Capitolo 15: Il principe ribelle
Ci fu un grande banchetto al rientro del principe a palazzo. Era tornato sudicio e di malumore ma i sudditi e i soldati lo avevano ugualmente celebrato come un eroe, e lui ne era disgustato. Dopo ciò che aveva visto ai Monti Nevos e a Toras nella Terra del Leone aveva finalmente deciso da che parte stare, e il suo schieramento era decisamente diverso da quello di suo padre. Guardava quasi con ripugnanza tutti quei domestici che si affaccendavano tra nobili e soldati, servendo cibo e vino per la festa in suo onore. L'unico che non sembrava essere presente era suo fratello Whyle, il principe di soli quindici anni a cui nessuno aveva mai chiesto tutti i sacrifici che avevano invece preteso da lui.
Si allontanò dal giardino imbandito di tavoli e lanterne e salì le alte scale di marmo che portavano al piano superiore, in cui vi erano tutti gli alloggi reali. Suo fratello era lì, con i suoi grandi occhi viola piantati come sempre tra le pagine di un libro.
«Perché non sei alla festa insieme agli altri?» gli chiese. Il ragazzino alzò lo sguardo quel tanto che bastò per vedere il fratello appoggiato all'uscio della porta, poi si chinò di nuovo a leggere sulla scrivania vicino al letto.
«Che ti prende, adesso? – continuò avvicinandosi – Non mi hai nemmeno salutato da quando sono arrivato stamattina». Fabian poggiò una mano sulla sua spalla, l'altro chiuse il libro con estrema calma e volse tutta la minuta corporatura verso quella notevolmente più allenata del fratello.
«Sei sparito senza dire nulla, Fabian. Saresti potuto essere morto!»
«Ma cosa mi sarebbe dovuto succedere? Mi conoscono tutti a Holtre, sanno chi sono».
«Esattamente». Whyle si scrollò di dosso la sua mano e il finto sorriso beffardo che il principe si era sforzato di dipingersi sulle labbra si smorzò completamente.
«Credi che non sappia cosa si dice in giro di nostro padre? – cominciò il ragazzo dagli occhi viola – Lui mi tiene tra queste mura dicendomi di proteggere la mia incolumità, sebbene io abbia capito da tempo che si vergogna della mia salute instabile e della mia totale inettitudine verso la scherma».
«Non dire sciocchezze, adesso».
Il quindicenne, però, interruppe il fratello prima che continuasse a ripetergli sempre le solite bugie.
«Non è questo il punto. Ho vissuto rinchiuso qui dentro praticamente per tutta la mia vita con la sola prospettiva di conoscere il mondo attraverso i libri, ma le voci corrono persino sotto il naso di nostro padre. Tutti quelli che lo conoscono lo odiano, Fabian. Lo odiano i domestici, e lo odiava persino nostra madre. Credi che abbia passato anche lei la sua vita in questa prigione dorata per suo piacere? La solitudine a cui lui l'ha costretta alla fine l'ha uccisa, e tu mi hai lasciato da solo con lui».
Il principe dagli occhi scuri fece qualche passo indietro senza sapere bene cosa dire.
Il giudizio che suo fratello aveva su loro padre era molto più vicino alla realtà di quanto non lo fosse mai stato il suo, e si sentì davvero uno sciocco a essere arrivato solo da poco tempo alle stesse conclusioni di un ragazzino che aveva quasi dieci anni in meno.
Aveva intuito che la regina non fosse felice, c'era stato qualcosa che l'aveva cambiata radicalmente già da quando lui era un bambino, e che era leggermente migliorato solo con l'arrivo del secondogenito, quel furbo e minuto ragazzino che adesso lo guardava dal basso verso l'alto.
«Mi dispiace tu ti sia sentito abbandonato, ma sappi che sei uno dei motivi per cui sono tornato».
L'espressione di Whyle si addolcì di colpo, ricordando incredibilmente quello di Isidora.
«Non voglio sapere perché sei andato via, ma non lasciarmi più da solo qui dentro».
Fabian portò ironicamente il pugno al cuore come quando riceveva un comando militare, prese un piccolo libro tra le pile accatastate sul tavolino in cui suo fratello era solito studiare, e lo infilò sotto la giacca amaranto con le fibbie dorate regalmente chiuse lungo tutto il busto.
«E ti prometto che mi impegnerò a leggere, uno di questi giorni».
Il ragazzino sorrise, consapevole che non lo avrebbe fatto: quando da bambino non era ancora in grado di leggere riusciva a costringerlo a farlo per lui, ma dopo che aveva imparato non era più stato capace di convincerlo. Riaprì il libro che aveva poggiato sul piano in legno scuro e si voltò alla luce di un candelabro che evidenziava tutte le sue lentiggini, immergendosi tra le righe d'inchiostro.
Fabian uscì dalle stanze del fratello e cancellò dal viso il sorriso che aveva finto fino a quel momento, poi scese di corsa le scale e si diresse verso il giardino reale per cercare Kryss.
«Perché siete scappato?». L'amico lo intercettò alla soglia del grande ingresso e lo guardava serio. Il principe lo afferrò per un braccio e lo trascinò all'interno, in un piccolo anfratto tra le tende di una delle ampie finestre e il freddo muro di pietra, lontano dalle musiche e dai festeggiamenti.
«Devo rivelarti una cosa di estrema importanza, e ho bisogno di tutta la tua fiducia».
Il ragazzo corrucciò la fronte concentrato appoggiandosi alla parete dietro di lui, poi vomitò. Solo allora Fabian notò il tanfo di vino che emanava e decise che non era proprio il caso di affrontare un discorso del genere in quelle condizioni; pensò quindi di scaricare tutta la tensione che aveva accumulato con una bella pacca sulla schiena del suo migliore amico e poi lo lasciò alle ben più piacevoli cure di una delle domestiche.
Tornò ai balli che nel frattempo avevano coinvolto gran parte dei presenti e rimase in un angolo a guardare gli altri divertirsi e festeggiare la morte di poveri innocenti. Venne raggiunto poco dopo da suo padre che, nero in viso, si avvicinava spedito a lui ignorando tutti coloro che cercavano di parlargli.
«Hai idea di cosa si dicesse al castello? Che eri scappato da me! Non osare mai più comportarti in questo modo, Fabian, mai più!» bisbigliò il re a denti stretti all'orecchio del figlio. Il principe non si scompose e rimase appoggiato alla parete esterna del castello con le braccia incrociate sotto al petto.
«Per quale motivo sei andato via lasciando l'esercito ai Monti Nevos?». Il tono di Alec non ammetteva repliche. Si era avvicinato talmente tanto che si riusciva a sentire l'aroma del vino che aveva bevuto, senza però intaccarne la lucidità.
Fabian pensò a quello che doveva dirgli; sapeva che sarebbe arrivato quel momento, ma aveva sperato di avere almeno una notte in più per pensarci. Se solo suo padre avesse saputo cosa era successo, cosa aveva fatto a Toras, lo avrebbe giustiziato per tradimento senza pensarci due volte e lui non sarebbe più stato utile a nulla.
«Ho degli amici dall'altra parte di Holtre, – disse senza modificare la postura né lo sguardo, che evitò di dirigere verso gli occhi magnetici del padre – amici potenti che mi hanno convocato per riferirmi alcuni movimenti della Resistenza. Ho deciso di indagare per conto mio, ma a quanto pare voi eravate già informato. Ero lì durante l'attacco fuori da Toras. Ne ho uccisi parecchi». Fabian si impegnò a fingere una specie di ghigno sebbene il risultato non fosse dei migliori, nondimeno Alec parve credergli e si allontanò dal suo viso allentando la presa sulla lunga giacca abbottonata fino al collo.
«Sapevo di non aver sbagliato con te, – disse il Sommo Sovrano con quello che poteva sembrare orgoglio, per chi non lo conoscesse – tuo fratello non smetteva di tormentarmi per sapere dov'eri e si è calmato solo quando ti ha visto entrare dai cancelli. A volte credo che questo ragazzino abbia qualcosa che non va: tu eri molto diverso alla sua età». Sebbene le parole fossero paterne la sua espressione era rude e aspra. Fabian sentì di detestarlo ancora di più, ma ingoiò il rospo e continuò a guardare con finto interesse tutta quella gente che danzava sull'erba mentre i musicisti battevano sui tamburi e muovevano le corde di arpe e violini.
«Adesso veniamo a cose più serie. A causa della piaga che la Resistenza rappresenta per le Terre di Holtre, nella scorsa riunione con gli altri sovrani si è deciso di affidarmi, ufficiosamente, il controllo dei loro possedimenti in modo da poter disporre a mio piacimento dell'esercito: con una forza simile a mia disposizione schiacciare quegli insetti sarà fin troppo facile. Purtroppo l'anziano Teodor ha perso la vita in uno sfortunato incidente, – disse fingendo dispiacere – e suo figlio ed erede Kamal non vuole rinnovare il patto che suo padre aveva sottoscritto; anzi, ha deciso di dichiararci guerra».
Fabian si voltò verso di lui per la prima volta da quando lo aveva raggiunto a ridosso del giardino, e dovette trattenersi dal non prenderlo a pugni. Piantò gli occhi neri su quelli chiari di lui e sfiorò con la mano il libro del fratello che aveva ancora tra il petto e la giacca.
«Cosa volete che faccia?» disse con un leggero inchino.
«Ho ordinato a Razor di guidare la spedizione tra tre settimane contro di lui, – rispose suo padre con quella stessa scintilla negli occhi che gli aveva visto alla richiesta di imprigionare i sovrani – tu ti affiancherai al comandante. Non volevo arrivare a tanto, specialmente ora che la Resistenza si sta muovendo, ma Kamal ne ha fatto una questione personale e io non posso permettere che le genti innocenti della mia Terra ne paghino le conseguenze. Ho pensato molto ed è meglio chiudere questa storia in breve, prima che dilaghi in guerra civile».
Il principe annuì come se quel discorso avesse pienamente senso, poi accennò ancora un inchino e si congedò dal padre per dirigersi verso le sue stanze.
Aveva un piano.
Quella notte non dormì e preparò tutto il necessario per il viaggio che avrebbe dovuto affrontare, deciso adesso più che mai a combattere contro suo padre.
All'alba dell'indomani era già sceso nelle stalle del castello facendo attenzione a non svegliare nessuno, sellò il suo destriero e partì alla volta di Toras.
Sembrava che quella mattina la pioggia avesse concesso una tregua ai ribelli, e delle fresche alitate di vento scompigliavano i capelli dei pochi soldati già svegli.
Enora si trovava nella sezione sud dell'accampamento che avevano montato fuori le mura di Toras, con lo scopo di aiutare gli abitanti a riparare quanto possibile i danni che la battaglia combattuta qualche giorno prima aveva causato, soprattutto ai campi e alle case a ridosso della cinta. Nel silenzio dell'alba riusciva a sentire il rumore dei suoi stessi passi sul terreno zuppo di acqua, e per qualche istante temette che lo sciabordio degli stivali nelle pozzanghere di fango potesse svegliare tutti gli altri.
Superò furtiva i paletti che chiudevano il recinto in cui si trovava e si aggirò guardinga in mezzo a tutti i cavalli che ancora dormivano. Erano giorni che suo fratello si prendeva gioco di lei, ma soprattutto Nayél le aveva fatto capire l'importanza di saper guidare quell'animale nel modo giusto e, nondimeno, lei non voleva sembrare una bambina impaurita ogni volta che si avvicinava a una di quelle bestie. Camminò incerta in mezzo al recinto sussurrando il nome Fayra e aumentando di poco il timbro di voce man mano che si addentrava tra loro, fino a quando dal fondo dell'arena una testa grigia emerse al di sopra di tutte le altre.
Quando se la ritrovò davanti resistette all'impulso di scappare via e rimase immobile lasciandosi alitare addosso. Allungò tremante una mano verso il muso della giumenta, ma a un suo sbuffo la tirò indietro realizzando che era ancora troppo presto. Fece leva con la gamba sulla staccionata dandosi lo slancio per salire, e rimase ferma per qualche secondo alla ricerca dell'equilibrio prima di decidersi a spronare il cavallo al piccolo trotto. La sua postura non era affatto migliorata dall'ultima volta, ma quantomeno adesso cercava di stringere le redini con meno foga.
Il campo stava prendendo vita così decise di raggiungere una radura poco lontano da lì, tuttavia non fu capace di tenere a lungo il controllo su Fayra che, trovatasi di fronte a uno spazio ampio dopo lunghi giorni costretta in un recinto, si lanciò subito al galoppo.
Cercò di raddrizzarsi senza perdere l'equilibrio, ma non aveva abbastanza forza a causa della ferita e non ci riuscì. Le scivolò il piede dalla staffa facendole sbilanciare il corpo in avanti, Fayra si arrestò di colpo ed Enora cadde di lato mentre la giumenta riprendeva la sua corsa.
Fabian stava per entrare nella parte sud della città di Toras quando vide un cavallo galoppare con addosso un corpo disteso che, poco dopo, si era ritrovato a terra; spronò così il suo stallone all'inseguimento, caricò la ragazza priva di sensi e poi si lanciò per recuperare quello di lei.
Quando la ribelle si risvegliò sentì uno sbuffo distante e lo stridio tipico di una lama contro la roccia.
«È possibile che dobbiamo incontrarci sempre in questo modo?»
Enora riconobbe all'istante la voce che aveva parlato e si voltò in quella direzione, cercando di ignorare il mal di testa che le precludeva il possesso su tutti gli altri sensi.
«Che ci fate qui?» chiese con un tono più sorpreso di quanto avesse voluto, scattando per mettersi seduta.
«Potrei farvi la stessa domanda».
Enora arrossì, ma non cambiò l'espressione offesa che la sua faccia aveva naturalmente assunto non appena ne aveva incrociato lo sguardo.
«Stavo scappando dopo aver derubato un viandante» disse poi ricordando chiaramente l'affronto della prima volta in cui si erano incontrati. Fabian si sentì sprofondare dall'imbarazzo.
«Ho recuperato la vostra giumenta. – iniziò lui nel disperato tentativo di dire qualcosa di sensato – È un esemplare molto docile, mi stupisce che non siete stata in grado di domarla». Alla vista del colore che avevano assunto le guance di Enora seppe di aver fallito un'altra volta. Portò una mano tra i capelli come faceva sempre sua madre quando era nervosa e cercò di pensare in fretta a qualcosa per recuperare quella situazione, il viso di lei però si era addolcito e lui preferì rimanere in silenzio a guardarla.
«Ero venuta ad allenarmi con Fayra, – disse la ragazza indicando l'animale legato poco lontano da lì – ma avete visto che tra me e i cavalli non ci potrà mai essere un buon rapporto». Aveva deciso di deporre l'ascia di guerra: le aveva salvato la vita anche in quella situazione, e pensò che forse avrebbe potuto insegnarle qualcosa su come maneggiare quelle belve.
«Voi vi intendete di guerra, avete le conoscenze di un guaritore e sapete domare i cavalli... vorrei imparare da voi ognuna di queste cose». Enora cominciò a sentire i battiti accelerarle nel petto senza capire perché fosse così in apprensione in attesa della sua risposta. Lui la fissò in silenzio per lunghi istanti, poi decise che non poteva continuare a mentirle.
«Non mi avete ancora chiesto il mio nome».
«Non mi importa saperlo, mi avete salvata per ben due volte e mi fido di voi». Notò però che quel ragazzo aveva un'aria molto angosciata, così gli disse di continuare se per lui rivelarle il nome avesse così tanta importanza; poggiò teatralmente il mento sulle ginocchia che aveva avvicinato al petto e gli fece cenno di procedere. Lui inspirò per darsi coraggio: quella poteva essere considerata la prova generale di ciò che avrebbe dovuto fare nelle prossime settimane.
«Mi chiamo Fabian e sono il principe della Terra Centrale».
Enora rise e lui si sentì ridicolo.
«I principi stanno al castello e non in giro vestiti di stracci».
Il giovane non aveva previsto un atteggiamento simile, così estrasse da sotto il mantello scuro la spada contrassegnata dallo stemma reale e gliela porse. Lei si avvicinò muovendosi con le mani sul terreno fangoso senza sapere se essere divertita o preoccupata, la prese con accuratezza e se la rigirò tra le mani.
«È un falso» concluse poi senza nessun reale motivo. Non se ne intendeva affatto di armi e stemmi, non conosceva nemmeno quali fossero quelli delle Terre di Holtre, ma l'assurdità di ciò che diceva quel ragazzo era sufficiente per farla dubitare. Si allontanò da lì senza distogliere lo sguardo da lui, cercando di trovare qualsiasi traccia che le desse un indizio che la aiutasse a decidere se iniziare a temerlo oppure no.
«Non sono un truffatore! – protestò offeso – Perché avrei dovuto mentirvi dicendovi di essere il principe della Terra che state combattendo?». Riprese bruscamente a sé la spada e la ripose dentro il fodero lontano da occhi indiscreti, la guardò quasi supplichevole ma gli occhi di lei si erano induriti di colpo e lo guardavano con una diffidenza che non riusciva a sopportare.
Enora si levò in piedi e gli puntò la spada in petto guardandolo dall'alto in basso.
«In tal caso, siete mio prigioniero» disse poi con una durezza e una convinzione che in realtà non provava. Non credeva ancora a una sola parola di ciò che gli aveva detto, e stava cominciando a temere che i loro incontri non fossero tanto casuali e che fosse solo un uomo assoldato per ingannarli. Fabian si alzò lentamente strisciando le spalle sul tronco su cui si era poggiato, poi si avvicinò cauto fino a quando la punta della spada puntata dritta davanti a lui non gli sfiorò il cuore. Non aveva paura.
«Io e voi siamo dalla stessa parte, Enora. Ho visto di cosa è capace mio padre e non voglio farne parte». Il principe allungò una mano sulla lama che non si era spostata di un solo millimetro, e la abbassò senza trovare resistenza.
«Non posso unirmi a voi perché mio padre mi cercherebbe e metterei tutti in pericolo, ma posso darvi delle informazioni importanti e fare in modo che non siate mai colti di sorpresa. Portami dal vostro capo».
Enora lo ascoltò con attenzione. Il respiro le si era affannato all'improvviso e la testa era d'un tratto diventata pesante. Non riusciva a decidere con quegli occhi piantati addosso che sembravano scrutarle l'anima. La storia del principe disposto a perdere tutto per la giustizia era bella, ma anche difficile da credere.
«Non sono una stupida». Senza preavviso gli sferrò un pugno sul naso sentendolo ripercuotere fino alla spalla ferita e lui cadde a terra colto di sorpresa. Prese Fayra dalle briglie e insieme a lei si incamminò nella direzione in cui sapeva esserci l'accampamento. Fabian la seguì subito dopo: non poteva assolutamente lasciare che finisse in quel modo, doveva ascoltarlo a qualunque costo; almeno lei doveva credergli.
Approfittò di un leggero nitrito del cavallo che la fece sobbalzare e la sorprese da dietro tappandole la bocca. Enora estrasse il pugnale che portava alla cintura e tentò di colpirlo su un fianco, ma la spalla le faceva ancora male e non riuscì a imprimere al movimento né forza né velocità, così per il principe fu facile fermarlo con la mano libera.
«Sono io, Enora. Vi ho salvato la vita, mi sono preso cura di voi e mi sono mostrato disarmato. Non potevo prevedere che non mi avreste riconosciuto, e ho rischiato parecchio la prima volta lasciandovi slegata».
La ragazza sentì il petto alzarsi e abbassarsi velocemente. Girò lo sguardo per quanto le fosse possibile e fissò i brillanti occhi verdi su di lui; i loro volti erano così vicini quasi da toccarsi, il fiato le scaldava il collo e la sua presa forte la teneva ferma. Si rilassò percorsa da brividi che avevano poco a che fare con il freddo e Fabian la lasciò andare. Il principe e la ribelle rimasero così uno di fronte all'altro, immobili e in silenzio.
Enora ricordò della perla che aveva perso il suo colore l'indomani della battaglia di Toras e sentì che il tempo stringeva e che lei si stava addossando una responsabilità enorme: fidarsi di lui e sperare per il meglio o lasciarlo andare con il rischio di perdere informazioni fondamentali.
«Dimmi cosa sai. – disse infine – Deciderò poi se portarti o no dal nostro capo».
Fabian buttò fuori l'aria che solo in quel momento si era accorto di trattenere e le raccontò tutto. Iniziò dal Concilio dei re, le rivelò i dubbi che non aveva confidato neppure al suo migliore amico, la rabbia impotente che lo aveva travolto ai piedi dei monti Nevos, l'intervento pochi giorni prima in cui le aveva salvato la vita e i piani di suo padre contro Kamal. Enora ascoltò stupita e con una punta d'orgoglio: in fondo Alec doveva avere un po' paura degli Elyse per comportarsi in quel modo.
Erano informazioni preziosissime ma potenzialmente tutte false, eppure in qualche modo sentì di potersi fidare di lui. Gli porse delle bende che aveva preso l'abitudine di portare sempre con sé e gliele fece mettere intorno alla testa e agli occhi: in questo modo non avrebbe rivelato la sua identità e non avrebbe nemmeno visto la strada che avrebbero percorso. Lui non si oppose, posò una mano sulla spalla sana e in questo modo si fece guidare per diversi minuti.
Senza poter vedere dove stava andando ogni altro senso venne ampliato: il tocco delicato sul corpetto di lei, sotto il quale riusciva a immaginare perfettamente il candore della pelle chiara, l'odore del suo respiro che si mischiava con quello della terra, e il rumore delle foglie e dei rami spezzati che era diventato quasi assordante nel silenzio che c'era tra loro.
Era l'ottavo giorno dello stanziamento a Toras, e tra due giorni avrebbero dovuto smontare l'accampamento per dirigersi chissà dove, c'era molto movimento e certamente lei non passò inosservata.
«Ti spiegherò tutto dopo. Dimmi dov'è il capo, devo portargli informazioni molto preziose». Noor, che era semi disteso sul terreno con un'ingombrante fasciatura attorno al ventre, gli indicò perplesso la direzione in cui andare, fissando di sottecchi l'alto ragazzo dietro di lei.
Fu facile individuare il generale così grande e robusto mentre spaccava dei tocchi di legno con un'ascia.
«Dobbiamo parlare in privato».
Ares si voltò verso la ribelle e squadrò il ragazzo con gli occhi coperti, poi gli indicò con un pollice una tenda vuota dietro di lui, diede ordine affinché nessuno li disturbasse e li seguì là dentro.
«Questo ragazzo ha delle informazioni preziose e ho ritenuto importante portarlo da te. – iniziò Enora senza preamboli – L'ho bendato in modo che non possa ricordare né la strada né le facce dei soldati».
L'uomo annuì soddisfatto, poi disse al principe di rivelare tutto ciò che sapeva, e rimase ad ascoltare con il volto teso e preoccupato.
«Voi vorreste che ci mettessimo in viaggio in una missione suicida verso Sansea? – disse poi con aria contrita portando una mano chiusa sotto il mento e cominciando a camminare avanti e indietro in quell'angusto spazio – Non siamo numerosi: non saremmo in grado di aiutare il Re Kamal a fermare l'Armata Nera».
Era il momento di rischiare tutto, Fabian fece un breve respiro e mentì.
«Ho già un accordo con Re Seamus, lui sarà lì. Con il suo esercito, il vostro e quello di Kamal non avrete nessuna difficoltà e potrete sconfiggere Alec».
«Il re si unisce alla guerra? Come potete dimostrare una tale affermazione?». Ares era sorpreso e non si sforzava di nasconderlo.
«Temo che dovrete fidarvi solo della mia parola».
Il generale pensò qualche istante, era l'occasione che aspettavano da anni.
«Come avete fatto a sapere che Enora fa parte della resistenza? Ci avete seguiti?»
«Ero presente alla battaglia e le ho salvato la vita».
L'uomo guardò Enora e lei annuì.
«Non appena sono entrato in possesso di queste informazioni ho deciso di tornare qui sperando che non ve ne foste già andati. Vi prego di credermi se vi dico che avrei molto da perdere».
Quella situazione era paradossale. Ares stava parlando con qualcuno di cui non conosceva nemmeno l'identità, bendato, senza nessuna garanzia sulle sue intenzioni né sulla veridicità di ciò che stava dicendo. Ogni singolo elemento lo portava razionalmente a non credergli, a strappargli di dosso quelle stupide bende e vedere chi si celava dietro parole così pericolose, eppure era una situazione troppo ghiotta per lasciarsela scappare; se quel ragazzo aveva detto la verità, gli Elyse avrebbero potuto avere delle importanti opportunità di vittoria.
«Enora, lasciami solo con lui».
Lei lo guardò spaventata. Forse Ares non aveva intenzione di accettare, forse non si sarebbe fidato. Vide Fabian stringere i pugni nervoso, ma non aveva molta altra scelta. Si allontanò senza dire nulla e attese fuori con i battiti di cui non riusciva più a tenere il conto.
Non seppe mai cosa si dissero, ma quando il principe uscì seguito dal primo generale, non ci mise molto a capire che gli aveva rivelato la sua identità: le bende non erano come le aveva sistemate.
«Ci vediamo a Sansea, partiremo subito». Fu l'unica cosa che gli disse l'uomo per congedarlo, senza lasciare trasparire nessuna emozione.
Fabian ed Enora percorsero a ritroso la strada di poco prima, di nuovo in silenzio, e solo quando arrivarono nella radura in cui avevano lasciato i cavalli gli tolse delicatamente la mano dalla sua spalla e lo aiutò a sciogliere le bende che aveva ancora attorno al viso. La prima cosa che il principe vide dopo quel periodo di cecità furono un paio di occhi di un verde così intenso da togliergli il fiato.
«Perché prima di ora nessuno si è mai ribellato a vostro padre?» gli chiese allontanandosi in fretta.
«I villaggi che attacca sono sempre al confine con le Terre Escluse e si nasconde dietro l'inettitudine degli altri sovrani che non intervengono, dicendo che se non agisse lui la regina Minerva invaderebbe Holtre. Seamus è troppo legato alla pace e vuole mantenerla anche a costo di perdere qualche villaggio, Marvin è troppo codardo per ribellarsi, Rotghar non aveva nessuna possibilità di affrontarlo da solo, mentre Teodor non era mai stato attaccato direttamente e quindi non aveva alcun interesse a cambiare le cose».
«Vostro padre è molto furbo, sembra abbia pianificato ogni cosa».
«Lui è solo un vigliacco. Si nasconde dietro inganni e omicidi per raggiungere i suoi scopi, ma ora che Teodor e Rotghar sono morti e Seamus e Kamal stanno reagendo, le cose cambieranno qui. Io non sono come lui».
«Lo so» disse la ragazza di getto. Le sue labbra accennarono il primo sorriso da quando si erano incontrati diverse ore prima e Fabian si sentì meglio.
«Perché vi siete offerta di proteggermi?»
Enora aveva agito d'impulso, ma ora sapeva che cosa l'aveva mossa a parlare.
«Perché mi fido di voi».
Quelle semplici parole ebbero il potere di riscaldare il petto del principe come un fuoco in pieno inverno. Forse non era tutto perduto, forse era ancora in tempo per redimersi da tutti gli orrori commessi in nome di suo padre.
Ricambiò il sorriso con tutta la sincerità di cui era capace, si avvicinò al suo stallone e vi salì sopra con un solo balzo. La parte difficile del suo piano doveva ancora arrivare, non poteva perdere altro tempo. Enora accennò goffamente una riverenza.
«Vi insegnerò presto come si fa» disse lui con il cuore incredibilmente più leggero. Enora arrossì imbarazzata pensando a come l'avesse incontrato quella mattina e fece per andarsene, ma la voce del principe la fece fermare.
«Non mi avete ancora detto della vostra collana».
«Salvatemi la vita ancora una volta e vi prometto che vi dirò tutto ciò che volete sapere».
Fabian rise e spronò il suo stallone, cavalcando verso Rhowar.
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