Capitolo 11: L'incoscienza di Teodor
Dopo la fine della riunione i sovrani si diressero nelle proprie stanze senza riuscire a scrollarsi di dosso tutta la tensione che avevano accumulato. Teodor, dal canto suo, era letteralmente sgattaiolato via prima di chiunque altro per evitare che qualcuno gli rivolgesse la parola, con una furia addosso che non aveva eguali.
Come aveva osato Alec minacciarlo in quel modo? Con quale coraggio, con quale sfrontatezza! Se pensava di averlo spaventato si sbagliava di grosso, lui era uno dei sovrani di Holtre, diamine, non l'ultimo dei ragazzini entrati in Accademia!
Spalancò la porta dei suoi alloggi con una manata trattenendosi a stento dal non prenderla a calci e maledisse la sua vecchiaia. Adesso aveva una mano dolorante.
«E tu portami qualcosa per aiutarmi, invece di stare lì impalato a fissarmi!». Il re aveva inveito contro uno dei servi che si era portato dietro dal castello di Sansea, la capitale della Terra del Pesce, e che era lì per preparargli il bagno prima della cena. Questi, vedendoselo arrivare addosso come una furia e abituato a tutte le conseguenze dei suoi momenti di ira, si era prontamente spostato dalla sua traiettoria e si era precipitato verso uno dei bauli che aveva trascinato dalle stanze private di Sua Maestà a Sansea.
Da lì, prese sapientemente delle bende che immerse nell'acqua fredda che non aveva ancora scaldato sul fuoco per il bagno, e le assicurò ben strette attorno al palmo del sovrano.
Teodor non lo degnò di uno sguardo e lo cacciò via malamente non appena quello finì il suo lavoro, per potersi finalmente spogliare di tutti quegli abiti sontuosi e sprofondare nell'acqua pulita. Pensò a come lo avrebbe guardato Leonore, sua moglie, se fosse stata ancora viva e si ritrovò a sorridere con l'acqua che gli arrivava al naso. Adesso era molto più calmo di prima.
Dopo essere uscito dalla Sala del Concilio in cima alla torre, Alec si diresse verso le cucine del Real Castello con passo svelto e un'aria febbricitante.
«Annullate i preparativi per la cena di stasera» urlò, per sovrastare il baccano tipico di una cucina che lavora di gran fretta. Le cuoche sobbalzarono tutte per la sorpresa di vederlo alle soglie della loro umile cucina, senza il minimo preavviso; il re non era mai stato in quella parte del castello, molte di loro non lo avevano mai neppure visto di persona, di solito era Angus a portare loro tutte le sue decisioni.
Si udì solo qualche brontolio sommesso dalle donne che erano più in fondo e che il re non avrebbe potuto vedere, e poi calò il silenzio come se all'improvviso quella dozzina di domestiche fosse completamente sparita. Nessuna avrebbe mai avuto il coraggio di dire qualcosa al Sommo Sovrano.
Alec concesse loro uno dei suoi sorrisi più soddisfatti e poi si incamminò in direzione della Sala del Trono e fece convocare il suo primogenito, Fabian.
Il principe si presentò al padre impeccabile come sempre. Aspettò che i soldati di guardia aprissero per lui l'elegante porta levigata che lo avrebbe condotto in una stanza circolare al centro esatto di tutto il castello, e camminò lungo il pavimento di pietra con un braccio regalmente piegato dietro la schiena.
«Se posso permettermi, padre, perché avete interrotto i preparativi per la festa?» chiese poggiando un pugno e un ginocchio davanti al trono che un giorno sarebbe stato suo. Alec gli dava le spalle, impegnato a guardare fuori dall'enorme balcone che attraversava gran parte del secondo piano del suo palazzo, esattamente sopra le sue stanze private, e da cui poteva osservare l'intera città dall'alto, come fanno le aquile con le loro prede.
«Ho in mente un piano per schiacciare quegli avanzi di galera degli Elyse, e mi serve il tuo aiuto».
Il principe alzò la testa e lo guardò mentre occupava il posto che gli spettava su quello scranno ricoperto di pelle rossa e ornato da centinaia di pietre preziose; era rimasto incantato diverse volte, da piccolo, a osservare come i raggi del sole che entravano dal balcone alle sue spalle lo facessero risplendere dei colori dell'arcobaleno.
«Dovrai arrestare i sovrani delle quattro Terre» disse Alec con una scintilla di follia negli occhi, mentre quelli neri del principe si spalancavano dalla sorpresa.
«Che avete intenzione di fare?»
Il re sorrise. Ci aveva riflettuto, il momento perfetto non sarebbe mai arrivato, non con quei sovrani che litigavano in continuazione; bisognava agire subito.
«Ti fidi di me?»
«Ciecamente» rispose il figlio abbassando lo sguardo, poi si alzò e legò i capelli scuri e lisci in un codino com'era solito fare prima di una missione.
La verità, però, era che quella richiesta lo aveva stupito più di quanto immaginasse. Non era una delle solite manovre per fermare la Resistenza o respingere gli invasori delle Terre Escluse; tuttavia, le scelte di suo padre erano sempre state così argute e precise, e non avrebbe di certo cominciato a dubitare di lui proprio in quel momento. Aveva qualcosa in mente e si era fidato di lui per portarlo a termine, e adesso non doveva deluderlo.
«Angus! Angus! Vieni fuori!».
Il servo gli comparve immediatamente dietro.
«Desiderate, principe» disse con un inchino. Fabian quasi sussultò: solo lui aveva la capacità di comparire e scomparire in perfetto silenzio.
«Va' a chiamare Kryss, digli che abbiamo una nuova missione e che deve portare con sé i rinforzi. Stavolta non basteremo solo io e lui».
Angus ripeté un leggero inchino per poi sparire immediatamente.
Il principe e il suo battaglione si diressero verso l'ala est del castello dove alloggiavano i sovrani, fecero sgomberare completamente il piano e li presero con la forza senza preoccuparsi di fargli del male. Furono incatenati e scortati nelle segrete mentre continuavano a urlare, vennero trascinati attraverso piccole porte fino alla torre est del Real Castello, li fecero scendere per ripide scalinate e poi li gettarono in una piccola cella ricoperta di paglia, illuminata da una minuscola feritoia sbarrata posta in alto da cui si vedeva il tramonto.
«Ma che sta succedendo?!» urlò Teodor furibondo cercando di togliersi le pesanti catene ai polsi.
«È inutile tentare, non riuscirete mai a scrollarvele di dosso». Rotghar era all'angolo della cella e guardava la luce che si rifletteva sul pavimento.
«Non saranno delle stupide catene a trattenermi! Alec, se mi senti, questa non la passerai liscia!». Il sovrano della Terra del Pesce si era accanito contro le sbarre della cella e continuava a sgolarsi.
«Sta' zitto, dannazione!». Marvin aveva smesso di tormentarsi i polsi e le caviglie e ora voleva solo stare in silenzio a pensare come uscirne fuori.
«Calmiamoci, urlare non servirà a nulla, piuttosto pensiamo assieme a una soluzione».
«Tu riesci a stare calmo, Seamus? Siamo dei re, diamine, e siamo rinchiusi nelle segrete come dei criminali!». Il vecchio re riprese a sbraitare contro le sbarre della cella fino a quando dei soldati, con la punta della spada, non lo costrinsero a indietreggiare e andare in fondo.
Da dietro quegli uomini comparve il sovrano della Terra Centrale con un sorriso trionfante. Quando entrò, Teodor scattò per uscire fuori ma una delle guardie lo colpì alla spalla con l'elsa della spada, facendolo cadere a terra dolorante. Fabian, che aveva accompagnato il padre fino a lì, assistette a quella scena con una certa apprensione e un leggero sgomento per ciò che il re stava permettendo di fare.
«Non vi conviene tentare la fuga» ghignò Alec guardandolo dall'alto con un sorriso quasi famelico, ma il vecchio re non riuscì a stare in silenzio.
«Ma che vuoi fare, eh? Credi che nessuno si accorgerà che mancano i sovrani delle quattro Terre? Credi che nessuno verrà a cercarci? La pagherai cara per questo affronto, te lo posso assicurare!»
Alec lo guardò quasi con compassione, come si guardano i mendicanti.
«Prima di sei giorni nessuno verrà a cercarvi, e per quel tempo non avrete neppure la forza per implorare pietà. Ve lo posso assicurare».
«Noi siamo il futuro di questa Terra, non avete il diritto di tenerci qui!»
Il Sommo Sovrano uscì e li guardò da oltre le sbarre, rivolgendosi al giovane re.
«Ecco come è ridotto il futuro di Holtre! Chiuso in una cella a elemosinare libertà! Siete il più giovane e ingenuo tra noi, Rotghar, e imparerete presto che i vostri ideali non servono a nulla. La gente non vuole giustizia e pace, vuole solo arricchirsi e vivere bene. Vi basta solo questo per avere il loro favore, ed è questo ciò che ho intenzione di fare». Rise ancora e gli voltò le spalle dirigendosi verso l'uscita. Il principe seguì la schiena dritta del padre con la testa china, portando solo una mano ai capelli che non gli superavano le scapole e sciogliendo il nastro che li teneva legati.
I sovrani passarono i due lenti giorni seguenti a discutere tra di loro e a litigarsi per pezzi di pane raffermo, Seamus cercava sempre di mettere calma tra i regnanti, ma anche lui cominciava a temere la fine di quella storia.
«Dobbiamo trovare un modo per andarcene di qui» disse all'improvviso mentre Teodor e il giovane Rotghar discutevano, come al solito.
«Quale brillante intuizione, Seamus! Credi forse che mi diverta a marcire qua dentro?» sbottò il vecchio re lasciando perdere il ragazzo. Il re del Leone non rispose, tornando ai suoi pensieri.
Il terzo giorno il Sommo Sovrano comparve improvvisamente davanti l'angusta cella dove si trovavano i quattro regnanti della Terra di Holtre, li osservò con disprezzo e cominciò a parlare da dietro le sbarre.
«Voglio darvi una possibilità per uscire di qui. Non sia mai che si dica in giro che il Sovrano della Terra Centrale non sia ospitale».
«Cosa volete da noi» disse Seamus in tono tagliente avvicinandosi a lui.
«La cosa che avete più cara al mondo. Le vostre Terre».
Teodor scattò in avanti, e Alec dovette allontanarsi per non lasciarsi afferrare dalle sue sudicie mani.
«Tu non avrai niente da me! Niente!»
Seamus lo prese dalle spalle e lo riportò dagli altri intimandogli di stare in silenzio.
«Perché dovremmo darvi le nostre Terre?» disse poi rivolto nuovamente al re, fingendo calma e freddezza.
«Perché altrimenti non riuscirete a vedere il tramonto».
«Non sei che un vile ricattatore!» urlò Teodor cercando di liberarsi dalla stretta degli altri sovrani.
«State calmo, dannazione! Volete farci uccidere tutti?!»
«Marvin, ma che ti prende! Siamo dei sovrani: siamo le persone che contano di più in questa dannata Terra! Abbiamo migliaia di uomini pronti a morire per noi, e tu hai paura di uno solo?»
«Adesso i nostri uomini non possono esserci d'aiuto» lo interruppe Rotghar.
«Chiudi il becco, ragazzino».
Il giovane re aprì la bocca per ribattere ma Alec aveva preso a ridere di gusto a quella scena e tutti si voltarono verso di lui.
«Vorrei rimanere qui a guardarvi mentre litigate, ma ho un enorme regno da mantenere. Tornerò domani per stipulare il nostro accordo». Si allontanò dalle celle con un ghigno stampato in volto, e lasciò gli altri sovrani da soli con gli occhi bassi e un'espressione contrita dipinta sui volti.
Seamus prese posto in uno degli angoli della cella e cercò di concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse il lancinante dolore alla gamba. Si isolò dallo squittio dei topi, dai lamenti degli altri prigionieri nei corridoi attigui e dalla voce gracchiante di Teodor che continuava a inveire contro le sbarre della cella, e si concentrò per trovare una soluzione che non li avrebbe fatti ammazzare. Alec era un ottimo stratega, ma lui non era da meno.
«Dobbiamo fare ciò che dice e tornare a casa, poi potremo organizzare una coalizione interna e cercare cavilli a cui opporci per riprenderci in mano i nostri regni. Dovremmo essere convincenti e, soprattutto, dovremmo essere pazienti: potrebbe volerci molto tempo prima di risolvere questa situazione».
«Ma che cosa hai per il cervello?! Io non darò mai la mia Terra a quel farabutto!»
«Preferite morire, Teodor?»
Il re della Terra del Leone aveva ragione, ma il vecchio sovrano non riusciva a rassegnarsi a perdere la propria Terra, a cedere il proprio denaro e, più di tutto, lasciare i suoi figli senza il futuro che gli spettava di diritto. Doveva pur esserci un altro modo per uscire da quella situazione. Anche il sovrano dello Scorpione stava in silenzio a pensare, e man mano che passava il tempo si rendeva sempre più conto che quella di Seamus era la scelta migliore.
«Non possiamo arrenderci così. Le nostre Terre sono un prezzo troppo alto» disse Marvin in tono di resa, interrompendo il silenzio che gravava nella cella già da qualche ora.
«Ho ancora tanto da fare per il mio popolo e ho ancora tanto da dimostrare a mio padre. Io non voglio morire». Rotghar, più cupo che mai, guardava il sole tramontare.
«Nessuno lo vuole, ragazzo». Teodor aveva perso il suo solito fare litigioso, e mostrava le debolezze di un uomo che ormai vedeva il tramonto della propria vita. Il giovane dagli occhi chiari si stupì dell'incredibile umanità che gli suscitò la vista del vecchio re accucciato sulla paglia con gli abiti lerci.
«Nessuno morirà. Ho pensato molto e so come uscire da questa situazione, ma dovete firmare quell'accordo». Il sovrano della Terra del Leone aveva fatto appello a tutte le sue esperienze da stratega risalenti a quando era generale e scendeva ancora in battaglia con i suoi uomini, prima di quel terribile incidente che lo costringeva a palazzo da cinque anni. Portò istintivamente la mano alla gamba e sentì legno duro sotto le brache di stoffa rossa. I ricordi riaffiorarono dolorosi, ma non si sarebbe arreso a quella sofferenza. Non questa volta.
Erano cinque giorni che i sovrani vedevano l'alba dall'interno della cella umida e buia, attraverso quell'unica piccola finestra che permetteva loro di respirare aria pulita. Stando a quanto aveva detto Alec, quel giorno sarebbero stati liberati e avrebbero dovuto stipulare un accordo che avrebbe lasciato sotto il suo completo potere le loro Terre. Il vecchio Teodor non aveva ancora cambiato idea ed era deciso a non firmare: trovava un insulto il comportamento del sovrano verso di loro, non poteva sopportare un affronto come quello, i suoi princìpi glielo vietavano. Non lo poteva accettare, e aveva fieramente deciso che non si sarebbe piegato alla volontà di Alec.
Quando il sole fu abbastanza alto in cielo, illuminando i quattro uomini stanchi e affamati, una decina di guardie si collocarono davanti alle sbarre in metallo.
«Ci è stato ordinato di portarvi nelle vostre stanze per darvi una ripulita. Quando avrete finito vi accompagneremo nella Sala del Concilio, dove troverete il Sommo Re ad attendervi».
Quando i sovrani vennero scortati nella Sala del Concilio, Alec era seduto al centro del tavolo e davanti a lui aveva fatto posizionare quattro sedie. Un uomo calvo e leggermente claudicante stava instabilmente in piedi al fianco del re, tenendo stretti sotto braccio dei rotoli di carta.
«Benvenuti, cari Sovrani. Mi dispiace avervi fatto passare questi terribili giorni in cella, ma sicuramente vi sarà stato d'aiuto per riflettere meglio. Sedetevi, così vi spiegherò gli accordi che faremo».
I quattro presero posto attorno al tavolo senza osare incrociare lo sguardo di nessuno dei presenti, e si accomodarono nel più totale silenzio. Nessuno avrebbe voluto trovarsi lì.
«Hershel, vorreste esporre ai nostri ospiti i termini dei contratti?»
«Penso che li conosciate già. – disse il servo in tono sbrigativo, dispiegando le carte sul tavolo – Voi dovrete lasciare le vostre Terre e le vostre ricchezze al Sommo Re della Terra di Holtre».
«E noi cosa avremo in cambio?» intervenne Marvin della Terra dello Scorpione.
«Le vostre vite. Inoltre potrete rimanere a palazzo con le vostre famiglie, e continuerete ad amministrare la Terra di cui siete sovrani, ovviamente a un livello puramente simbolico. Dovrete riscuotere delle tasse mensili alla Terra Centrale e dovrete sottostare a tutti gli ordini del Sommo Sovrano senza ribellarvi. Pena: la morte. È tutto chiaro?». I regnanti lo guardarono senza parlare.
«Cosa avete deciso?». Alec per la prima volta si rivolse direttamente a loro, sfoggiando raggiante uno dei suoi soliti sorrisi superbi.
«Su, perché quelle facce. Tornerete a casa integri, in cambio di un piccolo prezzo».
«Vigliacco». Teodor era rosso in viso e gli tremava la voce. Era evidente la rabbia che covava in petto e l'umiliazione che provava un uomo come lui, sebbene cercasse di mantenere il controllo e stare al suo posto.
«Io ho deciso di accettare, ma devi liberarmi immediatamente». Seamus fu il primo ad accettare, usando il tono confidenziale in modo sprezzante. Sentiva lo stomaco attorcigliarsi per la vergogna nell'accettare un simile compromesso, ma ingoiò tutto il risentimento e gli rivolse un sorriso a denti stretti.
«Quanta fretta, vi libererò quando tutti avranno firmato. È la cosa più giusta da fare, e credo che lo abbiano capito anche gli altri» rispose Alec.
«Accetterò anche io». Rotghar aveva alzato lo sguardo parlando con l'orgoglio distrutto, e anche Marvin firmò le carte senza indugiare troppo.
Il vecchio guardò ognuno di loro con profondo disprezzo. Aveva sperato che almeno uno di quei codardi si sarebbe fatto avanti e, invece, avevano ceduto senza proferire parola; sapeva però che da solo non sarebbe arrivato da nessuna parte e che, se voleva mantenere l'equilibrio a Sansea, avrebbe dovuto abbassare la testa a quell'uomo spregevole che si era autoproclamato Sommo Sovrano.
«In questi giorni di quindici anni fa Leonore moriva di febbre nera, e volevo darvi dei fiori da portare nella tomba della vostra cara moglie».
Teodor inspirò profondamente e posò la piuma che aveva faticato a prendere, allontanandola dalle pergamene che Hershel gli aveva messo davanti.
«Non osare parlare di lei».
Alec rise.
«Un povero vecchio ancora innamorato di una donna morta quindici anni fa è patetico, un sovrano che non si è più risposato dopo la morte della moglie lo è ancora di più. Non riuscirò mai a capire cosa abbiate trovato in lei».
«Non mi aspetto che tu capisca». Il re della Terra del Pesce scattò in avanti con le ultime forze che gli restavano pronto a colpirlo con quanta più forza potesse, ma Alec fu rapido a scansarsi e un soldato lo colpì in viso con l'elsa della spada, facendolo cadere rovinosamente a terra. Teodor faticò ad alzarsi, ma nonostante il dolore non aveva perso il suo sguardo dignitoso e superbo.
«Firma. Così ti farai ammazzare» gli sussurrò Seamus raggiungendolo, ma Teodor lo guardò rabbioso.
«Io non firmerò quell'accordo. Preferisco morire piuttosto che tornare dai miei figli come un povero vigliacco».
Fabian era dietro la porta della Sala del Concilio e ascoltava quelle parole con attenzione. Aveva detto alle guardie appostate all'ingresso di andare via e quando fu certo di essere solo l'aveva schiusa per riuscire a sentire meglio. Nelle lunghe giornate che aveva passato con suo padre durante l'adolescenza aveva appreso da lui l'importanza di saper scovare ogni debolezza del nemico e a insistere su quelle fino a quando non si otteneva ciò di cui si aveva bisogno.
Lo aveva ammirato profondamente, aveva svolto per lui qualunque missione gli avesse ordinato di fare, ma aveva sempre avuto a che fare con soldati, con gente consapevole del fatto che sarebbe potuta morire, con persone che erano sue pari. Ma ora... non riusciva a credere che suo padre potesse fare tanto male a qualcuno che non poteva nemmeno difendersi. In quel preciso momento, alla vista di Alec che troneggiava superbo sopra la figura grassa e goffa del vecchio re, l'alone di adorazione di cui lo aveva sempre avvolto sparì del tutto e riuscì finalmente a vedere chi gli stava veramente davanti. Stava per entrare quando suo padre sguainò la spada, così preferì rimanere nell'ombra.
«Vuoi morire, Teodor? E allora morirai». Con un solo movimento, prima che gli altri potessero reagire o anche solo voltarsi, il Sommo Sovrano perforò la gola del re, fermando la lama a un palmo dal petto di Seamus. Il sangue cominciò a sgorgare copioso dall'enorme ferita imbrattando tutto ciò che aveva attorno, e mentre anche il pavimento si tingeva di rosso, Teodor esalava il suo ultimo respiro.
«...Leonore...». La smorfia di dolore si mutò per un attimo in un lieve sorriso, poi anche quello sparì lasciando solo il vuoto nei suoi occhi.
Alec estrasse la spada lentamente e il corpo morto dell'ex sovrano della Terra del Pesce cadde sul bianco pavimento di marmo. Prese un fazzoletto e si asciugò gli schizzi di sangue sul collo e sul viso, poi diede un'ultima occhiata al cadavere e all'enorme chiazza di sangue attorno e si girò con disgusto.
«Patetico» concluse poi lasciando la Sala con dentro i tre sovrani di Holtre.
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