Capitolo 23: Breccia a Sansea

Presente. 1 anno prima della Grande Guerra

La carovana della Resistenza era già pronta per il viaggio e Ares aveva deciso di parlare con Arkara prima di partire per raggiungere Sansea, la capitale della Terra del Pesce, e iniziare ufficialmente la guerra contro Alec.

Il primo generale si avvicinò alla recluta mentre caricava le pettorine su un carro e le fece cenno di seguirlo. Arrivarono nello stesso luogo in cui prima aveva parlato con Kimav, il primogenito di Ingrid, che aveva raggiunto gli Elyse proprio per conoscere lei, abbandonando il suo posto come spia ribelle nell'Esercito Nero.

«Devo dirti qualcosa di importante» le disse tormentandosi le mani. Lei lo guardò perplessa, sollevò un solo sopracciglio rosso e gli fece cenno di continuare.

«So che sei venuta qui per uno scopo preciso: conoscere le tue origini. Ne hai parlato la prima volta che ci siamo conosciuti e, adesso, sono pronto a rispondere alla tua domanda. Mi dispiace solo non averlo potuto fare prima».

Arkara spostò il peso da una gamba all'altra, agitata. Era entrata negli Elyse con un obiettivo: ritrovare i suoi genitori. Angelin e Heugene, coloro che l'avevano adottata e cresciuta come una figlia, non le avevano detto assolutamente nulla del suo passato, tranne il nome di una cittadina al nord della Terra Centrale. Lenosa. Aveva insistito, li aveva supplicati, ma oltre quella misera informazione non avevano voluto rivelarle altro, e lei aveva passato gli anni della sua adolescenza nella vana ricerca di qualche indizio che l'aiutasse a trovare il pezzo che sembrava mancare alla sua vita per renderla completa. Aveva creduto che con la Resistenza avrebbe avuto più possibilità di riuscire a trovare coloro che cercava, e ora la sua piccola fiammella di speranza era divampata di colpo a quelle parole.

«Di chi si tratta?» chiese la ragazza, con un nodo alla gola che stava già cominciando a formarsi. Il pensiero si rivolse al padre, ma non voleva ancora illudersi: aveva sperato tante volte in quegli anni di essere sulla strada giusta per trovarlo, e tante volte era rimasta delusa.

«È tuo fratello, Arkara. È venuto a conoscerti».

Lei rimase di sasso, non si aspettava di certo nulla del genere.

«Non è possibile... mia madre non mi ha mai detto una cosa simile».

«Tuo fratello si chiama Kimav. Non aveva neppure cinque anni quando vostra madre ti diede alla luce» le rivelò, deciso a raccontarle ogni cosa. Doveva sapere, dopotutto era la sua famiglia.

La ragazza dai lunghi capelli rossi, per la prima volta in tutta la sua vita, si chiese se fosse giusto sapere la verità, se fosse giusto tradire la famiglia che l'aveva cresciuta fino ad allora. Si sentì sola, senza l'appoggio di quel padre e quella madre che l'avevano sostenuta anche quando li aveva abbandonati. Il senso di colpa stava già cominciando a divorarla, impalandola sul terreno come se fosse pietrificata, senza però avere la forza né il coraggio di dire al generale di fermarsi. Ares, così, prendendo il silenzio della giovane come un cenno di assenso, continuò la sua storia.

«Divenne un ottimo soldato, esattamente ciò che ci si aspettava da lui, senza nemmeno ricordarsi della sorella che aveva perso, fino a due mesi fa. Vostra madre gli raccontò la storia di una bambina che si chiamava Arkara e della quale lui era il fratello».

La ribelle sentì le gambe cedere, così si sedette sulle foglie cadute ai piedi dell'albero su cui si era poggiata. Era quindi arrivato il momento tanto atteso, era l'ora della verità.

Ares le raccontò di come Yler avesse creato gli Elyse, del suo amore per Ingrid, della sua morte da eroe, della follia di Alec scatenata su di lei e sulla regina Isidora, e della scelta della dama di compagnia di affidarla ad Angelin.

Arkara si voltò versò di lui con gli occhi gonfi e un'enorme voglia di piangere ancora. Era una storia incredibile, lei non avrebbe mai potuto immaginarla. Aveva incontrato tante volte quella donna per le strade di Olok, e si chiese se almeno lei sapesse di essere sua madre.

«Perché dirmelo adesso?» riuscì a pronunciare con labbra tremanti.

«Dopo il comizio avvenuto pochi mesi fa, il re si rese conto che la regina non aveva mantenuto la parola data, così tornò al castello e la uccise».

«Ho sentito il re parlare prima del funerale ed è per questo che ho deciso di unirmi agli Elyse, ma questo cosa c'entra con me?»

Ares la guardò negli occhi per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare; suo malgrado la voce gli si era incrinata e parlò con sincera commozione.

«Tua madre non vuole morire senza conoscerti».

Ci vollero pochi istanti affinché Arkara riuscisse a mettere ordine nel marasma che sentiva agitarsi dentro il suo minuto petto.

«Non voglio sapere nulla su questo Kimav. Non voglio incontrarlo» dichiarò risoluta, gli occhi improvvisamente asciutti e decisi. Ares la guardò sbalordito, stranito anche dal tono piatto con cui aveva parlato.

«È la tua occasione! Hai sempre cercato la tua famiglia, e adesso hai la possibilità di conoscere tuo fratello».

Lei rise in modo quasi isterico e scosse la testa. La verità aveva cambiato molte cose.

«Loro erano a Olok, Ares. Sono stati lì per tutto il tempo». La ragazza fece per andarsene poi però tornò indietro, avvicinandosi al suo generale fino quasi a sfiorarlo. Alzò la testa per riuscire a guardarlo in volto e parlò con una rabbia che non sapeva di provare.

«Sapeva che ero lì, a un passo da lei, e non ha fatto nulla per incontrarmi! Posso solo immaginare il dolore di mia madre nel tenermi nascosta questa storia e non dirmi nulla su Ingrid».

«Tua madre non voleva abbandonarti».

«Mia madre è Angelin!» gli urlò contro la recluta allontanandosi nuovamente.

«Lei mi ha cresciuta per diciassette anni dandomi tutto ciò che Ingrid mi aveva tolto e, con tutto il dolore che una madre può provare, mi ha lasciata andare via a cercare una famiglia che mi ha tradita». Chiuse gli occhi verdi per inspirare a fondo e le lacrime le bruciarono da sotto le palpebre, come se volessero costringerla a piangere.

«Non avevo altro che il nome della città in cui era nato mio padre, e speravo di trovare con la Resistenza le risposte che non sono riuscita a trovare da sola. A dire la verità, per un po' mi ero scioccamente illusa che mio padre fosse qui, tra i ribelli, almeno così avrei capito la scelta di abbandonare la famiglia, e invece... - inclinò la testa verso il cielo terso, cercando di cacciare indietro le lacrime che volevano ancora scendere - E invece è morto» concluse, sorridendo amara.

«Tuo padre è stato uno dei fondatori della Resistenza! È morto combattendo dalla parte sbagliata, è vero, ma lo ha fatto per tutti noi, lo ha fatto per proteggerci».

«Yler ha preso i vantaggi di entrambe le fazioni e così anche Kimav, mio fratello. – sibilò con visibile astio – Io non voglio essere un peccato da espiare. Questo momento sarebbe dovuto arrivare anni fa».

Ares non ebbe il tempo di pensare a una risposta che lei andò via lasciandolo da solo in quella radura.

Kimav era fermo al lato di un carro, scrutando il bosco nel quale erano spariti il generale e sua sorella, e fece per andarle incontro quando la vide; Arkara, però, camminava spedita e con gli occhi rossi, così capì che le cose non erano andate come previsto. Pensò di seguirla, ma si rese conto che sarebbe stata una mossa sbagliata, quindi abbassò lo sguardo e salì sulla carovana aspettando solo di partire.

La ragazza passò velocemente il dorso delle mani sul viso umido di pianto e si gettò all'interno del primo carro che trovò nel suo cammino.

«Cosa ti prende?». La voce di Breit la sorprese. Stava posizionando gli ultimi viveri su quell'ammasso di legno e ruote sbilenche, ma lei non si era nemmeno accorta che fosse lì. Gli sorrise cercando di celare ogni singolo sentimento che le opprimeva il cuore, ma quel piccolo arco tremante non convinse il suo amico, così le si sedette accanto abbracciandosi le gambe.

«Dimmi la verità» le disse piano, dandole un piccolo colpo al braccio con la spalla. Arkara avrebbe voluto rispondere che andava tutto bene, e che comunque non aveva la minima intenzione di parlare con lui di ciò che le passava per la testa; invece, poggiò la fronte sulla spalla di Breit che le sembrò l'unico appiglio sicuro rimasto in tutta la sua vita e, in quella posizione, gli raccontò ogni cosa senza smettere di parlare nemmeno per prendere fiato.

Il carro si mosse senza che se ne rendessero conto e, in questo modo, i due iniziarono i diciassette lunghi giorni di viaggio verso Sansea.

Kamal, il giovane re della Terra del Pesce, sedeva svogliatamente sul trono blu e argento che apparteneva alla sua famiglia da intere generazioni. Aveva indossato per l'occasione gli abiti che sua sorella Syria lo aveva quasi obbligato a scegliere e, adesso, attendeva impaziente tamburellando le dita sul bracciolo imbottito di morbida stoffa; a breve sarebbe stato raggiunto da colei che l'indomani sarebbe diventata sua sposa. Lui non l'aveva mai vista, ma i suoi consiglieri, che avevano al tempo servito suo padre, gli avevano assicurato che fosse la donna adatta a lui.

Era tradizione che i regnanti della loro Terra si sposassero subito dopo essere saliti al trono ma, dal momento che lui aveva rifiutato quelle poche ragazze che avevano avuto il coraggio di proporsi, si trovava adesso nella necessità di dover affrettare i tempi.

''Il Regno vuole eredi, vuole stabilità", continuavano a ripetergli quei vecchi stolti e ammuffiti, così, per causa loro, adesso si trovava fastidiosamente imbellettato, con i capelli raccolti in una morbida crocchia bassa e un bavaro che gli prudeva fin sotto al collo.

Le ante scure delle porte della Sala del Trono si spalancarono all'improvviso, il re si drizzò quasi senza volerlo con un leggero tuffo al cuore, ma si lasciò di nuovo cadere mollemente non appena si rese conto che era solo sua sorella. La ragazzina dai corti ricci biondi avanzò regalmente lungo il pavimento di pietra e marmo azzurro, con un mal celato sorriso di scherno.

«Non è ancora arrivata?»

Kamal scosse la testa e sbuffò, dando l'idea di un toro pronto a caricare.

«Questo non depone certo a suo favore. Fare attendere il re, che comportamento miserabile» disse, lisciandosi i pantaloni di velluto marrone.

Gebediah, il secondogenito, seduto in uno dei cinque seggi minori della sala, si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla con un'espressione tra il costernato e il divertito.

«Quanta fretta di vederla, Kamal, avrai tutta la vita per averla al tuo fianco».

Quello era veramente troppo. Il sovrano si scrollò di dosso la presa del fratello e, con un solo gesto, strappò via quel ridicolo bavaro bianco che gli dava l'aria di un damerino, dirigendosi a grandi falcate verso l'uscita.

«Non ho intenzione di attenderla oltre, dite a Paulne e a Veerin di trovarne un'altra».

I consiglieri, quasi evocati dalla pronuncia dei loro nomi, entrarono proprio in quell'istante con al seguito Derlyn e Fergus, i due figli gemelli di Teodor.

«La contessa Aileen è appena scesa dalla carrozza, Sire. Volete attenderla al vostro posto, per favore?»

Kamal guardò sprezzante l'anziano Paulne che sembrava sempre giudicarlo da sotto la sua piccola gobba. Non gli era mai piaciuto il tono risoluto con cui gli si rivolgeva. I due fratelli identici, appena dietro quei vecchi uomini, lo supplicarono con gli occhi di non dare in escandescenze, così il re gonfiò il petto di tutta l'aria che riuscì a incamerare e ritornò mesto al suo trono.

Quando la giovane donna di Gergovia fece il suo trionfale ingresso, tutta l'attenzione della famiglia reale Landok le convogliò addosso. Lei incedeva sicura ed elegante, in un abito color smeraldo che portava già ricamato sopra la gonna lo stemma della Terra del Pesce. Arrivò al cospetto del sovrano e si sciolse in un profondo inchino, i fluidi capelli castani poggiati sulle scapole nude.

«Scusate il mio imperdonabile ritardo, i vostri servitori non mi hanno saputo condurre adeguatamente al vostro cospetto. Quando sarò regina, saranno i miei domestici a sostituirli».

A quella assurda frase di presentazione Kamal scambiò uno sguardo perplesso con la sorella minore, la quale a stento riuscì a trattenere una risata.

«La vostra supponenza mi stupisce, contessa. Non mi sembra che ci sia ancora nessun accordo».

Aileen, ancora profusa in quella riverenza, alzò un attimo gli occhi scuri. Le piccole striature verdi divennero leggermente più evidenti, in un'espressione di stupore che celò immediatamente.

«Quando i vostri consiglieri hanno cercato mio padre, il conte Rion, erano di tutt'altro avviso».

«Evidentemente, quando sarete regina, dovrete sostituire anche loro».

Derlyn ebbe un moto di riso che cercò malamente di nascondere con dei colpi di tosse, mentre Syria dovette voltarsi per evitare che la sua espressione divertita venisse notata dalla contessa o dalle dame che l'accompagnavano. Solo Gebediah appariva scocciato dall'inutile rimostranza del fratello: si sarebbero comunque sposati l'indomani, che senso aveva cominciare con tutto quell'astio?

«Volete seguirmi per una visita al palazzo? Io e il re vi scorteremo per farvi conoscere meglio la vostra futura dimora». Gebediah si avvicinò alla contessa nel tentativo di lentare la tensione, e le porse cavallerescamente un braccio per accompagnarla. Lei lo guardò un po' titubante, senza sapere se avesse dovuto aspettare che fosse il suo promesso sposo a invitarla, ma il re sembrava assolutamente disinteressato a quelle formalità, così accettò di buon grado la cortesia del principe.

«Così, magari, la prossima volta non vi perderete» aggiunse Kamal, alzandosi di mala voglia dal trono e guadagnandosi lo sguardo tagliente che gli rivolse il fratello. Senza curarsene, cercò con gli occhi quelli di Syria e le indirizzò un occhiolino complice; lei ricambiò, le labbra arricciate in un sorriso che lottava per aprirsi in tutto il viso, e poi gli fece cenno di raggiungere i due che si erano già incamminati.

In quel momento, una sentinella del muro di cinta spalancò le porte della Sala del Trono, gli occhi sgranati e il fiato grosso.

«Le Armate Nere stanno per attaccare» annunciò tutto d'un fiato, poi si voltò e corse rapido chissà dove, lasciando tutti i presenti immobili a processare quelle informazioni.

Gebediah e Fergus si catapultarono sul grande balcone che, dal terzo piano del loro castello, assicurava un'ottima vista sulla piazza sottostante in cui si radunavano tutti i cittadini, e che permetteva di scorgere l'orizzonte oltre le mura di Sansea.

«È arrivato l'esercito di Alec» sussurrò sgomento il principe minore, il volto segnato da un'estrema preoccupazione. Kamal si affrettò immediatamente verso di loro cominciando già a sbottonare la rigida giacca blu in cui era stato costretto per tutto quel tempo, e superò Aileen e gli altri fratelli senza nemmeno degnarli di uno sguardo.

Dove diamine erano le sue spie? Perché non era stato avvisato di quell'attacco?

«Berut! BERUT!» ringhiò il sovrano uscendo dalla Sala del Trono. Il generale dai corti capelli corvini stava già correndo nel corridoio per raggiungerlo, e si fermò al suo cospetto ansante, le mani alle ginocchia per riprendere fiato. La sua figura, in quel momento, non sembrava più tanto imponente.

«Hanno aperto i cancelli, Sire. Non siamo riusciti a fermarli».

Il re diede un pugno vigoroso alla parete che aveva di fianco, scompigliando l'elegante acconciatura che li aveva tenuti legati, così che delle ciocche chiare gli finirono davanti al volto costringendolo a portarle indietro con una mano.

«Come hanno fatto ad arrivare fin qui senza che lo sapessi, incompetenti! - gli urlò furente a un palmo dal viso - Organizzate immediatamente uno straccio di difesa, o al tramonto la vostra testa non sarà più attaccata al corpo».

«Ho già provveduto cercando di tamponare l'avanzata, Vostra Maestà. I nostri soldati si stanno muovendo in questo istante».

Kamal alzò un pugno pronto a colpirlo in pieno viso e sfogare così tutta la rabbia, poi però cambiò idea e tornò indietro dai suoi fratelli e da Aileen.

«Gebediah, preparati e scendi in campo insieme a me. Fergus, Derlyn, scortate Syria al sicuro e assicuratevi che stia bene, poi accompagnate la contessa e le sue dame nei loro alloggi e provvedete alla loro tutela. Non muovetevi da qui: se vi vedrò nel campo di battaglia, vi colpirò con le mie stesse mani». La voce seria del sovrano della Terra del Pesce strideva con quella boriosa e altezzosa che aveva avuto fino a qualche minuto prima.

I principi conoscevano bene quello sguardo, sapevano la furia che era in grado di scatenare in uno scontro fisico, e seppero che sarebbe andato tutto bene.

I gemelli si allontanarono all'istante, portando con loro una terrorizzata Aileen e una combattiva Syria che, invece, voleva aiutare i suoi fratelli a salvare la città.

«Non essere sciocca! – le disse Kamal afferrandola per un braccio e trascinandola verso l'uscita – Non voglio preoccuparmi per te mentre sarò là sotto».

Sua sorella era l'unica persona in grado di abbassare le rudi e vanagloriose barriere che il re issava contro chiunque altro, l'unica capace di muovere in lui quei sentimenti di tenerezza che aveva provato solo per la madre così simile a lei. La principessa si dimenò sciogliendosi dalla stretta del fratello maggiore, indirizzandogli uno sguardo di fuoco. Odiava quando puntava sui suoi sensi di colpa.

«E sia. – concesse alla fine – Ma torna sano e salvo, o dovrai fare i conti con me».

Il re le diede un buffetto sulla testa riccioluta, poi tramutò il viso in una maschera di determinazione e ferocia e, insieme a Gebediah, corse a prepararsi per la battaglia.

Indossarono le armature amaranto, distintive della loro Terra, con i due pesci dello stemma in rilievo che sembravano guardarlo torvi da quella prospettiva. Si fece aiutare dal fratello a chiudere lo spallaccio e il bracciale di quella veste di metallo in cui si sentiva paradossalmente libero, poi si strinsero gli avambracci mentre con l'altra abbassavano la visiera sui loro occhi decisi.

Erano pronti a sacrificarsi.

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