Capitolo 13: Parte I - La furia della guerra

Arkara era su un carro da due giorni ormai, e non riusciva a smettere di pensare.

Le giornate alla Resistenza erano davvero pesanti e la sera si era così stanchi da non voler far altro che dormire e riposare finalmente i muscoli. Aveva immaginato quanto potesse essere difficile, e già dal momento del suo arrivo le era stato subito chiaro che avrebbe dovuto faticare oltre ogni immaginazione: vivere quell'esperienza era una dura prova sia per il corpo che per la mente.

Quando aveva raggiunto la base degli Elyse, dopo la partenza da Olok, era stata fatta sedere sul terreno insieme al gruppo di altri ragazzi che aveva viaggiato con lei, e avevano aspettato un tempo infinito prima che Ares e Nahil, il primo e il secondo generale degli Elyse, li chiamassero uno per volta per iniziare a interrogarli.

Erano domande continue, mirate, specifiche, che avevano l'obiettivo di scardinare ogni minimo dubbio sulla veridicità di ciò che ascoltavano e lei, sotto l'onda incessante di domande, si era ritrovata presto a raccontare ogni cosa della sua vita e di quello che sapeva, e persino a parlare della ricerca che sentiva essere chiamata a fare. Non lo aveva confidato a nessun altro se non ai suoi genitori.

Dopo quelle che le erano parse ore, infine, era poi stata mandata senza ulteriori cenni insieme agli altri ribelli per aiutare a montare l'accampamento in cui avrebbero vissuto per un breve periodo. Si spostavano ogni dieci giorni, e solo Ares e suo fratello Nahil, il secondo generale che si occupava di addestrare le nuove reclute, erano a conoscenza della destinazione.

Viaggiavano su carovane non sempre comode spacciandosi per mercanti, e sostavano sempre su ampie radure deserte, così da poter tirare fuori gli strumenti per allenarsi sotto la guida attenta dei due generali.

Erano molti i giovani che come lei vedevano negli Elyse una nuova speranza per sferzare il potere sempre più opprimente che Alec cercava di imporre, e aveva notato con estremo piacere di non essere l'unica donna a voler imparare l'arte della guerra. Moltissime ribelli, infatti, padroneggiavano con grande maestria spada, spade a due mani, archi e talvolta persino asce, rendendosi indispensabili in più di un'occasione.

La maggior parte di loro, tuttavia, faceva parte dei sacerdoti e dei guaritori che correvano continuamente da una parte all'altra dell'accampamento e che si scapicollavano con quel poco che avevano, nel tentativo di preservare la vita all'interno del campo.

Breit l'aveva preparata a tal proposito, le aveva spiegato le ferite più frequenti che probabilmente avrebbe subito anche lei nei primi giorni di allenamento, per terminare con quelle più gravi descrivendole con una dovizia di particolari assolutamente non richiesta.

Sin dal suo primo giorno si era dedicata anima e corpo per imparare l'arte della spada decentemente, ma era molto più difficile di quanto avesse creduto e dovette presto ammettere che Breit aveva avuto assoluta ragione sotto ogni punto di vista.

Nahil non risparmiava di colpire neppure i novellini come lei e si era ritrovata più volte con la faccia a terra e l'orgoglio sotto i piedi, costretta a impugnare nuovamente quella dannatissima elsa che le stava causando i suoi primi calli alle mani, e a ignorare l'urlo dei lividi che aveva già collezionato su tutto il corpo.

«Almeno adesso siamo certi di quale sia l'arma più adatta a te» le aveva detto Nahil, dopo che ebbe mandato a segno il suo primo affondo colpendola a una spalla. Lei aveva subito gonfiato il petto d'orgoglio e tirato su col naso con aria fiera, provocando la risata ilare di Breit.

«Beh, dopo la totale disfatta della spada a due mani e dopo aver appurato l'impossibilità di una carriera da arciere, erano poche le scelte rimaste per combattere» le aveva detto l'amico con sarcasmo senza smettere di ridere.

Lei lo aveva guardato di sottecchi, senza però riuscire a nascondere il sorriso che le si era dipinto in viso e, per tutta risposta, aveva rivolto a lui la punta dell'arma piegando l'indice avanti e indietro per sfidarlo. Il ragazzo dagli occhi scuri e il sorriso professionale aveva saltato la staccionata con un solo balzo, aveva preso lo spadone che il generale gli aveva consegnato con finta cerimonia e l'aveva atterrata in poche mosse, senza nemmeno versare una goccia di sudore.

L'aveva obbligata a terra con un ginocchio sul petto affannato e il taglio della lama a un palmo dal collo. Lei aveva poggiato un dito sulla piccola ferita che era riuscita a infliggerli sulla spalla e poi, con una spinta, si era liberata dal suo peso.

«Te l'avevo detto che la spada è fatta apposta per te» le aveva detto osservando con aria critica la sottile linea di sangue. Arkara aveva accettato il suo aiuto per rimettersi in piedi e aveva dovuto ammettere che aveva avuto ragione anche in quell'occasione.

La sua corporatura esile, infatti, era perfetta per i movimenti eleganti e precisi che si potevano compiere con quell'arma lunga circa ventiquattro pollici, e aveva anche scoperto che le spade di fanteria erano molto più leggere di ciò che credeva, scoprendosi piuttosto abile nell'orchestrarne i movimenti come un naturale proseguimento del suo braccio. Lo stesso, invece, non si poteva certo dire delle altre armi che aveva provato a usare e che le avevano provocato numerosi lividi e diverse attenzioni da parte dei guaritori, nonché una massiccia dose di pessime figure.

Il suo umore era però notevolmente peggiorato quando, pochi giorni dopo, Breit ed Etios andarono via. Il ragazzo le aveva confidato che dalle rive del fiume Los, in cui si trovavano in quel momento, al confine sud tra la Terra Centrale e la Terra del Pesce, avrebbe cavalcato verso est in direzione del mare per giungere alla cittadina di Gergovia, di cui era originario, per andare a trovare i suoi genitori.

«Non li vedo da molto tempo. – le aveva detto con aria sconsolata – E prima di tornare a Olok chiederò a Etios di accompagnarmi fin lì... almeno per dirgli che sono ancora vivo».

Lei gli aveva poggiato una mano sulla spalla ma lui l'aveva fermata prima che potesse dire qualcosa e si era scrollato di dosso la sua stretta e tutti i cattivi pensieri.

«Dopo tutto quello che ho fatto per lui in questi anni, – aveva aggiunto riappropriandosi della sua solita aria professionale – direi che una gita al mare me la merito». Il sorriso che aveva seguito le sue parole era stato più triste di ciò che avrebbe voluto dare a vedere, e poi aveva raggiunto l'imponente uomo dal pizzetto scuro che lo stava aspettando su un carro poco distante da lì.

«Buon viaggio» aveva detto Arkara rivolta a entrambi, ed era rimasta stupidamente in piedi fino a quando non li aveva visti sparire oltre gli alberi.

E adesso era lì, quasi un mese dopo, seduta su un tronco immenso poco lontano dall'arena degli allievi che avevano montato subito dopo il loro arrivo.

La nebbia che la avvolgeva completamente e che non si era ancora dissipata nonostante la pioggia della notte precedente, le fece pensare assurdamente a Enora e a quando una volta si erano perse nel bosco durante un temporale come quello che si era abbattuto sul campo poche ore prima, e si sentì quasi in colpa per non aver pensato a lei fino a quel momento. Avrebbe voluto che fosse lì con lei per chiederle come stava, per sapere se Noor le avesse parlato di lei, per dirle finalmente tutta la verità, per...

«Stai bene?». La voce preoccupata di una giovane recluta dalla faccia pulita la fece tornare al presente, accorgendosi di essersi rannicchiata su quel pezzo di legno.

«Sì, devo solo abituarmi» rispose lei con il suo migliore finto sorriso, poi si alzò come se fosse stata punta dalle spine e si allontanò con la mano destra convulsamente stretta attorno l'elsa della spada che portava ormai costantemente legata alla cintola, dirigendosi verso un gruppo di carri che stava raggiungendo l'accampamento.

Enora e Noor erano in viaggio. Il gruppo aveva appena cambiato la sua posizione, ed erano stati costretti a modificare la tabella di marcia proprio in mezzo al deserto ai confini est della Terra del Leone.

Etios e Breit viaggiavano con loro: dalla morte della regina non si erano praticamente fermati un solo attimo, e avevano continuato a fare avanti e indietro tra Olok e le varie cittadine del Regno rifornendo gli Elyse di donne e uomini dalle diverse provenienze.

In quel momento, il giovane biondo dal sorriso professionale stava beatamente dormendo con la guancia poggiata su una delle pareti legnose del carro coperto su cui stavano viaggiando, spalancando la bocca a ogni movimento brusco che il cocchiere faceva fare a quel rudimentale mezzo di trasporto. Etios, che i fratelli Barker avevano scoperto da poco essere loro zio e che non avevano mai incontrato prima, gli stava invece spiegando per filo e per segno tutto ciò che avrebbero dovuto fare una volta arrivati al cospetto dei generali, istruendoli persino sulle vecchie glorie che negli anni si erano succedute nel gruppo e delle più importanti battaglie che avevano vinto.

Mostrò con orgoglio la cicatrice che gli percorreva una grossa porzione sinistra del viso unendo con una linea bianca e irregolare la fronte e lo zigomo, e che per pura fortuna non gli aveva cavato un occhio.

«... e appena quell'uomo enorme ha calato la sua ascia su di me, io ho abilmente evitato che mi tranciasse in due la testa, cavandomela soltanto con una ferita di poco conto, così che...»

«Abbiamo raccontato tutto a nostro padre» proruppe Enora all'improvviso come se non riuscisse più a trattenersi, interrompendo l'interminabile soliloquio di Etios che comunque non stava ascoltando, persa nel ricordo dell'incontro che aveva avuto con Danker quando lui e Noor l'avevano raggiunta al Colle della Luce.

Suo padre l'aveva abbracciata incredulo non appena si era accorto che lei lo stava guardando, e si erano stretti in un abbraccio che diceva più di mille parole. Lei l'aveva osservato a lungo: voleva imprimere nella memoria ogni dettaglio del suo viso per portarlo con sé in quel lungo viaggio che doveva affrontare.

Etios troncò la frase a metà con un braccio teatralmente alzato a riprodurre la cruenta scena di guerra, e cercò di mantenere un'espressione neutra sebbene una vena sul collo avesse cominciato a pulsargli tanto da sembrare sul punto di esplodere.

«Vi avevo detto di non farlo. Danker non capisce» disse invece, con una calma spaventosa.

«Ha capito, invece. Non vi parlate da anni e non potete più sapere come la pensa».

Lui la fissò come se con lo sguardo volesse trasmetterle molte più cose delle parole che stava per rivolgerle.

«Anni fa ha avuto la sua possibilità di scegliere, e ha detto no. Tutte le mie esperienze mi hanno insegnato che le persone non cambiano; possono imparare a nascondere i loro lati peggiori, al massimo smussarli, ma non saranno mai in grado di sopprimerli del tutto».

Conclusero il viaggio in silenzio, giungendo in una radura quasi completamente ricoperta dagli alberi nel bel mezzo della costruzione dell'accampamento. Era un buon posto per nascondersi ma Breit, che si era svegliato da poco e aveva ancora gli occhi stropicciati dal sonno, biascicò una serie di lamentele notando che la nebbia non avrebbe permesso di trovare i posti più strategici in cui collocare i vari reparti del campo che stava ancora prendendo forma.

A quanto pareva erano arrivati insieme a tutti gli altri ribelli e, nonostante il sole non fosse altro che un ovale pallido nei confini più bassi del cielo, tutti gli Elyse lavoravano di gran premura per montare la tenda dei feriti e affondare i paletti di confine nell'arena degli allenamenti.

La voce familiare di una ragazza fece voltare Enora e un sorriso enorme le si dipinse in volto mentre si avvicinava a un'esile figura dai capelli rossi che la chiamava a gran voce, immersa in una coltre di nebbia.

«Enora! Sei qui! – disse quella, staccandosi dall'abbraccio in cui aveva imprigionato l'amica ancora prima che scendesse completamente dall'ammasso di legno e paglia su cui aveva viaggiato – Pensavo che non ti avrei rivista mai più». Arkara si voltò verso Noor e inaspettatamente abbracciò anche lui.

«Mi sei mancato» disse stringendolo forte.

«Anche tu, testa dura» rispose lui, ricambiando la stretta un po' impacciato.

La ribelle rivolse poi un sorriso verso il sonnecchiante Breit, il quale allungò un braccio per cingerle le spalle.

«Vedo che Nahil non ti ha ammaccata troppo» le disse poi trattenendo uno sbadiglio.

«Oh, vedrai, non riuscirai più ad atterrarmi come prima!». Risero entrambi, e solo in quel momento Arkara si accorse che la sua amica dagli occhi verdi non solo indossava una meravigliosa collana di perle, ma che la stava guardando.

«Credo che tu debba darmi delle spiegazioni» disse perplessa avvicinandosi a lei. Enora, dal canto suo, riusciva a stento a trattenere l'eccitazione e portò una mano al gioiello che le contornava il collo pronta a raccontarle ogni cosa.

«CI ATTACCANO! CI ATTACCANO! Prendete le armi, sono arrivate le guardie del Re!». Un giovane soldato corse ansimando per tutto il campo gridando il pericolo che stava per raggiungerli.

Breit, ormai completamente vigile e attento, recuperò una spada dal carro dietro di lui e la sguainò con un gesto repentino.

«È meglio che torni dentro, non è prudente per te».

«Io voglio combattere» affermò Enora con voce tremante, più per senso del dovere che per reale volontà.

«Non dire stupidaggini, non è un gioco. Qui la gente muore! Torna sul carro e non protestare». Aveva perso il suo solito sorriso affabile, la guardava con aria seria e aveva alzato la voce. Enora si lasciò intimorire dal tono di voce aspro con cui aveva parlato e sentì le gambe cederle non appena il clangore delle armi si fece più intenso, così calò mesta la testa decidendo che non era il momento di fare i capricci.

«Noor, – aggiunse il ribelle dando le spalle alla ragazza – tu invece dovrai fare subito esperienza sul campo: trova una spada e seguimi».

«State attenti» riuscì a urlare Enora prima che Noor, Arkara e Breit si addentrassero nella battaglia.

Poggiò la schiena all'interno di uno dei carri che trasportavano armi e viveri per i ribelli, si rannicchiò su sé stessa e tappò le orecchie per evitare di sentire le urla di dolore di tutte quelle persone che stavano morendo a un passo da lei. Era paralizzata dal terrore, talmente sopraffatta dalla paura da non riuscire a respirare; eppure, ciò che avrebbe udito da lì a breve avrebbe avuto il potere di riscuoterla completamente.

«NOOR, NO!»

Sentire la voce di Arkara che chiamava suo fratello fu come ricevere un pugno dritto sullo stomaco. La paura per sé stessa scomparve completamente e anche le gambe smisero di tremare: tutto ciò che contava in quel momento era salvarlo. Si lasciò guidare dall'istinto agendo senza pensare, prese una pettorina e una delle spade accatastate nel carro e in una manciata di secondi si catapultò nel campo di battaglia.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top