Capitolo 19: Addio capitano
Yler e Christopher si incontrarono davanti le scuderie prima di partire, come d'abitudine. Stare in compagnia dell'altro gli dava un'illusione di normalità, e nei momenti che precedevano una battaglia quell'illusione bastava a entrambi.
«Pronto, mio capitano?»
Yler rise alla frase che Christopher usò per accoglierlo: tra loro non era mai significato nulla quella differenza di grado. Finì di sellare il proprio cavallo e indossò l'elmo nero. Era pronto.
Vennero raggiunti da Ares e Nahil per sellare i propri destrieri, e i quattro cavalieri del settimo battaglione si diressero verso il resto degli uomini di cui Yler era a capo.
Si erano conosciuti all'inizio dell'addestramento militare nella neonata Olok: a quei tempi erano quattro semplici ragazzini che pensavano di essere invincibili e negli anni la loro amicizia aveva resistito a molte tempeste, supportandosi sempre a vicenda. Erano ancora giovani, ma sul campo di battaglia si erano guadagnati il rispetto di tutto l'Esercito Nero; dopo la nomina di Yler a capitano, poi, nessuno aveva mai osato intralciarli.
Ares, Nahil e Christopher erano tagliati per il loro ruolo grazie alla corporatura massiccia e la straordinaria quanto naturale forza fisica, mentre per Yler era stato più difficile arrivare in quella posizione: era troppo magro per fare il soldato e non godeva di grande robustezza, tuttavia era astuto e agile e questo aveva salvato molte volte la sua vita e quella di chi gli stava intorno. Così, nonostante le innumerevoli porte che si era visto chiudere davanti, il suo valore in battaglia lo aveva reso noto tra i soldati, che decisero di eleggerlo capitano dopo la morte del predecessore. Aveva vinto uno scontro dichiarato perso, aveva riorganizzato la difesa e sfruttato un attacco a sorpresa vincendo nettamente: neppure il re era stato in grado di opporsi alla decisione dell'esercito, sebbene ai tempi Yler fosse solo un soldato tra i tanti.
Il capitano era quindi stato invitato a vivere al castello, come era d'uso per tutti coloro che ricoprivano un certo rango, ed era stato allora che aveva scoperto le intenzioni del Sommo Re. Le carte a cui aveva accesso e le riunioni a cui prendeva parte gli permisero di comprendere che Alec era molto più interessato a indebolire le Terre di Holtre che a contrastare l'avanzata delle Terre Escluse, il nuovo nome per la Terra della Bilancia che l'anno prima era stata espulsa dal Regno. Il re stava puntando a una politica assolutista e aveva l'obiettivo di conquistare e governare tutte le altre Terre per porsi a capo di tutto. Ebbe la piena consapevolezza che si sarebbe presto scatenata una vera lotta di potere e che lui l'avrebbe combattuta dalla parte sbagliata, ma non voleva rimanere in disparte mentre il sovrano distruggeva tutti i valori in cui credeva. Non poteva permetterlo.
Aveva deciso di fidarsi del suo istinto e ne aveva parlato con la Regina Isidora. Non sapeva esattamente cosa l'avesse spinto a quella che poteva essere a tutti gli effetti una mossa suicida, ma lui era cresciuto nei Territori del Sud e aveva conosciuto la bontà dell'allora principessa Isidora e di sua madre, ed era convinto che quella fosse la scelta giusta.
La regina conosceva già da tempo le mire del marito, glielo aveva confessato senza alcun timore, ma non poteva agire o avrebbe compromesso la sua posizione: era gravida e la sua priorità era proteggere il nascituro. Yler aveva capito.
Quella discussione, tuttavia, aveva smosso la coscienza della sovrana e qualche giorno dopo era stato raggiunto dalla sua giovane dama di compagnia, Ingrid, che gli aveva comunicato da parte della sua signora la volontà di collaborare. Avevano deciso così di formare un gruppo di resistenza che avrebbe sabotato gli attacchi del re, che avrebbe preparato i villaggi in pericolo a difendersi e che avrebbe cercato di destituire Alec.
Yler ne aveva immediatamente parlato ai suoi amici più fidati senza nemmeno bisogno di pensarci: erano uomini con una forte morale e avrebbero sicuramente capito le sue intenzioni. Christopher, Ares e Nahil, infatti, avevano subito accettato.
Nascevano così gli Elyse.
L'incontro con la dama di compagnia cambiò molte cose nella vita del capitano. Ingrid si era dimostrata sveglia, attenta e capace. Completamente distanti da un punto di vista estetico, lui era rimasto folgorato dai corti capelli scuri della donna che gli arrivava a malapena alle spalle, dai fianchi larghi e accoglienti, nonché dalle fossette che le si formavano ai lati della bocca piccola e generosa, da cui si intravedevano i due incisivi leggermente separati tra loro: un difetto che lei odiava e che invece lui aveva imparato ad amare sin da subito. I loro pensieri si erano sempre trovati in sintonia, e insieme avevano concepito l'idea della ribellione; presto la donna divenne sua sposa e dalla loro unione nacque un bambino: Kimav.
Qualche tempo dopo, a seguito di una battaglia particolarmente complessa, Yler aveva chiesto subito udienza al re. Quella volta per lui era stato difficile giostrarsi tra il ruolo di capitano e quello di ribelle, e aveva dovuto pensare in fretta a una soluzione prima di essere compromesso e perdere tutto il lavoro svolto fino a quel momento.
Aveva proposto al re di essere inserito tra i Soldati Speciali, e Alec aveva accettato immediatamente la richiesta di uno dei suoi migliori militari: erano uomini inviati per lo più in missioni individuali di spionaggio nella terra nemica oltre che impegnati nei normali compiti nell'esercito, e avere Yler tra loro era per il Sommo Sovrano motivo di sicurezza. Quei soldati portavano costantemente un elmo nero in modo da celare sempre il volto, neppure il re poteva vederlo quando venivano convocati; in questo modo le missioni di assoluta segretezza venivano tutelate nel miglior modo possibile. Yler aveva trovato in quella mansione, l'unica via per assicurarsi una copertura stabile.
Aveva abbandonato la carica di capitano del settimo battaglione, e si era fatto nominare dal Sommo Re per lo stesso ruolo in qualità di Soldato Speciale, così da poter ricominciare da capo la nuova missione accompagnato sempre dai suoi più fedeli amici, nel completo anonimato.
Gli Elyse erano presto diventanti l'unica speranza di molti villaggi e un grande fastidio per il re. Yler ne era fiero. Nonostante questo, però, era dura continuare giorno dopo giorno: le difficoltà sembravano aumentare, e a ogni piccolo trionfo si succedevano numerose sconfitte. Il fatto che Alec fosse ancora al suo posto ne era la prova.
«Ci sono state diverse rivolte durante la nostra assenza, e pare che i cittadini abbiano cercato di attaccare più volte il palazzo» disse Nahil mentre con gli altri si dirigeva verso il resto del battaglione.
«Il popolo non dimentica. L'unione dei Territori del Sud e del Nord non è stata una grande mossa: Alec sa di aver costruito la Terra Centrale sul sangue». Si incupirono tutti alle parole di Ares. Anche se ai tempi erano poco più che bambini, ognuno di loro ricordava bene quel periodo.
«Questa volta, però, sembrerebbe proprio che il re sia stato colto alla sprovvista. Ha mandato gli allievi dell'Accademia a combattere, dato che noi eravamo impegnati al confine, e nonostante la vittoria ha comunque deciso di stabilire in pianta fissa un servizio di scorta per il principino Fabian e la Regina. Io mi proporrò come guardia per Isidora, così controllerò meglio le dinamiche di corte e potrò stare accanto a mia moglie e al piccolo Kimav. Tra poco potrà entrare all'Accademia e sono sicuro che diventerà un ottimo soldato».
La risata limpida di Christopher contrastò il grigiore della mattina; poggiò una mano sulla spalla del suo migliore amico e rivide le immagini del piccolo Kimav, magro e rosso come il padre, che a soli quattro anni aveva preso in mano la sua prima spada corta, con la quale aveva goffamente rischiato di ferirsi la gamba.
«Quel bambino ti somiglia tantissimo».
«Come farai a farti accettare come scorta? Sei il capitano di un battaglione e una spia». Nahil fece tornare tutti sul discorso principale, e quella breve parentesi ilare sembrò svanire nel nulla.
«Il re si fida di me, sono il suo uomo migliore. Non si opporrà alla mia decisione». Era un azzardo, lo sapeva, ma era arrivato il momento per gli Elyse di fare sul serio e di rischiare tutto. Ares fece fermare lo stallone sul quale avanzava, e gli altri lo seguirono a ruota.
«Mi chiedo ancora perché non ti decidi a ucciderlo».
Christopher si trattenne dal roteare i grandi occhi verdi. Avevano affrontato quello stesso discorso decine di volte, ma Ares era sempre stato troppo impulsivo per comprendere le strategie del loro amico, che miravano invece a soluzioni a lungo termine.
«Non posso, lo sai. – rispose il Soldato Speciale – Se lo uccidessi si scatenerebbe una guerra per la successione, il principe non ha l'età per regnare e non lascerebbero Isidora a fare da reggente: la costringerebbero a sposare qualcuno. È raro che in questi casi vinca un uomo giusto. Almeno, con lui sappiamo come muoverci e chi contattare. Non possiamo rischiare».
«Ma se lo uccidessi, noi...»
«Basta, Ares. – lo interruppe Christopher – Ne abbiamo già parlato. È Yler lo stratega, e se lui dice di non ucciderlo, noi non lo uccideremo».
Il ragazzo dalla folta barba scura annuì riprendendo la marcia. La sua espressione lasciava ben intendere che non fosse d'accordo e che difficilmente lo sarebbe stato, ma rimase in silenzio e raggiunse il battaglione.
Li aspettava un viaggio di quasi venti giorni fino a Turok, una cittadina nella Terra del Leone al di là dei Monti Nevos e al ridosso delle Terre Escluse.
Era bravo Alec a scegliere le mete da attaccare.
Ingrid aveva già inviato la Resistenza non appena saputo dell'attacco, così da avvisare i civili in tempo e concedergli qualche giorno per prepararsi contro le Armate Nere. Quando gli Elyse arrivavano in un villaggio, infatti, facevano scappare molte persone, ma alcuni preferivano rimanere e lottare anziché abbandonare la propria casa.
La battaglia ebbe inizio e come al solito Christopher, Nahil e Ares cercavano di mantenersi distanti dalle prime file. Avevano col tempo trovato delle strategie che gli avevano permesso di ridurre al minimo gli scontri individuali, ma gli abitanti non sapevano chi fosse dalla loro parte, e spesso i soldati ribelli erano costretti a difendersi.
Yler, invece, doveva agire in modo ben diverso: era il capitano, e i suoi uomini dovevano vederlo. Certe volte correva il rischio di togliere l'elmo e raggiungere gli altri ribelli, ma era una mossa decisamente troppo azzardata e doveva presto tornare indietro.
Fu questo a ucciderlo durante quella battaglia.
Christopher era impegnato in un duello con un uomo armato di falce e tanta ferocia. Continuava a menare colpi nella sua direzione infondendogli tutta la forza che possedeva, ma non era un soldato e per il ragazzo allenato alla guerra da quando aveva sette anni era facile schivare tutti i suoi attacchi. Avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento come un qualsiasi soldato in un qualsiasi campo di battaglia, ma si limitava a sfruttare la velocità e la forza che anni di addestramento gli avevano conferito fino a quando non fu costretto a porre fine a quello scontro impari.
Quegli uomini non ce l'avrebbero mai fatta.
I soldati di Alec vinsero in poche ore.
«Non possiamo continuare così». Nahil aveva appena incontrato il fratello in mezzo a tanti morti, e camminavano uno di fianco all'altro stanchi e sporchi. Si passò il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore, mentre con gli occhi nocciola continuava a scrutare il terreno. Ares intuì immediatamente quello che intendeva.
«Dobbiamo prendere una decisione» disse scrollandosi dai capelli scuri un po' di terriccio.
Continuarono a incedere cercando feriti da salvare e soldati da piangere quando videro Christopher in ginocchio, e pensandolo ferito corsero verso di lui.
Ares fu il primo che se ne accorse. Si avvicinò lentamente con la paura di guardare e si inginocchiò accanto a lui mentre, nonostante gli sforzi, delle lacrime cominciavano a scendere gocciolando sull'armatura nera che era diventata la tomba del suo amico.
Yler era riverso sul terreno, l'elmo poco distante da lui e una ferita aperta che dal cranio gli scendeva orribilmente verso il collo. Toglierlo per venire in loro aiuto, quella volta gli era stato fatale.
Christopher gli spostò i lunghi capelli rossi dal viso inespressivo e con la mano tremante chiuse per sempre gli occhi verdi e spenti del suo migliore amico. Si chinò quel tanto che bastava per abbracciarlo un'ultima volta, poi si alzò e, senza nemmeno la forza di piangere, si voltò dall'altra parte. Ares lo fermò da un braccio e gli porse l'elmo nero che si era piegato a raccogliere.
«Qualcuno deve continuare la sua missione» disse poi cercando di sciogliere il nodo che aveva in gola.
«Perché? Perché io?». Christopher non voleva, non avrebbe accettato.
«Perché la sua... La nostra missione deve andare avanti, e tu sei la scelta migliore».
«E Nahil? Lui gli somiglia più di me».
Nahil era rimasto in disparte per tutto il tempo senza osare avvicinarsi al corpo e senza mai abbassare lo sguardo sulla ferita che lo deturpava. Era vero, aveva una corporatura magra rispetto alla sua, più simile a quella di Yler, ed era alto al punto giusto, ma non sarebbe bastato solo quello per ingannare gli altri.
«Io non lo conosco come te. Non sarei capace di agire come avrebbe fatto lui, e non ho il suo stesso stile di combattimento».
Il volto di Christopher, solitamente sorridente, si adombrò velandosi di sofferenza. Aveva perso tantissime persone da quando aveva iniziato a fare il soldato, era una possibilità con cui aveva sempre convissuto, ma sentiva di non poter sopportare la perdita di Yler. Non lui, non il suo migliore amico.
«Non posso combattere al suo posto, non voglio. Mi dimetterò da capitano. - disse poi in un sussurro, come se non volesse farlo sentire neppure a sé stesso - Lascerò la guida a te, Ares, e io rimarrò nella scorta personale della regina».
I due fratelli annuirono e lui li guardò senza ricambiare la fiducia nel suo stesso piano. Yler aveva sempre detto che il re si fidava di lui, ed era arrivato il momento in cui avrebbe dovuto scoprire fino a che punto potersi spingere.
Prese l'elmo che Ares gli porse e lo indossò, afferrò la spada del suo migliore amico e accanto al suo corpo immobile lasciò la propria, dirigendosi verso quello che era diventato il suo battaglione.
Con l'ingombrante armatura addosso nessuno avrebbe notato lo scambio di persona, né la diversa inflessione di voce, modulata e modificata dal pesante elmo che teneva fermo sulla testa. Il viaggio fu lungo e silenzioso, lasciare tutti quei morti alle spalle era difficile e molti soldati cominciavano a perdere le speranze. A molti non bastavano più le spiegazioni del Sommo Sovrano, ed erano stanchi di combattere contro dei contadini: erano soldati, non carnefici. Erano uomini che non riuscivano più a sopportare il peso del dolore che si portavano dietro ogni volta che un amico non sopravviveva.
Quando giunsero a Olok, i raggi del sole lasciavano ormai un fievole calore sulle membra stanche dei soldati.
Christopher e il suo battaglione furono accolti come degli eroi: la gente si accalcava e cercava di avvicinarsi il più possibile per riuscire anche solo a sfiorare i soldati che salvavano le loro famiglie dai temibili Esclusi. Molta gente urlava la propria gioia, ma era un falso giubileo. Christopher, Ares e Nahil lo sapevano bene e non potevano fare a meno di camminare a testa bassa.
Un piccolo gruppo di donne e uomini si mescolarono tra la folla scrutando i redivivi con evidente preoccupazione, mentre cercavano tra i soldati un volto familiare, riempiendo l'aria di urla disperate quando non lo trovavano. L'angoscia di quella gente li travolse e spronarono i cavalli cercando di raggiungere più in fretta la loro meta.
Non appena giunto al Real Castello, Christopher cercò immediatamente Ingrid, la moglie del suo amico e madre del piccolo Kimav. La vide vicino le cucine e le andò incontro con passo incerto, l'elmo ancora saldamente calato sul viso. Lei gli si gettò al collo, incurante delle mani sporche di farina per aver aiutato delle domestiche nella preparazione del pranzo della regina, ma lui l'allontanò di colpo e la condusse verso stanze più sicure. Poi si tolse l'elmo.
Ingrid inorridì.
«Dov'è Yler?» gli chiese con il terrore della risposta, gli occhi già lucidi di lacrime. Christopher chinò la testa, la bocca improvvisamente asciutta che gli impediva di articolare qualsiasi parola.
«Lui non ce l'ha fatta» disse infine in un soffio, con gli occhi verdi ostinatamente fissi sul pavimento. Ingrid rimase immobile, spiazzata.
«Non può essere vero...». Portò le mani alla bocca cercando di non cedere alle lacrime, ma non riuscì a resistere molto.
«Non saprà mai che avrebbe avuto un secondo figlio» bisbigliò poi con le mani poggiate sulla vita che aveva cominciato a crescerle nel ventre.
«Non ho potuto fare niente. Mi dispiace, Ingrid, mi dispiace». Christopher la cinse completamente tra le braccia nel tentativo di liberarsi dall'angoscia che lo schiacciava al suolo, e cercò di stringerla con sufficiente energia per trasmetterle tutto il coraggio che non aveva la forza di dirle a parole.
«Ci sarò io ad aiutarti, da adesso» le disse guardandola per la prima volta, ma Ingrid si scostò un poco e gli sorrise amara.
«Sono sola».
Kimav entrò all'Accademia Militare come tutti i bambini di cinque anni, e Ingrid si sentiva sempre più sola con l'unica consolazione del ventre sempre più evidente da sotto le gonne. Non era più la stessa dalla morte di Yler: della donna forte e coraggiosa era rimasto ben poco ormai.
Christopher non aveva avuto problemi a farsi inserire nella scorta per la regina, il re si fidava davvero di lui. Yler non aveva sbagliato.
Erano passati quattro mesi da quando aveva preso il posto del suo migliore amico, e non si era ancora abituato a indossarne i panni, tuttavia in quel poco tempo gli Elyse erano cresciuti e sentiva spesso Alec parlare di loro, con una punta d'orgoglio in viso fortunatamente celata dall'elmo che indossava.
Aveva sin da subito raggiunto una buona intesa con la regina Isidora, e insieme si erano trovati d'accordo per spingere gli Elyse in azioni di offensiva, ideando nuove strategie d'attacco. Era arrivato il momento di osare e di uscire allo scoperto, e avevano quindi deciso di inviare qualcuno dei ribelli nei vari villaggi per fare propaganda alla luce del sole. Alec doveva capire che non avevano paura di lui.
Ingrid, nonostante la ferita che il dolore le aveva visibilmente lasciato addosso, continuò a svolgere un ottimo lavoro procurando armi e selle, mentre Nahil formava i giovani soldati dell'esercito reale, dopo che il fratello lo aveva fatto assegnare volutamente all'addestramento dei piccoli novizi, così da poter tenere sott'occhio Kimav.
Ares non poteva fare molto nella sua posizione così come Yler prima di lui, ma un nuovo arrivato, Etios, si occupava di formare e seguire le reclute ribelli fino alla battaglia. Il suo aiuto era stato determinante.
Etios, come loro, aveva superato da poco la giovane età. Era taciturno e solitario, aveva la pelle bruciata dal sole e un fisico adatto al combattimento, aveva girato la Terra di Holtre in lungo e in largo e non aveva una famiglia. Erano queste le sole cose che sapevano su di lui, eppure non avevano avuto dubbi ad ammetterlo agli Elyse. Era un tipo d'uomo dallo sguardo che non mentiva, di quelli che parlavano poco, ma che, in quelle rare occasioni, non mancavano di dire tutto ciò che gli passava per la testa. Scoprirono solo dopo che era bravissimo sia nel duello che nella lotta corpo a corpo, e senza fare domande gli avevano dato il compito di allenare e preservare il più possibile la vita di tutti coloro che decidevano di unirsi alla Resistenza. E lui aveva accettato.
Christopher bussò alla porta degli alloggi della regina e aprì senza aspettare una risposta.
«Ares sta rischiando troppo. Vuole unirsi al fronte con gli Elyse e la cosa che mi preoccupa di più è che sono d'accordo con lui, nonostante quello che può voler dire» disse passandosi le dita tra i capelli castani. Isidora lo imitò, in un gesto che faceva sempre quando era nervosa. Christopher pensò che fosse bellissima.
«Dopotutto non è necessario che Ares rimanga nell'esercito, - continuò lui in cerca di approvazione - c'è Nahil che può darci le informazioni». Prese posto accanto a lei su una sedia addossata al tavolo accostato a una parete. La regina scosse la testa.
«Sai meglio di me che le informazioni migliori arrivano dal campo e non dall'Accademia. E se lui diserta dovrà farlo anche Nahil: Ares è suo fratello, e se restasse verrebbe arrestato e torturato per avere delle informazioni».
«Non voglio perdere anche loro».
Lei lo guardò negli occhi e gli strinse le mani di cui aveva imparato ogni curva.
«Non li perderai, parlerò con Alec».
«Non voglio che parli con lui» ribatté in tono secco, ritraendo la mano.
«È mio marito» disse lei, come per ricordarlo a entrambi.
«Ma non è lui che ami!». Christopher si alzò incapace di rimanere fermo, e fissò gli occhi su qualunque cosa nella stanza che non fossero gli occhi viola della regina.
«E allora non temere nulla». Isidora lo raggiunse e gli cinse nuovamente le mani, alzandosi in punta di piedi per riuscire a lasciargli un leggero bacio sulle labbra.
Christopher la strinse e la baciò ancora e ancora. Con lei non temeva nulla.
La regina si divincolò giocosamente dalla sua presa così stretta e dalla barba ispida che le solleticava le guance e il collo, gli carezzò il profilo del volto e gli toccò il naso con la punta del suo, con un sorriso luminoso come non accadeva da tempo.
Christopher la lasciò andare malvolentieri e uscì dalle stanze prima che qualcuno notasse la sua assenza, tornando al posto di guardia.
Conoscere Isidora era stata la sua più grande fortuna. La loro relazione era cominciata dopo pochissimo tempo, quasi senza accorgersene, e sarebbero scappati via insieme se la loro presenza non fosse stata fondamentale per gli Elyse. I loro sentimenti erano esplosi all'improvviso, senza che nessuno dei due avesse mai realmente pensato all'altro fino a quel momento, e si erano baciati e si erano amati senza pudore, senza remore, prendendo dal corpo dell'altro tutto il calore che non avevano mai provato prima. Vivere ogni giorno con il tormento di averla accanto senza potersi rivelare e ogni notte con la paura di essere scoperti era tremendo, eppure avrebbe fatto di tutto per proteggerla, e avrebbe continuato a viverla segretamente finché i tempi non fossero diventati maturi.
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