa, nonostante tutto il ribrezzo che provava per quello scherzo della natura, con la fastidiosa consapevolezza che aveva ragione.

Non era il momento di combattere, non alla vecchia maniera.

Ammassi di pietra emersero direttamente dal terreno per schiantarsi contro le protezioni magiche di cui aveva parlato Stenphield, alberi e rocce vennero sradicati per essere catapultati contro i nemici che, però, rispondevano creando enormi globi luminosi che sembravano attutire ogni colpo e minimizzare ogni danno.

Dal cielo cominciarono a piovere massi e tronchi appuntiti, mentre sfere infuocate cercavano di intrufolarsi nell'interstizio tra i conci di pietra squadrata che formavano il muro di cinta.

Gli arcieri, capeggiati da Nayél, presero a scoccare frecce potenziate dalla magia che arrivavano a destinazione con la velocità e la potenza di un tuono, impegnando i nemici su due fronti.

Più a nessuno importava la discrezione, non era più necessario nascondersi: adesso, ogni stregone e ogni sacerdote poteva finalmente dare sfoggio di tutta la sua potenza senza restrizioni, senza avere paura di essere scoperto.

I boati si susseguirono per lunghe ore sotto lo sguardo attonito dei soldati di entrambi gli schieramenti, completamente rapiti e spaventati dai lampi colorati e dagli schianti che quegli uomini erano in grado di provocare senza nemmeno muoversi dalla loro posizione.

Enora capì subito che per quella battaglia la sua spada non sarebbe servita a nulla.

Per la prima volta avrebbe dovuto usare le abilità magiche che aveva appreso durante tutto il soggiorno a Burok e persino durante il viaggio che li aveva condotti sin lì. Si era allenata fino allo stremo delle forze, da quando apriva gli occhi all'alba a quando crollava esausta ai piedi di quell'elfo potente oltre ogni misura, ma si sentiva un po' strana a non impugnare nessun'arma: i soldati poteva vederli davanti a sé, poteva sentire i colpi che infliggeva, mentre scontrarsi contro un nemico praticamente invisibile era tutta un'altra storia.

Strofinò i palmi delle mani e innalzò una barriera che incenerì il tronco puntuto che le avevano scagliato contro, e fu pronta per il contrattacco. Levò le mani al cielo, la fronte imperlata dalla stanchezza per ore di sforzi mentali, gli occhi fissi sull'obiettivo da colpire e nella mente l'immagine di ciò che voleva creare, come le aveva insegnato Stenphield. Con la fatica disegnata in volto riuscì a scardinare dal terreno davanti a lei una grossa porzione di terra e fango che si staccò dal suo naturale alloggio per compattarsi in un'unica gigantesca sfera dura come la roccia. Mosse le braccia in avanti e quel globo, seguendo il suo movimento, si lanciò verso le mura della Capitale formando una curva al cui apice c'era quello che le era parso il capo degli stregoni nemici.

L'uomo dalla folta e lunga barba bruna le dava momentaneamente la schiena, impegnato a scagliare lance infuocate con la potenza distruttiva di un terremoto. Il suolo sotto i ribelli prese a tremare e spaccarsi mentre l'enorme palla di fango e pietra si dirigeva verso di lui; quello, però, si voltò come se avesse avvertito ciò che stava accadendo e con il movimento di una sola mano disintegrò il risultato delle ultime energie di Enora.

La ragazza crollò a terra stremata, davanti a lei l'inutile voragine che aveva creato. Aveva combattuto per tutto il giorno, ed era stanca.

Con la coda dell'occhio vide Stenphield attraversare il campo senza nessuna freccia a colpirlo, per posizionarsi al centro dei cancelli con le due torrette sotto tiro.

L'elfo aveva aspettato pazientemente e quando il sole tramontò seppe che era il momento di agire. I suoi uomini erano stanchi ma anche i nemici lo erano, e sempre più colpi riuscivano a superare le barriere che erano divenute via via sempre più deboli, provocando morti in entrambe le fazioni.

Mentre percorreva la strada verso i cancelli di Olok, scansando tutti i cadaveri che si stavano accumulando, rivide Erminia il giorno delle loro nozze, rivide Isidora che cresceva felice con il loro amore, rivide Elisea nascere in una cella buia e sporca. Quella lotta gli era costato tutto, e adesso era arrivato il momento di porvi la parola fine.

Aprì i palmi verso le torrette centrali, chiuse gli occhi e raccolse ogni briciolo di energia che aveva.

Il boato fu tremendo, due grosse sfere di energia nera si scagliarono infrangendo la barriera magica degli stregoni di Alec e colpirono inesorabili le guardiole, facendole crollare insieme agli uomini che erano lì a difenderle. Il rumore della pietra che cadeva si mischiò alle grida dei soldati che si schiantavano al suolo.

Avevano conquistato i cancelli.

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