Capitolo 34: Radici bruciate
Nayél si mise a sedere tastandosi il petto con le mani. Enora provò ad avvicinarsi ma lui si ritrasse senza volerlo, pentendosene subito dopo; si alzò senza smettere di guardarla e andò via senza proferire parola.
Enora rimase lì, senza riuscire a provare niente se non un'enorme voglia di vomitare.
Un borbottio sommesso si diffuse tra tutti i ribelli quando apparve Nahil dietro gli uomini con la toga viola, con un sorriso tirato e un moncherino alla mano destra.
«So che vi devo delle spiegazioni ma, prima che diciate qualsiasi cosa, sappiate che io e Ares ne avevamo discusso molto a lungo e avevamo deciso che erano necessari per la nostra sopravvivenza. Non avremmo dovuto ingannarvi, e avremmo comunque dovuto dirvelo prima, ma converrete con me che non è esattamente una cosa semplice da dire» concluse quasi in una supplica.
«Codardi. – ribatté Arghar, un ribelle alto e forzuto – Avreste potuto usare loro anziché mandare noi a morire».
"Gli stregoni di Alec ci avrebbero annientato dopo un solo giorno, mentre così potevamo sperare di combattere ad armi pari" pensò Nahil.
«Loro non sono abbastanza: siete voi la vera forza degli Elyse. Loro, semplicemente, ci proteggono un po' più delle pettorine» disse, invece. Il generale si guardò attorno ma non trovò nessuna approvazione: solo sguardi furiosi e spaventati e, nel migliore dei casi, volti bassi.
Nell'immobilismo generale solo Noor ebbe il coraggio di muovere qualche passo per raggiungere sua sorella, visibilmente sconvolta.
«Sono una di loro» pronunciò sottovoce, guardandolo senza vederlo.
«Credo sia meglio continuare a organizzare la ritirata. – intervenne Seamus – Non sappiamo come reagiranno e non possiamo farci trovare ancora qui».
La folla si diradò in fretta lanciando sguardi fugaci a Nahil e agli uomini con la toga viola mentre il sovrano, con il suo solito passo claudicante, seguì il generale fin nella sua tenda.
«Cosa diamine sta succedendo?» gli chiese una volta dentro, cercando di contenere la rabbia.
«La magia è reale, Sire. E io l'ho usata per proteggere i miei uomini».
«Sono a conoscenza di cosa fate, vostro fratello me ne ha parlato prima di morire, – lo interruppe, liquidando la questione con un gesto – ma farli uscire allo scoperto in questo modo? Avete idea delle conseguenze che potrebbe avere?»
«Almeno, i nostri uomini non sono scappati via».
«E avrebbero fatto bene! Gli stregoni di Alec ci annienteranno, adesso. Siamo stati fortunati che non fossero qui, probabilmente Alec non li manda nel campo di battaglia, ma adesso non oso immaginare come saranno i prossimi scontri».
Il generale passò l'unica mano che gli restava dietro la nuca, visibilmente agitato.
«Non sapevo cos'altro fare, maestà. Senza Ares, io non so più niente».
Stenphield si allontanò dal gruppo di stregoni di cui era a capo e si diresse rapido verso Enora, che era ancora in ginocchio sul terreno.
La ritirata era ormai a buon punto, tutti si muovevano di gran lena da una tenda all'altra caricandosi di tutto ciò che potevano, nel più totale silenzio. Nessuno aveva il coraggio di passare accanto alla ragazza, né tanto meno parlarle. Soltanto Noor era al suo fianco, seduto di fronte a lei, con le braccia attorno alle ginocchia e il mento poggiato su di esse, e la guardava senza dire nulla. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto dirle così aveva preferito, semplicemente, farle sapere che lui c'era e che non aveva paura.
L'elfo le si avvicinò a passo svelto e la issò con forza tirandola per un braccio. Enora si lasciò sollevare senza opporre resistenza, tenendo lo sguardo rigorosamente fisso nel vuoto, e Noor si alzò senza un'idea chiara di cosa fare, ma determinato a non permettere che sua sorella venisse trattata in quel modo. Nello stesso momento in cui li raggiunse, però, i due svanirono nel nulla.
L'accampamento distrutto, il terreno polveroso, il via vai di carri e ribelli, vennero sostituiti da un pacifico panorama verde. Enora riconobbe immediatamente dove si trovavano, sebbene lo avesse visto solo poche volte.
«Perché mi avete portata qui?» chiese all'elfo, senza neppure avere la forza di domandare come ci fosse riuscito.
Era la radura a cui lei e Noor avevano confessato i loro problemi, la quercia in cui si erano rifugiati più volte da bambini, il luogo in cui aveva ricevuto quella dannatissima collana. Sembrava non essere cambiato nulla dall'ultima volta che c'era stata, eppure era cambiato tutto. Stenphield lasciò la presa e le si parò di fronte con l'espressione più seria che avesse mai avuto.
«Ho sempre sostenuto che fosse un tuo diritto conoscere le tue origini, sapere chi sei. Il momento è arrivato nel modo peggiore in cui potesse giungere, ma adesso non posso più rimandare, non mi importa cosa dirà tuo padre».
Suo padre, Danker, doveva essere ancora al Colle della Luce, il tempio dei sacerdoti che lo aveva accolto dopo aver perso ogni cosa nell'incendio che aveva ucciso sua madre e distrutto la sua vita. Non era molto lontano. Aveva desiderato così ardentemente di poterlo rivedere, ma ora che era a un passo da lui non aveva il coraggio di muoversi. Aveva paura di sé stessa e di quello che aveva fatto, aveva paura di trovarlo cieco e dovergli spiegare che era solo colpa sua.
«Non voglio più portare questo fardello» disse piano, concludendo una serie di pensieri che le attraversarono rapidi la mente, e portò le mani alle perle, pronta a rompere quella catena che la imprigionava in una vita che non era la sua.
«Non è la collana a renderti ciò che sei».
Enora si fermò con le dita a mezz'aria che sfioravano il prezioso gioiello.
«Qualunque cosa io sia, non voglio più esserlo».
«Siediti» le disse perentorio l'elfo, in un tono che sembrava più un comando che una richiesta. Lei obbedì senza opporsi, ammaliata e intimorita allo stesso tempo. Stenphield si sedette di fronte a lei a gambe incrociate, lasciando che i capelli scuri come la notte gli ricadessero lunghi fin sulle ginocchia.
«Non dovrai parlare con nessuno di ciò che sto per dirti». Gli occhi viola dell'elfo si fissarono su quelli di Enora, e la ribelle si irrigidì, contenendo tutte le domande che aveva in testa e aspettando che l'altro dicesse qualcosa.
«Hai salvato un soldato, oggi» iniziò lui con indifferenza, come se non fosse importante.
«Non so come abbia fatto e non saprei rifarlo. Nayél stava morendo e io, semplicemente, non volevo che accadesse».
«Oh, c'è molto poco di semplice in ciò che è accaduto».
Enora lo guardò perplessa.
«Esistono diversi tipi di energia: curativa, distruttiva, sensitiva e costruttiva. – spiegò Stenphield – Se l'energia è di tipo curativo, il possessore sarà in grado di guarire e aggiustare persone e oggetti; se è di tipo distruttivo si sviluppano forza e velocità, consentendo anche di materializzarsi in qualunque luogo; con l'energia sensitiva si ampliano le facoltà della mente, e l'individuo che la possiede potrà cambiare sé stesso e ciò che lo circonda; infine, quando l'energia è costruttiva, si riescono a plasmare le cose attorno a sé e a costruirne di nuove dal nulla. Indubbiamente, la tua energia è di tipo curativo».
La ribelle cominciò a oscillare nervosamente una gamba. Non era lì per una banale lezione su qualcosa che non era nemmeno sicura esistesse veramente.
«Perché io?». Era quella la domanda a cui voleva una risposta, l'unico motivo che l'aveva convinta a rimanere impalata di fronte a quell'enorme mucchio di assurdità.
«Ti risparmio la storia della lotta tra Mysa e Nefer, sappi solo che questi poteri si possono ottenere in due modi: o si è un sacerdote dedito al culto della dea, o si è un elfo o suo discendente. Man mano che il sangue elfico diminuisce nelle generazioni, tuttavia, diventa sempre più difficile scoprire i propri poteri. Vi è però un'importante differenza tra sacerdoti ed elfi: quest'ultimi possono padroneggiare ogni tipo di energia, sebbene la loro inclinazione sia una sola, mentre i sacerdoti possono impararne solo uno e, in rari casi, riescono a controllarne degli altri».
«Siamo venuti fin qui per dirmi che sono un mostro? Non voglio sapere nulla su queste... cose che sono in grado di fare».
«Ti ho portata qui perché meriti di sapere la verità, e la verità è che sei una prescelta. Dentro di te scorre sangue elfico. Il mio».
Enora rimase impassibile, perfettamente immobile sotto alle fronde mosse dal vento della quercia.
«State delirando, non avete l'età neppure per essere mio padre».
Stenphield allungò un solo angolo della bocca, disegnando un sorriso strano, sbilenco.
«Gli elfi hanno una vita nettamente più longeva rispetto agli esseri umani».
Enora si alzò in piedi decisa a non ascoltare un'altra sola parola, e si voltò pronta a dirigersi verso il Colle della Luce, verso suo padre. L'elfo, però, iniziò a parlare con voce seria e profonda, come se stesse pescando le parole in luoghi reconditi della memoria, luoghi che non visitava da tempo ma, non per questo, dimenticati.
«Quarantacinque anni fa, – cominciò lui – la Terra Centrale non esisteva, ed era divisa tra Territori del Nord e del Sud. Io avevo da poco abbandonato la comunità elfica ai confini del Regno, vagavo per Holtre celando la mia identità e incontrai Ermenia, principessa del Sud e sua unica erede. Il nostro fu un amore difficile, ma felice. Riuscii a ottenere la sua mano fingendo un retaggio che non avevo, non ne vado molto fiero, ma divenni un re apprezzato nonché padre di una bellissima bambina dagli occhi viola: Isidora. Tuttavia, gli anni passavano e i sudditi cominciarono a notare che non una ruga solcava il mio volto, così io ed Ermenia inscenammo la mia morte e lasciai il castello, senza però perdere mai i contatti con lei e Isidora». La voce di Stenphield si fece più grave, ed Enora si fermò inchiodata al suolo, incapace di muovere un solo passo.
«Alec, ai tempi, era da poco succeduto al padre come sovrano dei Territori del Nord e aveva molte ambizioni su quelli del Sud. Furono anni di lotte e violenze che distrussero ogni cosa, finché il re propose a Ermenia un matrimonio con Isidora, per evitare di continuare una guerra che, comunque, avremmo perso. Io non ero assolutamente d'accordo, ma non potevo essere presente al castello mentre lui e Angus continuavano a fare visita alla regina e alla principessa. Non so cosa accadde, ma Isidora accettò, facendo così nascere la Terra Centrale. Si rese però presto conto di che uomo fosse Alec e, nonostante fosse gravida del principe Fabian, decise di appoggiare la nascita degli Elyse. In quel periodo si innamorò della sua guardia personale, Christopher, con cui iniziò una relazione clandestina e grazie al quale diede alla luce te, con il nome di Elisea».
Enora proruppe in una risata isterica.
«È una cosa ridicola, dovete esservi sbagliato».
L'espressione dell'elfo non mutò, e la ribelle ebbe la sensazione che la magia c'entrasse poco con quell'incontro.
«Alec scoprì il tradimento poco prima della tua nascita e fece rinchiudere i tuoi genitori nelle segrete. – proseguì, come se lei non avesse parlato – Io ho aiutato Isidora a partorire e ti ho portato via, ma Alec intuì cos'era successo e innalzò delle barriere magiche per impedirmi di raggiungerli. Ti tenni con me per un anno, poi Angus mi trovò e ti strappò dalle mie mani; il re costrinse Isidora a tradire tuo padre per poterti riavere, lei fece finta di obbedirgli ma Alec ti aveva ormai resa cieca».
Enora sussultò e si rese conto di aver un nodo alla gola che non le permetteva di parlare. Deglutì.
«Resa cieca? Non lo sono dalla nascita?»
Stenphield scosse la testa.
Non voleva credergli. La sua intera vita non poteva essere stata un inganno. Si sentì un'estranea nei suoi stessi ricordi, e rimpianse di non aver mai potuto osservare il volto di Marianne, per sapere se almeno un po' le somigliasse.
«Ti sei mai chiesta delle cicatrici che hai ai lati degli occhi? Ora che sei cresciuta si notano di meno, ma sono il segno della vendetta di Alec per il tradimento di Isidora. Le ordinò di abbandonarti fuori dal regno, ma io l'aiutai a non farlo, così ti lasciò davanti alla porta dei Barker».
Enora si costrinse a non piangere.
«Perché non sono rimasta con voi?» chiese con una voce che non sembrava la sua. Le parole dell'elfo l'avevano resa un'intrusa nella sua famiglia, ma la severità con cui gli occhi viola la fissavano non lasciava dubbi sulla loro veridicità.
«Tua madre preferì così: mi disse che non voleva privarti della gioia e della tranquillità di una famiglia, così mi fece promettere che ti avrei cercata quando sarebbe stato il momento, per permetterti di lottare e ottenere ciò che Alec ti aveva portato via. Non è stato un caso che io ti cercassi la prima volta il giorno in cui Marianne morì. – Stenphield anticipò la domanda che Enora non aveva il coraggio di porgli – Alec, in qualche modo, aveva scoperto che eri viva e aveva ordinato di ucciderti appiccando fuoco alla casa. Io ti ho salvato la vita».
La ribelle sentì il cuore fermarsi all'improvviso, e un nuovo senso di colpa si accodò a tutti gli altri per attanagliarle il petto.
«Perché non avete salvato anche lei...».
«Non è stato facile simulare la vostra presenza e ingannare Angus. Non potevo mettere a repentaglio la missione e rischiare che Alec lo scoprisse».
«E mio padre?»
«Christopher non ti ha mai persa di vista, ha sempre vegliato su di te».
«No. – lo fermò Enora con voce ferma, nonostante avesse iniziato a tremare – Dov'è mio padre, Danker. Anche lui è sopravvissuto all'incendio: è stato scoperto?»
«Alec voleva che solo lui si salvasse, poiché gli è debitore. Durante la guerra civile tra i Territori del Nord e del Sud, Danker gli salvò la vita e il re gliene è rimasto riconoscente, nonostante tutto».
«Adesso sta bene? È già cieco?»
L'elfo respirò profondamente.
«Non lo è, nessuno lo sarà. Ti ho mentito sui poteri della collana».
Enora si sentì cadere in pezzi, non era possibile.
«La magia ha un prezzo per chi la compie, non per chi la riceve. Ho pagato io affinché tu avessi la possibilità di combattere per ciò che ti è stato tolto. Era necessario che ti dessi un motivo per partire, o non ti saresti mai unita agli Elyse».
Enora si avvicinò con una rabbia che non riusciva a esprimere a parole, che le bruciava le viscere e le offuscava la vista. Anche l'elfo si mise in piedi, senza scomporsi, guardandola in modo dannatamente inespressivo. Lo raggiunse e gli sferrò un pugno dritto sul naso; lui non si scansò.
«Non avevate il diritto di scegliere cosa fosse meglio per me. Chi altri lo sa?» gli chiese con voce spaventosamente piatta, invece di dare sfogo alla bestia che le graffiava il petto.
«Nahil».
«Portatemi da lui».
Ciò che restava dell'accampamento prese velocemente forma attorno a loro, ed Enora impiegò un solo momento per riuscire a orientarsi.
Mentre camminava verso la tenda del generale, il nome di Fabian le rimbalzò improvviso in testa così come il ricordo del loro bacio. Suo fratello. Trattenne un conato di vomito ed entrò.
«Ti devo delle scuse, lo so» ammise Nahil prima che lei parlasse.
«Dov'è Christopher?» gli chiese, incapace di chiamarlo in altro modo.
«Ci raggiungerà a Burok, siamo diretti lì».
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