XIII.






1900


«Potreste descrivermi la dinamica della morte di vostra moglie, signor Lennox?»

Di nuovo nell'ufficio in cui aveva parlato con il signor McKinnen. Di nuovo la sensazione di soffocare. Carte ammonticchiate, aria polverosa, un quaderno per prendere appunti. Blackwood stava continuando l'autopsia del corpo ritrovato nel bosco, nel seminterrato: ci sarebbero stati ulteriori risultati a breve. L'immagine di quelle braccia che sussultavano sotto le pinze, come quelle di una marionetta, gli balenò nel cervello.

Il giovane uomo che gli stava davanti sembrò quasi stordito dalla domanda che gli aveva posto. «Io non lo so» disse poi, incespicando un po' tra le parole. «È cominciato tutto quando siamo entrati in quella casa. La casa del signor Lancaster» fece un cenno all'uomo che sedeva accanto a lui. «Abbiamo fatto tardi, così abbiamo pernottato in un piccolo hotel lì vicino, dal momento che abitiamo lontani. Non ce la sentivamo di proseguire con la carrozza di notte, soprattutto per mia moglie. Non dorme bene ultimamente, dunque ho pensato che avesse bisogno di riposo.» La voce gli si incrinò come un pezzo di vetro, si zittì. Gli occhi del giovane Lancaster sembravano urlare che quella frase banalizzava quanto era accaduto. «Così, per far sì che dormisse bene, ci siamo fermati. È stato allora che è successo qualcosa. Maryanne si è alzata di scatto, lo sguardo perso nel vuoto. Poi ha cominciato a sbattere la testa sul pavimento e» si interruppe di nuovo, si passò una mano sulla faccia pallida. «Poi il corpo si è spento

A Horace la sua voce parve un invisibile punteruolo che gli perforava l'orecchio. Era un nastro che volteggiava nell'aria, eppure aveva la forza di un oggetto di metallo appuntito che lacerava ogni cosa.

Si trattenne dal portarsi una mano all'orecchio destro, consapevole del fatto che non c'era nessun punteruolo a minacciare il suo timpano; cercò di contenere la sensazione di disagio che gli si propagava nelle vene, sistemandosi sulla sedia.

«Che cosa intendete?» Si limitò a chiedere, gli occhi fissi in quelli di Daniel.

«Non saprei come altro spiegarvelo, signore. Ma sono quasi sicuro che si sia trattato di un omicidio, e che tutto questo sia collegato a qualcuno che ci ha presi in ostaggio anni fa. Ricordo che siamo stati rapiti. Anche se, nel mio cervello, non ho purtroppo immagini vivide di quanto accaduto.»

Tristan Lancaster, adesso, aveva cominciato a tremare, le sclere lucide e arrossate. Lui ricordava, era evidente.

«Mia moglie è morta davanti ai miei occhi senza che io potessi fare niente, ispettore. Forse queste persone erano presenti dal signor Lancaster e l'hanno...»

«Pensate che le abbiano versato qualcosa nel bicchiere?»

«Sì.»

Di nuovo il silenzio. Man mano che gli istanti passavano a Horace sembrava di percepirli dilatati. Lancaster lo guardava con occhi spiritati; stava tornando con la mente allo scenario che lo aveva cambiato. Qualunque cosa fosse, Horace avvertì la frustrazione serpeggiargli nelle vene: se i testimoni stessi non avessero fornito più dettagli, non avrebbe mai potuto capire se fossero collegati al ritrovamento del corpo nel bosco e fino a che punto. Era difficile definire con esattezza quale particolare gli risultasse più stridente di quella conversazione: i due giovani avevano l'aspetto di chi mente per salvaguardare qualcosa o qualcuno, ma allora non avrebbe avuto senso presentarsi nel suo ufficio. Avrebbero dovuto, invece, strisciare nell'ombra – come tutti coloro che tentavano, finché possibile, di eludere la legge per perseverare in affari torbidi.

Avrebbe dovuto indagare sulle attività dei Lancaster: ne aveva sentito parlare solo in modo superficiale, ma non aveva mai approfondito. Non erano il tipo di famiglia sulla quale si indagava quando succedeva qualcosa. Non erano come i Conroy, la famiglia al centro della sua ultima indagine. Quella che gli aveva fatto decidere di lasciare Londra.

Elliott Conroy, padre del piccolo Andrew di quattro anni, era stato condannato per l'omicidio di Susan Gibbs, una bambina cui erano stati asportati gli organi e il cui cadavere era stato lasciato in bella vista lungo le strade finché qualcuno non lo aveva ritrovato. Piccolo, livido, ormai irriconoscibile per la quantità e la profondità delle ferite inferte.

Elliott Conroy era stato giustiziato una mattina di novembre, quando Londra era uggiosa e grigia. Una leggera pioggia aveva preso a cadere, quando Conroy aveva smesso di dimenarsi con il cappio attorno al collo, perno di uno scenario fatto di vestiti neri, acconciature strette e grida di giubilo. Nascosto nella folla, Horace aveva guardato le espressioni feroci dei presenti e aveva sentito una stretta alla bocca dello stomaco. Aveva pensato alla famiglia di Conroy, a sua moglie, al bambino piccolo che avrebbe lasciato per sempre.

Aveva avuto la sensazione di aver fatto condannare un innocente solo quando ormai era tardi. Ma Elliott Conroy aveva avuto la sfortuna di essere un operaio, piuttosto che un medico o un avvocato, e allora non sarebbe interessato a nessuno se moriva o meno.

Horace si era reso conto di aver commesso un errore solo quando era stato trovato un altro cadavere che ricalcava le stesse caratteristiche di quelli attribuiti a Conroy. Quel caso se lo sarebbe portato nella tomba; non sarebbe mai riuscito a perdonarselo, il peso che gravava sulla sua coscienza era troppo ingombrante per essere lasciato in un angolo. Lui era così piccolo e insignificante a confronto con la condanna ingiusta di un uomo.

Era stata colpa sua.

Così come era colpa sua anche degli omicidi seguenti.

Omicidi spaventosamente simili a quelli a cui stava assistendo adesso.

«Signor Lancaster, Signor Lennox» disse allora, guardando negli occhi prima uno e poi l'altro.

«Ritengo di aver capito che sia necessario il mio intervento. Sarà mia possibilità indire delle indagini al riguardo. Ma, nonostante sappia che si tratta di una richiesta indelicata, affinché le piste siano più chiare è opportuno che io veda il cadavere della donna di cui mi state parlando.»

Daniel Lennox parve sul punto di alzarsi e andarsene. Tristan Lancaster lo guardò fissamente negli occhi.

«Sarà fatto» disse poi, prima che Lennox potesse aggiungere altro.


*


La locandina appesa fuori dalla centrale annunciava l'avanzare delle indagini; Horace poteva sentire il terrore serpeggiare già nelle strade di York, farsi largo nelle teste dei suoi cittadini. Uomini che si addormentavano ringraziando di essere vivi, donne che speravano che i loro figli non finissero nelle grinfie del mostro colpevole di aver inflitto una simile pena a una povera ragazza.

Quale dolore doveva aver provato? Solo a rifletterci il suo volto segnato dall'età si increspava in una smorfia.

La carrozza correva veloce, affamata di asfalto e di pietrisco. Si inoltrò nelle periferie uscendo dai centri cittadini, venne accerchiata dagli alberi della foresta inglese con le fronde umorose di acqua piovana. Dal finestrino entrava l'odore caldo e umido della pioggia mentre nell'abitacolo regnava un avvolgente silenzio.

C'era una locanda, al lato della strada. Non aveva l'aspetto di un luogo in cui un giovane figlio di famiglia borghese avrebbe preso una stanza: la mente di Horace venne attraversata da una moltitudine di ipotesi, tutte che riconducevano in qualche modo a quel bizzarro cadavere denunciato da McKinnen.

Appena entrò nell'hotel le sue narici vennero assalite da un potente odore di chiodi di garofano. Un giovane alto, con una folta chioma di capelli biondo fragola, si avvicinò. «Siete il signor Elmstone?» chiese. «William Green, vigilante» si presentò poi.

«Sì, sono io, della polizia di York» rispose, mostrando il distintivo. «Sono qui per un sopralluogo su richiesta del signor Daniel Lennox.»

«Ne ero al corrente» il volto del giovane si adombrò. «Prego, vogliate seguirmi.»

Horace obbedì. Lennox e Lancaster non lo seguirono, restarono sul ciglio della porta ormai chiusa di quella locanda. Era una vetrata colorata racchiusa da una cornice di legno, e i toni del rosso e del blu che recava ebbero solo l'effetto di rendere quella scena ancora più desolante.

«La donna è stata trovata in quella stanza.» Il ragazzo gli indicò una porta in fondo al lungo corridoio che stavano percorrendo. Aveva assunto un colorito ancora più pallido: quando aprì la porta color avorio della stanza lo fece in un gesto lento e timoroso, le mani scosse da un tremolio fatto di ansia e angoscia.

E non appena la porta si aprì Horace ne capì il perché.

A terra, all'esatto centro della stanza, il corpo di una donna di circa vent'anni dai capelli ambrati era atteggiato in una postura che non poteva essere normale. La schiena era incurvata in modo innaturale, aveva preso la forma di una mezzaluna perfetta. Le gambe annerite come in una cancrena improvvisa, marcescenti.

«Qual è l'ora del decesso?» una domanda che gli si affacciò alle labbra e fuggì prima che potesse davvero impedirlo.

«Ieri, signore. Ho sentito gridare verso la mezzanotte.»

Horace raggelò. Le gambe di quella donna non potevano essere in uno stato di decomposizione così avanzato se era morta da neanche ventiquattro ore. Anche se la spina dorsale del corpo non era più al suo posto e gli arti erano storpi allo stesso modo.

Un malore. Così glielo avevano descritto. Ma quello era un omicidio, e c'era solo Daniel Lennox nella stanza con quella donna, quando era morta.

Eppure c'erano dei parametri di normalità entro i quali un cadavere doveva rientrare, e quello non li rispettava.

Quel corpo era marcito prima del tempo.

«Manderò subito il medico legale della polizia di York» disse allora. «Potrebbe essere collegato a un caso su cui la polizia sta indagando, ma non posso rivelare altro. Mantenete in allerta tutti i clienti della locanda. E allontanate Daniel Lennox; è in arresto.»

«Sì, signore.»

William Green si allontanò e Horace restò a fissare il corpo, gli occhi puntati su un dettaglio che non aveva potuto fare a meno di notare da quando era entrato nella stanza.

Al centro del petto della donna c'era un buco identico a quello che era stato trovato sul corpo nel bosco.

Era cavo.

Le urla di Daniel Lennox che ripeteva NON SONO STATO IO in modo ossessivo gli danzarono nella testa pochi attimi dopo.

Sembrò essere calato un gelo incredibile, in quella stanza.


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