Capitolo 39: Compromesso

Enora si stava allenando con Stenphield quando Nayél la venne a chiamare. Aveva il volto pallido e il fiato corto per averla cercata per tutto l'accampamento, ma quando finalmente la vide gli mancarono tutte le parole. L'elfo aiutò la ragazza a gestire la sfera luminosa di energia che le era sfuggita dal controllo a causa della distrazione, e poi la congedò con un gesto del capo. La ragazza si alzò a fatica, provata da ore di allenamento, e si diresse verso il suo Nayél che ancora non aveva proferito parola.

«È arrivata una lettera di Ingrid, stamattina» disse a stento.

La grafia tonda e disordinata della donna riempiva solo poche righe della pergamena, ma non servivano molte parole. Erano impresse nero su bianco le torture che Noor aveva subito, erano descritte le condizioni in cui versava e le informazioni che il re voleva e che lui non gli aveva ancora dato. Enora non riuscì a leggere fino in fondo, gli occhi si velarono di lacrime ma non ne fece cadere nemmeno una: in quel momento la rabbia era troppo forte. Noor, suo fratello, a subire chissà quali torture. Era troppo da sopportare.

«Andrò a prenderlo, lo tirerò fuori da lì e ucciderò Alec con le mie mani». Parlò senza nessuna traccia del dolore che le si leggeva in viso. Nayél sapeva che lo avrebbe detto e non provò nemmeno a dissuaderla: non voleva restare a guardare nemmeno lui.

«Non ti lascerò andare da sola, non lo sarai mai più finché ci sarò io al tuo fianco. Lo salveremo insieme».

Enora sorrise debolmente e poggiò delicatamente le labbra sulle sue, poi si diressero assieme a preparare il necessario. Fu allora che trovarono Korinna e Arkara legate a un tronco appena fuori la tenda. I due ragazzi sguainarono le spade ma vennero accerchiati da Christopher e un gruppo di altri ribelli, così abbassarono le armi, scettici.

«Prevedibile da parte vostra, ma completamente inutile. Partendo per salvare Noor vi fareste ammazzare tutti. Ora, volete opporre resistenza come loro o ascolterete quello che ho da dire?»

Enora sentì un odio profondo verso quell'uomo che diceva di essere suo padre. Portò una mano al collo e strinse le perle che avevano assunto un significato completamente diverso da quando aveva scoperto la verità. Passarono quelli che parvero secoli, poi Enora si scagliò contro il generale con una foga che aveva poco a che fare con il rapimento di suo fratello; Christopher la disarmò in pochi secondi e rimasero in piedi uno di fronte all'altro a fissarsi in silenzio. La ragazza si chinò per raccogliere la spada e fece per ritornare verso la tenda, ma il generale le posò una mano sulla spalla per fermarla. Nessuno aveva il coraggio di parlare.

«Venite con me, tutti voi, e vi spiegherò il mio piano».

Enora scrollò le spalle per liberarsi dalla presa, poi tagliò le funi che tenevano legate le sue amiche, e insieme a Nayél seguì il generale fin dentro le mura di Burok.

Percorsero le strade della capitale in totale silenzio; Arkara faticava a seguire il passo degli altri, la gamba le faceva davvero male e spesso la notte non riusciva a chiudere occhio, ma non lo aveva detto a nessuno perché non voleva che le impedissero di continuare ad allenarsi. Arrivarono alle porte del castello Reale, i soldati li fecero passare immediatamente e il piccolo gruppo di ribelli si diresse verso la Sala del Consiglio in cui si trovavano già i due sovrani e Nahil. I ragazzi si guardarono perplessi, non si aspettavano niente di simile.

«Cosa ci fanno loro qui?» chiese Liam prima ancora di salutare. Christopher prese posto e fece segno a Enora e gli altri di sedersi accanto a lui.

«Loro sono con me. È importante che ascoltino quanto sto per dire».

Nahil abbassò lo sguardo. Ne avevano già discusso e lui non era affatto d'accordo, ma non era stato in grado di opporsi nemmeno quella volta. Si sentì inutile, così chiuse gli occhi e poggiò la fronte sopra i pugni chiusi ascoltando le parole del suo generale.

«Come penso abbiate notato tutti, il mio viaggio verso Sansea è durato veramente poco. – iniziò Christopher alzandosi in piedi – Sono stato assente per poco più di quindici giorni, non ho avuto il tempo di arrivare al castello di re Kamal, ma ho avuto modo di comprenderne le intenzioni. Il sovrano sta distruggendo tutto in nome della Resistenza». Quelle parole piombarono tra i presenti come un macigno.

«Furbo da parte sua. – ammise Seamus, l'unico a non sembrare stupito dalla notizia – Se non scendiamo in campo verremo comunque attaccati da Alec e dai suoi eserciti, e avrebbe anche il movente per attaccare Burok e la Terra del Toro, data l'alleanza con noi. Non solo vincerebbe la guerra, ma verrebbe anche acclamato dal popolo».

«Alec non si è ancora mosso contro di noi solo per evitare che si ribelli l'intera Terra. Ha sempre preferito vincere grazie alla strategia e non ai combattimenti. Ecco perché non ha ancor rivelato la verità su di voi, Seamus. Aspetta il momento giusto per farlo, in modo che il Regno veda voi come un traditore e lui come salvatore». Liam aveva perfettamente capito la situazione.

«Siamo costretti a iniziare un'azione offensiva e uscire dall'ombra prima di quanto avessimo preventivato».

«No. – Nahil parlò piano, con tono stanco – Dobbiamo continuare ad allenarci senza mandare nessuno a morire, non abbiamo bisogno dell'Esercito del Pesce».

«La tua paura ci farà uccidere tutti!» gli sibilò Christopher tra i denti. Seamus sbatté i palmi sul tavolo e si alzò in piedi riportando la calma tra i presenti. I ribelli sussultarono scambiandosi sguardi preoccupati.

«Nascondersi sarebbe inutile. Dovremmo agire prima o poi, e vorrei avere più alleati possibili quando sarà il momento. – disse rivolto a Nahil – Se ciò che dice il generale è vero, il nostro intervento potrebbe calmare l'avanzata di Kamal fatta appositamente per farci uscire allo scoperto, e impedirgli di commettere errori».

«Il confine con la Terra Centrale è praticamente distrutto, il re non si ferma davanti a niente e nessuno. Ho ricevuto notizie simili anche dal confine con la Terra dello Scorpione, che vuole usare come ponte per raggiunge il regno di Minerva».

«Ma non può sperare di vincere su tutti i fronti!» intervenne Liam strabuzzando gli occhi chiari.

«No, non può, e lo sa bene. Sono battaglie veloci, mirate principalmente a distruggere villaggi e reclutare gente, si tiene ben lontano dalle Capitali e dalle città più preparate a combattere. Kamal ci ha voluto tirare in ballo per costringerci ad aiutarlo, da solo non riuscirebbe mai a sconfiggere tutti i nemici che il suo ego smisurato decide di crearsi. Vi avevo detto che è un uomo impulsivo, ma non avrei mai pensato che sarebbe arrivato a tanto, soprattutto dopo che si serve della Resistenza per proteggere i confini della sua città!»

«Cosa si può fare?». Enora lo aveva sussurrato più a sé stessa che agli altri, ma nel silenzio che si era creato la sua voce era arrivata a tutti.

«Dobbiamo combattere, ecco cosa. – dichiarò Christopher – Marciare fino a Olok, farci strada lungo tutta la Terra Centrale e affrontarlo a viso aperto».

«Ma non siamo pronti...» protestò Nahil quasi in una supplica.

«Non lo saremo mai, comandante, ma non ci sarà più un momento propizio come questo». Era stato Liam a parlare, con i suoi brillanti occhi azzurri piantati in quelli di Nahil, che si arrese.

La riunione era finita, la decisione era stata presa

Il Sommo Re era appena entrato nelle segrete per assistere a un nuovo interrogatorio di Noor; fino a quel momento il risultato non era cambiato. Erano settimane ormai che era loro prigioniero, aveva ordinato a Razor di continuare durante la sua partenza per Lasion e Angus si era assicurato che non morisse a causa delle ferite, curandolo senza però alleviarne il dolore. Eppure, Noor Barker non aveva ceduto. Non una sola parola utile era uscita dalle sue labbra, e questo era veramente oltraggioso. Quel ragazzo non aveva il minimo rispetto di sé, nessun senso di autoconservazione, peccato che fosse tutto inutile. Aveva già usato le capacità di Angus per sapere tutto ciò di cui aveva bisogno, e adesso era solo curioso di scoprire fino a che punto quel ragazzo era disposto ad arrivare prima di cedere.

Alec si ritrovò a sorridere di fronte all'integrità morale che quel ribelle condivideva con il padre Danker, della loro scelta comune nel non usare i poteri che la natura gli aveva offerto, di come stessero sprecando quel dono. E questo gli fece venire un'idea.

Era la quarta volta che Noor varcava quella soglia. Le lunghe catene attaccate al muro lo imprigionarono di nuovo coprendo i segni vivi che aveva ai polsi, ma stavolta si costrinse a stare in piedi nonostante il dolore e si guardò intorno. Era riuscito a resistere fino a quel momento, Razor si era occupato di lui con ferocia in assenza del re, ma senza riscuotere successo. Non aveva detto nulla e si era solo limitato a guardarlo di traverso, accettando passivamente tutte le crudeltà che la sua macabra fantasia gli suggeriva.

«Il tempo è quasi scaduto, dovresti dirmi quello che sai» esordì Alec. La sua presenza non faceva presagire nulla di buono per il ribelle, nondimeno, rimase stoicamente in piedi a fissarlo, in silenzio.

«Razor, il fuoco».

Bastò quella semplice parola per far perdere a Noor gran parte della spavalderia che era riuscito a dipingersi in faccia: era già debole e provato, non avrebbe resistito a lungo a quella nuova tortura.

Il generale mostrò i denti in un ghigno animale, indossò dei lunghi guanti e alimentò il fuoco estraendo poi dalla fornace uno strumento simile a un bastone di ferro dalla punta arroventata. Si avvicinò a lui tenendolo stretto, e i soldati scattarono in avanti. Conoscevano quella procedura, Razor li aveva costretti ad assistere molte volte, così con un gesto strapparono via la casacca lacera di Noor lasciando il petto scoperto e poi si voltarono per non guardare.

«Dimmi quali sono i piani di Nahil e Seamus e dove si trovano, dimmi come tua sorella ha riacquistato la vista». Il tono di Alec fu secco e perentorio, ma ricevette in risposta l'ennesimo silenzio, spezzato subito dopo.

Noor cacciò un urlo acuto quasi come un ululato: Razor gli premeva la punta del bastone sul petto, scottandolo. Non riuscì più a resistere al dolore, ogni parte del suo corpo era livida, contusa, lacerata, ustionata. Inarcò la schiena in un movimento innaturale, strattonando spasmodicamente le catene che lo tenevano ancorato al muro, ma quelle non cedettero minimamente e gli affiorarono agli occhi lacrime di dolore, di impotenza, di rabbia.

Svenne cadendo in avanti, le guardie mollarono la presa e sbatté la testa sul pavimento.

«Questo è sicuramente servito a sciogliergli la lingua, Maestà, aspettate che si risvegli» gli assicurò Razor. Dopo aver rischiato grosso con la battaglia di Naos non voleva rovinare tutto di nuovo e uccidere il prigioniero per sbaglio.

Il ragazzo si svegliò lentamente con un dolore lancinante che gli impediva di pensare lucidamente o anche solo di aprire gli occhi.

«Finalmente ti sei svegliato, per un attimo ho temuto il peggio».

Il ribelle si costrinse a guardarlo, sebbene non avesse neppure la forza di schiudere le palpebre tra la bruciante sofferenza e i lividi che gli costellavano il volto. Se Alec era ancora lì, non doveva essere passato molto tempo da quando aveva perso i sensi.

Il dolore della ferita appena inflitta non tardò a farsi sentire, e lui si sentì tremendamente stanco. Agognava ardentemente un attimo di sollievo, voleva smettere di provare dolore. Cercò di dire qualcosa, ma la sua bocca era asciutta, la lingua grossa, e non riuscì ad articolare bene le parole, così che tutto ciò che si udì fu solo un insieme incomprensibile di suoni.

Alec sorrise: a quanto sembrava, il ragazzo voleva parlare. Attese in silenzio ascoltando i gemiti che emetteva a ogni respiro, la testa china in avanti e le braccia legate in alto, immaginando eccitato il dolore che doveva provare a ogni movimento.

«Burok» rivelò infine in un sussurro, rispondendo alla prima domanda del re e sperando che potesse bastare. Noor attese che dicesse qualcosa, invece lo vide indicare la mazza chiodata appesa al muro. Trasalì, sgomento.

«È stato uno sconosciuto! Uno sconosciuto di nome Stenphield le ha dato una collana magica».

Tutti i sospetti di Alec erano stati confermati, il padre della sua defunta consorte non smetteva di provocargli guai e ora stava sicuramente addestrando la bastarda a usare i suoi poteri.

«Bene» disse solo, e si allontanò. Razor però non aveva smesso di guardarlo con i suoi occhi folli e si avvicinò con la mazza puntata contro il suo ventre.

Noor chiuse gli occhi in attesa dell'inevitabile. Si sentiva un traditore e avrebbe voluto urlare di rabbia, piangere di dolore, supplicare i suoi compagni di perdonare la sua codardia. Supplicare Enora. Li aveva condannati tutti a morire, e per cosa? Sarebbe presto morto anche lui, la stupida resistenza che aveva mantenuto in quell'eternità di prigionia era stata completamente inutile, e alla fine aveva ceduto. Era stato debole, e si meritava di morire.

«Io mantengo sempre le mie promesse. – disse il re, fermando il generale – Le informazioni in cambio della vita».

Razor non riuscì a nascondere la sorpresa, non era mai accaduto che mantenessero un prigioniero in vita dopo che avesse parlato. Chinò il capo e posò la mazza chiodata al suo posto, e ordinò ai suoi soldati di portare il ribelle nella sua cella.

Noor svenne di nuovo e si lasciò trasportare, trascinando i piedi nel pavimento ricoperto del suo stesso sangue.

Il Sommo Sovrano lasciò le segrete e convocò Danker immediatamente, ricevendolo nella Sala del Trono quando già la luna era alta nel cielo.

Il fabbro entrò nella Sala scortato da due guardie che, a un cenno di Alec, si allontanarono lasciandoli soli. Non lo vedeva da più di vent'anni, da quando gli aveva offerto un lavoro e una vita nuova nella nascente Olok come ringraziamento per avergli salvato la vita. Era stato l'errore più grande che avesse mai fatto.

«Eccomi, Mio Re» si presentò, inchinandosi al suo cospetto.

«Vi prego, alzatevi e prendete pure posto di fronte a me». Alec gli indicò una delle sedie appoggiate alla parete, così che l'uomo poté accomodarsi e guardarlo negli occhi.

Danker si era ripromesso di mantenere la calma, ma sentiva le gambe molli, la bocca asciutta e il cuore che gli batteva in gola; non aveva la forza di dire nulla né di stare in piedi. Non era abituato né a tutto quello sfarzo né a parlare con persone di un certo rango, era sempre stato un uomo semplice, e si sentì un po' in imbarazzo per le condizioni con cui si presentava al Sommo Sovrano. Era stato convocato con estrema urgenza poco prima, non aveva nemmeno finito di riporre tutti gli utensili della sua officina quando era stato avvisato da una delle guardie, e si era affrettato per raggiungere il Real Castello più in fretta che poteva. Sapeva che il re era un uomo volubile e pericoloso, e lui non voleva dargli nessun motivo per sfogarsi su di lui, soprattutto non adesso che stava finendo di ricostruire la casa che aveva perso nell'incendio e stava cominciando a rimettere insieme i pezzi della sua vita andata in fumo assieme a tutto il resto.

«Spero di non avervi recato disturbo, ma Marianne è morta e Noor ed Enora si sono uniti alla Resistenza, per cui ho pensato che non avreste avuto molto da fare dopo il lavoro al Colle della Luce, nel tempio in cui dimorate». Alec parlò con noncuranza, provocando a Danker un tuffo al cuore.

Come faceva a sapere tutte quelle cose della sua vita? Che cosa voleva da lui?

«Sono sempre al vostro servizio» riuscì a dire ingoiando il nodo che gli si era fermato in gola, iniziando a temere per i suoi figli. Si passò una mano sulla barba scura e ispida e poi la poggiò sulla gamba che aveva preso a tremare fuori dal suo controllo.

«Sono proprio felice di sentirvelo dire, Danker, perché è proprio del vostro servizio che ho bisogno».

«Mi lusingate, Mio Re, ma sono certo che abbiate già i migliori fabbri dell'intera Terra Centrale».

«Indubbiamente, mio vecchio amico, ma sono altri i servigi che vi chiedo».

Danker cercò di non cambiare espressione.

«Sapete bene che non ho più praticato da allora, è passato molto tempo...»

«Oh, ma non ve lo sto chiedendo, mi dispiace che abbiate pensato di poter scegliere. – Alec smise di sorridere e portò una gamba sopra il ginocchio dell'altra – Voi farete parte della mia squadra di stregoni perché ho bisogno di quello che siete in grado di fare».

L'uomo chiuse forte i palmi sudati lasciandovi i segni delle unghie corte e ancora sporche di lavoro. Aprì la bocca senza sapere bene cosa dire, ma il re lo anticipò.

«La salute di Noor ne potrebbe particolarmente giovare, grazie al vostro contributo alla mia causa».

Il cuore dell'uomo smise di battere per un istante.

«Cosa avete fatto...» mormorò il fabbro riacquistando lentamente tutto il suo coraggio. Persino gli occhi ripresero vigore, e ogni cenno di nervosismo svanì nel nulla. Alec lo guardò feroce.

«Non credo che vostro figlio possa resistere ancora a lungo agli interrogatori del generale del mio esercito. Il vostro aiuto potrebbe, come dire, convincerlo a rallentare un po' il ritmo».

Danker pensò alla casa che stava ricostruendo sulla ventitreesima strada est come gli aveva promesso, alla vita che aveva immaginato per loro, a Marianne.

«Non è necessario fare tutto questo per uno stregone fuori allenamento come me, ma se è questo che volete, sarò al vostro servizio a una condizione».

Alec inarcò un sopracciglio, divertito da quella pallida imitazione di coraggio, e gli fece cenno di continuare fingendo un'espressione curiosa.

«Voglio vederlo. Adesso. E dovrò assicurarmi che stia bene anche in futuro».

«Allora abbiamo un accordo. Seguitemi pure» gli concesse Alec alzandosi dal trono senza far trasparire la minima emozione, con il suo solito sorriso stampato in viso.

Danker venne accompagnato in silenzio dal Sommo Re fino alle segrete buie e silenziose. Non erano mai stati così vicini così a lungo, e a ogni passo l'uomo sentiva crescere dentro di sé un enorme senso di disagio, nonché di apprensione per il figlio. Erano passati molti anni da quando gli aveva salvato la vita, era un uomo molto diverso da allora e non aveva idea, dopo tutto quel tempo, di cosa fosse in grado di fare.

Man mano che si addentravano tra i corridoi delle segrete l'odore acre del sangue e della carne si fece sempre più forte e nauseante fino a quando si fermarono davanti a una cella da cui provenivano dei lamenti bassi e continui.

L'uomo strabuzzò gli occhi scuri per riuscire a scorgere meglio le ombre che si stagliavano nella semi oscurità, poi il re avvicinò la torcia che li aveva guidati lungo tutto il tragitto in quel posto umido e lercio.

Non era pronto a ciò che vide.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top