IV.





1890



Suo padre non voleva mai nessuno, nella loro villa. Si arrabbiava molto se lui si tratteneva oltre il minimo sindacale per il pasto. Si arrabbiava se Julie diceva una parola sbagliata, o se mangiava troppo.

Si arrabbiava se lo contraddiceva.

Chino sui trattati di anatomia, sentiva ancora le ferite bruciare selvagge sulla schiena. Il suo cervello era fatto di percezioni ingannevoli, i tagli erano sorrisi che si facevano beffe di lui. E bruciavano. Si allargavano. Deformavano il suo corpo fino a renderlo un ammasso di carne irriconoscibile.

Non sapeva se lo avrebbe detto a Sarah, anche se era la donna con cui a breve avrebbe condiviso la vita.

Daniel voleva renderla partecipe dei suoi tormenti più di ogni altra cosa. Era sicuro che avrebbe capito, nonostante avesse un'aria assente la maggior parte del tempo.

Una bella creatura come lei non avrebbe potuto fare altrimenti.

La sera in cui era venuta la prima volta c'erano anche i signori Lancaster, nuovi colleghi di suo padre che si erano trasferiti da Liverpool. L'erede dei Lancaster era un tipo loquace – fin troppo. Aveva monopolizzato la conversazione per tutto il tempo, mentre Sarah dava educate risposte.

Era riuscito a parlarle di più quando l'aveva invitata a pranzo. Aveva sentito qualcosa di insolito, nell'aria, mentre suo padre e il signor Hamilton conversavano di politica. Pensieri che si affollavano. Cicatrici nel cervello che bruciavano. La sensazione di stare per esplodere da un momento all'altro. Il lungo tavolo imbandito di ogni pietanza; le posate d'argento che riflettevano la luce solare; la tovaglia preferita di sua madre disposta con cura.

Le cicatrici nel cervello avevano iniziato a bruciare di più, da quando se ne era andata.

Sarah le assomigliava. Lo aveva guardato con quegli occhi di un nocciola talmente chiaro da essere innaturale. Non avrebbe saputo dire se fosse più il colore in sé o quello che esprimevano a darle un aspetto ultraterreno: Sarah Hamilton sembrava capace di andare in fondo all'anima di ogni interlocutore e rovistare negli anfratti più bui. Era un tarlo che ti scavava dentro. Come se non vedesse l'ora di carpire qualche segreto scabroso, di essere partecipe di ciò che non avresti mai detto a nessuno.

Julie aveva evitato lo sguardo di Sarah mentre serviva docilmente l'arrosto, o le patate al forno. Di solito era orgogliosa di presentare i piatti che portava in tavola; quella volta, invece, era stato come se un'opprimente vergogna l'avesse investita in pieno. Daniel si era ripetuto che era solo un'impressione; Julie e Sarah non si conoscevano. Non erano legate in alcun modo. La soggezione di Julie non aveva ragione di esistere, e forse era solo una sua paranoia che galleggiava beffarda, costruendo le sue ragnatele fra le sinapsi.

«Daniel, l'università di Cambridge ha accettato la tua domanda. Sono fiero di te, figliolo.» La voce di suo padre gli spezzò quel flusso di pensieri.

La testa si alzò di scatto; era rimasto a fissare le pagine per infiniti minuti vuoti. «Inizierai a fine agosto con il professor Beveridge. Lo stimo molto, è un grandissimo medico.»

Daniel sorrise. Un sorriso tirato, forzato. «Grazie per avermelo detto, padre. Sono contento di rendervi fiero.»

La loro conversazione, come sempre, finì lì.

Sarah aveva guardato Julie – no, non l'aveva semplicemente guardata, l'aveva fissata – e quegli occhi erano sembrati braci ardenti.

«Daniel» la voce di suo padre gli raggiunse le orecchie pungente. Non si era allontanato, anche se sembrava di sì.

Quando parlava così gli faceva paura.

«Sì, padre?» e odiava come cambiava la sua voce quando gli si rivolgeva. Era la voce di chi sapeva di camminare sul filo del rasoio. Era paura che vibrava come fosse corrente elettrica, il terrore di pronunciare qualcosa di sbagliato che si diffondeva rapido.

«Forse è meglio rivedere il matrimonio. È successo qualcosa a Lady Sarah» disse l'uomo, la voce incolore.

Quando Daniel sentì quel nome il cuore gli affondò in petto. «L'hanno trovata nel bosco, stanotte, e a quanto pare non ricorda come ci è arrivata.»

In un attimo la sua mente andò a quella sua sagoma delicata che si perdeva nei boschi, mangiata dalle fronde scure degli alberi.

«Come sta adesso?»

«Non bene» si limitò a dire il signor Lennox. «Deve aver camminato per ore, quando è stata ritrovata aveva numerose escoriazioni. Ed era coperta di sangue.»

La sensazione che si appiccicò al corpo di Daniel fu sgradevole, come se un sasso enorme gli fosse caduto nello stomaco. «Padre, siate esplicito. Vi prego» sbottò. «Cosa le è successo?» L'idea che qualcuno l'avesse aggredita era spine pungenti.

«Non lo so con esattezza» anche il tono dell'uomo adesso era differente – nervoso, inquieto. «John non vuole portarla in ospedale. Un suo collega saprebbe dirgli meglio cosa possa esserle successo, ma non si fida. Dice che sarebbe pericoloso, e non gli do tutti i torti. Teme la portino in un centro. E a nessuno farebbe piacere vedere la propria figlia, di appena diciotto anni, essere portata in manicomio. Non lo biasimo.»

Daniel ammutolì di colpo. «Oltre che a gettare vergogna sulla famiglia, farebbe anche sì che gli Hamilton subiscano una perdita enorme. E sarebbe troppo, per loro, accettarne un'altra.»

Voleva chiedere cosa intendesse, ma non lo fece. Le ferite bruciavano troppo. Non voleva che si arrabbiasse di nuovo.


*


Alla fine, lo aveva fatto. Il cuore che palpitava nello sterno, il cervello attraversato dall'elettricità della ribellione.

Si era sentito vivo.

Guardò il cancello con occhi spalancati, le gambe che ancora tremavano dall'eccitazione. Si issò a fatica, raggiungendo il muretto adiacente e rischiando di cadere. Scese con un tonfo, camminò a passo svelto. Non c'era nessuno. Forse solo gli animali che girovagavano tra le lapidi – ratti, probabilmente, giganteschi e infetti. Ebbe un brivido di disgusto.

Aveva pensato a Sarah tutto il giorno, la mente era andata ossessiva lungo i sentieri dove lei si era ferita. Doveva vederla. Doveva andare a casa sua e parlarle.

Sapeva dove gli Hamilton abitassero. Dopo il pranzo da suo padre, Sarah gli aveva dato l'indirizzo. Era stato un bene, almeno i suoi stessi pensieri non lo avrebbero divorato riducendogli il cervello in poltiglia.

Le foglie scricchiolavano sotto le sue scarpe; affondavano nel fango schiacciate dai suoi passi. La notte prima aveva piovuto, e ancora l'acqua non si era riassorbita del tutto. Mise le mani in tasca: le dita erano intirizzite dal freddo.

Doveva vedere direttamente Sarah, a costo di finire in ipotermia. E passare dal cimitero di York era l'unico modo per arrivarci senza essere visto da nessuno.

Lapidi simili a scheletri biancheggiavano nel buio. Il silenzio del cimitero era assordante. Il senso di desolazione che gli si infilò dentro lo fece rabbrividire.

Se fosse morto davvero sarebbe passato inosservato, avrebbero scoperto il cadavere il giorno dopo o forse la settimana successiva. Forse qualche ratto avrebbe iniziato a mangiarlo, e allora avrebbe avuto frammenti di pelle strappati via.

Chissà come sarebbe stata Sarah se fosse stata livida e grigiastra e con il naso mangiucchiato dai ratti. Sbatté gli occhi come per scacciare quel pensiero intrusivo. Attraversò il cimitero accelerando il passo.

Si arrestò solo quando vide che c'era qualcuno con l'aspetto di un giovane della sua età; accovacciato vicino a una lapide, era impegnato a scrivere su un taccuino.

«Daniel.» Era l'erede dei Lancaster, i lineamenti attraversati da qualcosa che non sapeva spiegare a parole. Ai lati della bocca la pelle era piegata, rugosa. Sembrava quella di un vecchio, eppure apparteneva a un ragazzo.

«Come mai siete qui?» la sua voce sembrò provenire dal buio in cui erano immersi.

«Cercavo Sarah Hamilton. Stavo andando a casa sua» ammise, con la sincerità pura che da sempre lo caratterizzava.

«Avete saputo di Lady Sarah?» Tristan sollevò un sopracciglio e si rimise in piedi, affiancandolo.

«Ho notato come la guardavate, quando siete venuti a cena. Non vi era altri che lei, per voi, quella sera. Ho saputo anche io che sta male.»

Daniel si sentì in imbarazzo, per come Tristan aveva capito subito ogni suo pensiero.

«Sono solo preoccupato per lei. È pur sempre la mia futura moglie» si limitò a dire, lo sguardo perso nel buio del cimitero.

Tristan lo guardò. «Anche io vorrei capire qualcosa, in tutta onestà. Oggi, nel pomeriggio, ho provato ad ascoltare una conversazione di mio padre con il signor Hamilton, nella biblioteca. Lui e il padre di Sarah sono molto vicini.»

Circondato dalle lapidi, con quel tono di voce fatto di terra bruna, Tristan sembrava un tutt'uno con l'ambiente circostante. Come fosse venuto dagli inferi.

«Che cosa avete sentito?»

«Mio padre stava dicendo che nessuno deve venire a sapere di quanto è successo. Che Lady Sarah deve essere tenuta al sicuro, e al riparo da chi può approfittare di lei.» Tristan infilò il blocco su cui scriveva nella tasca del suo lungo cappotto nero. Si rimise la tuba sulla testa. «Ho intenzione di scoprire cosa si cela dietro questa sua fuga.»

Tra i due ragazzi aleggiò, per un istante, il silenzio.

«Cosa intendete?»

«Intendo che, secondo me, Lady Sarah non è malata. Non è impazzita. Le persone non perdono il senno da un giorno all'altro.»

Daniel si ritrovò a non sapere cosa dire, ammutolito dalle parole di Tristan – quelle parole che scavavano nelle profondità della natura umana. Era vero.

«Neanche io credo che sia impazzita» ammise. «Ho udito anche io delle informazioni, a proposito di Lady Sarah» quelle parole gli scivolarono dalle labbra con urgenza.

Gli occhi rotondi di Tristan si illuminarono di un bagliore che Daniel trovò morboso. Forse era la luce argentata della luna che si riverberava nelle sue pupille, facendole brillare.

Un bagliore che era chiodi conficcati nella carne. Fu quasi doloroso sostenere il suo sguardo.

Non sapeva cosa fosse a dargli la sensazione di volersene andare al più presto, ma quell'istinto lo investì come un treno in corsa.

«Che cosa avete saputo?» Tristan fendette di nuovo l'aria con la sua voce acuta.

«In realtà, niente di preciso. Ma mio padre sembrava avere a cuore che la faccenda restasse segreta» non riusciva a trovare il termine per ciò che stavano vivendo. «Ne ho avuto la netta sensazione.» Silenzio.

«Credete che...» aggiunse, voltandosi verso Lancaster. Quell'ipotesi gli solleticava il cervello con dita affusolate. A punta. Artigliate. Non voleva nemmeno dirlo ad alta voce, ma fu come se qualcosa glielo facesse vomitare a forza. «Credete che qualcuno, nelle nostre famiglie, sia responsabile di ciò che è successo a Lady Sarah?»

Tristan sbuffò una risata, sollevando un angolo della bocca. «Lo considero praticamente certo» si limitò a dire.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top