Capitolo 28: Il valore dell'amicizia

Fabian era ancora seduto tra le case di Sansea quando sentì propagarsi nell'aria l'inconfondibile suono del corno. Si stavano arrendendo.

Si issò a fatica: la ferita alla gamba sanguinava ancora, mentre quella alla testa gli faceva percepire il mondo in maniera distorta. Strabuzzò gli occhi, la testa prese a girargli violentemente per il cambio di prospettiva e dovette poggiarsi sulla parete che aveva dietro per evitare di cadere. Inalò quanta più aria poté, si tolse di dosso la pettorina bianca e cercò disperatamente di mischiarsi con i compagni contro cui aveva lottato fino a poco prima.

Razor, il generale di quella spedizione, lo braccò prima che salisse su uno dei carri che stavano rubando alla Resistenza. Era sporco e sudato, i capelli corvini completamente appiccicati al collo e la solita espressione colma di collera disegnata in viso.

«Perché avete suonato il corno, Maestà?» gli ringhiò con le labbra serrate, senza preoccuparsi di nascondere l'inflessione ironica sull'ultima parola.

Fabian lo guardò scettico: era certo che fosse stato lui. Quel compito non sarebbe spettato a nessun altro, se non a loro due.

«Sono stato io» intervenne Kryss, il miglior amico nonché miglior soldato del battaglione del principe. I due si voltarono attoniti a fissarlo, e il ragazzo dagli occhi nocciola riprese mesto il suo posto in quel mezzo sbilenco e gonfio d'umidità.

Razor lo afferrò per un braccio e lo trascinò per terra, mentre tutti gli altri soldati si affrettavano a prendere posto su carri e cavalli per poter tornare a casa, senza nemmeno prestare attenzione a ciò che stava accadendo, tanto erano abituati alle sfuriate del loro generale.

«Come avete osato scavalcare la mia autorità?» gli sputò tra i denti nel frattempo che estraeva la lama ancora sporca di sangue. Kryss, con il piede del generale calcato su una tempia, cercò di farsi forza sulle braccia per rialzarsi, ma quello premette così forte che gli sembrò in procinto di rompergli la testa.

Fabian lo fermò per un polso, costringendolo a guardarlo di sottecchi per evitare di perdere l'equilibrio in quella posizione di assoluto potere sul giovane.

«Non ucciderete nessuno sotto il mio comando» gli ordinò truce. Razor ingoiò tutti gli insulti che gli salirono in gola, represse uno dei suoi soliti moti di rabbia e, con un ultimo strattone alla testa del soldato, si allontanò claudicante per cercare uno stallone ancora disponibile.

«Ma che cosa ti è preso?!» chiese il principe all'amico mentre lo aiutava a rialzarsi. Quello si sollevò a fatica, i muscoli gli dolevano ancora per gli sforzi a cui li aveva sottoposti negli ultimi sei giorni, e si scrollò la terra di dosso.

«Nessuno sapeva dove foste, Sire. Ho avuto ordine, da vostro padre in persona, di interrompere qualunque battaglia se avessi avuto il dubbio che la vostra vita fosse stata in pericolo» mentì, senza la forza di guardarlo negli occhi.

«Mio padre?» riuscì a dire Fabian nello stupore più assoluto.

Non aveva mai usato certi riguardi con lui, anzi. Lo aveva mandato in battaglia per la prima volta a quattordici anni, raccomandandogli soltanto di non fallire e di tornare vittorioso; gli aveva rotto il polso diverse volte, durante l'infanzia, nei suoi folli allenamenti notturni; lo aveva costretto a prove fisiche che, agli occhi di un bambino, apparivano decisamente crudeli. Eppure, lui lo aveva ammirato moltissimo. Aveva passato gli anni della sua adolescenza nel disperato tentativo di meritarsi un briciolo dell'amore paterno che bramava così ardentemente. Gli aveva obbedito ciecamente, lo aveva seguito in ogni battaglia, lo aveva appoggiato in ogni decisione, fino a giungere alla conclusione che, forse, se suo padre non lo amava era perché lui non se lo meritava. E adesso, invece, quelle parole gettavano una luce completamente diversa su tutta la sua vita, e si sentì colpevole per averlo tradito in quel modo.

Kryss riprese posto nel carro da cui Razor lo aveva trascinato con violenza e fece spazio affinché il principe gli si sedesse accanto. Lui salì in silenzio con ancora una strana espressione corrucciata in viso, sforzandosi per mettere a tacere tutte le domande che gli riempivano la testa.

«Sei ferito?» gli chiese poi Fabian, notando che l'amico si massaggiava un braccio.

«Niente di grave, Maestà. È stato il capo dei ribelli a procurarmela per salvare sua figlia. Sapevate che ne aveva una? – aggiunse con sdegno – Stavo lottando contro di lei quando è intervenuto per salvarla, ma da adesso non potrà più salvare nessuno. Ci ho pensato io a fermarlo per sempre» concluse, senza provare a dissimulare un certo moto d'orgoglio.

«Ottimo».

Fabian deglutì a fatica: quello sarebbe stato un duro colpo per gli Elyse. Si sforzò di ricambiare il sorriso soddisfatto dell'amico e poi poggiò la testa sulla parete del carro coperto su cui stavano viaggiando, lasciandola ciondolare a ogni movimento sussultorio dovuto alle strade dissestate su cui si muovevano.

Il ritorno al Real Castello fu, come sempre, una gran festa. I sudditi si accalcarono sin dalle porte di Olok per acclamare gli eroi della Capitale; si riversavano sulle strade per cercare anche solo di sfiorare i ragazzi che combattevano per la loro sicurezza, rallentando così tanto l'avanzata che riuscirono a raggiungere il castello solo dopo molte ore.

Come da tradizione, il principe si distaccò per primo dal corteo e si inginocchiò davanti al padre, che li attendeva dinanzi alle porte d'ingresso. Quando il re mise una mano sulla spalla del figlio e quest'ultimo si alzò, allora anche tutti gli altri soldati poterono scendere dai carri e dai cavalli su cui avevano viaggiato e raggiungere i familiari che li stavano aspettando.

Padre e figlio avanzarono in silenzio tra i corridoi del Real Castello proprio mentre i singhiozzi di chi non trovava nessuno da riabbracciare cominciavano a riempire l'aria del mattino, seguiti da Razor e dagli ufficiali minori dell'Esercito Nero. Raggiunsero la Sala del Trono e il re prese posto sullo scranno di legno e pietre preziose, con i raggi del sole che lo colpivano da dietro donandogli un'aurea quasi divina.

Il principe fece il solito resoconto della battaglia, scegliendo con particolare cura le parole per spiegare le motivazioni che avevano portato Kryss a chiamare la ritirata, ma il re non sembrava affatto sorpreso. Razor e gli altri ufficiali furono molto stupiti della sua reazione. Si erano aspettati una sfuriata e una punizione esemplare per il soldato che aveva contravvenuto alla scala gerarchica e, invece, se ne stava seduto con aria tranquilla.

«Un principe va difeso in ogni modo, anche a costo di una vittoria».

Fabian, che era rimasto fino a quel momento con il capo chino, lo sollevò appena in tempo per accogliere l'improvvisa stretta del padre.

Erano anni che non avevano un contatto così intimo e probabilmente, si ritrovò a pensare il principe, non lo avevano mai avuto. Allungò titubante un solo braccio per cingere le spalle del padre, poi rimase immobile a fissarlo mentre ritornava verso il trono.

«Adesso va' a riposare nelle tue stanze, figliolo».

Lui obbedì immediatamente e ritornò sui suoi passi fino a uscire dalla sala, con uno strano senso di disagio. Quell'affetto improvviso lo aveva stordito non poco ma voleva credere che suo padre, almeno per una volta in tutta la sua vita, fosse stato semplicemente sincero.

Raggiunti i suoi alloggi, trovò vestiti puliti e un bagno caldo ad attenderlo, e vi si immerse fino al collo. Si rilassò per un tempo indefinito, abbandonando la stanchezza causata da più di due settimane di viaggio, e uscì solo quando l'acqua non diventò fredda. Raggiunse il fuoco che ardeva in fondo alla stanza e si strofinò addosso un panno caldo, assorto dalla danza delle fiamme che divoravano il legno.

Aveva appena finito di indossare i calzoni quando sentì bussare alla sua porta: Kryss entrò senza aspettare risposta, e sembrava agitato. Il principe lo guardò con aria interrogativa aspettando che parlasse, ma il soldato lo guardò in silenzio per lunghi istanti prima di farlo.

«Fabian Kolher, principe ed erede di Olok, siete in arresto con l'accusa di alto tradimento alla corona e al Re vostro padre».

Fabian passò una mano sui capelli scuri ancora umidi, indeciso se ridere di quel pessimo scherzo o preoccuparsi per la faccia seria del suo migliore amico.

«Prendetelo» soggiunse il giovane soldato in un sussurro, e una decina di uomini affollò ogni anfratto delle stanze personali di Sua Maestà.

Il principe portò istintivamente la mano al fianco destro alla ricerca della spada che, però, non trovò. Guardò in ogni direzione e poi finalmente riuscì a scorgerla sul letto, oltre la poltrona su cui era seduto e al di là del tavolo, sul quale si trovavano ancora gli stivali e la casacca pulita che non aveva fatto in tempo a indossare. Con un balzo vi si ritrovò dietro e lo rovesciò, frenando la corsa di un paio di soldati. Si gettò sul letto per recuperare l'arma e, con un solo movimento, la sfoderò e la fece roteare attorno a sé per allontanare i suoi uomini e avere più spazio. Spazio per muoversi, per pensare. Indirizzò un'occhiata veloce a quello che credeva essere il suo migliore amico e lo vide con una spalla poggiata sullo stipite della porta, gli occhi bassi e la lama con la punta che toccava il pavimento di legno.

Che cosa stava succedendo?

Quella distrazione gli costò cara. Uno degli uomini del suo battaglione lo colpì alle spalle facendolo rotolare per terra. La spada gli scivolò via dalle mani e venne presto accerchiato. Si dimenò nel vano tentativo di liberarsi dalle corde che gli stringevano i polsi, ma dieci uomini erano troppi persino per lui e, così, si ritrovò presto legato come un trofeo di caccia.

«Sto facendo la cosa giusta, Fabian» gli disse sottovoce Kryss quando gli passò accanto, in modo che lo potesse sentire solo lui. Il principe girò lievemente lo sguardo nella sua direzione, le spalle dritte e il volto fiero che non si erano minimamente piegati a quella umiliazione, e continuò ad avanzare senza conferire parola.

Era pieno pomeriggio quando il principe percorse i corridoi del Real Castello con i polsi legati, una catena attorno al collo e le spade puntate contro dai suoi stessi uomini. La servitù, che a quell'ora era pienamente attiva, osservava interdetta ciò che accadeva, bisbigliando frasi di stupore e disapprovazione, cominciando già a elaborare teorie sulle motivazioni dell'arresto. Fabian, però, sembrava quasi non vedere né sentire quei rimproveri sussurrati che nessuno di loro avrebbe avuto il coraggio di ripetere a voce alta, pensando piuttosto a cosa aveva portato i suoi soldati a comportarsi in quel modo.

Che cosa gli aveva offerto, suo padre, per accettare un simile compito? Che cosa aveva offerto a Kryss? E, soprattutto, che cosa sapeva esattamente?

Si sentì un'idiota ad aver anche solo pensato che un uomo come lui potesse essere capace di provare dei sentimenti. Si sentì stupidamente ferito nell'orgoglio per aver sperato in quell'amore di cui aveva sentito la mancanza durante la sua infanzia. Credeva che quel dolore fosse stato sepolto con l'età e annichilito dalle battaglie e, invece, si sentì vulnerabile come quando era bambino e piangeva tra le braccia della madre, chiedendole cosa avesse di sbagliato. Stavolta, però, non sarebbe finito tutto con le carezze e le rassicurazioni di Isidora che gli continuava a ripetere che lo avrebbe amato con una forza tale da essere sufficiente per entrambi. Quella volta, ne era sicuro, le conseguenze sarebbero state ben peggiori di notti passate in lacrime.

Giunse alla Sala del Trono al cospetto del padre, agghindato di tutto punto, e ne sostenne lo sguardo gelido. Le ferite riportate a Sansea avevano ripreso a pulsargli, ma lui non gli avrebbe concesso di vederlo sofferente.

«Di chi vi fidate a tal punto da credere a un'accusa tanto grave verso il vostro stesso figlio?» disse calmo, ostentando tutta la sicurezza che riuscì a racimolare. Strattonò le corde che ancora gli tenevano immobili i polsi ormai anchilosati, e si fece condurre ai piedi del trono; stavolta, però, non chinò il capo.

Le porte della sala si aprirono in quell'istante, e Kryss li raggiunse rapido per poi inginocchiarsi al cospetto del Sommo Sovrano.

«Ecco la risposta ai tuoi quesiti» rispose Alec, visibilmente eccitato dalla situazione. Con un rapido cenno indicò a tutti i soldati di allontanarsi, così che lui poté avere lo spazio di camminare attorno al figlio tenendo le mani incrociate dietro la schiena.

Fabian aveva ormai imparato che quell'atteggiamento voleva dire soltanto una cosa. Lui sapeva.

«È stato, in vero, molto difficile prendere tale decisione. – esordì il re a voce alta, così che gli altri potessero sentire – Un figlio traditore non è facile da accettare e, si sa, una macchia del genere può avere conseguenze disastrose non solo su di me, ma anche per l'intera Terra Centrale».

«Per questo mi avete fatto sfilare per tutto il castello? Per nascondere la vergogna?».

Alec si fermò solo un istante davanti a quell'incongruenza.

«Mi sono chiesto più volte – continuò poi, ignorando l'intervento del figlio – se fosse giusto lasciar correre, se considerarlo solo uno sbaglio di gioventù dettato dall'impeto dell'amore».

A quelle parole Fabian gli si scagliò contro con tutto il corpo, dandogli una spallata e facendogli perdere l'equilibrio. Lo sbilanciamento del peso, però, lo fece cadere a sua volta sul pavimento e per i soldati fu semplice impedirgli di muoversi ancora.

«Che cosa sai tu di lei?» gli urlò a denti stretti, con la testa costretta sul marmo dal ginocchio di un soldato. Alec, con l'aiuto di Kryss, si rimise in piedi con estrema lentezza, cominciando a ridere sommessamente.

Il principe si dimenò per liberarsi dalla morsa, ma le corde ai polsi erano diventate più strette e la catena al collo gli lacerava la pelle a ogni movimento.

«Quanto fuoco che arde in petto durante gli anni della gioventù, figlio mio. - Il re tornò serio in un istante - Lasciateci soli» aggiunse poi rivolto ai soldati. Kryss, però, non si mosse.

Fabian riuscì a sollevarsi a fatica, poi prese a fissare suo padre e il suo migliore amico come se fossero due completi estranei.

Kryss lo aveva visto? E perché non ne aveva parlato con lui, prima?

«Ho saputo dei tuoi discutibili gusti in fatto di donne, figlio mio, ma lascia che ti dia una possibilità per redimerti: dimmi tutto ciò che sai, e sarai libero».

Il principe sollevò il capo e sorrise.

«Ora capisco perché non mi avete fatto giustiziare immediatamente. Volete informazioni».

Il re gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, guardandolo con fare paterno.

«Sei mio figlio, sei l'erede al trono. Non mandare tutto all'aria per una stupida scappatella con una bastarda ribelle. Dopo la morte di tua madre, tu e Whyle siete l'unica cosa che mi è rimasta».

Fabian avvicinò le labbra dritte e pallide all'orecchio del padre.

«So che cosa avete fatto a mia madre» sussurrò.

Alec si irrigidì e si allontanò in fretta, recuperando il suo posto sul trono di Olok.

«Bene. – dichiarò con voce squillante – Sembra che tu abbia preso la tua decisione. Kryss, scorta il prigioniero alle segrete. Passerà tre giorni in cella e, se non cambierà idea, sarà giustiziato com'è giusto che siano giustiziati i traditori della corona».

Fabian era già pronto a correre via nonostante corde e catene a rallentarlo, ma Kryss parlò per la prima volta da quando lo aveva fatto catturare e lui, suo malgrado, rimase ad ascoltare.

«Vostra Maestà, si tratta di vostro figlio ed erede di Olok: non potete prendere una decisione simile con così leggerezza».

Alec fulminò quel sempliciotto dagli occhi nocciola con il solo sguardo, mentre il volto cominciava a chiazzarsi di rabbia. Anche Fabian si voltò attonito verso l'amico, senza riuscire a fare a meno di preoccuparsi. Ma che aveva intenzione di fare? Stava rischiando di morire.

«Non è il mio unico figlio» disse il re, liquidando la questione con un tono spaventosamente in contrasto con il rossore che gli imporporava le gote e il collo.

«Whyle non è esattamente un soldato» riuscì a dire Kryss raccogliendo tutto il coraggio che gli rimaneva.

Il re si alzò dal trono e sfoderò la spada con estrema velocità; anche Kryss estrasse la propria e, con un unico movimento preciso, recise le corde che tenevano legati i polsi del principe. I due si guardarono un solo istante e poi iniziarono a correre all'unisono verso l'uscita.

Furono fuori in pochi secondi.

«Prendeteli!». Le guardie accorsero in fretta e cominciarono l'inseguimento diffondendo l'allarme.

Kryss fu il primo a essere raggiunto. Venne atterrato da un ragazzo che arrivò da un corridoio alla sua destra, e si ritrovò a dimenarsi sotto la mole di un soldato armato di tutto punto. Fabian arrestò la fuga per accorrere in suo aiuto, ma vide che l'amico era riuscito a disincastrare la propria arma dall'intreccio di corpi e gliela stava adesso piantando dritta su un fianco.

Kryss si issò in fretta massaggiandosi la mandibola che il soldato gli aveva preso a pugni, e il principe lo raggiunse per raccogliere la spada del nemico che li aveva attaccati.

Un altro riuscì ad afferrare la catena che pendeva ancora dal collo dell'erede di Olok, e lo scaraventò violentemente sul pavimento. Per la seconda volta Fabian si ritrovò con il volto schiacciato tra il marmo e le ginocchia di uno dei suoi uomini. Senza fiato.

Kryss, poco più avanti, vide delle altre guardie correre nella loro direzione. Guardò Fabian, ormai spacciato, poi fissò il corridoio libero dalla parte opposta e prese la sua decisione, gettandosi tra i soldati che sovrastavano il suo migliore amico con la spada levata e un urlo da battaglia.

I soldati neri erano in cinque, e lui era solo. Sfoderò con enorme maestria tutte le mosse che conosceva, colpì con quanta più forza poteva chi gli si parava davanti ma, per ogni soldato che sconfiggeva, ne arrivavano altri da ogni angolo, così che anche lui venne presto catturato e legato.

Kryss si volse verso il principe con uno sguardo pieno di scuse, ma Fabian gli dava le spalle intento ancora a muoversi convulsamente per cercare di sciogliersi dalla presa che lo costringeva a terra. Poi uno di quegli uomini lo colpì alla nuca, e il principe perse i sensi.

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