Capitolo 22: Cieca vendetta

Non c'era tempo per le consuete riflessioni dell'elfo, bisognava sbrigarsi.

Senza dire una parola tolse la piccola dalle braccia della madre e svanì per poi riapparire nella cella di Christopher. Lui la prese delicatamente con la paura di farle male, e poi le diede un bacio sulla fronte stringendola a sé, facendo attenzione a non bagnarle il viso di lacrime e a non graffiarla con la barba che gli era cresciuta in quelle settimane di prigionia. Il soldato riconsegnò la neonata a Stenphield e si voltò per non guardare: dire addio non era mai stato il suo forte.

L'elfo indugiò qualche istante incrociando lo sguardo della regina.

«Tornerò per entrambi. Andrà tutto bene».

Isidora annuì mentre la figura del padre e della figlia svanivano nel nulla.

Immediatamente dopo la porta dei sotterranei si aprì, e la sagoma di un soldato divenne sempre più nitida alla luce di una lanterna. Alla penombra gradualmente rischiarata dalla flebile fiamma, i due si guardarono terrorizzati. La regina represse il dolore al basso ventre e si sedette sul pavimento davanti a lei cercando di coprire le tracce del parto.

«Il Sommo Sovrano ha disposto che mi seguiate nelle vostre stanze» ordinò quel ragazzo rivolto alla donna con il volto stravolto dalla fatica, ma quello non sembrò badarvi.

Isidora e Christopher si scambiarono uno sguardo carico di tutte le parole che non avrebbero saputo comunicare altrimenti, e poi lui annuì impercettibilmente in un tacito consenso a quello che sapevano entrambi essere un addio. La guardò attraversare la porta delle segrete mentre cercava di camminare dritta e sicura, conscio che sarebbe stata l'ultima volta.

Negli alloggi reali era presente Ingrid con gli occhi scuri gonfi di pianto, legata ai piedi del baldacchino reale. Il soldato che aveva scortato la regina fino a lì trattenendola rudemente per i polsi legati, la lanciò bruscamente verso la donna seduta sul pavimento, e lei perse l'equilibrio ruzzolando per terra. Le due si ritrovarono l'una di fianco all'altra, e rimasero in perfetto silenzio fino a quando le guardie non le lasciarono sole, dopodiché si abbracciarono per quanto le corde che le tenevano legate gli permettessero di fare.

«Alec è tornato prima, non so che cosa abbia in mente» disse la dama di compagnia con la voce rotta di pianto. Parlavano piano, per evitare che gli uomini fuori la porta potessero sentire qualcosa.

«Mio padre ha detto che sarebbe tornato per me e Christopher, non posso lasciarlo lì!»

«Stenphield ha calcolato male i tempi. Non c'è tempo per seguire il piano, ma troverà un modo per tirarci fuori da questa situazione».

«Io non vado da nessuna parte senza di lui».

Ingrid abbassò lo sguardo e solo allora notò il ventre sgonfio e le tracce di sangue sul vestito.

«Come pensate che reagirà Alec quando vedrà che avete partorito ma non c'è traccia del bambino? Io ho abbandonato mia figlia per non compromettere la causa, mia figlia!! Non lascerò che mandiate tutto all'aria in questo modo!»

Gli occhi della regina si velarono di tristezza. Ingrid, fino a quel momento, aveva forse pagato il prezzo più grande che le avrebbero mai potuto chiedere, eppure era ancora così risoluta e fiera. Lei, invece, si sentiva annichilita dal dolore, senza avere avuto nemmeno la possibilità di conoscere la sua stessa figlia, la sua Elisea, e non osò nemmeno pensare al suo amato Christopher solo e inerme dinanzi alla furia di Alec che non avrebbe tardato ad arrivare. Una morsa le strinse lo stomaco facendole venire la nausea, il cuore sembrava non voler fermare la sua folle corsa, e si concesse di piangere legata come un criminale nelle sue stesse stanze.

L'ira del Sommo Sovrano fu inarrestabile, e Christopher portava addosso i segni di quello sfogo. Rimase riverso sulla dura pietra della prigione senza cibo per un tempo indefinibile, aspettando solo che una guardia lo prendesse per l'esecuzione e la facesse finita una volta per tutte. E, invece, i mesi passarono e lui rimase lì, in una blanda imitazione di vita.

Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse prigioniero: un mese, un anno, un secolo; tutti i giorni erano uguali e lui era sempre più debole. Era ormai solo l'ombra dell'uomo che era stato, provato dalla fame e dalla solitudine. Passava le giornate a dialogare in silenzio con l'immagine di Isidora che gli affollava la mente, crogiolandosi nel tempo che passava con Elisea.

C'era stato un tempo, molti mesi prima, in cui era stato in grado di dosare razionalmente i momenti in cui lasciarsi andare a quelle meravigliose allucinazioni, per evitare di impazzire nella solitudine e annegare nella frustrazione. Era stato consapevole che tutto ciò che vedeva e udiva fosse solo il frutto della sua mente, ma adesso non ne era più così sicuro e, forse, era quella maledetta cella a essere solo un incubo.

Passava le giornate steso, immobile, nell'angolo più buio di quel minuscolo fazzoletto di pietra di cui aveva imparato a conoscere a memoria i suoni: i topi alla ricerca di cibo, il gocciolio della pioggia che trasudava dal tetto dopo una tempesta, il rumore della pietra che si riscalda sotto il calore del sole cocente, il lamento degli altri prigionieri che riecheggiava tra i ruvidi corridoi, gli stivali dei soldati che portavano cibo che non mangiava.

Non sperava più da tempo per la sua salvezza, solo si chiedeva perché Alec stesse aspettando così tanto per ucciderlo. Lo assillavano i pensieri di Elisea e Isidora: non sapeva dove fossero, se fossero salve o se invece...

Sentì distintamente la porta delle segrete aprirsi, il tintinnio delle chiavi e il cigolio della cella che si apriva. L'uomo rimase fermo, disteso, a dare le spalle a quel rumore aspettando solo che due braccia rudi e forti lo sollevassero di peso, e invece una mano delicata si posò su di lui e una voce familiare lo fece riprendere dall'oblio nel quale stava cadendo.

«Christopher, sono venuta a prenderti» gli sussurrò la regina all'orecchio. Lui si voltò verso di lei con il viso completamente stravolto. Stava impazzendo.

Scacciò via con una mano l'immagine della donna che continuava a ricordargli la vita che non avrebbe vissuto. Avrebbe dovuto lasciarla andare, rassegnandosi al dolore che provava ogni volta che pensava ai suoi magnifici occhi viola, avrebbe voluto essere capace di smettere di amarla.

Isidora si inginocchiò al suo fianco, stringendogli le mani ossute che nulla avevano a che fare con quelle forti che l'avevano stretta così tante volte. Lo guardò negli occhi verdi e incavati che, privi della loro naturale luminosità, apparivano adesso vuoti, opachi.

«Sono io, amore mio, sono venuta a salvarti» ripeté lei quasi con il timore di toccarlo.

Il soldato dal viso logoro strabuzzò gli occhi. Li chiuse, e si stupì che quella visione divina fosse ancora lì quando ebbe il coraggio di riaprirli. Si mise faticosamente a sedere e allungò tremante una mano verso quella donna che aveva sognato ogni singola notte. Le sfiorò il viso, scorse con dita incerte il profilo del naso, delle labbra mosse dai singhiozzi, le spalle, il braccio, il ventre vuoto e piatto. Indugiò per un attimo in più su quel particolare, poi alzò il volto lasciando che le lacrime scendessero lungo le guance scavate.

Quanto tempo era passato?

Si soffermò sugli occhi viola che, invece, erano identici a quelli che ricordava, e finalmente dei singhiozzi ebbero la forza di scuotergli le spalle. Il cuore sembrò riprendere faticosamente a battere dopo un lungo periodo di inattività, e lui si sentì di nuovo vivo dopo un'eternità di morte apparente.

«Non posso venire con te. Non ho le forze per scappare e non voglio metterti in pericolo» biascicò con la bocca asciutta, asciugando distrattamente le lacrime con il dorso della mano, provando una quantità tale di emozioni da non saperne elencare nemmeno la metà. Isidora lo guardò nella penombra della cella: sotto quell'aspetto lacero e smunto riconobbe ancora l'uomo valoroso che amava, che non si era fatto piegare dalla crudeltà infinita di Alec. Il re non aveva vinto.

«Sapevo che avresti detto così, ma non posso lasciarti morire. Ares e Nahil sono qui fuori a fare la guardia: hanno deciso di lasciare il palazzo e unirsi alla Resistenza, e tu andrai con loro. Sono venuta per dirti addio».

Christopher la strinse senza dire nulla, recuperando da quell'abbraccio tutte le forze che credeva di avere perduto da tempo. Isidora si scostò leggermente e gli accarezzò il viso con lo sguardo umido, lui le asciugò le guance con le mani e poi si alzò reggendosi al muro. Cadde diverse volte nel tentativo di mettersi in piedi, i muscoli completamente irrigiditi da mesi di inattività urlarono di dolore a ogni tentativo, ma ancora una volta il sentimento che provava per lei fu più forte di qualsiasi altra sensazione terrena.

La prima cosa che fece, malfermo sulle proprie gambe, fu tirarla a sé dandole un lungo, bellissimo, ultimo bacio.

«Ti amo» disse lui semplicemente. Lo aveva preferito alla parola "addio" , ma ne portava tutto il peso.

«Ti amo» rispose lei con un sorriso tremante di pianto, poi si voltò e andò via.

Non avrebbe voluto che l'ultima immagine che gli lasciava fosse quella di lei in lacrime, ma non poteva fare a meno di pensare che non avrebbe più rivisto l'unico uomo che avesse mai amato, che i loro sogni non si sarebbero mai realizzati e che il loro futuro non sarebbe mai esistito.

Corse via dalla prigione sforzandosi di non guardare indietro, mentre Ares e Nahil portavano via il soldato affamato e malconcio fuori dalla cella. Christopher alzò la testa e stropicciò gli occhi alla luce a cui non era più abituato e la vide, per l'ultima volta, in cima alle scale. Non aveva resistito alla tentazione di voltarsi.

I loro sguardi si incrociarono ed entrambi si sorrisero. Lui la trovò bellissima anche in quelle circostanze, e Isidora pensò che quello fosse il sorriso più bello che avesse mai visto, poi si voltò piano e girò l'angolo. Christopher abbassò la testa e chiuse gli occhi mentre l'ultima lacrima gli rigava il volto.

Ares e Nahil presero un braccio per uno e lo caricarono sulle loro spalle.

«Andiamo via» disse infine il soldato con un filo di voce riuscendo finalmente a lasciare quel castello una volta per tutte.

Isidora guardò il cielo stellato riflettere dalla grande finestra del corridoio che portava alla Sala del Trono, ispirò profondamente ricacciando indietro le ultime lacrime ed entrò.

«Ho fatto come avete chiesto, ora ridatemi Elisea».

Alec prese la piccola dalle braccia di un uomo al suo fianco e la cullò per un istante.

«Elisea, un bel nome davvero».

La regina prese la bambina che il re le aveva praticamente lanciato addosso, e la guardò stranita. Era cresciuta bene in quell'anno, sebbene non fosse stata lei a prendersene cura, ma c'era qualcosa di anomalo in sua figlia.

«Che cosa le è successo agli occhi? Perché sono così...»

«Vuoti? Vedi, cara, quest'uomo, – disse indicando colui dal quale aveva preso la piccola – si chiama Ray, e non è solo un guaritore. Lui ha dei poteri, come dire, speciali. È stato lui che ha trovato e fermato Stenphield e, a proposito, sono deluso che la mia adorata moglie non mi abbia mai rivelato chi fosse realmente suo padre. Non ci dovrebbero essere segreti in un vero matrimonio».

Isidora cercò di reprimere la risata nervosa che le era arrivata in gola, raccolse tutto il contegno di cui disponeva e lo fissò senza abbassare lo sguardo.

«Da quando il nostro matrimonio è diventato vero? Credevo mi avessi sposata per unire i Territori del Nord e del Sud».

Alec la raggiunse davanti al trono, e le si avvicinò all'orecchio.

«Non importa il motivo, io sono sempre stato chiaro con te: sarebbe stato un matrimonio senza amore, ma ci sarebbe stato rispetto. Io non ti avrei mai fatto del male, ma tu hai rovinato tutto per... per cosa, esattamente, Isidora? Ti volevi prendere gioco di me? Godevi nel deridere il tuo stolto marito che non si accorgeva di ciò che gli accadeva sotto al naso?». Il re aveva preso a camminarle attorno con aria assente e una voce che rischiava l'isteria.

«Non mi aspetto che tu comprenda i sentimenti d'amore che mi hanno mossa».

«Ecco dove ti ha portato l'amore! – le urlò in faccia – E questa bambina è una prova del tuo tradimento, è un affronto!». Misurò a grandi falcate la distanza che lo riportava al trono incastonato di pietre preziose, poi cambiò idea e ritornò di fronte a quella traditrice mentre la piccola bambina dalle guance paffute cominciava a piangere.

«Fino a quando il viso di quel soldato è rimasto coperto dall'elmo tutto andava bene, ma la sua vista ti ha portata al tradimento, ed è per questo che ho concesso a Elisea l'opportunità di rimanere sempre sulla retta via».

Isidora cominciò a tremare stringendo a sé quel piccolo corpo piangente che si aggrappava a lei con l'intensità che solo i bambini sanno avere.

«Che cosa le hai fatto...»

Alec si avvicinò alla piccola e le accarezzò il viso con un dito, guardandola con aria folle.

«Se non avrà la possibilità di vedere il male, lei non lo seguirà. Da adesso, non vedrà più nulla».

Isidora notò le minuscole cicatrici al lato di ogni occhio, e si sentì morire.

«Tu l'hai resa cieca! Come hai potuto!» urlò cercando di colpire il re con quanta più forza poteva, ma Elisea prese ad agitarsi con più foga e le guardie non faticarono a metterla in ginocchio, così non le restò che stringere sua figlia e piangere per il suo futuro.

Il Sommo Re si sedette sul trono pienamente soddisfatto, e osservò la scena come uno spettatore.

Aveva pensato a lungo a come punire Isidora. Aveva chiesto ad Angus di occuparsene, ma lui gli aveva detto di non essere in grado di svolgere una magia del genere senza un'adeguata preparazione, così gli aveva consigliato Ray assicurandogli che fosse piuttosto abile. Lo aveva fatto convocare e non era stato difficile convincerlo ad accecare una bambina. Il guaritore aveva avuto le sue remore, ma Alec aveva usato strumenti molto potenti per convincerlo.

«Avrai tutta la vita per piangere tua figlia» disse muovendo una mano come per scacciare quei pensieri. Isidora alzò lo sguardo e piantò con cipiglio gli occhi viola in quelli scuri del re, ma lui rise.

«Non avrai forse pensato che l'avrei lasciata vivere qui!»

«Tu non la ucciderai».

Alec si finse sorpreso.

«Certo che no, non sono un mostro! Elisea verrà scortata su una carrozza e verrà abbandonata fuori dai confini del Regno. Che sia pure la figlia di qualcun altro, non mi importa. Tu andrai con lei fino alle mura della città per evitare che il suo pianto attiri l'attenzione di qualcuno, e poi un soldato ti riporterà indietro. Da me, per il resto della tua miserabile vita da traditrice».

La regina si alzò in piedi senza smettere di fissarlo.

«Piuttosto preferisco morire».

Alec si alzò e si mise in piedi davanti a lei.

«La tua vita non vale niente, Isidora. La tua unica utilità è mantenere una parvenza di equilibrio in una Terra nata da poco. Servi solo a tenere calmo il popolo dei Territori del Sud, che ancora ti vede come legittima sovrana, mentre io mi occupo di quei barbari delle Terre Escluse. Sei rimasta in vita solo perché io ho deciso così, ma le cose possono cambiare in fretta, mia amata, non sfidare la sorte ancora una volta».

La regina non ebbe il tempo di rispondere che dei soldati la presero di forza e la condussero fuori dal castello. A nulla servirono le suppliche lungo tutto il tragitto: le guardie non sembravano avere intenzione di cedere e la condussero fuori dalla città mentre la luna era ancora alta.

Avevano appena fermato la carrozza per far scendere la donna che aveva cullato la piccola Elisea fino a farla addormentare, quando i cavalli nitrirono; gli uomini del re caddero di colpo a terra e dal nulla apparve una figura dalle orecchie puntute.

«Padre, siete vivo!». Isidora e Stenphield si abbracciarono, poi lui salutò la bambina che aveva accudito per quasi un anno.

Elisea riconobbe immediatamente il tocco di colui che si era preso cura di lei, e allungò le corte braccia paffute per farsi prendere in braccio. L'elfo accontentò la sua richiesta e solo allora notò l'atrocità di cui si era macchiato il Sommo Sovrano.

Dal momento in cui aveva portato via Elisea, non era più riuscito a raggiungere le segrete né la regina: avevano alzato delle barriere magiche e lui non era stato in grado di tornare indietro. Aveva però potuto raggiungere Ingrid e, attraverso di lei, era riuscito a regalare a Isidora dei momenti da passare con la figlia.

Lei non aveva voluto scappare, continuava a ripetere che avrebbe prima dovuto liberare Christopher, ma lui era costantemente sorvegliato e lei non era libera di muoversi per il castello. Diverse volte la dama di compagnia aveva rischiato di farsi scoprire con la piccola tra le braccia, e per Isidora diventava sempre più difficile doverla salutare, così che alla fine aveva deciso di interrompere le visite per evitare di compromettere ogni cosa.

E adesso la stringeva tra le braccia, cieca.

«Scappa con me» le propose l'elfo. La regina pensò col cuore in frantumi a tutto quello che avrebbe avuto, ma anche a ciò che avrebbe lasciato.

«Fabian mi aspetta, padre. Non voglio lasciarlo da solo nelle mani di quel mostro. Ha bisogno di me, di sua madre».

Stenphield fece per ribattere, ma si limitò ad annuire.

«Mi dispiace, non sarebbe dovuta finire così, ma Elisea non andrà lontano. Prendi questo mantello e rientra in città: lascerai la piccola a una famiglia che se ne prenderà cura fino a quando sarà necessario».

«E per i suoi occhi non potete fare nulla?»

L'elfo pensò un'istante mentre il piccolo corpicino che stringeva cominciava a giocare con i suoi lunghi capelli scuri.

«È stata la magia a toglierle la vista, e la magia può ridargliela. Ci vorrà del tempo per pensare a qualcosa di adatto, non so dire quanto, ma poi tornerò a prenderla».

«No, padre. – disse la regina, prendendo in quell'istante la seconda decisione più difficile di tutta la sua vita – Le hanno già tolto la vista, io non voglio toglierle la gioia di una casa, di una famiglia che le voglia bene, di una vita normale. La lasceremo crescere in pace ma, padre, voglio che mi promettiate che quando sarà più grande e pronta per capire le racconterete la verità e la recluterete agli Elyse. Voglio che ottenga ciò che le spetta di diritto».

Stenphield annuì ancora una volta e la regina calò il cappuccio sulla testa, prese la figlia tra le braccia, e con passo svelto e sicuro si diresse verso Olok per abbandonare Elisea.

Ares, Nahil e Christopher erano riusciti a superare le mura della città senza particolari difficoltà. Conoscevano i turni di guardia e il giro di sorveglianza, loro stessi li avevano predisposti quella stessa mattina, e per loro fu semplice aggirarli tutti. Erano a ovest rispetto al cancello principale, e da lì avrebbero dovuto camminare esposti per un lungo tratto di strada prima di raggiungere il bosco. Aspettarono sotto le mura che una guardia nella passerella di cinta oltrepassasse il punto in cui erano appostati, e poi si diressero verso nord.

Sulla soglia del bosco furono sorpresi da alcuni soldati reali che li attaccarono alle spalle. Nessuno avrebbe dovuto sapere che erano lì, e sapevano per certo che non c'era alcun servizio di vigilanza da quelle parti. I fratelli vinsero facilmente su due dei tre soldati che li avevano attaccati, e Ares puntò la spada sulla gola del terzo.

«Perché siete qui? Chi vi manda?»

Il giovane respirava affannosamente: aveva paura, si vedeva, eppure non voleva parlare. Nahil si accovacciò vicino la testa di un soldato steso a terra, sollevandola per i capelli per poi lasciarla ricadere.

«Guarda cosa facciamo a quelli che non ci servono. Siamo ufficiali delle guardie reali: otterremmo comunque queste informazioni».

«Dovevamo uccidere un uomo per ordine del re» confessò il ragazzo senza guardarli.

«E ha mandato tre soldati alle prime armi per farlo?»

«Doveva essere da solo, e debole».

Christopher si alzò sorreggendosi all'albero che lo aveva protetto per tutta la durata dello scontro, e si avvicinò al prigioniero.

«Come faceva a sapere che sarei scappato?»

Il soldato tacque e Ares gli avvicinò maggiormente la punta della lama al collo, in modo che un minuscolo rivolo di sangue cominciasse a scendere. Così, senza bisogno di altre parole, il soldato riprese a parlare.

«Ieri la regina è stata convocata dal re dopo mesi di isolamento nelle sue stanze. Non so cosa si siano detti, ma una guardia è andata ad avvisare i soldati che sorvegliavano il prigioniero di abbandonare la postazione».

«Il re voleva che Christopher venisse liberato, ma poi ha mandato uomini a ucciderlo. Perché?» chiese Ares, scambiandosi un'occhiata perplessa col fratello.

«Voleva che Isidora pensasse che sarei stato salvo, ma lei non si è fidata e ha mandato voi a proteggermi» disse il fuggitivo. Nahil si avvicinò al ragazzo e lo scrutò come se volesse cavargli altre informazioni solo con quell'aria truce.

«Alec sa che Isidora non è stupida, quindi perché rischiare una mossa del genere? Magari il nostro amico qui può darci spiegazioni in merito».

Il soldato dall'armatura nera cominciò a pensare velocemente a qualche altra informazione; si maledisse per la sua codardia, ma voleva tornare a casa.

«Ho sentito la regina parlare con la dama di compagnia di una bambina e su qualcuno di nome Stenp...»

Christopher raccolse una spada da uno dei caduti e gliela puntò dritto in mezzo agli occhi doppiando quella del suo amico.

«Che cosa sai di quella bambina!»

Il ragazzo cominciò a tremare.

«Io... io non lo so! Vi ho detto tutto quello che sapevo».

«Che cosa sai di quella bambina!» ripeté urlando.

«Non so più nulla, ve lo giuro! Lo giuro!»

Christopher alzò faticosamente con entrambe le mani la spada sopra la testa, pronto a calare il colpo.

«Dimmelo! Dimmelo o ti ammazzo!»

Nahil prese l'amico per le spalle e lo allontanò da lì, ma lui non accennò ad allentare la presa sull'elsa né a cancellare dal viso lo sguardo folle e feroce allo stesso tempo.

«Se sa qualcosa su mia figlia io devo saperlo!»

«Non sa più nulla, Christopher. Guarda com'è spaventato, ci ha detto davvero tutto quello che sa».

L'ex guardia reale della regina fece cadere la spada sul terreno e si sedette coprendosi il volto con le mani, svuotato da ogni energia.

«Non ci serve più, ci ha detto quello che volevamo» disse Nahil voltandosi verso il fratello. Il giovane soldato si sentì stupido per aver pensato di poter tornare a casa e chiuse forte gli occhi preparandosi alla morte ma, invece, sentì la pressione sulla sua gola svanire.

«Dirai al re che non siete riusciti a compiere la missione perché Ares e Nahil vi hanno fermati, e gli dirai di prepararsi perché da adesso gli Elyse faranno sul serio».

Il ragazzo si alzò e annuì, poi corse via veloce verso Olok.

«Hai fatto bene a far sapere ad Alec di noi due?» gli chiese il fratello.

«I soldati noteranno subito la nostra mancanza e il re lo verrà presto a sapere. Non sarebbe difficile per lui capire come stanno le cose, almeno gli facciamo vedere che non abbiamo paura. Adesso andiamo, abbiamo già perso fin troppo tempo».

«Io non posso, devo tornare indietro per assicurarmi che Isidora e Elisea stiano bene».

«Tu non vai da nessuna parte conciato così: non sei in grado di camminare, figuriamoci di combattere. Ingrid farà avere notizie agli Elyse tra qualche giorno, come di consueto, e non mancheranno le informazioni per te. Ora sbrighiamoci a raggiungere la resistenza prima che sbuchi qualcun altro» gli disse Ares aiutandolo ad alzarsi: non si reggeva nemmeno in piedi, pesava quanto un ragazzino.

Come previsto da Ares le informazioni arrivarono presto e gli fu comunicato tutto ciò che voleva sapere: la regina era rinchiusa nelle sue stanze e sorvegliata, ma stava bene, mentre Elisea era stata lasciata a una famiglia dopo lo spregevole gesto di Alec. Gli venne consegnata anche una lettera scritta per mano di Isidora che Christopher rilesse fino a conoscerla a memoria, e dopo qualche giorno in cui fu costretto a un assoluto riposo, decise di tornare a Olok per sorvegliare la sua dolce bambina, trovandola facilmente a causa della sua peculiarità.

Poche settimane dopo la nuova vita di sua figlia, vide Danker, fratello di Etios e padre adottivo di quella che ormai si chiamava Enora, tornare a casa con un vecchio uomo che disse di essere il guaritore Ray. Non poteva credere che quell'uomo fosse colui che aveva ridotto sua figlia alla cecità e non poteva sopportare che continuasse a vivere. Lo seguì fino a casa e poi lo uccise prima che potesse entrarvi, eliminando così anche la possibilità che andasse a riferire tutto al re.

Calò il cappuccio del mantello che portava fin dal suo arrivo a Olok e poi si diresse nell'ombra verso la casa dei Barker.

Un bonus super extra mega bellissimo! Christopher, Isidora ed Elisea in questo bellissimo aesthetic.
Grazie infinitamente ElsaTame ❤️

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