Capitolo 4
Odio il sabato.
E detto da una ventunenne, economicamente indipendente e single sembra quasi una fesseria, ma è così. Io odio il sabato, e ancor più il sabato sera.
C'è stato un tempo in cui facevo il conto alla rovescia sin dalle prime ore del giovedì, non avevo vincoli, non avevo una bambina e non avevo un lavoro che mi costringeva a versare fiumi di alcol a ragazzi della mia età, mentre io, dovevo starmene dietro ad un bancone con un sorriso demenziale stampato in faccia fino alla fine del turno.
Spillo l'ennesima birra prima di strisciarla lungo il bancone verso il cliente che l'ha richiesta, sento le dita della mia mano destra intorpidirsi ogni qualvolta provo a distenderle. Ho bisogno di una pausa.
«Jason! Mi copri tu?» Urlo verso di lui togliendomi il grembiule.
«Certo, ho solo due mani, vai tranquilla!» Risponde ironico mentre versa un drink ad una ragazza.
Non sembra così in difficoltà, così decido lo stesso di andarmene fuori per qualche minuto.
Passo dalla cucina cercando di schivare prontamente le varie persone intente a preparare panini e patatine a raffica. Oggi c'è stata una partita di baseball o qualcosa del genere, e la squadra della città a quanto pare ha vinto, proprio per questo motivo c'è molta più gente del solito, tutti devono festeggiare la vittoria in compagnia agli amici e ai fiumi di alcol che il nostro locale può servire fino a tarda sera.
Un'ondata gelida mi colpisce in pieno non appena apro la porta di servizio sul retro, rinfrescandomi tutto il viso. Non dovrei uscire a maniche corte con questo freddo, ma tutta la calca di persone là dentro e il caos mi stava facendo mancare il fiato, così respiro a fondo l'aria gelida, facendomela penetrare fin a dentro alle ossa. Il freddo a contatto con il mio corpo rilascia una sensazione alquanto piacevole.
Chi l'avrebbe mai detto che io potessi vivere in un posto come questo? Sono cresciuta in Texas, nel bel mezzo del niente, con un caldo afoso tutto l'anno e adesso mi ritrovo qua, probabilmente una della città più fredde dello Stato.
Quando scappai di casa non avevo una meta precisa, a dir la verità volevo cambiare continente. Volevo esplorare l'Asia, l'Europa e vivere forse in Australia. Sicuramente sarei lì se non fosse stato per il piccolo incidente di percorso.
La mia Allie.
Sorrido al pensiero di lei a casa, sicuramente a quest'ora starà già dormendo. Lei non è stato assolutamente un incidente. Il fatto di essere rimasta incinta a diciannove anni, lo è stato. Ma lei, la sua nascita, la sua solo esistenza è stata la cosa più bella che potesse mai capitarmi. Mi sono innamorata un milione di volte quando l'ho stretta tra le mie braccia e l'amore, si sa, è ciò che mantiene viva la speranza, la voglia di combattere, ciò che ci fa sentire sicuri. Lei è il mio centro gravitazionale, mi tiene stretta a terra, mi fa apprezzare tutto ciò che esiste al mondo. Non avrei mai immaginato di vedermi con una figlia. Ho sempre sostenuto che non tutte le donne hanno il senso materno - c'è chi gioca con la cucina e i bambolotti fingendo di essere una madre fin da bambina, ma io no. Io volevo combattere, correre, creare e distruggere. Non sono mai stata il tipo da abiti rosa e tiara alla testa. Io volevo essere una dura, una rivoluzionaria, una pronta a scendere in piazza con i manifesti al favore dell'aborto. Eppure, quando l'ho stretta a me, è stata come un'illuminazione, come se avessi finalmente capito l'essenza del mondo. Non si nasce con il senso materno, lo si acquisisce.
Le urla e i vari cori si fanno spazio lungo tutta la strada e un'ondata di persone che svoltano verso il locale mi fa gettare a terra il mozzicone di sigaretta. Devo rientrare e dare una mano se vogliamo uscirne vivi questa sera.
***
«Vi prego massaggiatemi i piedi e non smettete.»
Jason si sdraia con le gambe in aria su uno dei divanetti del locale, mentre io pulisco il bancone da tutti i residui di cibo e alcol. Sono le tre passate e ormai non c'è più nessuno, se non per qualche ubriaco dormiente sulla propria sedia e un gruppetto di ragazzi ad un tavolo.
Siamo tutti stanchi e provati, ma dobbiamo finire di sistemare e poi mandare a casa gli ultimi sopravvissuti se vogliamo andarcene anche noi.
Per terra un vero e proprio macello. Bicchieri sparsi ovunque e coriandoli attaccati in ogni angolo, faccio fatica perfino a camminare per non scivolare a causa dei vari liquidi appiccicosi sul pavimento.
«Hey, il microfono è ancora acceso.» Prendo l'oggetto tra le mani toccando più volte provocando un tonfo secco che risveglia Jason dal suo stato di trance.
«Canta qualcosa.» Ammicca Sarah, una delle ragazze con cui lavoro.
«No, assolutamente no, voglio finire e tornare a casa.»
«Dai Hannah Montana, facci sognare.» Si alza Jason inciampando sui suoi stessi piedi strappandomi il microfono dalle mani.
«Prova prova...uno, due, tre...perfetto.» Si schiarisce la voce mettendosi in posa. «Signori e signore, un applauso alla nostra star della serata...rullo di tamburi.» Sento dalla cucina qualcuno sbattere sulle pentole. Sono tutti matti, la stanchezza ci sta dando alla testa decisamente.
«Alexandra James!»
Delle piccole urla di incitamento da parte di Sarah e le altre ragazze svegliano alcuni degli ubriachi sul bancone. Non ci posso credere, stanno facendo sul serio. Di solito ci diamo al karaoke il giovedì sera, quando non c'è praticamente nessuno e dobbiamo per forza passare le ore in qualche modo.
Jason mi lancia il microfono che accolgo al volo attenta a non faro cadere, spostandosi verso il centro insieme agli altri.
«Oh...bene, se proprio insistete.» La mia voce è diversa dalle casse dello stereo, sembra più profonda.
Mi gratto la testa pensando a qualcosa al volo, quando sono sotto pressione dimentico tutto quanto. Anche se siamo solo noi del locale e qualche ubriaco, starmene qui, al centro dell'attenzione, mi rende nervosa.
«Ti muovi? Sto diventando vecchio!»
«Ok ok...ce l'ho!» Mi schiarisco la voce.
«Allora...Take it easy with me, please...touch me gently like a summer evening breeze. Take your time, make it slow...Andante, Andante, just let the feeling grow...»
Un urlo da parte di uno dei ragazzi provoca la mia solita risata imbarazzante, mentre Jason batte le mani incitandomi di continuare. Non sono una cantante professionale, ma, a detta loro, me la cavo molto bene. D'altronde ho cantato per anni al coro della chiesa, facendo anche diverse parti da solista, ma credevo che la mia voce suonasse così bene per via dello "spirito santo"- almeno così diceva il reverendo Jones.
«...I'm your music, I'm your song, play me time and time again and make me strong...make me sing, make me sound...Andante, Andante, tread lightly on my ground... Andante, Andante...oh please don't let me down.»
Mi sento come in un vero palcoscenico sommerso da milioni di persone mentre i ragazzi fischiano e applaudono urlando più volte il mio nome. Adoro i miei amici, sono pochi, stravaganti e fuori dal comune - ma sono i miei amici e li amo uno ad uno.
«Grazie...grazie.» Faccio un ultimo inchino prima di lasciare il microfono sulla console e lanciarmi di slancio tra le braccia aperte di Jason.
«La mia Celine Dion dei poveri.» Mi lascia un bacio sonoro sulle labbra prima di rimettermi giù.
Io e lui facciamo sempre così. Ci baciamo come fratelli, ci facciamo la ceretta a vicenda come sorelle e litighiamo come pugili di strada.
Jason è il mio migliore amico. Non soltanto perché passiamo praticamente tutte le nostre giornate insieme parlando del più e del meno, lui è il mio migliore amico perché non mi ha mai lasciato sola. Mi ha accompagnato in ospedale con la sua Smart rossa quando avevo le contrazioni, mi ha stretto la mano in sala parto e ha preparato il latte ad Allie quando non mi potevo muovere dal letto. C'è sempre stato per noi due, si è perfino trasferito da me per un paio di mesi per potermi stare più vicino, lui è sempre stato presente nella nostra vita ed io gli sarò eternamente grata per tutto.
Ci siamo conosciuti quattro anni fa, quando portai il curriculum in questo posto, lui era al bancone e ricordo ancora che mi disse di scappare finché ero in tempo, ma non fu così. Mi insegnò tutti i trucchi del mestiere facendomi da tutor e dopo un paio di mesi, mi invitò alla sua cena di laurea. Fu lì che diventammo amici stretti, avevo capito di avere finalmente qualcuno.
«C'è qualcosa che non sai fare?»
Ci voltiamo tutti verso la porta d'ingresso e se non fosse stato per le braccia di Jason su di me, sarei sicuramente cascata a terra inerme e senza forze.
Indossa dei pantaloni scuri di jeans e un cappotto nero lungo, estremamente costoso a prima vista e dannatamente bello intorno al suo corpo. Sento lo stomaco contorcersi dentro di me mentre lo guardo negli occhi e un'esplosione mi pervade internamente facendomi dondolare sul posto. Deve essere illegale guardare uno come lui, perché mi sento un ladro mentre rubo il suo sguardo magnetico e lo imprimo dentro la mia mente buttando via la chiave.
«E questo manzo chi è?» Jason mi riporta sulla terra ferma mentre si avvicina al mio orecchio.
Gli stringo la mano con tutta la mia forza mentre lui si avvicina verso di noi a passo lento. Ho paura che possa sentire il mio cuore che martella ad una velocità supersonica reclamando di uscire dal petto.
«Chris...» Il suo nome esce dalle mie labbra in sussurro e il suo sguardo scende sulla mia mano, adesso incastrata in quella di Jason che non appena capisce di chi si tratta spalanca la bocca senza ritegno.
«Oh porca puttana.»
Lascia la mia mano immediatamente girando sul posto senza motivo e prego dentro di me affinché non dica niente di compromettente come è il suo solito fare. Mi sento sola adesso senza la sua mano, come se mi avesse appena lasciata dentro la tana del lupo, incapace di potermi difendere o scappare. Ma io non voglio scappare, voglio correre - correre verso l'infinito e poi tornare di nuovo da lui a dare una sbirciata dentro all'azzurro dei suoi occhi.
«Ciao piccola.» Si ferma ad un metro da me lasciando intravedere un sorriso sotto ad uno sguardo freddo e controllato ed io ho dimenticato come si faccia a respirare. L'ossigeno sembra deviare altrove anziché entrare dentro di me, e annaspo alla ricerca di un briciolo di dignità o di coraggio che mi aiuti a tirarmi fuori da questa assurda situazione.
Tutti dentro la stanza non muovono un dito, non parlano, come se fossero intimoriti perfino loro dal suo aspetto composto e perfettamente preciso.
«Oh beh...lei sa anche dire ciao, vero Alex?» Jason incrina la voce pronunciando il mio nome e mi da una leggera gomitata nella schiena spingendomi in avanti.
È così alto da qui. Il suo profumo mi inebria i sensi facendomi volare su questa stanza fino a toccare i punti più alti del paradiso. Sto impazzendo, lo so, le gambe stanno per cedermi e vorrei vomitare qui su due piedi tutto quello che sto provando. Devo contenermi. Così, scuoto la testa portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«C..ciao...hai fame?»
Ok, non era così che volevo rompere il ghiaccio ma va bene lo stesso.
Sorride arricciando il naso muovendo la testa da una parte all'altra.
«No grazie, stavo tornando a casa ma il canto di una sirena mi ha colpito in pieno...» Si lecca il labbro inferiore facendo una pausa ed io vorrei solo gettarmi in mezzo al mare e annegare lentamente «...ed eccomi qui.»
Il modo in cui il suo sguardo si sposta in ogni angolo del mio corpo mi fa assottigliare sempre di più fino a scomparire. Sono come cenere di fronte a lui, basterebbe un piccolo soffio per farmi scomparire nell'aria.
«Alex, noi qui abbiamo quasi finito. Puoi andare.»
Jason sparisce e riappare in un nano secondo con la mia giacca e la borsa tra le mani ed io, incapace di reagire, mi lascio vestire di fronte a lui come una bambola di pezza.
«No aspetta!» Urlo spaventando perfino me stessa quando mi rendo conto di quello che sta succedendo.
Jason mi sta praticamente lanciando nelle braccia di Chris!
Per quanto la cosa mi faccia impazzire, cerco comunque di essere razionale e la verità è che io non lo conosco. Potrebbe essere perfino un assassino seriale in cerca di prede da scuoiare come animali, oppure un maniaco sessuale.
«...Io...devo...fare...qualcosa.» Blatero voltandomi verso il mio migliore amico che mi fissa con uno sguardo infastidito. Lui non capisce, non è facile per me uscire alle tre di notte con un uomo sconosciuto e una figlia piccola a casa che mi aspetta. Non posso farlo.
«Devo passare in farmacia!» La butto lì senza riflettere.
Chris non ha aperto bocca e ascolta pensieroso la nostra strana conversazione posando gli occhi su di noi, con una mano incrociata al petto e una sotto il mento.
«No ci vado io in farmacia, addio!» Mi liquida Jason spostando più volte il suo sguardo su Chris senza farsi vedere.
Ho bisogno di chiarire questa cosa, non posso andarmene così su due piedi senza discuterne con lui.
«Puoi scusarci un secondo?» Chris annuisce alzando le spalle e si siede su uno dei divanetti a gambe aperte.
Deve essere un sogno.
Il ragazzo di fianco a me stringe il mio braccio con prepotenza tirandomi via con irruenza verso la cucina. Ma cosa gli prende?
«Allora, fammi parlare ok?» Apro bocca non appeno metto piedi dentro la stanza ma la richiudo immediatamente. «Tu adesso hai due scelte e deciderai appena finisco di parlare. La prima è finire di pulire questo buco del culo di posto fino alle quattro, strofinando bene ogni centimetro di vomito nel bagno e infilando la mano nella tazza del cesso per stasare le tubature piene di merda. Oppure, due, esci da qui con il miglior sorriso possibile e chiedi a quel pezzo di manzo là fuori di riaccompagnarti, fai la carina, lo conosci un po', gli rubi il numero di telefono e magari non stasera, ma la prossima volta ti lasci scopare a testa in giù dentro alla sua stanza rossa.»
Sto per rispondere ma la sua mano si posa sulla mia bocca bloccandomi ancora una volta.
«Non accetto che tu scelga la prima, perché abbiamo passato una notte intera a cercarlo su internet come dei matti, adesso lui è qua fuori che sbava per te come nessuno in vita tua e non accetto che tu ti lasci sfuggire un potenziale giocattolo sessuale solo perché sei una mamma con una morale. Non prendermi per il culo perché tu vuoi scopare, quindi scopa.»
Finisce il suo monologo prendendo fiato. Lo guardo di sottecchi nascondendo un sorriso, Jason sa come convincere una persona. Potrebbe perfino convincere qualcuno a salpare su una nave per l'inferno di solo andata grazie alla sua parlantina.
Ha ragione, non devo mica portarlo a nozze, è solo un uomo che vuole conoscere una donna, facciamo amicizia e vediamo un po' come va a finire. Magari è noioso e non vorrò più rivederlo domani, ma se non ci provo non lo saprò mai.
«Come sto?»
«Come qualcuna che vuole essere sbattuta.» Mi da una pacca sul sedere e mi spinge fuori dalla cucina.
Devo solo darmi una calmata e respirare ogni tanto. Non è difficile. Così faccio il mio ingresso in sala e sorrido come non mai alzando bene la testa.
«Mi accompagni a casa, soldato?»
Chris
Saluto con un cenno i ragazzi dentro al bar ed esco dopo di lei cercando di non abbassare lo sguardo sul suo fondoschiena.
Contieniti per l'amor de cielo!
Vorrei sapere cose è successo dentro quella cucina, visto che adesso sembra una persona diversa di fronte a me, più sciolta. Va bene così, in realtà va benissimo in tutti i modi, volevo passare da solo del tempo con lei per capire cosa voglio e ci sono riuscito. I pianeti sembrano essersi allineati per noi visto che mi hanno portato lungo questa strada a quest'ora della notte solo per rincontrarla ancora una volta. Non passo mai da qui, non è una zona che frequento, ma preciso stasera ho festeggiato a casa di un amico qua vicino e ho parcheggiato la macchina in fondo alla strada del bar dove lavora.
Se questo non è destino allora non ho idea di cosa sia.
Soffio sulle mie mani per riscaldarle mentre guardo verso di lei. Sembra pensierosa mentre cammina guardando di fronte a sé - sul suo viso, tra le sopracciglia, si è formata una piccola ruga e la bocca leggermente aperta gli danno un'aria più adulta.
«Hai la macchina?» Mi chiede cogliendomi in flagrante a fissarla.
«Sì, non è molto lontana.» Annuisce con la testa mordendosi il labbro inferiore, guardando di nuovo davanti a sé. Questo silenzio è decisamente imbarazzante.
«Quanti anni hai?» Chiedo mettendomi le mani in tasca. Devo sapere qualcosa di più su di lei e la voce di Marcus dentro la mia testa, che ripete più volte "sei un pedofilo", mi rende nervoso su quello che risponderà. Non ho problemi ad andare con ragazze più giovani, ma non voglio casini, quindi è meglio mettere subito in chiaro questo punto.
«Ventuno, tu?»
Perfetto, non è minorenne!
«Quanti anni mi dai?» Alzo un sopracciglio facendo un po' lo sfacciato, voglio conversare con lei, non voglio che sembri un interrogatorio.
«Non lo so...trenta?»
«Più due, hai praticamente indovinato.» Sorrido flebile.
Non sembra così sorpresa dalla mia età, anzi, mi lancia un sorriso prima di guardare di nuovo davanti a sé. Meglio così, almeno abbiamo attraversato il primo step.
Adesso, come me la porto a letto senza risultare un maniaco?
Ammetto di aver digitato su Google una domanda del genere oggi in macchina, dopo la lezione di yoga, ma non ho trovato risultati soddisfacenti.
Lei ancora una volta sembra essersi chiusa dentro al suo guscio e non riesco a capire a cosa stia pensando, mi rende nervoso - è strano come cambi umore velocemente senza un motivo apparente.
«Dunque...fai due lavori?» Cerco di rompere ancora una volta il ghiaccio. Mi sento uno stupido, sono talmente incazzato che vorrei svoltare l'angolo e andarmene a casa, ma non voglio fare lo stronzo. Ormai gli ho promesso un passaggio.
«Sì, ho bisogno di soldi per scappare.» Sorride abbracciandosi per combattere il vento gelido che ci sta colpendo senza sosta.
«Scappare da chi?» Scorcio in lontananza la mia auto e frugo dentro ai pantaloni per cercare le chiavi.
«Da nessuno, voglio solo viaggiare.» Si ferma dietro di me non appeno gli apro lo sportello della macchina e mi ringrazia entrando in silenzio.
Sto davvero rivalutando l'idea di lasciar perdere, sembra così insicura e timida, non fa per me. Il modo in cu si è presentata al mio ufficio e i suoi movimenti alla lezione di stamani non sembrano neanche appartenere alla persona che ho di fronte. Sembra una ragazzina alle prese con i suoi problemi adolescenziali, d'altronde ha solo ventuno anni.
Che diavolo mi aspettavo?
Entro dentro l'auto girando subito la chiave per poter accendere l'aria calda. Mi sento come un baby-sitter, o uno zio che riporta a casa la nipote e la cosa mi mette a disagio visto le mie intenzioni iniziali.
«Dove abiti?» Chiedo mettendomi la cintura e lei segue il mio gesto imitandomi. Sembra così piccola sopra al sedile della mia auto.
«Sulla tredicesima...è una casa con la porta rossa.»
Annuisco partendo lentamente, lasciandogli il beneficio del dubbio. Forse dirà o farà qualcosa lungo il breve tragitto, ancora non è detta l'ultima parola...magari mi sorprenderà in qualche modo, canterà qualcosa, forse devo accendere la radio per lei. Così accendo e parte una strana canzone mai sentita prima. Lei non reagisce, non dice niente, si limita soltanto a guardare fuori dal finestrino con le braccia conserte sulle gambe per tutto il tempo.
In parte sono incazzato e furioso per la mia stupidità, mi sono solo fatto milioni di problemi inutilmente, ho trovato un modo stupido per avvicinarmi a lei solo per accompagnarla a casa come se fossi un fottuto tassista.
Mi fermo davanti alla porta rossa stringendo le mani sul volante, vedendo le mie nocche farsi più bianche rispetto al resto della mano. Devo essere gentile in qualche modo, così respiro lentamente e mi giro verso di lei mostrando uno dei miei più falsi sorrisi. Nemmeno Giuda potrebbe essere più infame di così.
«Eccoci qua!»
Lei sembra sul punto di vomitare mentre sposta più volte il suo sguardo fuori e davanti a sé.
Forse è ubriaca.
«Ti accompagno alla porta?» Chiedo slacciandomi la cintura di sicurezza.
«Chris!» Il modo in cui pronuncia il mio nome sembra disperato, si toglie la cintura velocemente e si gira verso di me mettendo una gamba sotto di sé, toccando il mio sedile di pelle con i suoi scarponcini.
Se fosse stato un altro momento l'avrei ripresa sicuramente, ma sembra così nervosa che lascio perdere il mio bisogno ossessivo di pulire la macchina dalle sue luride scarpe.
«Io...di solito non sono così...» gioca con la cerniera del suo cappotto con fare nervoso.
Ma dove mi sono cacciato? Io non ho bisogno di drammi, ho dei problemi più grossi che stare dietro ad una ragazzina qualunque.
«Grazie per il passaggio...sei stato gentilissimo, ma non era così che volevo passare del tempo con te...tu sei così adulto e composto ed io mi sento fuori luogo, quindi va bene se mi infami dopo averti fatto perdere tempo, ma sappi che ero curiosa anche io di...beh insomma...di stare un po' con te.»
Il suo imbarazzo e il modo in cui pronuncia quelle parole ammorbidiscono il mio corpo, facendomi sentire più leggero di prima. Forse il problema sono io che pretendo le cose sull'immediato e non considero che è pure sempre una giovane donna e sicuramente non si fida del primo che incontra per strada.
Ha bisogno di sicurezza, di conforto, ha bisogno di cazzate per farla stare bene e poi posso portarmela a letto come si deve.
Dentro la mia testa cerco di auto convincermi a fare un piccolo sforzo, perché il mio corpo freme al solo pensiero di averla sotto le coperte e quando mi fisso su una cosa, è praticamente impossibile farmi cambiare idea. In questo caso la mia fissazione è questa ragazza. Guardo come le sue mani giocavano tra di loro con fare nervoso, sul suo volto è ricomparsa quella piccola ruga mentre si tiene stretta il labbro inferiore tra i denti. Sta aspettando una risposta o un cenno da parte mia, mentre io rimango immobile a fissare ogni suo particolare.
Ne vale davvero la pena?
Qualcosa dentro di me mi ripete di lasciar perdere, ho come la strana sensazione che qualcosa andrà sicuramente storto e che sto sprecando il mio tempo inutilmente, ma il suo sguardo, il modo in cui i suoi occhi indugiano su di me timidamente mi fa letteralmente impazzire. Lei mi desidera quanto io desideri lei, solo che non vuole ammetterlo a sé stessa e si logora dentro mostrandosi come una persona diversa.
«Sai...ho cercato il tuo nome su internet ieri sera...» Sorrido nel vederla così imbarazzata mentre si tortura le dita della mano quasi a volerle strappare dal proprio corpo. «...oddio, sono patetica! Scusa!» Si copre il viso nascondendo il suo volto arrossato, mi sento adulato in questo momento e la cosa mi piace da impazzire. Sta cercando di dirmi qualcosa, di farmi entrare dentro la sua testa e anche se mi resta difficile capire le sue intenzione, apprezzo il fatto che ci provi.
«...ti prego...dimmi qualcosa.» Mormora con il viso ancora nascosto tra le sue mani, cercando di sbriciare attraverso la piccola fessura delle sue dita.
Sono incapace di rispondere, ho paura che qualunque cosa dica in questo momento, possa destabilizzarla o incoraggiarla ancora di più a fottermi i sensi. Perché è questo che fa lei da quando l'ho vista ieri nel mio ufficio, mi è entrata nella testa come un uragano lasciandomi dentro un senso di agitazione, curiosità e paura. Paura per la sua dolce età complicata e piena di drammi, paura che possa fraintendere le mie reali intenzioni.
Chi è questa ragazza?
Annuisco come un ebete guardando oltre il finestrino la porta rossa di casa sua, riflettendo su i pro e i contro della mia risposta. Potrei correre il rischio di giocare secondo le sue regole, cercando di andare piano e senza fretta, oppure salutarla, andarmene via e digitare il numero di qualche altra donna, lasciandomela alle spalle. Potrebbe essere la soluzione più facile ed efficace, ma ancora una volta, il modo in cui i suoi occhi indugiano su di me senza sosta mi fanno cambiare rotta dei pensieri e senza riflettere mi allungo verso il cruscotto spaventandola. Prendo un foglio a caso e una penna e glielo porgo.
«Sei stanca, possiamo parlare domani se vuoi?»
Il suo sorriso, i suoi capelli biondi che si spostano dietro le orecchie e i suoi occhi che brillano mentre scrive velocemente il suo numero mi spaventano e forse non era lei quella chiusa in sé stessa questa sera. Ma io, che, senza rendermene conto, mi stavo costruendo un muro di mattoni davanti.
//Spazio autrice//
Hey! Eccoci qua, allora vi dico solo due cose veloci riguardanti il capitolo.
1. Per chi volesse ascoltare la canzone che canta Alex vi lascio il titolo: "Andante, Andante degli Abba". C'è anche la versione che canta l'attrice che la interpreta, la nostra favolosa Lily James, nel film "Mamma mia! Ci risiamo". E, ad essere sinceri mi sono proprio ispirata a quella parte del film...ops sgamata!
2. Amo Jason, ciao.
Marian
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