Capitolo 20: Il campanellino

21 anni prima la Grande Guerra

Isidora era nervosa. Si girava e rigirava nel letto senza saper prendere una decisione. Cercò di scorgere nel buio della notte la figura di Alec accanto a lei e tese l'orecchio per capire se stesse dormendo. Il respiro pesante le diede il coraggio che le mancava, così si alzò piano e uscì dalla stanza senza fare rumore. Aveva imparato a memoria la strada che avrebbe dovuto percorrere, ed era capace ormai di orientarsi anche al buio, senza che la luce della luna piena rischiasse di proiettare la sua ombra e svelare la sua presenza.

Contò i passi del secondo piano nella torre ovest, poi a un certo punto si fermò e cercò a tentoni la maniglia della porta, aprendola delicatamente. Una rapida occhiata per capire se qualcuno l'avesse vista o sentita e poi scivolò dentro la stanza. Arrivò ai piedi di quel letto che conosceva bene, scostò leggermente le coperte e vi entrò.

Christopher si svegliò immediatamente non appena sentì il materasso di lana muoversi e si alzò velocemente pronto a scattare.

«Sono io» bisbigliò la regina immersa nell'oscurità della stanza. Lui trasalì, ancora intorpidito dal sonno.

«Che ci fai qui?! Oggi non ti aspettavo».

Lei cercò a tentoni il suo volto nel buio e lo baciò delicatamente sulle labbra.

«Devo dirti una cosa importante» iniziò un po' incerta, la voce vibrante di apprensione. L'uomo le strinse le mani come segno per continuare, e lei trasse un profondo respiro.

«È da un po' che ci penso, ma credo che avremo un bambino» concluse poi con una voce tra l'entusiasmo e la preoccupazione. Christopher rimase immobile.

«Noi due? Noi due avremo un bambino?»

La regina sapeva dove volesse andare a parare, e lo capiva, tuttavia non poté fare a meno di velarsi di tristezza.

«Sì, Christopher, noi due avremo un figlio» confermò, convincendosi che sarebbe andato tutto bene.

Da tempo lei e Alec erano quasi come degli estranei: lui si era allontanato man mano che passava il tempo, e lei non aveva fatto nulla per ricucire il rapporto. In fondo il loro era sempre e solo stato un matrimonio di convenienza per impedire che i Territori del Nord attaccassero quelli del Sud, e a entrambi era sempre andato bene così. Alec non cercava l'amore, non gli interessava, e alla regina non importava affatto riuscire a farsi amare da un uomo come lui: era un matrimonio combinato, e sapeva che non poteva aspettarsi nulla di diverso.

Tutto, però, era cambiato da quando aveva incontrato Christopher: dalla prima volta in cui i loro occhi si erano guardati davvero lei aveva sentito prorompente il bisogno di amare, di vivere.

Le mani delicate di Christopher le sfiorarono la culla della nuova vita che stava da poco lottando per venire al mondo, e poggiò le labbra sulla fronte di Isidora in un continuo e muto bacio. Entrambi avrebbero voluto che quel momento non finisse mai, poiché sapevano che dopo quell'attimo di illusione tutto sarebbe ritornato alla realtà: la regina era in un letto con un uomo che non era suo marito, aveva tradito il re nel senso più ampio della parola e portava in grembo il frutto di una relazione illecita.

Christopher la strinse forte e la baciò sulla punta del piccolo naso dritto.

«Adesso è meglio che tu vada via» le disse piano con quanta più dolcezza potesse. Lei si lasciò baciare sulle labbra, abbandonandosi alla morbidezza e alla delicatezza di quelle mani che sapevano anche essere meravigliosamente rudi, poi si alzò e la magia del momento terminò all'istante.

Uscì dal ruolo di tenera amante e si diresse verso le stanze del re suo marito, con tutto il coraggio che le serviva per fare ciò che era necessario affinché Alec si convincesse che il figlio che portava in grembo appartenesse a lui.

Christopher rimase sveglio tutta la notte: non si aspettava una notizia del genere. Sarebbe diventato padre e avrebbe fatto di tutto per proteggere il frutto dell'amore che lo legava a Isidora, ma cominciava a temere per la vita di quel bambino. Stava cominciando ad albeggiare quando ebbe un'idea.

Non fu difficile trovare Etios in città quel giorno, sapeva che sarebbe dovuto partire l'indomani e decise che prima di allora avrebbe risolto ogni cosa.

Il ribelle aveva aperto una bottega nella seconda strada est della Capitale: vendeva ceramiche ed era una buona copertura per l'assidua frequenza di Ingrid.

«Non ti aspettavo. – cominciò l'uomo dagli occhi scuri – Novità dagli altri?». Era seduto dietro una minuscola scrivania che aveva incastrato in un piccolo studio dietro il bancone, e aveva le gambe una sull'altra poggiate su quell'instabile ammasso di legno, mentre con il taglio di un pugnale cercava di radersi la barba da sotto il mento. Christopher si avvicinò serio, cercando malamente di dissimulare l'ansia.

«Non sono qui per loro».

Il commerciante divenne serio, tirò giù i piedi dagli assi di legno marcio su cui aveva accatastato scatole e torri di carta straccia, si appoggiò con i gomiti al bancone e gli fece cenno di continuare.

«So di tuo fratello».

Etios impallidì.

«Avevo detto ad Ares di non dire nulla!»

«Lui non c'entra, diciamo che lo so e basta».

«La Regina...» convenne il ribelle, intuendo all'istante.

«A Isidora non si poteva nascondere una cosa del genere, e lei non nasconde nulla a me». Christopher cercò di sorridere spavaldo, ma Etios percepì soltanto una smorfia strana.

«Che cosa vuoi da Danker?». Sapeva che Christopher era affidabile, lo conosceva da anni ormai, ma non poteva rischiare su quell'argomento. Il soldato, dal canto suo, non aveva ancora deciso se fidarsi di lui e ci sarebbe andato molto cautamente.

«La Regina ha bisogno delle sue doti».

«E perché non ha chiesto direttamente lei i suoi servigi?». Etios non si sarebbe accontentato di una risposta vaga: sapeva bene che Danker non avrebbe accettato senza sapere da lui come stavano realmente le cose.

«Lei... non sa che sono qui».

«Basta giri di parole, Christopher, di me ti puoi fidare».

La guardia reale espirò e gli si avvicinò con il cuore che sembrava volergli uscire dal petto, le mani sudate per la tensione e per l'aria stantia che si respirava in quel minuscolo antro.

«Deve nascondere la sua gravidanza, così che nessuno lo scopra almeno fino al momento del parto».

Etios cercò di nascondere lo stupore e si sforzò per non muovere nessun muscolo del volto.

«L'aiuto di Danker è fondamentale. - continuò - Sai cosa accadrebbe se il re lo scoprisse».

Il ribelle ne sostenne lo sguardo mentre nella mente si susseguivano troppi pensieri e troppo in fretta.

«Parlerò con mio fratello, ma non ti assicuro che riuscirò a convincerlo».

Christopher si rilassò impercettibilmente e annuì, poi si girò e uscì da quella bottega calando il cappuccino sul volto. Ora avrebbe solo dovuto aspettare.

Etios rimase fermo un istante ad ascoltare il tintinnio del campanellino posto sopra la porta, e aspettò che la schiena di Christopher fosse abbastanza lontana prima di cominciare a pensare al da farsi.

La luna spuntò troppo in fretta quella notte, o almeno così parve a Etios. Suo fratello si presentò presto alla sua porta: era più piccolo di lui di un paio di anni, aveva da poco superato l'età per essere considerato un ragazzo, eppure anche nei suoi occhi si leggeva un'esperienza troppo grande per considerarlo ancora tale. Danker capì subito che qualcosa non andava.

«Cosa devi dirmi?» disse entrando nella bottega ormai chiusa al pubblico, lasciando che il campanellino risuonasse nel silenzio della notte. Era lì che viveva il ribelle quando non era in giro chissà dove. Aveva categoricamente declinato più volte l'invito di andare a vivere insieme a lui e alla sua giovane moglie Marianne, rifiutandosi addirittura di farsi vedere in casa loro per evitare che la sua attività da ribelle potesse in qualche modo essere ricollegata al fratello.

Etios aveva sperato di non arrivare immediatamente al punto, ma avrebbe dovuto immaginare che non sarebbe stato possibile.

«Oggi Christopher è venuto a parlarmi».

Silenzio.

«E mi ha chiesto di te».

Danker si chiuse piano l'uscio dietro le spalle.

«Pensavo di potermi fidare di Ares».

«E puoi fidarti di lui, non è questo il punto della questione».

I due fratelli si diressero nella piccola stanza dietro il bancone, da cui Etios aveva ricavato la bozza di uno studio e in cui venivano ammassate le ceramiche in arrivo. Le pareti erano ricoperte da libri e casse di merce, l'unica finestra posta in alto davanti l'entrata era chiusa e faceva passare solo la luce della luna; una scrivania si ergeva malferma al centro della stanza, prendendone quasi per intero la larghezza. Presero posto nelle uniche due sedie disponibili e si sedettero uno di fronte all'altro.

«Vuole che tu lo aiuti».

«Io non aiuterò nessuno, Etios. Non aiuto più nessuno».

«Lo avrei cacciato via se non fosse stato importante».

A malincuore Danker si convinse ad ascoltare il fratello, imponendosi la calma e cercando di non giungere a conclusioni affrettate.

«La Regina è gravida, e Alec non è il padre».

«Non rischierò la vita per nascondere un tradimento!» sussurrò con rabbia. Un moto di collera gli salì dallo stomaco, prorompendo in un rossore diffuso per tutto il viso.

«Non si tratta solo di questo. Se Alec scoprisse di essere stato tradito nessuno può dire come reagirebbe, e non possiamo rischiare di perdere Christopher, né tanto meno la regina! Tu, con il tuo... dono, potresti salvare la vita di molte persone».

«È per colpa di questo dono che i nostri genitori sono morti! Non voglio rischiare: il re sa chi sono e sospetterebbe immediatamente di me se qualcosa dovesse andare storto. Io ho una famiglia adesso, Etios. Ho un bambino che tu non hai mai visto e una moglie che mi chiede perché debba vedere mio fratello in segreto. Loro non sanno quello che comporta essere come me, e non voglio che lo scoprano nel modo più brutto».

«Non devi vergognarti di quello che sei, dannazione! C'è chi ucciderebbe per avere i tuoi poteri!»

Etios aveva provato per anni nella vana speranza che anche i suoi poteri si manifestassero, ma non era accaduto nulla nonostante le situazioni estreme in cui si cacciava volutamente. Poi aveva capito che sarebbe stato inutile rischiare costantemente la morte per cercare di essere qualcosa che non era destinato a essere, e così alla fine si era arreso e si era accettato per quello che era: un semplice essere umano.

«E allora uccidimi, perché io non li voglio!» urlò. Etios capì che aveva iniziato nel modo sbagliato, così si impose la calma e cercò di far ragionare suo fratello che, nel frattempo, si era messo in piedi torreggiando minaccioso su di lui.

«Tu hai un potere immenso, Danker. Hai poteri che i sacerdoti cercano disperatamente, hai poteri che ti permetterebbero di fare qualunque cosa. Tu sei uno stregone, hai la magia degli elfi. Sei uno dei rari uomini prescelti, uno dei pochi che non è in mano ai sacerdoti di Alec. Tu puoi fare grandi cose».

Danker rimase immobile e abbassò lo sguardo.

Nella sua mente si accalcarono i ricordi della loro vita a Corem, nei vecchi territori del Sud: la scoperta dei suoi poteri, la paura dei genitori che, agli occhi di un bambino, spesso si tramutava in disprezzo; il divieto di rivelare agli altri le sue doti, e le punizioni quando anche in casa trasgrediva quella regola. Poi il villaggio aveva scoperto la sua natura e aveva iniziato a isolare la sua famiglia: nessuno voleva più stare con lui, ed Etios non poteva esserci sempre per proteggerlo dagli altri, così aveva cominciato a odiare sé stesso e quello che era. Con il passare del tempo, però, la gente aveva iniziato ad abituarsi a lui e ad accettarlo, talvolta gli chiedeva persino aiuto e lui era felice di offrirglielo, così si era illuso. Forse, aveva pensato, non c'era nulla in lui che fosse sbagliato.

Era già un ragazzo quando scoppiò un incendio che devastò tutto il lato est del villaggio: tutti si erano trovati d'accordo nel giudicare lui come il responsabile di quella disgrazia, e non vollero sentire ragioni. Nessuno si fece scrupoli a punire la sua famiglia per ciò che credevano avesse fatto lui. Purificarono con il fuoco coloro che avevano generato una disgrazia per il Regno, purificarono con il fuoco la casa che aveva accolto quella disgrazia, e purificarono con il fuoco tutto ciò che era legato a essa. Erano stati dei mostri.

Etios lo aveva convinto ad abbandonare il villaggio immediatamente, lo aveva trascinato via prima che potesse vedere i corpi inceneriti dei genitori che non era riuscito a trascinare fuori dalla casa in fiamme. Erano solo dei ragazzini. Vissero nei boschi per lunghi anni: non voleva vedere nessuno, vivendo con il terrore che qualcun altro potesse sapere di lui, crogiolandosi nel senso di colpa alternato alla rabbia impotente verso quei poteri che avevano distrutto la sua famiglia e che non riusciva a estirpare dal suo corpo, nemmeno ferendosi a morte. Suo fratello lo aveva salvato più di una volta, e lui si era infine ripromesso che non avrebbe più usato quei poteri, mai più.

Poi era scoppiata la guerra tra i Territori del Nord e del Sud, e Danker si era ritrovato coinvolto in un conflitto che non sentiva suo. Un soldato gli aveva salvato la vita durante un'imboscata, e qualche tempo dopo lo aveva ritrovato morente sulla riva del fiume Radu nei Territori del Sud. Etios era andato nei boschi e lui non voleva lasciar morire quel ragazzo, così aveva deciso di utilizzare la sua magia per curarlo. Qualche tempo dopo, quel soldato divenne il Sommo Sovrano della Terra Centrale permettendo l'unione dei Territori del Nord, appartenenti a suo padre, con i Territori del Sud, appartenenti alla madre di Isidora, ponendo fine a una guerra durata tre anni.

Alec sapeva dove viveva, e si era spaventato quando aveva visto una guardia reale avvicinarsi al rifugio che condivideva con Etios. Il re, però, gli propose di entrare nella nuova Olok come fabbro: nessuno avrebbe mai saputo nulla della sua vera natura e avrebbe vissuto una vita normale. Gli stava offrendo una seconda opportunità e aveva deciso di accettarla, così insieme a suo fratello si era trasferito nella Capitale. Lì aveva conosciuto Marianne e nello stesso luogo, qualche anno dopo, Etios entrò in contatto con il gruppo di Resistenza.

Suo fratello lottava contro l'uomo che gli aveva dato una seconda possibilità, che gli aveva permesso di conoscere Marianne e la gioia di avere un figlio.

Alec era diventato un uomo completamente diverso da allora, e proprio per questo non poteva rischiare di compromettere la sua famiglia.

No, non lo avrebbe aiutato. Aveva faticato troppo per ottenere quello che aveva per perderlo così.

«Non voglio essere coinvolto in questa storia» decise infine il fabbro, con gli occhi scuri improvvisamente cerchiati da rughe di sofferenza.

«Così stai condannando molte persone» tentò il ribelle, mentre Danker si dirigeva già verso l'uscio della piccola stanza.

«Se uscirai da quella porta, potrai dimenticare di avere un fratello». Etios non pensava davvero le parole che aveva appena pronunciato, era stato spinto dall'ira di sentirsi rifiutato, ma l'orgoglio gli impedì di rimangiarsele.

Danker si fermò un istante e poi continuò a camminare, lasciando senza fermarsi la bottega di ceramiche. Quando Etios sentì il tintinnio del campanellino, seppe di averlo perso.

I mesi passarono e la pancia di Isidora si vedeva ormai chiaramente da sotto i vestiti, ma la regina aveva fatto bene i calcoli e Alec non sospettava nulla. Il re, anzi, si era mostrato diverso negli ultimi mesi, più calmo, più attento ai suoi bisogni: diceva che voleva assicurarsi che il nuovo principe di Olok avesse tutto ciò di cui avesse bisogno sia prima che dopo la nascita. Era però difficile per lei credere che un uomo potesse cambiare così tanto e così in fretta.

«Corri, Ingrid sta per partorire! Il guaritore è già lì!». La regina non aspettò oltre sulla soglia delle stanze del suo amante e tornò indietro, così quando Christopher aprì gli occhi era ancora indeciso se ciò che aveva sentito fosse la realtà o solo un sogno. Si rivestì in fretta e quando entrò nelle stanze della dama di compagnia, lei stringeva già tra le braccia una bambina.

«Si chiama Arkara. Yler aveva sempre voluto una figlia con questo nome».

Il viso ovale della neonata, stropicciato dalla fatica del parto, si rilassò all'istante al tocco delicato della madre, emettendo piccoli vagiti di benessere.

Nonostante la gioia del momento, il viso della donna non poté fare altro che velarsi di tristezza, ma sapeva che avrebbe dovuto essere forte per la sua bambina e farle anche da padre.

Christopher, vedendo che nella stanza c'erano solo persone fidate, si tolse l'elmo nero e prese in braccio quella piccola indifesa che non aveva ancora la forza di aprire gli occhi, e le sorrise teneramente. La riconsegnò alla madre, quasi impaurito di far del male a quel minuscolo corpicino fragile, e si sedette nel letto di fianco a lei.

«Io sarò un padre anche per Arkara, se me lo permetterai. Faremo in modo che Yler sia fiero di lei».

Ingrid si asciugò le lacrime e gli sorrise di rimando, poi la regina l'abbracciò come una sorella e uscì da lì insieme al suo amante.

Mentre camminavano per i corridoi del piano, Isidora si voltò indietro indirizzando uno sguardo di traverso all'uomo che camminava professionalmente dietro di lei con l'elmo nero calato sul volto.

«Se sarà un maschio vorrei lo chiamassimo Whyle, come tuo padre» gli disse con una luce maliziosa negli occhi viola. Christopher girò la testa allarmato da una parte all'altra del corridoio per assicurarsi che nessuno l'avesse sentita. Notò che non c'erano domestici né servitori in quel momento e la trascinò per un braccio dietro la pesante tenda di una delle finestre nel corridoio del primo piano del castello. Sollevò la visiera che gli precludeva persino di avvertire il profumo della sua pelle, e la baciò sulle labbra cingendola per la vita.

«Vi consiglio di stare attenta, Vostra Maestà, o qualcuno potrebbe fraintendere le vostre parole e attentare alla vostra vita» le disse poi giocoso. La regina gli diede un buffetto sull'armatura all'altezza del petto, provocando un leggero tonfo metallico.

«E se qualcuno dovesse mai farlo, ci sarete voi a difendermi». Passò un dito sulle labbra di lui, l'unica parte che in quel momento l'elmo le permetteva di vedere chiaramente, poi uscì furtiva dal nascondiglio e si recò nelle proprie stanze tenendosi a debita distanza dalla sua guardia personale.

Al sicuro tra quelle mura, nascosta al mondo esterno dalle raffinate tende color porpora, la regina si concesse il privilegio di piangere.

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