Ares mandò immediatamente uno dei ribelli a chiamare il fratello e si sedette impaziente sulla branda facendo oscillare nervosamente una gamba. Se il principe gli aveva detto la verità sarebbero dovuti partire immediatamente, ma se fosse stata una trappola...
Nahil lo raggiunse dopo quella che gli parve un'eternità e si sistemò davanti a lui con un acceno di fiato grosso: non aveva smesso un attimo di lavorare da quando aveva udito il suono del corno, e nonostante la corporatura fosse ancora agile e forte, il peso degli anni si faceva sentire anche su di lui.
«Perché tanta urgenza?» gli chiese notando il modo in cui il fratello si martoriava le mani. Lui alzò il viso barbuto e lo guardò negli occhi scuri identici ai suoi.
Era il più grande dei due di poco più di un anno, ma la muscolatura massiccia di Ares paragonata a quella leggermente più minuta e longilinea del fratello ingigantiva quella piccola differenza; per il resto, invece, erano estremamente simili. Erano stati cresciuti da due genitori che passavano più tempo a litigare che a fare altro, e loro avevano dovuto fin da subito imparare a badare a loro stessi, potendo contare sempre sull'immancabile supporto dell'altro.
«Ci siamo, Nahil. La guerra che volevamo ci è stata offerta su un piatto d'argento, e io non voglio rifiutare».
Nahil quasi sobbalzò e si avvicinò di un passo senza nemmeno rendersene conto, imitando l'espressione cospiratrice che aveva improvvisamente assunto il fratello.
«Enora ha portato un ragazzo con delle informazioni incredibili» gli disse con la luce dell'euforia negli occhi. Gli raccontò l'incontro avvenuto poco prima e dopo un attimo di titubanza decise di fidarsi completamente di lui, come aveva sempre fatto, rivelandogli l'identità del messaggero. Riportò il dialogo in modo estremamente dettagliato cercando malamente di celare una decisione che, dal canto suo, era già stata presa. Il secondo generale si prese qualche istante prima di rispondere.
«Non lo so» furono le uniche parole che fu in grado di dire.
Nel viso di Ares si dipinse la delusione. Ecco, forse quella era una delle differenze che li aveva spesso messi l'uno contro l'altro durante la loro vita. Ares era molto impulsivo ed entusiasta, mentre Nahil aveva bisogno di tempo per ragionare sulle cose. Tempo che, però, in quel momento non potevano concedersi di perdere.
«Come fai a non capire?! Chiuderemmo le Armature Nere tra noi e le truppe dei sovrani Seamus e Kamal. - provò a convincerlo - Alec sicuramente non si aspetta una cosa simile e il suo esercito non sarà preparato per un attacco su due fronti: la battaglia non durerà più di un solo giorno!»
«È troppo rischioso, Ares».
«Avremo Kamal e Seamus come alleati, battere Alec sarà facile poi» ripeté il primo generale, come se in questo modo riuscisse a persuaderlo più facilmente.
«Non è detto, dannazione. Se il principe mente e noi partissimo comunque, vorrebbe dire consegnarci all'Esercito Nero! Hai pensato al massacro che ci potrebbe essere? Proprio perché conosci il suo volto non dovresti fidarti: potrebbe essere una spia, potrebbe averci ingannato, e noi non abbiamo il tempo di mandare uno dei nostri nella Terra del Leone per avere una conferma da re Seamus». Nahil scattò in piedi e prese a camminare in tondo all'interno di quello spazio angusto con una mano tra i corti capelli neri.
Il secondo generale si massaggiò per un istante la barba che gli cresceva folta sulle guance al contrario del fratello completamente glabro, poi si alzò e lo guardò severo. Era un'occasione troppo grande e lui l'avrebbe colta a qualunque costo.
«Sono io il primo generale, Nahil. Non ti sto chiedendo il permesso. È un ordine. Avvisa tutti, si partirà domani all'alba». Non riusciva a credere di averlo detto davvero ma non si sarebbe tirato indietro.
Nahil incassò il colpo e fece scendere quel boccone amaro. Avevano sempre deciso tutto assieme, la differenza di grado era sempre stata formale e derivante dalla differenza di età.
«Ai vostri ordini, generale» sputò con evidente stizza prima di uscire.
Korinna arrivò di notte all'accampamento. Aveva sempre desiderato uscire dalla campana di vetro in cui sua madre la costringeva a stare, combattendo finalmente al fianco di suo padre per una causa che sentiva anche sua. Si era allenata ogni giorno all'oscuro di lei sapendo che prima o poi sarebbe scesa in battaglia, e quel giorno era finalmente arrivato. Suo padre le aveva detto di aspettarlo alle porte della città e ora si incamminava assieme a lui verso la sua tenda, eccitata all'idea di essere considerata un soldato.
«Domani arriverà Etios con le altre reclute. Ti unirai a loro e non dirai a nessuno di essere mia figlia». La ragazza dai lunghi capelli biondi rimase un po' sorpresa dalla richiesta, ma ne capì il motivo.
«Certo, padre». Uscì dalla tenda del primo generale carica di adrenalina e si diresse verso quella che sarebbe stata la sua dimora per quella notte.
Noor e Arkara avevano appena finito il turno di guardia notturno e stavano litigando come sempre. Lui si era ripreso in fretta dalla ferita che aveva subito, per fortuna la lama non aveva toccato nessuno degli organi vitali, e gli era stato ordinato il riposo assoluto che, però, lui non aveva avuto la minima intenzione di rispettare. Era fuori da ogni sua logica rimanere inutilmente fermo in quell'ammasso di lana e paglia in attesa della guarigione, e così dopo vari tentativi era riuscito a convincere Mylene e soprattutto sua sorella a lasciarlo andare almeno per un turno di guardia in quelle serate tranquille.
Si era lasciato persuadere da Enora a rimanere con Arkara, con cui aveva comunque parlato poco dopo le parole che le aveva rivolto mentre credeva di morire: era un po' imbarazzato dalla possibilità che ne potesse discutere ma, per fortuna, c'era voluto poco a recuperare tutta la litigiosità del loro rapporto. Nessuno dei due avrebbe mai ammesso all'altro quanto gli erano mancati i loro scontri e quanto, in quelle circostanze, proprio quei litigi gli regalavano sprazzi di una normalità ormai perduta.
«Guarda che adesso non potrai più trattarmi in questo modo!» le disse lei in un sussurro per evitare di svegliare qualcuno, dopo che lui aveva provato a spingerla oltre le siepi lì vicino.
«Non credere di cavartela solo perché adesso sei migliorata a maneggiare una spada: ti potrei battere a occhi chiusi, se solo lo volessi».
Un fruscìo lo indusse a interrompere la frase, costringendolo a recuperare in un attimo tutta la serietà. Sguainò la spada che gli pendeva dalla cintola immediatamente seguito da Arkara, ed entrarono nella tenda da cui proveniva il rumore che li aveva insospettiti.
L'intrusa sfoderò il pugnale che portava dentro gli stivali e si voltò di scatto pronta a colpire, ma fu costretta ad arrestare il movimento a causa della lama che Arkara le aveva prontamante indirizzato al petto. Korinna riuscì a ponderare in fretta la situazione, svincolandosi dalla minaccia e catapultandosi verso l'uscita.
Noor le arrivò addosso con la spada ben puntata in avanti, ma la nuova arrivata deviò il fendente con la sua piccola lama, perdendo però l'equilibrio a causa di un colpo che il ragazzo le aveva indirizzato alla sua caviglia, e ritrovandosi poi la sua spada puntata in gola.
Arkara afferrò lo strumento che aveva appeso al collo, e si preparò a soffiarci dentro per dare l'allarme, ma Noor la fermò con la mano e slegò una corda che aveva assicurata alla cintola. Aveva la casacca sporca di sangue all'altezza del fianco, la ferita aveva ripreso a sanguinare sotto gli sforzi di quei movimenti improvvisi, ma il dolore che doveva inevitabilmente provare non traspariva affatto dal volto deciso, se non per l'accenno di sudori freddi sulla fronte e un po' di fiato grosso.
«Ce la caviamo da soli. È una dilettante».
Korinna spostò i lunghi capelli chiari dal volto e piantò gli occhi color ghiaccio in quelli scuri di Noor.
«Non sono un vostro nemico! Sono una recluta».
Il ribelle avvicinò la lama fino a toccarle la gola con la punta, così che quella ragazza dallo sguardo così severo evitasse perfino di deglutire.
«A quest'ora della notte? Oggi non aspettavamo nessuno». Arkara prese la corda dalle mani del suo amico e le legò i polsi.
«Portiamola dal primo generale. Deciderà lui».
Korinna si lasciò sfuggire una piccola risata sarcastica: a quanto sembrava, il suo segreto non sarebbe durato a lungo.
«Il generale è mio padre».
Noor e Arkara si guardarono scettici, lui la sollevò quasi di peso e la strattonò per farla avanzare; il dolore era quasi insopportabile.
«Cammina» la minacciò, decidendo di non crederle.
Ares aveva sentito del trambusto poco lontano dalla propria tenda e aveva deciso di andare a dare un'occhiata così, quando vide i due soldati che portavano dietro sua figlia con le mani legate, non riuscì a trattenersi sbottando in una grassa risata. La nuova recluta si accigliò.
«A quanto pare ho un ottimo servizio di guardia» disse poi avvicinandosi al trio.
«Generale, l'abbiamo trovata...»
«Lasciatela pure andare. È mia figlia».
«Non sapevamo che avessi una figlia, né tanto meno che venisse qui stanotte» si scusò il ragazzo parlando in fretta mentre cominciava ad armeggiare con i nodi attorno ai polsi. Ares gli mise una mano sulla spalla con fare paterno guardando preoccupato la chiazza di sangue che continuava ad allargarsi.
«E non dovrà saperlo nessuno, Noor. Si unirà domani ai nuovi arrivi, non voglio che si pensi che faccia favoritismi: qui lei è solo un soldato» gli disse serio.
«Noi non lo penseremo mai, ci fidiamo di te».
«E ne sono orgoglioso, Arkara, ma preferisco che non venga rivelata la sua identità».
I soldati annuirono e si scusarono con la ragazza, poi si diressero verso le proprie tende. Arkara prese il braccio di Noor e se lo caricò sulle spalle nonostante le proteste di lui, che però si sentiva talmente debilitato dopo quel piccolo scontro che fu costretto ad accettare l'aiuto dell'amica, piegandosi un poco per raggiungere la testa rossa che gli arrivava a malapena al mento.
«Allora, pensi che da domani smetterai di guardare la figlia del tuo generale come un pesce lesso?».
Noor arrossì fino alle orecchie e la ragazza rise di gusto.
«Ma che sciocchezze ti vengono in mente» le disse, fissando però un punto vacuo sul terreno di fronte a lui. Lei gli diede una leggera gomitata sul fianco sano, lo lasciò dov'è che avrebbe dovuto riposare e poi si diresse verso l'ammasso di coperte che avrebbe a breve ospitato il suo sonno, ritrovandosi a pensare che l'indomani, insieme alle nuove reclute, sarebbero arrivati anche Etios e Breit.
«Hai un esercito fedele, padre» disse Korinna quando i ribelli furono andati via. Ares pensò agli uomini con le toghe viola all'interno di quella maledetta tenda rossa, e si chiese quanto ancora sarebbe durato.
Le sorrise senza far trasparire il minimo dubbio e poi la guardò allontanarsi, ripensando al dialogo avuto con suo fratello prima ancora di ricevere il principe e le sue informazioni.
«Non si può andare avanti così» gli aveva detto Nahil irrompendo nella tenda, e sembrava disperato. Lui aveva smesso di incastrare i suoi effetti in un tascapane ed era rimasto in silenzio aspettando che continuasse.
«L'accampamento è decimato, i soldati sono feriti e non riceviamo aiuti dalle Terre da troppo tempo. Sai benissimo che senza la beneficenza di chi crede in noi non possiamo comprare né armi né cibo, e tutti quelli che stanno lì fuori muoiono di fame».
«Che cosa dovremmo fare? Non possiamo elemosinare denaro» gli aveva risposto con voce dura. Nahil gli si era seduto accanto prima di continuare a parlare, con la solita mano tra i capelli come faceva sempre quando doveva pensare in fretta a qualcosa.
«Pensa alle famiglie di tutti i ragazzi che sono qui: li hanno affidati a noi sapendo che se non sarebbero tornati eroi, allora non sarebbero tornati affatto. Forse i tempi sono diversi e più nessuno crede nella giustizia, forse agli altri va bene così e noi mandiamo giovani a morire inutilmente. Forse stiamo combattendo un nemico troppo grande».
«Io credo in quello che stiamo facendo» gli aveva detto guardandolo serio nelle iridi scure.
«Ma i soldati cominciano a perdere le speranze; alcuni disertano mentre i più vigliacchi scappano durante la notte».
«Molte delle persone che salviamo nei villaggi attaccati dall'Esercito Nero decidono di unirsi a noi».
«Ma in quelle stesse battaglie molti dei nostri uomini perdono la vita. Gli ultimi scontri sono stati un massacro e i sacerdoti non possono fare molto se non permettiamo loro di fare...»
«No. Non sono ancora pronti per scoprire la verità: scapperebbero in molti, lo sai anche tu». Si era fatto grave in viso, comunicandogli con il solo sguardo che non aveva intenzione di cambiare idea su quell'argomento.
«Questa notte arriverà Korinna. – aveva continuato quasi sovrappensiero, parlando di lei solo per cambiare discorso – Vuole unirsi a noi ora che anche Gevieve è morta».
Nahil aveva sussultato. Non sapeva perché, ma non aveva avuto il coraggio di rivelare al fratello minore che sua moglie non avrebbe potuto più accoglierlo a braccia aperte ogni volta che tornava a Lenosa, nella Terra Centrale.
«E ora che lei non c'è più, sei sicuro di volerle fare rischiare la vita così tanto?»
«Lei vuole fare il soldato, si è sempre allenata per questo, e ora che la febbre si è portata via sua madre non c'è più nessuno a impedirglielo».
«Tu sei suo padre, dannazione! - Nahil si era alzato in piedi e lo rimproverava per l'aria rassegnata con cui parlava - Se sarai tu a impedirglielo, lei non potrà opporsi».
Lui lo aveva guardato sfoggiando un sorriso pieno di sofferenza, sentendosi libero di mostrare almeno a suo fratello il viso che si celava dietro la maschera che si era abituato a portare davanti a tutti gli altri. Le rughe della mezza età gli circondarono gli occhi e gli accentuarono le linee d'espressione della fronte.
«Io non voglio impedirglielo, Nahil. Noi abbiamo bisogno di soldati, lo hai detto anche tu, e lei è dannatamente brava». Questo lo sapeva bene, era stato lui stesso a procurargli un maestro che potesse insegnarle ogni cosa.
«Così ucciderai tua figlia».
A quelle parole aveva piantato gli occhi in quelli del fratello minore guardandolo con quella fierezza e determinazione che lo avevano sempre contraddistinto.
«Credi forse che non ci abbia pensato?! È mia figlia, è vero, ma qui dentro sarà soprattutto un soldato. Non le sarà riservato alcun trattamento speciale, e se morirà... lo farà combattendo per i suoi ideali, e non perché una malattia se l'è portata via».
Nahil sapeva quanto Ares volesse bene alla figlia, e non aveva dimenticato quanto avesse sofferto anni prima per aver lasciato Korinna ancora piccola e Gevieve per inseguire il loro sogno di giustizia, ma ormai si era abituato a vederlo forte e determinato, mentre adesso sembrava così stanco.
«Si allenerà anche fuori dall'orario, la farò diventare talmente veloce che nessun nemico potrà ferirla».
I due fratelli si erano guardati e avevano sorriso, poi Nahil aveva lasciato la tenda.
Il sole era appena sorto e i ribelli stavano radunando le ultime cose. Era tutto pronto, ma non potevano partire prima che Etios e Breit arrivassero con le nuove reclute. Ares non era mai stato così impaziente, parlava poco e di fretta. Guardava sempre più spesso verso l'orizzonte sperando di scorgere la sagoma di un carro oltre gli alberi, e la sua attesa finì pochi minuti dopo con suo enorme sollievo.
Erano pochi rispetto a quello a cui erano abituati, ma erano settimane che non arrivava più nessuno, e quei nuovi ragazzi portarono con loro un rinnovato senso di fiducia che dilagò velocemente per tutto il campo.
Arkara ed Enora avevano appena finito di raccogliere i loro effetti quando il corno emise il suo suono, così sollevarono la testa e videro sbucare ai piedi della collinetta su cui si erano accampati un carro trainato da due stalloni, con la testa di Breit che sporgeva ridente dal finestrino.
Quante cose erano cambiate dall'ultima volta che lo avevano visto.
Dal carro scesero nove ragazzi e tre ragazze, tutti con la stessa espressione smarrita che aveva ogni nuova recluta all'inizio di quel viaggio.
«Buone notizie, mio caro Ares! Non ti porto solo reclute, ma anche importanti informazioni». Etios scese dal carro e fu immediatamente raggiunto dai due generali che lo guardavano speranzosi.
«Temevo che il messaggio non ti arrivasse in tempo».
Etios strinse la mano di Nahil e lo guardò con un sorriso che stentava a trattenere, poi insieme a loro si allontanò dal resto dei ribelli.
«Sarei stato qui a qualunque costo».
«Che mi dici delle nuove reclute? Ci avviamo verso una battaglia molto importante, e non voglio intralci e morti inutili».
«Per le reclute non devi preoccuparti. – gli rispose Etios con un sorriso spavaldo – Tre dei ragazzi e due degli uomini appartenevano alla guardia reale, ma non hai nulla da temere: erano stati fatti prigionieri per tradimento alla corona e aspettavano la forca, li ho salvati e loro si sono uniti a noi. Uno lo conosci molto bene, mentre per gli altri non ho una storia avvincente da raccontare, ma fidati di me. Una ragazza, invece, è una sacerdotessa».
«Una sacerdotessa?! Ma sei impazzito? Le hai detto di non rivelare a nessuno la sua identità? Di restare nell'anonimato e di non esercitare il suo potere? Ma come ti è venuto in mente!» lo rimproverò Ares parlando a denti stretti per non urlare, quasi sull'orlo di una crisi di nervi.
«Mi hai preso per uno stupido? Le ho spiegato come stanno le cose ed è una fortuna che abbia accettato di vivere come tu imponi! Ma non è questa la vera notizia. – aggiunse poi a voce ancora più bassa, con fare cospiratorio – La nostra spia al castello ci ha confermato ciò che vi ha rivelato il principe, e c'è di più: mi ha riferito dove e con quale formazione attaccheranno. Adesso sappiamo quando e come prendere alle spalle le Armate Reali!»
I due generali si lasciarono sfuggire un verso di soddisfazione, ma Etios non aveva ancora finito le novità, sebbene il sorriso gli si smorzò un poco rivelando piccole rughe attorno al naso e alla bocca.
«Nel carro non c'erano solo reclute. Stenphield mi ha raggiunto in bottega e mi ha detto che non poteva più perdere tempo. È arrivato come una furia per sapere dove fosse Enora di preciso e dirle tutto, ma l'ho convinto a parlare prima con voi: dopotutto adesso è sotto la vostra tutela».
Nahil si voltò verso il fratello e deglutirono quasi all'unisono. Sapevano entrambi che quel momento sarebbe dovuto arrivare, più tempo avessero perso più sarebbe stato difficile, ma c'era un altro uomo con cui bisognava parlare. Dovevano aspettare il ritorno di Christopher.
Poco lontano da lì, il primo generale notò un ragazzo che conosceva fin troppo bene e che per nessun motivo al mondo avrebbe dovuto trovarsi insieme a loro. Si voltò verso Etios come una furia, ma non fece in tempo ad ascoltare le improbabili scuse che l'amico gli stava per propinare che quel ragazzo si avvicinò a lui così, prima che dicesse qualunque cosa, si allontanarono insieme per raggiungere un luogo ancora più appartato. I ribelli erano tutti impegnati a conoscere le nuove reclute, tra le quali sua figlia si era già inserita, e le tende erano ormai state tutte smontate, per cui lasciarono al tronco di un albero il compito di preservare quel discorso da orecchie indiscrete.
«Quindi siete voi Ares, dico bene?» iniziò il ragazzo dai capelli rossi e la voce autoritaria. Si vedeva che era abituato a dare ordini, ma con lui le cose sarebbero state diverse.
«Tua madre è in pericolo?» gli chiese il generale senza preamboli. Il ragazzo scosse la testa.
«No, la copertura è al sicuro».
Ares tentò di reprimere la rabbia.
«Diamine, Kimav, mi sembrava di essere stato chiaro! Tu ci servi a Olok, nell'esercito, così come Ingrid ci serve al castello! Etios non doveva permetterti di seguirlo».
Il ragazzo dagli occhi verdi che gli stava di fronte era il primogenito di Ingrid, la dama di compagnia della regina. Dopo la morte della sovrana si era impegnata per trovare un altro ruolo all'interno del palazzo per poter continuare il suo compito, e suo figlio era entrato nelle Armate Nere, l'esercito reale, e forniva notizie su movimenti e strategie militari. Se erano riusciti a evitare molte imboscate era in gran parte per merito di loro due. Avevano stabilito che avrebbero abbandonato le loro posizioni solo se fosse saltata la copertura, ma Kimav andando agli Elyse aveva compromesso anni di lavoro.
«Etios non c'entra nulla. L'ho messo alle strette: o venivo con lui o da solo. Non volevo più stare lì, non riuscivo più a fare finta di niente. Alec sta letteralmente plagiando il suo esercito... ed è convincente». Kimav aveva ventiquattro anni, capelli rossicci, e fisico asciutto e longilineo, così simile a suo padre Yler che Ares ebbe l'impressione di parlare con il suo fantasma. Kimav era più robusto e alto rispetto al padre, ma persino nella voce e nei modi di fare Ares riuscì a cogliere qualcosa di Yler.
Con un solo sguardo ai suoi occhi chiari rivide la scena in cui, piangendo, riconosceva il suo capitano nel campo di battaglia tra i tanti morti di quello scontro. Rivide le mani di Christopher spostargli i capelli rossi dal viso e chiudergli gli occhi. Rivide sé stesso prendere l'elmo del suo migliore amico e consegnarlo all'uomo che piangeva la morte di un compagno.
Represse le lacrime che erano tornate implacabili a offuscargli la vista nonostante fossero passati diciotto anni, e si rese conto che nonostante tutto il tempo trascorso, i ricordi avevano ancora l'effetto di ferire più delle spade. Non era riuscito a dirgli davvero "Addio", e non era ancora pronto a farlo.
«Sai bene di aver messo a repentaglio anni di fatiche. Non puoi più tornare nell'esercito, e a noi servivi lì!». Il generale tornò al momento presente e lo guardò severo negli occhi, ma il ragazzo sostenne il suo sguardo con altrettanta determinazione. Poi qualcosa in quegli occhi si incrinò e si decise a dirgli la verità.
«Sono qui per lei. Mia madre mi ha detto che è arrivata mesi fa e non riuscivo a pensare ad altro. Devo vederla Ares, voglio conoscerla. Dimmi chi è». Ares si appoggiò all'albero che li nascondeva agli altri e portò le mani al viso.
Aveva quasi dimenticato. Quasi.
«Lei non sa chi sei» disse con una voce che sembrava invecchiata di colpo.
«Le spiegherò tutto io».
«Non si fiderà mai, la conosco. Andrò io a parlarle per primo» sospirò infine rassegnato. Kimav gli sorrise ampiamente, nello stesso identico modo in cui lo faceva Yler sebbene fosse molto piccolo quando lo aveva perso.
«Grazie, Ares. Grazie» esultò togliendosi un peso dalle spalle.
Ares gli sorrise amaro. Stavano succedendo troppe cose e lui non era sicuro di essere in grado di gestirle tutte. Gli diede un piccolo buffetto sulla spalla e se ne andò prendendo con sé il carico di quell'enorme macigno, dirigendosi verso un'inconsapevole Arkara.
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