Capitolo 29: La grande farsa
Quando il principe riaprì gli occhi si ritrovò in una cella buia, da solo. Si mise subito a sedere e indietreggiò fino ad appoggiarsi a una delle pareti. La vista era leggermente offuscata e un fischio sordo continuava a riempirgli la testa, rendendolo piuttosto confuso.
«Fabian, siete voi?». La voce cristallina di Kryss rimbombò tra le pareti umide. La risposta alla sua domanda gli arrivò flebile e svogliata dalla cella accanto alla sua.
«So che vi sentite tradito, ma non ho agito così per denaro, se è questo che pensate. Mi sono ritrovato in una situazione che non ero capace di gestire, e la proposta di vostro padre mi è sembrata la scelta più sensata».
Nessuna risposta.
«Pochi mesi fa, quando siete sparito per la prima volta, mi è successa una cosa molto... particolare. – espirò, deciso a raccontargli tutta la verità – Ero con Shaila a casa nostra, era quasi finita e dovevamo solo ultimare qualcosa prima di andarci ad abitare. Sapete, dopo la cerimonia di unione c'è stata subito la spedizione ai Monti Nevos e lei si era testardamente ostinata a finire di aggiustarla da sola, in modo che fosse pronta al mio ritorno. Era lì, sorridente, che mi mostrava ciò che aveva fatto... ed è successo tutto all'improvviso. Il tetto è crollato proprio nel punto in cui si trovava lei. Non l'avrei mai raggiunta in tempo. Ho allungato le braccia, impotente, e invece... e invece tutte le macerie si sono sparpagliate sul pavimento come se fossero mosse da fili invisibili, e Shaila mi guardava attonita. Era illesa, Sire, completamente illesa. Ero stato io, non sapevo come, ma sentivo una strana energia che mi bruciava i palmi delle mani. Sono scappato verso l'unico altro posto che considero casa e sono arrivato al castello. Mi nascosi nelle stalle, cos'altro avrei potuto fare? Lo sguardo che mi aveva rivolto la mia stessa moglie era di puro orrore e io mi ero sentito un mostro. Non parlai con nessuno di ciò che era accaduto, non sono neppure tornato da lei, ma ho passato intere giornate nelle scuderie a cercare di comprendere meglio i poteri che iniziavo a manifestare. Non ero, però, in grado di controllarli e finii presto per distruggerle. Fu allora che Angus mi trovò. Mi condusse da vostro padre, e lui mi propose di entrare nella sua squadra di stregoni, dove avrei potuto imparare a controllare meglio le mie... capacità».
«Squadra? Ce ne sono altri?» chiese piano il principe. Aveva raggiunto le sbarre della sua cella e ora sedeva con la schiena appoggiata a esse, in ascolto di quella storia inverosimile.
«Circa una dozzina. Ci occupiamo di rinforzare uomini e armi, potenziandone tutte le abilità».
Ora molte cose erano più chiare. Finalmente Fabian comprendeva a pieno tutte quelle volte in cui, secondo lui, era stata la fortuna a salvargli la vita; adesso capiva perché, nonostante la fatica, i suoi colpi non accennavano mai a perdere di potenza. Mai come a Sansea si era sentito estraneo al suo stesso corpo e, adesso, ne conosceva la ragione.
Stregoni, magia, cos'altro gli nascondeva suo padre?
«Perché non me ne hai parlato prima?»
«Voi non eravate qui, Sire. Non ci siete mai stato in questi ultimi mesi».
«E così hai pensato bene di tradirmi. Io mi fidavo di te» aggiunse amaro.
«Non abbastanza da dirmi della ragazza e della Resistenza».
«Non ho tradito mio padre per lei. - sbottò, irritato al pensiero che il suo migliore amico lo credesse capace di una cosa simile - Ho scoperto quello che è in grado di fare dopo il Concilio: ha ucciso re Teodor a sangue freddo e, probabilmente, ha ucciso anche mia madre. Tutto ciò in cui avevo creduto fino a quel momento si è disgregato sotto ai miei occhi e mi sono reso conto che, per tutta la vita, avevo servito un mostro. Sono scappato, è vero, ma la mia assenza non giustifica il tuo tradimento».
Kryss non rispose subito. Alzò il viso verso il tetto alto e buio della cella, e parlò con gli occhi fissi nell'oscurità.
«Mi sono accorto molto presto che le attività degli stregoni erano molto diverse da quelle che avevo immaginato. Vostro padre li costringe a fare cose impensabili, Sire, soprattutto ai prigionieri. Io non volevo farne parte. Gli ho detto che mollavo, ma lui ha minacciato Shaila».
«Non mi importa il perché lo hai fatto. Voglio sapere se sei stato tu a vedermi con Enora e perché hai suonato il corno».
«Il re mi ha detto che se gli avessi portato informazioni sul vostro conto, lui l'avrebbe rilasciata. - sospirò - Sospettava che gli nascondeste qualcosa già dal ritorno della battaglia di Toras, e mi ha chiesto di tenervi d'occhio assicurandomi che, comunque, non avrebbe mai agito in modo crudele contro di voi. Stavo combattendo con un ribelle dai capelli rossi quando vi ho visto con la ragazza in un vicolo di Sansea. Ho pensato che così avrei potuto riavere mia moglie, mi dispiace...»
«Vi fidate di questa ragazza? - riprese poi il soldato, dopo interi minuti di silenzio - Ci accoglierebbero tra i ribelli?».
Fabian sussultò.
«Perché dovrei crederti, adesso?»
«Perché vostro padre mi ha mentito. Voi siete condannato a morte, e Shaila è ancora in pericolo. Non voglio più essere vittima della sua influenza, Sire, voglio essere libero».
Il principe rifletté a lungo. Si conoscevano da che aveva memoria, avevano condiviso tutto, eppure si erano tenuti nascosti cose troppo importanti.
«Mi fido di lei. – disse infine – E mi fido di te».
Kryss espirò tutta la tensione che aveva accumulato.
«Adesso dobbiamo uscire di qui». Un attimo dopo quelle parole, il soldato fu accanto a Fabian, che sussultò dallo spavento.
«È così che ho avvisato vostro padre. – gli spiegò, dando voce ai dubbi del principe – L'ho raggiunto subito dopo avervi visto con la ragazza e poi sono tornato indietro per suonare il corno. Me l'ha ordinato lui, non gli importava della battaglia: voleva che tornaste immediatamente».
Fabian cercò di reprimere lo sgomento e la rabbia e si concentrò solo su Enora. L'avrebbe raggiunta presto e poi, in qualche modo, si sarebbe fatto accettare da tutti gli Elyse. Voleva starle accanto, adesso più che mai.
«Andiamo via, allora. Erano diretti a Jena, poi si sposteranno verso Naos. Enora è riuscita a scoprire le prossime mete, così che io potessi raggiungerla» gli rivelò concitato, ma Kryss scosse la testa.
«Non avrei abbastanza energie per andare così lontano, e non ho mai viaggiato con qualcun altro. Sarebbe troppo rischioso muoverci adesso, ho bisogno di tempo».
Fabian annuì poco convinto.
«Ho davvero voglia di rivederla, Kryss».
Nelle ore successive i due amici si raccontarono tutto ciò che non si erano detti nei mesi passati: Kryss gli spiegò come funzionavano i suoi poteri e Fabian gli rivelò ciò che sapeva della Resistenza. Si addormentarono esausti e, al loro risveglio, era giunto il momento di evadere.
Il giovane stregone si materializzò nella cella del principe e gli afferrò un braccio.
«Siete pronto?»
Fabian fece un veloce cenno di assenso e chiuse gli occhi. Kryss gli aveva spiegato tutto ciò che sarebbe potuto andare storto, ma lui gli aveva affidato la propria vita molte volte nel campo di battaglia e sapeva di potersi fidare ancora, anche se il nemico era ben diverso da quello che erano stati addestrati a combattere.
Avvertì una sensazione diversa da tutte le altre che aveva provato in passato, come se il corpo venisse risucchiato e perdesse forma e consistenza, per poi ricompattarsi subito dopo facendolo tornare con i piedi saldamente per terra.
Ce l'avevano fatta. Erano salvi.
Schiuse lentamente le palpebre che aveva diligentemente tenuto serrate per tutto il tempo, e inorridì. Davanti ai suoi occhi prese forma la Sala del Trono di Olok.
Si voltò verso Kryss, sgomento, ma lui si allontanò per permettere a dei soldati di incatenarlo.
Lo aveva tradito. Di nuovo. E lui si era lasciato abbindolare. Lo aveva ingannato quando gli aveva fatto credere che a suo padre importasse di lui, facendogli abbassare le difese al suo rientro; lo aveva tradito al momento dell'arresto e lo aveva raggirato per tutto il giorno precedente, con lo scopo di raccogliere quante più informazioni possibili. Era stato tutto un piano di suo padre, sin da quell'assurda provocazione che Kryss gli aveva fatto su Whyle. Alec sapeva che lui non avrebbe mai ceduto, e aveva escogitato tutto per ottenere le informazioni che voleva. E lui, come uno sciocco, gli aveva creduto.
Aveva creduto che suo padre lo amasse, aveva creduto che il suo migliore amico si fosse pentito, aveva creduto di poter tornare da Enora.
«Perché...». Le labbra del principe si mossero senza emettere nessun suono, lo sguardo esprimeva una sofferenza che non sapeva come tirare fuori.
La Sala del Trono si riempì della risata sommessa del Sommo Sovrano.
«Figlio mio» lo chiamò con aria di rimprovero. Era seduto sul trono, la corona sulla testa e un lungo mantello amaranto che gli scendeva fino ai piedi. Il principe tentò di divincolarsi, ma le catene che aveva ai polsi e attorno al collo rendevano ogni movimento tremendamente più difficile.
«Ho sperato fino all'ultimo che rinsavissi, ma vedo che hai preso la tua decisione. Sei un traditore, Fabian, e io non ho più bisogno di te».
«Uccidimi, allora» sibilò lui. Alec si avvicinò repentino e gli sferrò un pugno allo stomaco che costrinse il figlio a fare a meno di respirare per un paio di secondi. Le guardie che lo tenevano fermo lo costrinsero a inginocchiarsi, così che il principe fu costretto a guardare il padre dal basso verso l'alto.
«Non sono forse giusto a condannare il mio stesso figlio come farei con tutti gli altri?». Il re lo aveva quasi urlato, posando gli occhi sbarrati su ogni soldato e cercando da loro un'approvazione che nessuno ebbe il coraggio di dargli.
«Che sovrano sarei se perdonassi un traditore? Chi di voi appoggerebbe un simile re?». Alec era in piedi davanti al trono con l'aria più gloriosa che avesse mai avuto.
«Uccidimi, allora» ringhiò Fabian, con le mani ancora legate dietro la schiena e i capelli scompigliati davanti le iridi screziate di viola.
Il padre abbassò lo sguardo nella sua direzione, fissandolo come si fa con gli scarti. Rivide in lui la stessa inutile fierezza che aveva avuto Isidora, l'identica vana caparbietà che l'aveva condotta alla morte.
«Lasciateci soli». L'espressione folle che aveva disegnato in viso svanì in un istante per lasciare spazio a una maschera inespressiva.
La dozzina di uomini che aveva radunato nella Sala del Trono si dileguò in fretta in totale silenzio, mentre i soldati che reggevano le catene del principe le lasciarono cadere sul pavimento e si allontanarono senza alzare lo sguardo su di lui. Kryss, come due giorni prima, fu l'unico a restare, con gli occhi nocciola rigorosamente fissi sui piedi.
«Sai, – iniziò il re, come se stesse pensando ad altro – mi sono spesso chiesto cosa avrei fatto in una situazione analoga, se avessi dovuto scegliere tra la mia vita e quella degli altri». Si zittì un attimo per riflettere e sorrise.
«Indubbiamente, sceglierei me. Sceglierei di vivere, perché la vita è un dono estremamente prezioso e fragile, e non può essere sprecata. Capisci? La lealtà, l'amore, la morale, possono sempre mettere a rischio il delicato equilibrio di un essere umano, e noi non possiamo permettere che ciò accada. Siamo dei reali, siamo persone enormemente importanti, e la nostra vita vale molto più di quella degli altri». Si interruppe come se si fosse reso conto di star divagando.
«Ad ogni modo, mi sembra di capire che tu hai un'altra filosofia al riguardo». Alec si alzò e si avvicinò nuovamente al figlio.
«Anch'io so tante cose di quella ragazza, sai? Come hai detto che si chiama? Enora?»
Anche in quell'occasione, Fabian scattò non appena il padre accennò a lei. Quella volta, però, fu Kryss a fermarlo, afferrandogli la lunga catena che gli pendeva dal collo e impedendogli di avanzare.
«Sapevi che veniva da Olok?». Alec, che non si era neppure mosso di fronte alla reazione del figlio, sorrise al pensiero di cosa doveva ancora dirgli.
«Che cosa strana: tu e tua madre che morite per proteggere la stessa persona. È buffo, non trovi?».
«Che cosa c'entra mia madre con lei?» reagì Fabian, smettendo di divincolarsi. Il Sommo Re fece finta di non averlo sentito e cominciò a parlare.
«Mi sono molto sorpreso quando Kryss mi ha raccontato di avervi visto in quel vicolo a Sansea, ma non tanto perché mio figlio, il principe erede, si stesse divertendo con una sudicia ribelle. No, la cosa che mi ha stupito è che stavi con una ragazza che sarebbe dovuta essere morta».
Fabian, suo malgrado, assunse un'aria interrogativa che fece divertire il padre, che si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Quante cose che non sai, figlio mio».
Nove mesi prima, in quel comizio che era stato interrotto dall'intervento degli Elyse, Angus, come sempre, si era mischiato tra la folla e ne aveva carpito i pensieri grazie ai suoi poteri. Si era allenato a lungo prima di esserne in grado, ma era infine diventato molto abile nel scrutare la mente delle persone senza che le stesse se ne rendessero conto.
Quando era tornato al castello, il suo fedele servo gli aveva riferito della presenza di Elisea, riconoscibile anche attraverso le piccole cicatrici che il guaritore Ray le aveva lasciato ai lati degli occhi. Era stato allora che il re aveva capito di essere stato ingannato dalla regina, ed era stato allora che aveva deciso di completare ciò che non aveva fatto diciassette anni prima. Aveva ordinato ad Angus di appiccare il fuoco alla casa in cui la ragazza viveva con la sua famiglia adottiva, ma qualcosa doveva essere andato storto. Rifletté qualche secondo e la soluzione gli apparve limpida nella mente.
La collana di perle, quella che Kryss gli aveva riferito essere in grado di cambiare colore, doveva essere la chiave di tutto. Era stato Stenphield, ora ne era certo. Sapeva che era stato lì in quel periodo, Angus lo aveva visto, e fino a quel momento aveva creduto che ci fosse lui dietro all'interruzione di quei ribelli durante il comizio. E invece era riuscito ad aggirarli e a far sì che quell'inutile bastarda si salvasse. Maledetto elfo.
Con un riflesso, Fabian gli diede una ginocchiata tra le gambe prima che Kryss potesse fermarlo. Alec si allontanò dolorante e si avvicinò nuovamente a lui solo per colpirlo in viso con la mano chiusa, costringendolo nuovamente in ginocchio.
«Questa tenacia non ha aiutato tua madre a rimanere viva e non aiuterà nemmeno te!» gli urlò contro a pochi centimetri dal volto, per poi allontanarsi rapidamente paonazzo dalla rabbia.
Fabian leccò con la punta della lingua un piccolo rivolo di sangue che, dal labbro spaccato, gli stava scivolando verso il mento.
«Uccidimi» disse poi con voce piatta, quasi stanca.
«Tua madre non volle ascoltarmi, molti anni fa, e hai visto che fine ha fatto. Adesso anche tu mi hai tradito e non cerchi neppure di rimanere vivo. Avrei dovuto sbarazzarmi di quella bastarda quando ne avevo la possibilità: almeno avrei ancora la mia famiglia». Per un attimo, un solo, minuscolo attimo, il volto del Sommo Sovrano si velò di tristezza.
«Uccidimi». Fabian aveva mille domande in testa, ma non avrebbe dato a suo padre quella soddisfazione. Sapeva che era arrivata la sua fine, ma andava bene così. Aveva fatto in modo che il re Seamus si alleasse con la Resistenza, aveva posto le basi per una collaborazione con Kamal, aveva conosciuto Enora. Era sufficiente. Era appagato di ciò che aveva fatto per distruggere suo padre.
«Tu non sai niente di quella ragazza!»
«Uccidimi».
Alec avvicinò la bocca all'orecchio del figlio.
«È tua sorella» gli sussurrò.
Fabian sgranò gli occhi incredulo, mentre Kryss lasciava cadere le catene che lo tenevano fermo.
Quelle parole stavano ancora riecheggiando nella mente del principe insieme ad altri mille pensieri, quando Alec estrasse la spada dalla sua custodia.
Non ebbe il tempo di reagire.
La lama tagliò di netto il collo di Fabian, passando molto vicino a quello di Kryss che, dietro il principe e senza più le catene in mano, era incapace di muoversi. Il corpo si accasciò immediatamente, lasciando che la macchia di sangue si espandesse rapida sul pavimento; la testa cadde poco distante da lì, con ancora un'espressione mista tra dolore e stupore.
Kryss indietreggiò confuso. Non erano questi gli accordi.
Alec si allontanò per evitare che il sangue lo sporcasse e si sedette sul trono con aria stanca.
Anche suo figlio, come Isidora, aveva meritato di morire. Era solo colpa loro: sapevano a cosa sarebbero andati incontro se lo avessero tradito. Eppure, nonostante il senso di disgusto e la rabbia accecante, aveva dato a entrambi la possibilità di avere salva la vita... e nessuno dei due l'aveva accettata. Non gli avevano lasciato alternative: aveva dovuto essere inflessibile come un buon re doveva essere, come gli aveva insegnato suo padre.
«Cosa ti ha detto Fabian di preciso sugli Elyse? Sai dove andranno?»
Kryss alzò a fatica gli occhi dall'orrido spettacolo che aveva davanti, e li issò sulla maschera inespressiva del sovrano.
«Non doveva andare così... mi avevate detto che non lo avreste ucciso».
Alec parve seccato.
«Non farti venire i rimorsi di coscienza, adesso».
Il soldato si sollevò, reggendosi sulle gambe che ancora gli tremavano, senza sapere bene come reagire a quanto accaduto. Il suo migliore amico era morto, e sua moglie Shaila era ancora nelle mani del re. Su quello, almeno, non aveva mentito.
«Chi mi assicura che manteniate la vostra parte di accordo?»
Il re divenne serio.
«Dammi le informazioni che hai e lei sarà al sicuro».
«Voglio prima assicurarmi che non stiate mentendo».
«Mi sa che dovrai fidarti di me». Alec roteò gli occhi, infastidito.
«Posso andare via in qualsiasi momento, prendere Shaila e...»
«Kryss, – lo interruppe – credi forse che sia uno sciocco? C'è una barriera a casa della tua amata moglie, e non credo ci sia bisogno di ricordarti che cosa le accadrebbe se tu facessi qualcosa, qualunque cosa, che possa infastidirmi. E io, adesso, sono particolarmente suscettibile».
Il soldato si irrigidì. Se fosse scappato, lei sarebbe morta; se avesse tentato di salvarla, lei sarebbe morta. Aveva solo una possibilità per tenere entrambi in vita: riferire tutto ciò che Fabian gli aveva confidato.
«Durante la battaglia ho ucciso il loro capo, Ares, e Fabian presumeva che gli sarebbe succeduto suo fratello. Nahil, credo. Hanno perso molti uomini ma altrettanti se ne aggiungono, rendendo le loro fila sempre più grosse».
«Non importa. Dimmi dove sono diretti».
Kryss esitò un istante. Dargli quell'informazione equivaleva a tradire completamente il suo migliore amico poi, però, pensò che ormai Fabian era morto, mentre Shaila era flebilmente attaccata alla vita.
«Andranno a Jena e poi a Naos» rivelò con un filo di voce, senza avere il coraggio di muovere lo sguardo sul re, né tantomeno sul cadavere di Fabian.
Un enorme sorriso apparve sulle labbra del Sommo Sovrano: ora poteva schiacciare quegli insetti.
«Bene, Kryss, benissimo. Puoi andare, adesso. Manderò un messaggio agli stregoni appostati davanti casa tua così che al tuo arrivo se ne siano già andati via. Sei stato preziosissimo».
Il soldato sentì scrollarsi di dosso l'enorme macigno che fino ad allora aveva sentito gravargli addosso; si inchinò e si diresse verso le porte della Sala del Trono, sforzandosi di non guardare la testa del suo migliore amico a pochi passi da lui.
Non appena varcò la soglia, una lama gli perforò il petto. Il sorriso gli si spense rapidamente mentre Angus estraeva la spada dal centro del suo torace, lasciandolo cadere sul pavimento. Il sangue che gli uscì dalla bocca macchiò gli abiti del fedele servitore del re, che lo spostò con un calcio. Kryss morì senza il tempo di pensare a nulla, nemmeno alla sua Shaila.
Il Sommo Re oltrepassò il corpo morto e decapitato del figlio senza abbassare lo sguardo, e si diresse verso l'uomo dai capelli corvini che lo serviva da decenni.
«Avvisa gli stregoni di incendiare la casa e porta anche lui al suo interno. Stavolta, però, assicurati che muoiano tutti».
Il servo chinò il capo in un cenno d'assenso.
«E del principe, Sire? Cosa devo farne?».
Alec parve rifletterci un po'.
«Riportalo in cella e fa' in modo che sembri che si sia impiccato con i suoi stessi calzoni. Diremo che era troppa la vergogna di essere un traditore».
Ancora una volta, il servitore assentì.
«Angus, – lo richiamò il re mentre stava già andando via – fai in fretta. Io sarò nelle mie stanze ad attendere la notizia. Ne sarò tremendamente addolorato».
«Sì, Mio Re».
Whyle era finalmente riuscito a raggiungere le segrete.
Due giorni prima, così come gran parte dei servitori, aveva assistito alla cattura di suo fratello, ma una guardia lo aveva costretto a rientrare nei suoi alloggi. Aveva percorso decine di volte il perimetro di quella stanza rimuginando su ciò che poteva essere accaduto, ma non era riuscito a trovare nessuna spiegazione logica. Eppure doveva esserci un motivo, non poteva credere che suo fratello fosse realmente stato catturato per tradimento. Da Kryss, poi! Aveva provato diverse volte a sgattaiolare via per raggiungere Fabian, ma suo padre aveva disseminato per il castello delle guardie con il preciso compito di impedirglielo e, puntualmente, veniva riportato indietro.
Quella volta, però, era riuscito a evitare gli uomini che gli stavano alle calcagna da due giorni, approfittando del fatto che suo padre ne avesse richiamato una dozzina nella Sala del Trono per chissà cosa.
Scese in fretta le scale che, dalla torre est, permettevano di raggiungere le segrete nei sotterranei, e camminò tenendosi vicino alle pareti umide della prigione. Superò molte celle, tra i lamenti e gli insulti degli altri detenuti, fino a raggiungere la zona che sapeva essere usata per i prigionieri più importanti: se suo fratello era stato catturato, doveva essere lì.
E, invece, la cella era vuota.
Cercò di spiarne l'interno e, nonostante la fitta oscurità malamente rischiarata dalle torce appese alle pareti, riuscì a scorgere dei resti di cibo. Quantomeno, era stato lì. Era certo che non avesse lasciato il castello, così decise di aspettare che tornasse e si nascose lì intorno.
Passarono quelle che gli parvero intere ore prima di sentire dei passi avvicinarsi nella sua direzione. Si appiattì alla parete della cella vuota in cui era entrato, e il cuore accelerò i battiti. Non era abituato a vivere quelle situazioni, lui era sempre stato nelle sue stanze a leggere e studiare.
Sentì la voce di Angus, era certo fosse la sua, e questo lo innervosì parecchio, non solo per la naturale antipatia che provava nei suoi confronti, ma anche per la stranezza del fatto. Perché non c'erano le guardie? E perché suo fratello non emetteva nessun suono?
Cercò di regolarizzare il respiro, in modo che fosse il più sommesso possibile, e rimase perfettamente immobile finché non sentì i passi allontanarsi.
Uscì dal proprio nascondiglio guardandosi attorno circospetto, i limpidi occhi viola saettavano da una parte all'altra in cerca di qualcosa fuori posto e poi, appurato che non ci fosse assolutamente nessuno, si avvicinò in punta di piedi alle sbarre della cella.
«Vuoi spiegarmi cosa sta succ...». Le parole gli morirono in gola, soffocate da un conato di vomito.
Fabian era impiccato alle travi del basso soffitto con i suoi stessi pantaloni, la bocca schiusa in un urlo muto e gli occhi spalancati nel vuoto. Angus aveva cercato di lavare via il sangue che doveva averlo imbrattato completamente, ma si riuscivano ancora a scorgere delle chiazze sulla lunga casacca bianca, l'unico indumento che aveva ancora indosso.
Anche lui. Suo padre aveva ucciso anche lui.
Toccò le sbarre della cella con la stessa delicatezza che avrebbe usato per suo fratello, il fiato gli divenne corto come se avesse corso per ore e sentì un calore esplodergli dentro, partendo dalle viscere e arrivandogli fin sulla punta delle dita.
Un piccolo rivolo di fumo si propagò leggero nell'aria, fuoriuscendo dal punto di contatto tra il metallo e la sua mano. Il ragazzino la ritrasse immediatamente e la osservò divenire sempre più rossa, sempre più calda.
No. Non di nuovo.
Indietreggiò velocemente fino a toccare con la schiena la parete di pietra, ma anche quella divenne presto incandescente. Guardò verso il basso, la testa completamente vuota e un incredibile senso di nausea, e notò che i suoi abiti stavano cominciando a prendere fuoco lasciandogli scoperte ampie zone di corpo.
Non era mai successo con quell'intensità.
Cercò inutilmente di spegnere le fiamme che gli lambivano gli arti, ma quel fuoco era alimentato dal suo stesso corpo, e lui non era mai riuscito a controllarlo. Ogni volta che provava un'emozione forte, il suo corpo reagiva sprigionando un calore che bruciava tutto ciò che aveva intorno, senza però provocare a lui nessun danno.
Ecco perché aveva vissuto tutta la vita in quella gabbia dorata, ecco perché suo padre non gli aveva mai permesso di lasciare il castello.
Tolse gli stivali ormai ridotti in brandelli e proseguì a piedi scalzi, quasi avvolto dalle fiamme. Si diresse rapido verso le sue stanze cercando di evitare tutti i luoghi più frequentati dai servitori, mentre il fuoco attorno a lui cominciava a scemare dopo aver divorato la quasi totalità dei suoi indumenti. Raggiunse i suoi alloggi lasciando solo qualche impronta annerita sui tappeti che adornavano il pavimento del Real Castello, e abbassò la maniglia di metallo provocando un denso fumo nero. Si immerse, ormai completamente nudo, nella vasca di acqua gelida che era sempre pronta vicino al suo letto e rimase sott'acqua per più tempo che poté, mentre la condensa cominciava a rendere l'aria umida.
Si sentiva impotente, incapace di comprendere e controllare il suo stesso corpo, e la rabbia non accennava a scemare. Iniziò a respirare affannosamente, gli mancava il fiato.
"Non pensare".
L'immagine di suo fratello gli esplose nella mente e lui sentì qualcosa dentro di lui rompersi irrimediabilmente.
"Non pensare".
Non riusciva più a respirare, l'acqua era quasi tutta evaporata e lui si rannicchiò su sé stesso nascondendo la testa tra le gambe.
"Non pensare".
Tutto il calore svanì di colpo e Whyle svenne riverso sul bordo della vasca.
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