Capitolo 18: Una regina orgogliosa
25 anni prima della Grande Guerra
Quello era il giorno del quinto plenilunio e si sarebbe tenuto il Concilio tra tutti i sovrani di Holtre.
Olok, la capitale della Terra Centrale, era stata costruita dopo l'unificazione dei Territori del Nord e del Sud, e il suo Real Castello era stato pensato apposta per questa nuova tradizione. Alec aveva voluto rendere Holtre una Terra unita anche politicamente e non solo da monti, laghi e fiumi, così ai Concili si parlava del bilancio e delle politiche da utilizzare, del commercio, delle condizioni delle città e del benessere dei cittadini.
Nessuno si era opposto alla proposta del Sommo Re.
La città era stata preparata a questo evento e la Strada Principale che portava al castello era stata addobbata a festa, pronta ad accogliere la sfilata d'eleganza dei cinque sovrani che la attraversavano.
I regnanti raggiunsero l'ingresso dell'imponente residenza reale e uno per volta scesero dai loro ricchissimi carri aiutati da elegantissimi paggi, e vennero cerimoniosamente accompagnati fino alle loro stanze nella torre est del palazzo reale dove avrebbero soggiornato per un'intera settimana.
Il Concilio avrebbe avuto la presenza di Teodor, un uomo robusto e scontroso, sovrano della Terra del Pesce; Marvin, un giovane re alle prime armi con un discusso senso della giustizia sovrano della Terra dello Scorpione; Khan, un uomo legato alle tradizioni a capo della Terra del Leone; Joanne, da poco diventato uomo e molto ben voluto tra il popolo, in rappresentanza della Terra del Toro; e infine Minerva, regina grazie al padre che anni prima aveva vinto nella battaglia contro la tirannia, sovrana di una terra che dopo la rivolta venne rinominata Terra della Bilancia.
Molte ore dopo l'alba, i sei sovrani di Holtre si recarono alla stanza adibita alle riunioni, in cima alla torre ovest del Real Castello e totalmente sovrastata da una meravigliosa piramide di vetro. La sera prima si era tenuta una festa in loro onore che era continuata fino a notte inoltrata tra cibo, balli, musica e giullari, per cui ci volle del tempo prima che tutti fossero al loro posto.
Alec quasi non aveva dormito quella notte: aveva una proposta importante per i regnanti, e fremeva dalla voglia di illustrarla. Era salito al trono della Terra Centrale da pochi anni, ma aveva già dato prova delle sue grandi abilità militari e persuasive. La sua prima vittoria, infatti, era stata convincere Isidora a sposarlo, permettendogli così di poter regnare incontrastato e costruire villaggi e città così come la sua mente li progettava. Era nel fiore della vita e gli si prospettavano davanti molti anni di regno: non poteva rovinare tutto in una sola mossa, per cui si impose la calma e finse il suo miglior sorriso.
Dopo i soliti convenevoli fu Teodor a parlare per primo, gli occhi blu severamente piantati sulla raffinata donna che gli sedeva davanti.
«Vorrei chiedere alla Regina Minerva di alzare il prezzo del suo pescato. Con i suoi costi così bassi, mi ruba tutti i compratori».
I presenti si voltarono stupiti a guardarlo: era una strategia decisa qualche mese prima per aiutare la Terra della Bilancia che arrancava economicamente. Minerva si sentì avvampare le guance; era una donna molto facile da irritare.
«Tutto ciò è ridicolo. Perché non abbassate il vostro, piuttosto!»
«Perché devo mantenere un certo salario per i miei pescatori».
«Forse, vorrete dire che dovete mantenere una certa quota per voi. Le vostre tassazioni sono altissime, Teodor. Non potete lamentarvi se i compratori preferiscono comprare da me, il pesce che da voi costa il doppio!». Il seno prosperoso della giovane donna, lasciato ampiamente scoperto dall'abito elegante, cominciò a chiazzarsi di rosso espandendo velocemente le macchie fino al collo e al viso, come se la rabbia fosse un morbo pronto a divorarla in fretta.
«Il mio popolo è ricco, Minerva. Sono stato capace di togliere ogni mendicante dalla strada, il vostro invece vive in miseria».
La regina stava per scatenare tutta la sua furia contro Teodor, ma Khan la fermò alzando un solo dito per indicarle di non continuare a parlare, poi si rivolse verso il sovrano della Terra del Pesce.
«Non è colpa sua. – disse con il suo solito tono rassicurante e autoritario al tempo stesso – Lei ha fatto il possibile per sfruttare al massimo la Terra in suo possesso. Avete già dimenticato l'era buia di Titch? È grazie a suo padre che l'oscura minaccia è stata scongiurata, e noi li aiutiamo a riprendersi inviando materie prime a una terra che non ne produce».
La donna lo guardò riconoscente inarcando leggermente le generose labbra all'insù, ma quella battaglia era ben lontana dal termine. Teodor sbottò in una risata grassa e sgraziata.
«L'era buia di Titch? L'oscura minaccia? Khan, voi vaneggiate! Titch era un folle, è vero, ma era il sovrano della terra di Minerva, e non gli interessava il resto di Holtre. Una manciata di contadini ridotti in miseria si è ribellata e ha vinto: non doveva essere una minaccia particolarmente grande, se un gruppo di poveracci è riuscito a insorgere e ucciderlo».
La regina non poteva credere a quelle parole: la crudeltà di Titch, la miseria del popolo, le persone morte di stenti, contadini e lavoratori mandati a morire in battaglie senza senso, il divieto di importazione. Tutto si riduceva a niente. Lei all'epoca era solo una bambina, ma ricordava perfettamente ogni singolo giorno passato senza cibo, la rabbia di suo padre e il desiderio di porre fine a quella tirannia. Ricordava il rancore del popolo convergere contro un solo uomo, e attaccare disperatamente il castello per giorni interi. La fame di libertà permise loro di resistere finché suo padre, finalmente, uccise Titch.
Teodor non poteva parlare in quel modo, non ne aveva il diritto. Lo guardò con un odio che non poteva essere espresso a parole, gli occhi scuri diventati due carboni ardenti rivolti verso quell'uomo detestabile.
«Non vi permetterò di ridicolizzare così mio padre». Si alzò come se fosse stata punta da mille spine, il volto infiammato dall'ira e le mani quasi tremanti, bramose di colpire in pieno viso quella pallida imitazione di un vero re. Quella volta, però, fu Joanne a fermarla, il sovrano della Terra del Toro.
«Sedetevi, vuole solo provocarvi».
Lei non aveva alcuna intenzione di calmarsi, e fu necessario che il giovane re si alzasse e la obbligasse a riprendere posto sull'elegante scranno dietro di lei, cingendola dalle spalle con tutta la delicatezza del caso.
«Non invierò la mia merce a una Terra che non mi importa aiutare» riprese il re che controllava il mare, quasi divertito dal colorito paonazzo che aveva assunto la regina.
«Mi sembra che paghiamo la vostra merce!» ringhiò lei a voce alta e battendo un pugno sul tavolo spoglio, tanto che persino le guardie fuori la massiccia porta riuscirono a sentirla.
«Ognuno di noi aiuta Holtre, Minerva. – continuò Teodor calmo, come se lei non avesse parlato – Khan ci fornisce di ottima legna e bravissimi falegnami; Marvin ha un Terra ricca di minerali e miniere; da Joanne provengono meravigliose e pregiate stoffe; dalla Terra Centrale proviene il raccolto più fruttuoso di Holtre, e infine la mia Terra fornisce il pesce. E la vostra? Il pescato a basso costo non basta. La Terra della Bilancia non ha grandi fiumi, non ha legno pregiato, non ha montagne per i minerali: è solo deserto. Il vostro regno è caricato sulle nostre spalle da troppo tempo, e io sono stanco. Holtre non ha bisogno di voi».
Minerva era spiazzata e si ritrovò senza sapere come controbattere. Alec assistette a tutto il dialogo con un certo interesse, nascondendo a malapena l'eccitazione: forse sarebbe stato più facile del previsto. Fu proprio lui a rompere il silenzio che era calato nella sala, dopo aver lisciato all'indietro i corti capelli scuri.
«Non credevo che tra i regnanti vi fossero di questi problemi, e me ne rammarico. – iniziò con la sua solita voce suadente, poggiando i pugni chiusi sotto al mento e posando lo sguardo impenetrabile su ognuno dei presenti – Ho il compito di mantenere l'equilibrio territoriale, e non posso ignorare i pensieri del sovrano della Terra del Pesce. Mi trovo quindi costretto a proporvi un soluzione drastica ma che, a mio avviso, è l'unica che possa funzionare per porre fine a questi screzi».
Avevano tutti rivolto l'attenzione verso di lui e lo ascoltavano curiosi. Minerva ebbe paura di ciò che Alec stava per dire, e si pentì amaramente di aver raccolto la sfida di Teodor all'inizio di quel Concilio.
«Dovremmo decidere se la Terra della Bilancia potrà continuare a far parte di Holtre oppure no».
«Tutto questo non ha senso. – reagì Minerva scattando in piedi – Solo perché Teod...»
«Ovviamente, – la interruppe Alec alzando una sola mano – sarà una decisione di maggioranza, e l'esito sarà inappellabile».
«Questa votazione è una perdita di tempo: nessuno voterà a favore». Joanne prese nuovamente le difese di Minerva, la quale ormai sembrava priva di ogni forza. Teodor sorrise alzando un solo angolo delle labbra carnose.
«Ne siete sicuro?»
La regina notò di sottecchi che Marvin annuiva a quelle parole che nascondevano una vera e propria minaccia, e si voltò nella sua direzione chiedendosi perché fosse stato in silenzio per tutto quel tempo, perché proprio lui non avesse preso le sue parti. Il giovane re dello Scorpione ne incrociò lo sguardo senza volerlo e non riuscì a sostenerlo, così poggiò la fronte sui palmi e rimase in silenzio.
Con l'approvazione del resto dei sovrani, Alec stabilì che la votazione avrebbe avuto luogo l'indomani, ponendo fine al Concilio del giorno e congedandoli per il pranzo.
Minerva non li raggiunse, non voleva fare finta di niente e sorridere: lei non era come suo padre. Lui non si era mai sentito un vero re e aveva sempre chinato il capo a tutte le decisioni degli altri regnanti anche se andavano contro il suo popolo, continuando a comportarsi come se fosse un qualunque contadino; lei, invece, avrebbe combattuto fino alla fine per l'orgoglio della sua gente. Avevano lottato a lungo per la loro libertà, e lei l'avrebbe difesa.
Attese per ore nelle sue stanze con l'orecchio teso, poi finalmente sentì dei passi fuori dalla porta e un uscio che si chiudeva piano. Ora toccava a lei.
Uscì dai propri alloggi e si diresse velocemente verso la stanza accanto, entrando senza bussare.
«Perché non hai detto una parola» esordì. Marvin si voltò verso di lei, ma ancora una volta non riuscì a guardarla negli occhi, così prese a osservare il giardino che si intravedeva fuori dalla finestra. In silenzio.
"Sei così codardo da non volermi nemmeno guardare?" pensò la regina.
«Ho bisogno di sapere che posso fidarmi di te» disse invece.
Marvin si voltò e si avvicinò a lei come non aveva mai fatto. Alzò una mano e le carezzò la pelle scurita dal sole del deserto, sfiorandone delicatamente con un solo dito il profilo dal polso fino alla spalla, assaporandone il calore. Poi, una volta in cima, la cinse con entrambe le mani e le diede un bacio sulle labbra, un bacio quasi disperato, dettato più dalla sofferenza che dall'amore. Lei lo lasciò fare.
«Non posso andare contro Teodor: devo molto denaro alla sua Terra».
«Nemmeno per proteggere me?». Minerva non si sentiva a suo agio in quel ruolo, ma se Marvin le aveva detto la verità almeno una volta nella sua vita, allora aveva un vantaggio su di lui. Aveva confessato di amarla, e questo le conferiva un potere immenso.
«Non sono uno sciocco, - l'ammonì Marvin - so dove vuoi arrivare e non te lo permetterò. Il mio debito nei confronti di Teodor è ingente, non posso andargli contro: me la farebbe pagare, e non posso rischiare la rovina un'altra volta».
La regina si avvicinò e gli cinse il collo con occhi languidi.
«Non permetterò che ti faccia del male» gli sussurrò all'orecchio, sfiorandogli il collo prima con il delicato naso all'insù, poi con le labbra. Marvin sentì un fuoco ardergli dentro: il suo odore, il suo tocco, ogni cosa gli procurava piacevoli brividi lungo tutto il corpo. Minerva era la sua debolezza, e lei lo sapeva.
«Minerva, io...». Cercò di divincolarsi: sentiva la bocca asciutta, e sapeva che non sarebbe riuscito a fermare le mani che aveva rigidamente tenuto immobili lungo i fianchi.
Lei si scostò leggermente e lo guardò intensamente, talmente vicina da poter sentire il profumo della sua pelle. E così lui cedette, baciandola come se fosse l'ultima cosa che avrebbe potuto fare.
«Se ti aiuterò, sarai mia?»
«Sarò sempre tua».
Marvin le sorrise famelico, il petto che aveva preso ad alzarsi e abbassarsi velocemente.
Le sciolse i capelli tenuti indietro da due semplici nastri che impedivano alle ciocche scure di ricaderle sul viso, e poi con mani sapienti iniziò a slegarle i lacci dietro il corpetto; prima lentamente poi sempre con più foga, fino a quando non fu finalmente libero di stringere a sé il corpo nudo della regina. Lei chiuse gli occhi mentre la sollevava per trascinarla a letto, e inclinò leggermente la testa indietro accogliendo il viso ispido del sovrano e le sue labbra bramose, lasciandogli assaporare ogni parte del suo corpo di cui avesse voglia.
Minerva si concesse inerme. Se era quello il prezzo per salvare il suo popolo, lei lo avrebbe pagato.
Quando quel pomeriggio tornò ai suoi alloggi con gli abiti stropicciati, poggiò la schiena ancora nuda sulla ruvida porta di legno e vi strisciò fino a sedersi per terra, coprendosi il viso con una mano sola. Non era fiera di ciò che era successo, ma avrebbe fatto di tutto per tenere alto l'orgoglio che contraddistingueva il suo popolo, e che credeva le desse il diritto di sentirsi alla pari con gli altri regnanti.
«Ora possiamo cominciare» esordì Alec quando anche il re della Terra del Pesce prese posto intorno al tavolo. Era arrivato con notevole ritardo, e Minerva avrebbe già voluto scagliargli addosso tutta la sua rabbia.
Calma. Sarebbe dovuta rimanere calma.
Aveva passato la notte intera a imporsela e sembrava che Teodor le volesse far rompere quel patto, ma sapeva perfettamente che non era il momento per lasciarsi andare. Non avrebbe dovuto cedere alle sue provocazioni o ne avrebbe pagato le conseguenze.
Il Sommo Re si guardò intorno pregustando già la vittoria. Non aveva mai visto di buon occhio la Terra della Bilancia, né tanto meno Minerva e suo padre: nobili si nasceva, e loro non avevano il diritto di stare lì. Erano contadini, e i contadini non possono governare, non è nella loro natura. Loro, inoltre, avevano sempre contato sull'appoggio degli altri sovrani, e lui era stufo di aiutare una Terra che non era in grado di farcela da sola. Almeno Titch aveva cercato di risolvere la questione con la coltivazione intensiva, e con il divieto di importazione aveva voluto dimostrare che potevano farcela anche senza aiuti esterni. Forse i suoi metodi erano stati sbagliati, o semplicemente i sudditi non avevano aspettato abbastanza prima di vedere i risultati della sua opera, ma qualunque fosse il motivo lui non poteva accettare che un intero popolo avesse preferito come proprio sovrano un semplice popolano.
Aveva aspettato con ansia da quando era diventato re il momento in cui avrebbe potuto toglierle la corona, e finalmente quel giorno sembrava essere arrivato: se Minerva non fosse stata più una regina di Holtre, allora il suo titolo avrebbe avuto ben poco conto anche per gli altri regni e, senza aiuti, la Terra della Bilancia sarebbe caduta in rovina e avrebbe avuto ciò che meritava da tempo: la morte.
Alec guardò Teodor sapendo che anche lui la pensava allo stesso modo. Aveva già pensato di utilizzare il palese livore del Re del Pesce nei confronti di quella falsa regina per poter raggiungere i suoi scopi, ma non si aspettava certo di arrivarci così in fretta. Il giorno precedente, per lui, era stata una piacevole sorpresa riscoprire in quell'uomo così rude un potente alleato in quella lotta.
Il Concilio di Olok poteva avere inizio. Il Sommo Re parlò per primo.
«Come già detto ieri, la votazione sarà per maggioranza: si voterà per confermare la presenza della Terra della Bilancia all'interno del Regno di Holtre. Come da tradizione, se i voti a favore e quelli contrari si trovassero in condizioni di parità, il voto di chi ha mosso per primo la questione avrà valenza doppia: nel nostro Concilio sarà quindi il voto di Teodor ad averlo. La decisione sarà inappellabile, e in caso di sconfitta la regina Minerva sarà tenuta a lasciare questo Regno entro l'alba di domani. So che ognuno di noi ha pensato a fondo alla decisione di oggi, e vorrei ricordare che stiamo scegliendo per il bene di Holtre. Con il vostro consenso, do adesso il via a questa votazione».
Minerva di scattò serrò i pugni ma mantenne lo sguardo fisso su Alec, sicura che sarebbe rimasta tra quelle terre.
Seguendo il protocollo, prese posto accanto a Teodor attorno al tavolo posto al centro della stanza circolare. La votazione avrebbe proceduto da destra verso sinistra: Teodor sarebbe stato il primo, poi Joanne, Khan, Alec, Marvin e infine lei. Sentì delle gocce di sudore freddo cominciare a imperlarle la nuca sotto la severa acconciatura in cui aveva legato i suoi lunghi capelli neri, respirò profondamente e sperò per il meglio.
«Io, Teodor, sovrano della Terra del Pesce, voto per l'espulsione della Terra della Bilancia da Holtre. La sua terra non contribuisce ai profitti del Regno, ma anzi ne diminuisce le risorse». La voce dura del re risuonò per tutta la sala.
Minerva non si aspettava altre parole da lui, per cui ingoiò tutta la sua ira e serrò la mascella. Le sue speranze erano rivolte altrove.
«Io, Joanne, regnante della Terra del Toro, voto a sfavore dell'espulsione della Terra della Bilancia dal Regno di Holtre. Non possiamo condannare il popolo e la sua regina per una terra che non produce abbastanza». Il biondissimo re aveva preso le sue difese ancora una volta, gli occhi chiari e severi si addolcirono immediatamente non appena si posarono su di lei, trasmettendole una tranquillità consapevolmente falsa, ma non per questo meno rassicurante. Minerva era felice che fosse lì.
«Io, Khan, sovrano della Terra del Leone, voto a sfavore dell'espulsione della Terra della Bilancia dal Regno di Holtre. Si parla di persone: uomini, donne e bambini che moriranno senza il nostro aiuto, e io non voglio essere la causa di un'altra era come quella di Titch». Il re non avrebbe potuto sopportare un'ingiustizia simile, ciò che stavano facendo era contro ogni logica. Chiuse gli occhi scuri e rivide il figlio Seamus, un bambino così diverso da lui sotto molto aspetti, e serrò i pugni al solo pensiero che qualcuno avesse potuto portargli via di colpo e senza ragioni tutta la serenità.
La Regina sorrise grata a quelle parole, ma il suo volto si rabbuiò presto. Era giunto il momento cruciale: non aveva ancora ben capito la posizione di Alec, e soprattutto temeva la risposta di Marvin. Il Sommo Re attese qualche istante prima di parlare, il viso inespressivo e completamente immobile se non per il naturale movimento che la respirazione dava al suo corpo da soldato.
«Io, Alec, sovrano della Terra Centrale, voto a favore dell'espulsione della Terra della Bilancia dal Regno. La nostra Terra deve guardare al futuro e al benestare dei cittadini, e purtroppo la Terra di Minerva lo impedisce. Me ne rammarico, ma sto agendo per il bene di Holtre».
Se i presenti rimasero stupiti o meno dalla sua decisione, non lo diedero a vedere.
Minerva si agitò. Erano pari, e il voto di Marvin sarebbe stato fondamentale. Sperò con tutte le sue forze che per lui almeno quella volta contasse più l'amore che il potere. Con il corpo rigido e fissato alla sedia, raccolse il coraggio per indirizzare a lui il suo sguardo, riuscendo solo a notarne l'espressione afflitta. Il giovane re si pentì per quello che avrebbe detto.
«Io, Marvin, sovrano della Terra dello Scorpione, voto a favore dell'espulsione della Terra della Bilancia da Holtre. Essa grava sul rendimento di tutto il Regno, e noi non possiamo anteporre i suoi interessi a quelli dei nostri sudditi».
Minerva avrebbe voluto urlare. Era stato tutto inutile, ormai aveva perso. Strinse i pugni fino a sentire le unghie graffiarle la pelle, e si concentrò su quel dolore per non sentire l'orgoglio sgretolarsi come roccia corrosa dal vento. Recuperò tutta la dignità che le era rimasta in petto, e si alzò in piedi nel silenzio più totale. Solo Teodor ebbe il coraggio di sostenere il suo sguardo gelido, ricambiandola con un ghigno, e decise che non si sarebbe fatta umiliare ulteriormente.
«Io, Minerva, regina della Terra della Bilancia, voto a favore dell'espulsione della mia Terra dal Regno di Holtre».
«Minerva, che cosa fate?». Khan si levò in piedi nello stupore generale, ma lei scosse leggermente il capo per indicargli di non aggiungere altro. Di nuovo, come il giorno prima, ogni lembo di pelle lasciato scoperto dal lungo abito avorio le si riempì di chiazze rosse, non dettate però da rabbia, bensì dall'orgoglio che le bruciava dentro.
«Non voglio la vostra pietà, – riprese poi, avvolta in un'aura di superbia – e se volete che vada via allora lo farò, ma non dimenticatevi della mia Terra, perché sarà causa di molti problemi per alcuni di voi». La regina non diede il tempo agli altri sovrani di rispondere a quella che sembrava una vera e propria dichiarazione di guerra, e andò via senza capire fino in fondo le conseguenze delle sue parole.
Marvin si sentì schiacciare dal senso di colpa e le corse dietro, mentre gli altri regnanti si guardarono attoniti, straniti da quelle reazioni; solo Teodor non sembrava sorpreso, anzi era abbastanza soddisfatto dallo svolgersi degli eventi.
«La votazione è conclusa. – sentenziò Alec subito dopo. Non sopportava di essere preso alla sprovvista in quel modo, e sentiva il bisogno di uscire da lì prima di lasciarsi andare davanti a tutti gli altri – Dichiaro ufficialmente a voi tutti rappresentanti delle Terre di Holtre, che a partire dall'alba di domani la regina Minerva, la sua Terra e tutti i suoi possedimenti, sono esclusi da questo Regno».
Minerva raggiunse i propri alloggi come una furia; urlò ai suoi paggi di prepararsi per il viaggio di ritorno e si sedette svuotata da ogni energia. Era sola, e lo sarebbe rimasta per molto tempo. Sentì l'uscio della sua porta aprirsi e sperò con tutta sé stessa che non fosse Marvin.
«Ho bisogno di parlarti».
Non ebbe nemmeno bisogno di alzare lo sguardo per capire a chi appartenesse quella voce untuosa, e rimase seduta sulla panca ai piedi del lussuoso baldacchino in cui aveva gettato alla rinfusa parte degli indumenti che aveva portato con sé.
«Io ho bisogno che te ne vada» gli disse con voce incredibilmente piatta. Marvin rimase sorpreso: si era aspettato una sfuriata, e invece era lì seduta con il volto tra le mani, e lui si sentì un verme.
«Ho dovuto farlo! – cominciò il re, supplichevole – Lui mi avrebbe ridotto in miseria se gli fossi andato contro, e anche se ieri non l'ha detto chiaramente...»
«Tu hai parlato con lui?» gli urlò contro, interrompendo la sua frase a metà.
Non poteva credere che dopo tutto ciò che era successo tra loro, fosse andato a parlarne con Teodor. Era più codardo di quanto immaginasse. Si sentì mancare il fiato, il corpetto che il giorno prima le aveva quasi strappato di dosso adesso la soffocava, e provò un ribrezzo smisurato verso quel vigliacco che la guardava implorante. Si alzò lentamente, le labbra piegate in una smorfia di disgusto, e lo costrinse a tornare indietro verso l'uscio, afferrandolo per un polso.
«Cos'altro avrei dovuto fare? – tentò in propria difesa, cercando di liberarsi da quella stretta sorprendentemente forte – Lui mi tiene in pugno!»
«Non sei in grado di decidere da solo? I soldi hanno così tanto potere su di te?» sibilò tra i denti, il volto contratto nel visibile sforzo di non urlare. Marvin riuscì a svincolarsi prima che lei aprisse la porta.
«Minerva, tu hai cercato di corrompermi con il tuo corpo! Ti credi forse migliore di Teodor? Io ho agito per il mio popolo».
La regina proruppe in una risata isterica.
«Per il tuo popolo? Non dire sciocchezze, Marvin, hai agito per il tuo tornaconto personale, non ti è mai importato nulla del tuo popolo! Io la mia posizione ho dovuto conquistarla con tanta fatica e molto sangue, mentre tu non hai mai dovuto lottare per ottenere ciò che ti è spettato di diritto! Quindi non parlarmi di amore verso il popolo, perché non ne conosci il significato». Era fuori di sé ma Marvin non era stupito da quelle parole. Si passò una mano sul volto irsuto per cercare di scaricare la tensione che aveva accumulato, la schiena praticamente appoggiata all'uscio.
«Sai cosa provo per te, sono disposto ad aiutarti ugualmente anche se non farai più parte di Holtre. Convincerò Teodor a lasciarti perdere e vedrai che ce la farai».
Minerva si sentì ribollire d'odio.
«Io sono una Regina! - urlò, liberando finalmente tutto il livore che sembrava volerla soffocare - Non voglio la tua elemosina, né quella di nessun altro!»
Marvin non riuscì più a trattenersi: era stanco di quell'orgoglio esasperato che le impediva di vedere lucidamente. Le afferrò i polsi e la costrinse a guardarlo in faccia, l'estrema vicinanza adesso gli provocava sentimenti molto diversi da quelli del giorno prima.
«Puoi avere tutto l'orgoglio che vuoi e puoi continuare a vivere credendo di meritare il tuo ruolo, ma questo ti porterà in rovina. Tu non sei una vera Regina! Sei la figlia di un contadino ribelle, e per quanto ti sforzi nessuno ti vedrà mai come una sovrana. Sarai sempre una plebea agli occhi del mondo, e i plebei non governano».
Senza smettere di trafiggerlo con gli occhi, Minerva liberò una mano dalla presa di Marvin, e lo schiaffeggiò in pieno viso. Nel lungo momento di silenzio che seguì, il re dello Scorpione lasciò andare l'altro braccio che ancora la stringeva e andò via col cuore in frantumi, sapendo di averla persa per sempre.
Minerva rimase lì, in piedi, a guardare la porta che si chiudeva.
La voce di Marvin le rimbombava nella testa, non poteva credere che lo avesse detto davvero. Era sicura che quelle parole non fossero le sue, e sapeva da chi le avesse prese, ma la ferita che avevano scavato era troppo profonda per poter essere ignorata o giustificata dalla potenza dell'influenza di Teodor. Si sentì quasi schiacciata dal disprezzo che aveva iniziato a crescere dentro di lei verso quell'uomo che non aveva faticato per diventare ciò che era, che rimaneva attaccato al suo potere e al suo ruolo più di qualsiasi altra cosa, e che, soprattutto, non avrebbe mai rischiato di perdere tutto ciò che possedeva.
Si sedette sul letto priva di ogni emozione, conscia che d'ora in poi la sua strada sarebbe stata una lunga salita piena di ostacoli, e che per il suo popolo sarebbe stato ancora peggio. Si gettò a faccia in giù sulle coperte ricamate del letto, afflosciandosi come un cuscino tra gli abiti che vi aveva già gettato sopra, e desiderando di sprofondarci dentro.
No. Lei non poteva arrendersi così, avrebbe dimostrato a tutti che la Terra della Bilancia non aveva bisogno del loro aiuto, che lei non ne aveva bisogno.
Si sollevò con le braccia, cercò tra tutta quella stoffa e indossò il suo abito migliore. Sciolse i nastri che le tenevano legati i capelli lisci in una severa acconciatura, scosse la testa per far sì che le ricadessero sul viso e sulla schiena che il vestito lasciava scoperta, e si diresse nuovamente verso la Sala del Concilio, in cui sarebbe già dovuta essere l'ora di firmare gli accordi di pace.
Scese velocemente le scale che conducevano al piano inferiore, e da lì percorse con passo nervosamente svelto la strada che ormai conosceva a memoria, verso il piano più alto della torre ovest. La coda del lungo vestito rosso le strisciava sulla fredda pietra, mentre la corona sobbalzava talmente tanto che sembrava volerle cadere dalla testa il prima possibile. Sorrise a questo pensiero: lei avrebbe tenuto quella corona perché era una vera regina, e lo sarebbe rimasta anche fuori da Holtre.
Quando entrò nella stanza, tutti si voltarono a guardarla.
Non si aspettavano di vederla così presto, né tanto meno vestita in quel modo. L'abito scarlatto che aveva volutamente deciso di indossare la rendeva imponente, con la gonna ampia e i ricami dorati che le donavano una aura quasi divina; il seno e la schiena vistosamente ed elegantemente lasciati in mostra, lasciavano che il colore acceso dell'abito fungesse da contrasto con i lunghi capelli neri che la avvolgevano fino alla vita.
«Possiamo procedere» disse lei con il tono più pacato che conoscesse.
Si sedette al suo posto di fianco a Teodor, il quale sembrava non essersi mosso da quando aveva lasciato la Sala, ma non lo degnò della sua attenzione rivolgendola invece verso Marvin, regalandogli uno dei suoi sorrisi migliori. Il re della Terra dello Scorpione, ancora una volta, non riuscì a sostenerne lo sguardo, e si vergognò di quello che aveva fatto e soprattutto di ciò che le aveva detto.
Khan capì immediatamente cosa fosse successo e comprese perfettamente il messaggio che Minerva aveva voluto lanciare con quell'abito, e fu molto fiero di lei e del suo modo di reagire agli eventi avversi. Non si meritava di essere esclusa da Holtre per meri interessi personali. Sapeva bene che Teodor non era l'unico ad avere certi rancori, anche Alec aveva sempre avuto in mente quell'obiettivo, e la cosa che gli dava più fastidio era che avessero vinto.
Il Sommo Re venne affiancato da un uomo quasi calvo e claudicante. Sembrava piuttosto giovane dall'aspetto, tuttavia dava l'impressione di aver vissuto per millenni, e che per tutto quel tempo avesse servito Alec. Si chiamava Hershel, ed era colui che amministrava il denaro a palazzo.
Portava sotto braccio una pergamena, mentre nell'altra mano stringeva un bastone che lo aiutò a raggiungere più in fretta la sua postazione al fianco del re. Posò brevemente lo sguardo su ognuno dei presenti, poi spiegò sul tavolo le carte che aveva portato con sé, e tutti i sovrani firmarono in silenzio. Anche Minerva.
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