VI.
1890
Julie assaporò la brezza gelida di quel pomeriggio; le accarezzava i capelli infilandosi dalla finestra aperta tra le ciocche fulve, le scombinava i pensieri. La sera prima aveva pulito male un tappeto per la festa che si sarebbe tenuta tra poche ore e suo padre l'aveva picchiata. Non versava più lacrime, l'avrebbero solo fatta stare peggio.
Non era più uscita da quando aveva incontrato Sarah in quella locanda, niente lungo la strada la interessava davvero. Niente che non fosse lei e quel volto così invitante.
Si era resa conto di trovare ogni altra persona tremendamente ordinaria. Chiuse il libro e lo mise da parte, si umettò le labbra. Aveva già preparato tutto per la festa in suo onore; suo padre non aveva perso occasione di organizzarla nella loro dimora, per ostentare ancora una volta quella ricchezza che sarebbe durata poco. Ma suo padre era un bugiardo e allora per coprire la miseria incombente organizzava feste comunque, in modo tale che nessuno potesse sospettare di nulla. Sarebbero venuti tutti e tutti avrebbero visto una casa allestita ad arte, gli affreschi coi colori vividi, i mobili lucidati a specchio e il profumo di fiori nell'aria. A nessuno sarebbe interessato delle loro bugie, perché George Lennox avrebbe fatto in modo che non venissero fuori.
Sarah era guarita da quella malattia che aveva minacciato di portargliela via. Sentiva la trepidazione incendiarla, al pensiero che l'avrebbe rivista. Non ci credeva, le sembrava impossibile. Sarah sarebbe stata lì, nel salone di casa sua, a illuminare quelle mura buie con la sua presenza fatta di luci e ombre.
Julie si era rifugiata nella sua stanza per assicurarsi di avere qualche attimo solo per sé. Doveva prepararsi al fatto che l'avrebbe rivista. Si alzò dal letto, si posizionò davanti allo specchio, osservò il suo riflesso. L'ovale in rovere le restituì l'immagine di una giovane che somigliava più a un animale impaurito – un coniglio, forse. Gli occhi tondi, il respiro affannato. Le guance le si erano tinte di rosso. Doveva tornare giù per sistemare il resto, ma era come se non ci riuscisse.
Chiuse gli occhi, inspirò. La sua testa viaggiava. A breve avrebbero organizzato anche la festa di fidanzamento con Daniel, ne era sicura. Era così che andava, nella loro società. Forse avrebbero dovuto scappare insieme; avrebbe potuto parlarle e anche lei le avrebbe confessato i suoi sentimenti.
C'era una voce interna che le diceva di non farlo, però. Sarah si sarebbe presa gioco di lei. Non nutriva dei sentimenti sinceri, aveva solo voglia di farle del male per soddisfare qualche voglia sadica.
Eccole, le lacrime, scivolavano calde sul suo volto e lei non poteva fermarle.
Immaginò che Sarah fosse alle sue spalle ad abbracciarla. Le sembrò di avvertire il tocco di una mano sulla sua spalla. E poi una voce, come un sussurro. Tornerai indietro, diceva.
A volte sapeva di avere un'immaginazione davvero fervida.
*
Daniel le aveva detto che l'avevano trovata in un bosco, coperta di escoriazioni, e che era stata portata a casa per evitare che la spedissero in un sanatorio. Aveva sentito il cuore sprofondarle nel petto come a voler scavare un buco nella sua pelle, quando aveva sentito quelle parole.
La loro villa era stata allestita per la festa di guarigione di Sarah, e adesso il dolore era diventato un fantasma: drappi di fiori facevano da cornice alla casa, adesso non era più buia. Suo padre le aveva fatto spolverare i lampadari di cristallo, ora vibravano di una luce nuova, come se anche loro si fossero ripresi dalla malattia. Catturavano i bagliori del fuoco nel camino, la luce del sole al tramonto. Sembravano risplendere della felicità di quel momento. I ritratti di famiglia non avevano più l'aspetto arcigno di sempre, era come se si fossero schiariti. Era stato persino comprato un nuovo tappeto, rosso e dalla fantasia raffinata, che dava all'ambiente un tocco di colore, come una rosa al centro della sala.
L'unica cosa che voleva fare era piangere o portare via Sarah, averla tutta per sé. La felicità per la sua guarigione si fondeva con una malinconia legata al fatto che un giorno suo fratello l'avrebbe avuta. Non riusciva a non perdersi in quei pensieri, mentre ascoltava la sua voce limpida volteggiare nell'aria; i capelli raccolti in un fiore di ciocche nere ornate di gemme, al collo un ciondolo di zaffiro. Era bellissima. L'abito di un blu intenso la faceva spiccare in mezzo agli invitati; parlava sottobraccio con Daniel, le mani avvolte in due lunghi guanti color avorio. Gesticolava in modo elegante, contenuto, sembrava una ballerina che incanta la platea di un teatro.
Gli invitati si stavano divertendo, tutto era immerso in un'atmosfera di normalità. Julie si sforzò di ignorare il senso di allarme che le si alimentava dentro. Si concentrò sulla ragazza ammantata in un abito indaco che sorseggiava la bevanda al mango messa a disposizione sui tavoli, accompagnata da quello che doveva essere Joel Hammington, uno scrittore che stava acquisendo notorietà nell'ultimo periodo. Più in là, Victor Hopkins, militare che suo padre stimava molto, parlava con altri invitati, fra cui un'anziana parente di suo padre che Julie non aveva mai visto, invitata per l'occasione. Le aveva detto che si trattava di una bis cugina, una di quelle persone che inviti solo per ostentare ciò che hai e dare loro qualcosa di cui parlare. Sperò che nessuno notasse che stava ai bordi della stanza, cercando di dissimulare tranquillità. La testa le girava.
Tristan Lancaster le si avvicinò. «Julie» esordì, gentile. «Vi sentite bene?»
La sua voce la riscosse. Distolse lo sguardo dagli invitati e si concentrò sul ragazzo che le stava parlando; Tristan Lancaster indossava un abito nero, come sempre. Non gli aveva mai visto addosso altre tonalità; quella sera aveva un completo damascato che le dava un'aria da intellettuale. Nella mano destra stringeva un bastone da passeggio con intarsi in ottone. Si chiese per quale motivo avesse acquistato quell'oggetto, era chiaro che non ne avesse bisogno.
«Certo. Perdonatemi», si limitò a dire. «Sono un po' stanca.» Si morse le labbra. Avrebbe tanto voluto dirgli che suo padre la costringeva anche a pulire la casa, oltre a fare da mangiare, ma sapeva quali sarebbero state le conseguenze.
«Forse è meglio se andate nelle vostre stanza prima del solito, stasera» Tristan aveva una voce tranquilla, quasi soave. «Sarah mi sembra molto rinvigorita, comunque. Secondo me, vostro padre ha avuto una grande idea a organizzare una festa in suo onore.»
Julie faticò a dire qualcosa. «Sì», sussurrò, abbassando gli occhi subito dopo. «Anche io la vedo bene, ma non so se vi siano comunque dei segni di quanto ha passato nel bosco.»
«Penso che il fidanzamento con Daniel sarà rimandato, infatti. Si trova in una situazione molto precaria» Negli occhi di Tristan c'era qualcosa di tenebroso, mentre pronunciava quella frase. Qualcosa che le sussurrava che stava omettendo dei dettagli.
«Cosa ve lo fa pensare?» chiese Julie. Era la terza volta che vedeva Tristan e ne era affascinata. La sagoma longilinea, gli occhi sempre persi in una corrente di riflessioni; avrebbe tanto voluto sentirsi abbastanza disinvolta da parlargli in modo più spontaneo, ma si sentiva intrappolata nel suo stesso corpo, la mente racchiusa in una bottiglia.
«Sapete, ho la sensazione che le nostre famiglie siano coinvolte in qualcosa di sbagliato» disse Tristan, sottovoce. A Julie parve che ogni altro suono presente fosse stato inglobato; Tristan parlava con un'urgenza appiccicosa, disturbante. «Altrimenti perché non portarla in ospedale?»
«Cosa volete dire?» E di nuovo il cuore si agitava nello sterno. Julie non riusciva a sopportarlo. Se era successo qualcosa a Sarah, e se Tristan lo sapeva, quello era il momento per estorcergli una confessione.
«Ho pensato che fosse insolito che una ragazza, per di più dell'alta società, sparisse così. Perché non si sono messi a cercarla? Perché quella preoccupazione quasi simulata? Perché la notizia è venuta fuori solo quando è stata ritrovata? È evidente che qualcuno voleva che lei scappasse. O è pazza e le nostre famiglie stanno cercando di nasconderlo. Forse è così davvero. Ma quello che è certo è che tutto questo è decisamente inusuale.»
Tristan sembrò volerle dire molto di più rispetto a quelle parole sbocconcellate che aveva appena pronunciato. Non disse altro, però, perché delle urla squarciarono le conversazioni soffuse che avevano abitato l'aria fino a quel momento.
Qualcuno stava agonizzando in mezzo a tutti gli invitati.
Successe in un frantumarsi di piatti e cibo che cade indecorosamente a terra. E poi spasmi, vestiti macchiati. Occhi che si rovesciano. Hammington era caduto a terra, scosso dalle convulsioni. John Hamilton stava sgomitando tra gli invitati, cercando di raggiungere il giovane il prima possibile. Il bicchiere che teneva in mano si era frantumato a terra in mille schegge di vetro, nel salone c'era il panico adesso e gli invitati sembravano improvvisamente tante formiche colorate. Qualche bambino stava calpestando il formicaio e ora niente era più come doveva essere.
Julie restò immobile, i fiori, gli arazzi e le gonne variopinte delle signore fuori luogo. Il giovane sdraiato a terra aveva cominciato a sputare sangue, espellendolo in colpi di tosse secca. Tra le signore qualcuna era già svenuta, altre si stavano portando le mani guantate alla bocca, in preda all'angoscia. Altre ancora erano accorse vicino al ragazzo, cercando di dare una mano in qualche modo.
Non serviva, comunque.
Lo sguardo di Julie si posò su Sarah. Nella sua testa scattò il collegamento con il modo in cui Tristan le aveva parlato – con quelle parole che sembrava non voler dire davvero.
Sarah guardava il ragazzo con l'espressione più neutra che Julie avesse mai visto. Strideva in quel contesto in cui tutti erano allarmati, una maschera di indifferenza in mezzo a sagome che pulsavano di vita.
Si irrigidì. Un cambiamento che non passò inosservato agli occhi di Tristan.
«Venite con me» le disse poi. «Andiamocene da qui.»
Poi uno scricchiolio. Julie sollevò la testa in uno scatto, ma era come se sapesse in anticipo che cosa sarebbe successo da lì a poco.
Il lampadario di cristallo si staccò dal soffitto e precipitò.
Adesso era una gigantesca piovra che si abbatteva su di loro, pronta a inglobarli nei suoi tentacoli.
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