VII.
1900
Horace Elmstone guardò distratto le nuvole gonfie di pioggia che si erano affollate nel cielo. Dalla finestra del suo ufficio riusciva già a notare piccole gocce d'acqua posarsi timide sul vetro.
Si era trasferito da Londra a York da appena due settimane, le diapositive della sua vita precedente a danzargli nella testa. York non era una piccola città, ma era quello che serviva per evadere da Londra e dagli spettri che non gli davano pace.
A Horace sembrava che la sua testa venisse compressa da qualcosa di invisibile. Quando andava a letto, quelle immagini lo facevano stare sveglio, anche se gli occhi si facevano pesanti e le sclere bruciavano.
Pensò a sua figlia Violet. Da quando si erano trasferiti non aveva ancora ripreso la scuola e scriveva tutto il giorno. Horace non le aveva mai chiesto di cosa fossero fatte le sue poesie, e Violet non gliene aveva mai parlato.
Sospirò. Aveva mosso passi timidi nella nuova casa, quando gliel'aveva mostrata. Silenziosa, docile. Trasportata dagli eventi.
Si chinò di nuovo sulle carte che doveva firmare – un mandato di perquisizione nella casa di un uomo, sospettato di aver rapinato una banca. La rapina era stata a mano armata e con una complice, probabilmente la moglie. Avevano preso quasi centomila sterline, per poi fuggire insultando il poliziotto che aveva provato a fermarli.
«Ispettore Elmstone» una voce lo fece distogliere. L'odore di carta e inchiostro aveva pervaso tutta la stanza.
Occhi grigi e penetranti lo guardavano come a volerlo preparare a qualcosa di grave. Un volto serio, segnato dall'età. Era una maschera che aveva visto troppe scene che nessuno dovrebbe vedere, occhi che avevano imparato a essere insensibili.
Thomas Blackwood, il medico legale della polizia di York, lo fissava, la bocca una linea piatta. «C'è qualcuno che chiede di voi. Vi sta aspettando fuori dalla centrale.»
Horace dette uno sguardo alle finestre che davano sull'ingresso dell'edificio. Un tuono fece tremare i vetri in un oscillare appena accennato.
C'era effettivamente un uomo, fuori.
Sollevò la testa, e Horace vide che il suo volto era deformato dal terrore.
*
Era uscito nel bosco, per controllare che nei dintorni non fosse successo niente. Alcuni rumori avevano spaventato gli ospiti di quella notte. Si erano raccolti nella sala d'attesa dell'hotel, dicendo di aver sentito dei rumori di lotta che provenivano dall'esterno. Aveva visto la paura strisciare nei loro occhi. I capelli spettinati, le espressioni di chi ha avuto il sonno spezzato da qualcosa di mostruoso.
Era andato a guardare se ci fosse stata qualche rissa. Un omicidio. Un atto violento che potesse aver sconvolto i clienti fino a quel punto. Il gelo si era insinuato anche dentro di lui quando aveva guardato le loro facce. Per un momento era stato tentato di chiamare la polizia, ma alla fine aveva preso una torcia ed era uscito avvolto nel suo cappotto lungo. Non lo aveva riscaldato comunque: la luce della torcia traballava mentre la spostava da un lato all'altro per guardare l'ambiente circostante. Boschi in cui tutto si confondeva, sagome informi e aria umida. Il freddo lo azzannava alla gola, anche se aveva una sciarpa arrotolata di fretta attorno al collo.
Aveva mosso qualche passo e aveva visto cosa c'era poco più in là. E allora aveva perso il controllo e aveva iniziato a urlare.
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