I.
PARTE PRIMA
I.
1900
Lampadari di cristallo cadevano dal soffitto della grande sala, i pendenti puntati sugli invitati come stalattiti, un pezzo melodico al pianoforte e l'aria pervasa dall'odore intenso dei fiori. Un vocio di sottofondo si mischiava con risate allegre, i suoni cristallini rimbalzavano su un pavimento marmoreo. Il fuoco, ipnotico nel grande camino posto al centro della sala, disegnava onde calde. Bagliori dorati guizzavano negli occhi dei presenti, scandagliavano affamati ogni dettaglio. Erano state portate delle bevande esotiche, a base di zenzero e qualcos'altro che lei non riusciva a decifrare – né voleva scoprire. Si sentiva la gola riarsa, le labbra screpolate dall'ansia che la consumava. Le donne conversavano con gli uomini e le loro gonne seguivano i movimenti del corpo, accogliendo il riverberarsi delle fiamme in una miriade di prismi variopinti. E poi liquori scintillanti in bicchieri di cristallo, perle al collo e cravatte sulla camicia, bastoni intarsiati d'oro e acconciature elaborate.
Tutto tranquillo, calmo, ovattato.
Maryanne, invece, era una marea fangosa colma di detriti.
Non aveva nessun senso la sua presenza a quella festa. I soffitti a volta affrescati con immagini ispirate alla Divina Commedia la fissavano torvi; si soffermò con gli occhi su un'immagine dei suicidi, immersi nelle fronde degli alberi scuri che li imprigionavano. Tristan li aveva fatti dipingere sopra i resti degli affreschi che c'erano già, per dare un tocco personale alla sua nuova casa. Le aveva scritto una lettera una settimana prima, in modo tale che non potesse mancare alla festa di inaugurazione – perché sin dal momento in cui aveva iniziato a leggerla, Maryanne aveva capito che non era stata invitata in modo casuale. A quanto pareva, ci teneva alla sua presenza e a quella di Daniel.
Era stato suo marito a insistere, a dirle che non aveva alcun senso avere paura di fantasmi che non potevano perseguitarti in alcun modo. Lei però si ricordava dei suoi sogni, del modo in cui le avevano graffiato l'anima con i loro artigli. Da quando erano fuggiti, anni prima, niente era stato più com'era in precedenza. Se ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe allontanata anche da Daniel.
Suo marito stava intrattenendo un'educata conversazione con un uomo di cui aveva dimenticato il nome. Forse era un militare, stava parlando di quando aveva prestato servizio per la regina per svariati anni; era giovane, dal portamento fiero. La sua vita era ruotata attorno all'esercito, si vedeva dal bagliore malsano che gli luccicava negli occhi.
«Posso presentarvi mia moglie, signor Chamberlain?» chiese Daniel. Indossava un abito di un blu scuro, quella sera. La tuba gli valorizzava il volto pallido e affilato in un modo che Maryanne trovava perfetto.
«Maryanne Lennox, molto lieta» porse la mano e resse la stretta energica del signor Chamberlain, sforzandosi di non gemere per il dolore quando l'uomo serrò troppo forte le dita attorno alle sue.
«Siete una persona interessante, signor Chamberlain» proseguì Daniel. «Avrei piacere a invitare voi e la vostra consorte presso la mia villa. Si trova nel quartiere di The Shambles, come sapete storico sito della nostra città. Magari martedì prossimo per l'ora del tè.»
«Accettiamo con molto piacere» disse il signor Chamberlain. «Vi ringraziamo per l'invito.» Forse Maryanne non avrebbe detto lo stesso. Era da un po' che rifiutava il contatto umano.
Accanto al signor Chamberlain c'era una donna molto più giovane di lui, chiusa nello stesso mutismo dei bambini piccoli quando vedono persone nuove per la prima volta. A differenza delle altre, non teneva un bicchiere in mano con disinvoltura.
In fondo alla stanza, invece, c'era una ragazza che faceva parte del suo passato. La guardava coi suoi occhi felini, nelle iridi verdi la pulsante voglia di parlare, di ascoltare la sua voce e fingere di non avere un trauma che la divorava – che divorava entrambe.
Non intendeva assecondarla. Voleva fare finta di niente. Fingere di aver dimenticato era più comodo.
*
Tristan Lancaster non aveva potuto evitare di mandare l'invito alla festa di inaugurazione della sua nuova casa a Maryanne, Daniel e Julie, ma non voleva ricordare ciò che era stato.
La sua stessa vita lo faceva già abbastanza.
«Vi ho invitati qui, oggi» cominciò, gli occhi dei presenti su di sé. Li sentiva bruciare. «Per festeggiare insieme a me l'acquisto di questa mia villa. La dimora in cui proseguirò, auspicabilmente, la mia vita.»
Lei non c'era.
Non poteva esserci.
Da anni, durante le sue notti insonni, la disegnava. Delineava su carta il suo volto di una gelida bellezza. Restava lì impresso e lo guardava con occhi vuoti, fino a che non nascondeva il ritratto in un cassetto e fingeva di dimenticarsene.
«In un tempo remoto questa dimora sorgeva su una montagna. Gli abitanti di allora la chiamavano Hollow Fell» disse, e quelle immagini si diradarono fino a scomparire. «Nella biblioteca di York si trovano molti documenti, al riguardo.»
Guardò in fondo alla sala.
Persone che aveva conosciuto all'università e durante i viaggi di lavoro. I colleghi del suo ufficio, gli amici del nuovo quartiere che non avevano perso l'occasione di venire a vedere.
«La dimora è un sito storico. Non mi vergogno di dire che l'ho pagata molto, soprattutto per farla ristrutturare e valorizzare. Molti degli oggetti che potete osservare appartengono alla mia collezione personale; altri li ho trovati qui.» Si avvicinò a una piccola statua di il ratto delle Sabine, posta su una colonna in fondo alla stanza. Assaporò ogni passo che ticchettava sul pavimento in marmo nero, chiudendo gli occhi. Tutto era inebriante, la sinfonia di note musicali che si sparpagliavano come un nastro ipnotico, i fiori che solleticavano il suo olfatto. Il vago odore di zenzero a completare quello che era un quadro dei sensi in cui ogni cosa era esattamente dove doveva essere.
Il passato non lo avrebbe più tormentato ora che ne era padrone. Le note del pianista accompagnavano i suoi pensieri, ma nessuno stava parlando. C'era un silenzio innaturale. Lo stesso silenzio di quando, quella sera, era andato al cimitero e i contorni della realtà si erano fatti sbiaditi – inconsistenti e fragili.
«Questa statua, per esempio» disse, «deve essere stata lasciata dai precedenti proprietari. Tuttavia non mi sono sentito di buttarla. È una perfetta piccola versione di il ratto delle Sabine del celebre artista Giambologna, come voi sapete.»
Fece una pausa, lasciando la sua voce sospesa nell'aria. Assaporò la trepidazione degli invitati che lo ascoltavano. «Allo stesso modo», riprese poi, «Ho trovato diversi libri, nella biblioteca. Si tratta di opere che, a mio avviso, dovrebbero stare in un archivio, per motivi su cui preferisco soprassedere. Tomi appartenenti ai precedenti proprietari» concluse, un sorriso sornione a trasformargli il volto. Non disse altro, lasciando gli invitati a perdersi nelle sue parole.
Amava le loro espressioni.
*
La soddisfazione pulsava negli occhi di Tristan rendendoli famelici, inebriati da qualcosa di cui solo lui poteva conoscere l'origine. Julie, nonostante si fosse messa vicino al camino, avvertì un brivido scenderle insidioso nelle ossa. L'ottimo vino che si era versata nel calice ondeggiò in modo impercettibile, assecondando il movimento del suo corpo gracile. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quello che, una volta, era stato un suo carissimo amico.
Pensò a Dalton, che l'aspettava a casa, come nessun marito avrebbe mai e poi mai fatto. Si era rifiutato di andare a quella festa, anche se era solo un innocuo ricevimento di inaugurazione per cui tutti sarebbero tornati per l'ora di cena. Ma i sensi di colpa le vibravano dentro come uno sciame impazzito di vespe. In una casa sconosciuta, fatta dei pezzi dell'anima del suo proprietario. Tristan aveva parlato di alcuni libri: li avrebbe mostrati al suo pubblico in trepidazione, oppure no? Julie se lo chiese. Lo fece in modo distratto, quasi fosse un pensiero a cui non dava importanza. Le palpitazioni che avvertiva nel suo sterno raccontavano un'altra storia, però. Quelle emozioni che la trascinavano in un vortice oscuro cozzavano con la noncuranza che voleva avere, le fiamme del camino le sembravano lingue infernali che volevano trascinarla in dimensioni sconosciute.
La voce di Tristan la trascinò di nuovo nella realtà. «Agli affreschi ho pensato personalmente. Li ho fatti commissionare. Tutti quanti, qui, sapete che ho il gusto per le immagini cruente» si levò un'educata risata dalla massa degli invitati, e Julie avvertì nelle profondità del suo essere un'insopportabile sensazione di fastidio. «Così mi sono ispirato alla Divina Commedia del mio amato Dante Alighieri. L'Inferno, ovviamente.» Pronunciò il nome dell'artista con un perfetto accento italiano. Era bizzarro avere sotto gli occhi tutti quei tratti familiari senza riconoscere davvero la persona. Un distacco che non credeva avrebbe mai provato nei confronti di Tristan si impossessò di lei.
Carissima Julie,
vi scrivo questa mia a seguito dell'angosciosa esperienza che, ormai dieci anni fa, ci ha coinvolti tutti con il suo oscuro incedere. Rimembro chiaramente la forza con cui il complotto di cui siamo state vittime si è abbattuta su di noi, lasciandoci inermi come bambini.
Sono conscio del fatto che voi, quanto me e gli altri, siate rimasta sconvolta. Tempo fa le nostre vite si sono divise, troppo stracciate da quell'orribile notte che ci ha dilaniati coi suoi denti feroci.
Tuttavia, nella mia mente è ancora vivido il puro ricordo della vostra amicizia; delle amabili conversazioni che intrattenevamo; delle gioiose risa che ci coinvolgevano tutti prima che il Male si abbattesse su di noi. Sono momenti che, a prescindere da tutto il resto, nulla potrà mai cancellare dalla mia memoria; che resteranno pieni di sempiterna luce nella mia testa. Negli anni mi sono aggrappato a quelle rimembranze con tutte le mie forze per superare dei momenti difficili.
Ho lasciato Liverpool, dove mi ero trasferito, dopo i lavori di ristrutturazione. Ho preso un treno che mi avrebbe portato dove tutto è cominciato molti anni fa. L'oscurità che ha avuto origine dal luogo che è stato teatro delle nostre sofferenze merita di essere chiusa definitivamente in una scatola della nostra anima; a lungo ho riflettuto, in questi anni, e ho capito che solo così avremmo potuto eclissare il nostro dolore. Tuttora ci perseguita, mia dolce amica, e non dobbiamo più lasciarglielo fare.
Se vi siete riconosciuta in queste mie parole, siete invitata a farmi visita a York. L'indirizzo è sempre lo stesso: 67 Avenue, dopodiché la strada sterrata nei boschi. Darò una festa di inaugurazione con tutti i miei amici, per mettere un punto a questo infelice capitolo della mia vita.
Vostro,
Tristan
La sera in cui aveva ricevuto la lettera non aveva dormito. I ricordi legati a quella casa erano troppi; le era sembrato assurdo che Tristan l'avesse voluta acquistare, in un insolito impulso masochista.
Non che si aspettasse diversamente da Tristan Lancaster. La sua anima aveva sempre avuto qualcosa di indecifrabile, anche quando erano amici. Quando le ombre non li avevano ancora raggiunti. Ricordò i suoi occhi grandi e infossati. Il bagliore che assumevano quando parlava di ciò che vedevano e delle sensazioni che sperimentavano.
L'attrazione che le suscitavano.
Un'attrazione pericolosa. Si era rifugiata dentro di lei come un serpente che aveva fatto il nido nel suo stomaco. Fra i suoi organi.
Si ricordava del rumore che avevano fatto i cristalli mentre si infrangevano al suolo, quella sera. Uno scrocchiare di mille ossa nello stesso momento. Lei aveva iniziato a tremare, ma il suo sguardo era assente. Come se non si trovasse davvero in quella stanza – come se le emozioni che le attraversavano gli occhi non fossero autentiche.
Dopo aver ricevuto la lettera Julie era rimasta a galleggiare in quei pensieri tutta la notte, fino a che il sole non aveva toccato i suoi occhi verdi.
Era da tanto che non le succedeva.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top