Capitolo 21: Un dolore bellissimo

Mancava poco alla nascita del nuovo principe di Olok, e l'intera capitale aspettava con ansia. Al castello erano già cominciati i preparativi per l'imminente arrivo del nascituro, ma a Isidora non importava dei doni che riceveva da tutto il Regno, e sopportava paziente tutti gli incontri con i nobili delle cittadine vicine, sapendo che non appena si fosse fatta notte lei avrebbe potuto stendersi tra le forti braccia del suo uomo.

Si recava sempre più spesso nelle stanze della sua guardia personale, forse a volte con troppa imprudenza, ma non avrebbe potuto rinunciare a quei momenti che appartenevano solo a loro e in cui insieme sognavano una vita per la loro famiglia.

«Faremo crescere il piccolo come un principe, e quando tutto sarà finito scapperemo via insieme». Christopher chiuse gli occhi immaginando la scena.

«E fuggiremo insieme dal Regno!» disse la regina ridendo. Anche lui rise.

«E fuggiremo insieme dal Regno» ripeté il soldato stringendola forte.

Le abbracciò il corpo nudo cingendole con delicatezza la pancia tonda e alta, e la donna dai capelli corvini si strinse al petto dell'uomo che le stava dietro, facendo combaciare la schiena con ogni parte del corpo allenato di lui.

«E se fosse una bambina?» gli chiese con gli occhi chiusi, godendo del calore creatosi tra il petto villoso di Christopher e le calde coperte. Non ci avevano ancora pensato e se ne stupirono entrambi.

«Elisea. – disse il soldato convinto – È nata grazie agli Elyse, e sarà la nostra eredità per la Resistenza. Sì, la chiameremo Elisea».

Isidora annuì, poi piegò il viso quel tanto che bastava per riuscire a baciarlo sulle labbra, sciogliendosi nel sapore della sua bocca. Mosse il braccio indietro per cercare il corpo del suo soldato, il quale rispose immediatamente a quella muta richiesta e la strinse con più foga. Il desiderio quasi lo lacerava, il sentimento era così forte da fargli male, e si lasciò andare inebriandosi del profumo del suo corpo, della delicatezza del suo tocco, del sapore della sua pelle diafana.

Non sarebbe stato capace di amare nessun'altra, se non la sua regina.

Quella notte Alec sentì Isidora alzarsi dal letto: nonostante immaginasse che avesse bisogno di camminare molto nello stato in cui si trovava, c'era qualcosa di strano nel modo in cui si muoveva furtiva, così decise di seguirla.

Attese qualche istante prima di andarle dietro, e la seguì tra i deserti corridoi del castello facendo attenzione che il rumore soffocato dei loro passi combaciasse. Aspettò prima di aprire la porta nella quale era entrata, quasi paralizzato dalla sorpresa. Sapeva a chi apparteneva quella stanza e si sentì stupido e furioso.

Decisamente molto furioso.

Varcare la soglia e trovarli lì nel letto, insieme, gli fece salire una rabbia che non aveva mai provato prima.

«Bene» disse poi con una calma che non presagiva nulla di buono, il volto inespressivo come solo lui sapeva avere, gli occhi scuri vuoti e fissi sulle curve di sua moglie lasciate completamente allo scoperto.

Nessuno dei due si aspettava che il re li scoprisse. Non quella notte, almeno, non in quel modo.

Alec si ritrovò spiazzato per la prima volta dopo molto tempo, più per la presenza di un uomo che non conosceva nelle stanze di uno dei suoi soldati più fidati che per la regina. Aveva sempre saputo che non c'era amore nel loro matrimonio, non gliene era mai importato, ma non poteva e non voleva permettere che qualcuno su cui aveva riposto la sua più totale fiducia lo tradisse.

Isidora si alzò lentamente dal letto con il cuore che le rimbombava in petto, cercando di recuperare la sottoveste che aveva lasciato afflosciata sul pavimento, e Christopher la imitò con estrema cautela, indossando solo i pantaloni. Alec rimase immobile davanti la porta a fissarli, recuperando piano tutta la lucidità.

«Il figlio che porti in grembo è suo, vero?» chiese poi con la stessa calma che aveva simulato all'inizio. Il silenzio di Isidora fu più eloquente di mille parole. Il re mosse verso di lei, ma Christopher le si parò davanti per proteggerla.

«Se avete cara la pelle, vi consiglio di allontanarvi adesso. Non mi importa sapere chi siete, né dove sia Yler: verrete giustiziati entrambi per questo tradimento e dimenticherò presto la vostra esistenza. Adesso, però, devo parlare con la regina».

Christopher non riuscì a trattenere un sorriso. Lui non era come il suo migliore amico: non sapeva mantenere la calma in ogni situazione e, soprattutto, al contrario di lui, non sapeva celare l'odio nei confronti del re.

«Siete uno sciocco, Sire. - iniziò il ribelle con un inchino che aveva tutta l'intenzione di prendersi gioco di lui - Siete così preoccupato di quale sovrano possa farvi un tiro mancino da non rendervi conto di quello che vi succede attorno».

Alec rimase immobile ad ascoltare, e serrò i pugni sforzandosi di non cedere alla rabbia che gli montava in petto.

«Yler è morto».

Solo una piccola ruga nella fronte del re tradì la sua incredulità, altrimenti celata perfettamente. Isidora si morse il labbro inferiore: avrebbe dovuto fermarlo prima, ma ormai era troppo tardi.

«Io ho preso il suo posto... E ho preso anche vostra moglie». Il sorriso beffardo che era apparso sul viso barbuto di Christopher venne smorzato dal pugno chiuso che il re gli indirizzò dritto sotto il mento. La guardia, colta alla sprovvista, per poco non cadde a terra e la regina portò le mani alla bocca per lo sgomento quando vide del sangue scendere dal labbro dell'amante. Una fitta improvvisa la fece piegare in due e Christopher si voltò immediatamente verso di lei.

«Per ciò che mi interessa, può anche morire quel bastardo!»

Il braccio destro del soldato reale si mosse ancora prima che riuscisse a formulare un pensiero cosciente, e sferrò un pugno sullo stomaco del Sommo Sovrano, che cadde a terra senza fiato. Christopher era più giovane e robusto del re, e anche notevolmente più allenato.

Alec tornò ad assaporare felice l'aria non appena svanì l'effetto immediato del colpo. Anche lui era stato un soldato, ma adesso non avrebbe mai potuto vincere in un duello, lo sapeva, tuttavia non gli serviva la mera forza fisica: lui era il re e questo gli conferiva un vantaggio immenso.

Si alzò con estrema lentezza mentre Christopher alzò i pugni in guardia, già pronto ad attaccare di nuovo.

«Posso sapere il vostro nome?» chiese con noncuranza.

«Sono Christopher di Lenosa» rispose lui fiero senza nemmeno pensarci, il petto nudo gonfio d'orgoglio.

«Bene, Christopher. Mi avete ingannato, lo ammetto. Ma mi duole ricordarvi che sono io il re, e io ho il pieno potere».

«Voi non toccherete la mia famiglia. – lo minacciò il soldato, comprendendo l'antifona di quel discorso – Potrei uccidervi adesso, se solo lo volessi».

«Oh, ma davvero? E perché non lo fate allora, cosa aspettate». Il re allargò le braccia in segno di sfida, e i lacci che fino a quel momento avevano tenuto chiusa la vestaglia scura si aprirono completamente, mettendo in mostra il busto virile e segnato da cicatrici del Sommo Sovrano, a dimostrazione del suo passato da militare.

Senza distogliere lo sguardo, Christopher prese la spada corta che teneva sotto il letto e la sfoderò lentamente puntandogliela contro la gola. Il re non mutò la propria espressione, né mosse un muscolo; quelli di Christopher, invece, erano tesissimi. Sapeva che quel gesto avrebbe portato a conseguenze inimmaginabili, eppure sarebbe stato così semplice...

Rimasero immobili per lunghi istanti, poi Isidora mise la mano sull'elsa della spada e la abbassò delicatamente senza trovare alcuna resistenza. Solo allora il re chiuse le braccia e li guardò con un'espressione che urlava la sua vittoria.

Li fece arrestare e scortare nelle segrete, senza fare troppo rumore. Non doveva saperlo nessuno.

Alec tornò furibondo nelle sue stanze. Non si era mai sentito tanto umiliato come in quel momento. Trovare la regina giacere con un altro uomo sotto al suo naso! Era inaccettabile, era ripugnante! Si lasciò cadere sulla preziosa sedia vicina allo scrittoio, rivolse lo sguardo fuori dalla finestra e cominciò a pensare come punire quell'ignobile affronto.

Poteva scendere nelle segrete e ucciderli entrambi con le proprie mani, ma sarebbe stato troppo semplice. Non avrebbero sofferto abbastanza, sarebbe finito tutto troppo in fretta. Voleva fargli provare il terrore, il dolore, il tormento. Avrebbe deciso lui come e quanto tenerli in vita, almeno finché non ne avrebbe avuto abbastanza.

Mentre tamburellava con le mani sul bracciolo della sedia, con ancora indosso gli indumenti della notte, realizzò che per mettere in atto quella ridicola sceneggiata, Ingrid doveva necessariamente averli aiutati. Quell'inutile plebea si era presa gioco di lui, e aveva persino coperto la morte del suo stesso marito per poter ridere del suo re. Doveva essere punita.

Scrutò il paesaggio che si intravedeva dalla finestra e la sua mente vagò oltre quella stanza. Ogni piccola parte del suo piano prese forma dentro la testa e, man mano che lo definiva, sul viso si dipinse un ghigno malvagio.

Avrebbero pagato ogni singolo giorno della loro miserabile vita vivendo nella sofferenza e nell'angoscia. Non avrebbero mai più osato tradirlo.

Aspettò l'alba impaziente prima di convocare la dama di compagnia: non voleva che si allarmasse, voleva coglierla di sorpresa.

«Tu sapevi?» esordì il re non appena Ingrid si chiuse la porta alle spalle. Lei non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma aveva cominciato a preoccuparsi quando non aveva trovato la regina nelle sue stanze né in quelle di Christopher, e i suoi timori erano stati confermati dalla convocazione del re prima e dalla sua domanda adesso. Si avvicinò piano al trono d'ebano sul quale era seduto e scelse di rimanere in silenzio, a testa china.

«Tu sapevi?» ripeté il sovrano quasi urlando, ma Ingrid tacque ancora.

Alec strinse le dita attorno al braccio del suo trono e poi si rilassò facendo scorrere la punta dell'indice sugli intarsi di legno tra le pietre preziose, quasi distratto.

«Tu sapevi, Ingrid». Il Sommo Re si alzò e, con estrema lentezza, prese a camminarle attorno. Quello non era mai un buon segno.

"Almeno", si ritrovò a pensare la dama di compagnia, "adesso saprò con precisione che cosa è accaduto".

Il sovrano, infatti, aveva la vanesia abitudine di vantarsi pubblicamente delle sue scoperte, e di spiegare le punizioni creative che si sforzava di ideare per inseguire il suo malato ideale di giustizia.

«Voi ridevate di me. – iniziò piano, poi urlò – Voi ridevate del re! Ma farò in modo di toglierti quel sorriso dalla faccia». Alec si fermò davanti a lei e le alzò il viso con disgusto, utilizzando la punta di indice e medio, e Ingrid inclinò lo sguardo per non incrociare quello folle dell'uomo che le stava davanti.

«Ho pensato di punirti, ma le ferite della carne hanno la cattiva abitudine di guarire troppo in fretta. Quindi, mia cara dama di compagnia, – disse ricominciando a girarle attorno – ho pensato a qualcosa di più, come dire... particolare. Mi sono chiesto: cosa può rendere infelice una madre? E la risposta è stata così immediata da risultare ovvia. Non essere più tale».

Gli occhi scuri di Ingrid si spalancarono a quelle parole, ma aveva paura di dire qualsiasi cosa.

«Non mi porterete via i miei figli» disse poi con una voce più ferma di quello che credeva. Alec sorrise a quella pallida imitazione di coraggio.

«Oh, no di certo, non sono così crudele. Kimav rimarrà all'Accademia, dopotutto diventerà un mio soldato, ma Arkara... - si fermò dietro di lei e le si avvicinò fino a sfiorarle l'orecchio - lei non avrà questo privilegio». Concluse quasi in un sussurro.

Ingrid si voltò verso di lui, come se si fosse liberata da un incantesimo che l'aveva tenuta inchiodata fino a quel momento.

«Non toccherete mia figlia» disse coi pugni chiusi, la testa improvvisamente molto più pesante.

Alec ritornò a sedersi sul trono e la guardò divertito, poggiandosi il mento sul braccio con fare alquanto annoiato.

«La corte non ve lo permetterà» continuò la donna in preda alla disperazione, la voce rotta di un pianto senza lacrime.

«Come sei ingenua, Ingrid. La corte mi permetterà ciò che voglio, e io voglio che tu abbandoni Arkara. Non sono forse clemente a lasciarla in vita?».

La donna lo guardò con disprezzo e sputò per terra in un gesto di aperta sfida. Il re non si scompose.

«Bada, Ingrid: se non lo farai tu, provvederò io stesso. E non sarò tanto gentile».

La dama di compagnia sostenne il suo sguardo e non accennò ad abbassarlo. Il Sommo Re si alzò e si diresse verso l'uscio.

«Non ho esitato con mia moglie, vuoi che lo faccia con te? Sei una serva, Ingrid, solo una serva. Hai tempo fino al tramonto» concluse prima di uscire e lasciare la donna nella stanza, da sola, a piangere.

Erano già passate settimane da quando Christopher e Isidora erano stati imprigionati: al popolo era stato raccontato che la regina aveva bisogno di cure nell'ultimo periodo di gravidanza e che non poteva vedere nessuno.

Si trovavano nelle segrete in due minuscole celle una di fronte all'altra, così che potessero vedersi ma mai toccarsi. Christopher la sentiva gemere e piangere ogni giorno di più, e si pentiva ogni attimo di non aver ucciso il re quando ne aveva avuta l'occasione.

«Farò in modo che non ti accada nulla. Io ti salverò, Isidora, salverò te e il nostro bambino». Christopher ripeteva quelle parole come una preghiera ogni volta che la sentiva lamentarsi ma, ogni volta, quelle stesse parole perdevano sempre più il loro significato per diventare aria nell'aria.

La verità era che non mangiava da troppo tempo per dare la sua misera razione a Isidora, che era privo di forze e che loro avevano perso, mentre Alec aveva vinto su tutta la linea.

"Tu morirai, Christopher, morirai nel giorno in cui il tuo bastardo vedrà la luce. E poi morirà anche lui".

Le parole del Re diventavano sempre più vere ogni giorno che passava imprigionato in quella cella, e facevano sempre più paura. A niente erano servite le lacrime e le grida della regina: non aveva smesso di piangere da allora.

«Adesso basta, piccola mia». Una mano sfiorò i capelli della donna e poi una figura dalle orecchie a punta si materializzò al suo fianco.

«Padre! Come avete fatto a trovarci?»

Stenphield la guardò negli occhi viola come i suoi e le sorrise.

«Vi abbiamo cercato a lungo, nessuno ha creduto alla storia del riposo prima del parto. Tutti gli Elyse si sono mossi, ed Etios è riuscito a scovarvi interrogando a modo suo alcuni soldati. Sono venuto per darvi una mano».

«Dovete liberarla, non può più stare qui». Christopher si alzò e raggiunse le sbarre della cella a fatica, per poi ricadere a terra privo di ogni energia. Aveva saputo solo nell'ultimo periodo del padre di Isidora e della sua particolare caratteristica.

«E tu devi mangiare». L'elfo estrasse da sotto il mantello del pane e del formaggio che diede a entrambi e poi tornò a fissare la figlia, mentre il soldato mangiava con voracità.

«Ti vorrei portare via, tesoro, ma non posso; non ora, almeno».

Isidora annuì sapendo che suo padre non lasciava mai nulla al caso.

«Come sta Ingrid? L'hanno scoperta?» gli chiese, e Stenphield scosse la testa.

«Alec non sospetta nulla sui ribelli, ma ha capito che Ingrid copriva la vostra relazione e l'ha costretta ad abbandonare Arkara. Il giorno dopo la vostra scomparsa, è stata obbligata a cercarle una nuova famiglia: l'ha affidata a una donna senza figli che lavora nel feudo del re, Angelin, e finora è andata spesso a trovarla. Sembra sia una famiglia per bene, ma presto smetterà di tenersi in contatto con loro: pensa che sia la cosa più giusta da fare per la bambina».

Isidora cominciò a piangere silenziosamente, piena di sensi di colpa per la sorte della sua più cara amica, e si strinse al padre.

«E gli Elyse come si stanno muovendo?».

L'elfo si voltò verso Christopher, seduto a gambe incrociate tra il pagliericcio di quella lurida cella.

«È difficile. Minerva e il suo esercito hanno già attaccato due volte le Terre al confine e hanno perso; tuttavia, non accettano un'alleanza con noi. Come se non bastasse, abbiamo perso il vantaggio nel sapere in anticipo le mosse del re, e adesso c'è persino Teodor che attacca villaggi dicendo di salvarli da Minerva. Il regno è nel caos e Alec ne sta uscendo più forte». Il soldato abbassò lo sguardo e tornò a mangiare avidamente, in silenzio.

Dopo quel primo incontro, Stenphield apparì tutti i giorni nella cella della figlia. Christopher non gli chiese mai come riuscisse a farlo: aveva sentito delle storie sugli elfi e sulle cose che erano in grado di fare, e provava una certa riverenza nei suoi confronti nonostante i suoi strani modi. Malgrado le cure che giornalmente il padre apportava alla regina, però, le sue condizioni peggioravano ogni ora che passava e il soldato cominciò a chiedersi se quell'elfo avesse realmente intenzione di liberarli. Come in risposta ai suoi pensieri, Stenphield apparve al fianco della figlia, con uno strano sorriso stampato in viso.

«Adesso è tutto pronto: farà male. Ti fidi di me?» disse senza preamboli. I capelli dal colore della notte gli ricaddero sull'esile corpo dalla straordinaria forza, coprendo anche parte del ventre della figlia, distesa su un fianco con lo sguardo rivolto fuori dalle sbarre, verso Christopher. Isidora guardò il padre negli occhi e annuì sicura, e così, prima che potesse avere qualunque ripensamento, l'elfo la fece stendere sulla schiena e le poggiò le mani sul ventre.

La regina cominciò a urlare di dolore immediatamente mentre Christopher si costrinse a guardare, immobile e impotente. Le grida non accennavano a calmarsi, e la regina appariva completamente stravolta dal dolore. Gli occhi spalancati verso il vuoto, i capelli incollati al corpo sudato, le mani spasmodicamente chiuse attorno alle braccia del padre o, alternativamente, alla ricerca sul pavimento di un appiglio che non c'era.

«Smettetela! Così la state uccidendo!»

L'elfo non sentì le proteste di Christopher, concentrato in ciò che stava facendo. Quello non era il suo campo e si era dovuto allenare parecchio prima di sentirsi pronto e farla partorire: non era ancora arrivato il momento giusto, e ciò rendeva tutto ancora più difficile, ma Alec non era a Palazzo quel giorno ed era l'ultima occasione che gli era rimasta. La magia curativa era terribilmente difficile, ma doveva resistere per salvare sua figlia e il bambino che stava per nascere.

«Stenphield, maledizione, sta morendo!»

Le urla della regina cessarono di colpo, e l'eco di quelle di Christopher venne presto sopraffatta dal leggero pianto di un bambino. Il suo bambino.

Aguzzò la vista per riuscire a scorgere meglio, nella penombra della cella, il viso del neonato che la sua amata stringeva adesso tra le braccia con il volto così sereno, in assoluto contrasto al dolore che aveva provato fino a un attimo prima.

«È una femmina» disse la regina.

In quel momento sparì ogni altra emozione: c'era solo sua figlia adesso, solo Elisea.

Stenphield, stanco e sudato, rimase un attimo a osservare affannato gli sguardi tra Christopher e Isidora che erano innamorati, preoccupati, felici, addolorati, speranzosi e affranti. Non poté che stupirsi, ancora una volta e nonostante tutto quel tempo, dell'incredibile varietà di emozioni che può assumere l'animo umano, al modo in cui esse riescano a comandare le scelte degli uomini al di là di ogni situazione, e di come loro si lascino guidare ciecamente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top