Capitolo 20
"It's something unpredictable
But in the end is right.
I hope you had the time of your life."
-Good Riddance, Green Day.
«Ti porto qualcosa da bere?»
Osservo le noccioline dentro alla piccola ciotola di vetro sul bancone segnato ormai dal tempo - la vernice scura si è staccata dai bordi del ripiano e dei piccoli graffi provocati sicuramente da bicchieri e bottiglie sono incisi sul ripiano assieme agli aloni delle macchie ormai asciutte. È pieno di persone, tutte lontane dal bar però. Ascoltano un gruppo che suona musica strana e ballano a ritmo con i loro sorrisi e loro teste spensierate. Vorrei essere come loro, lasciarmi andare e chiudere gli occhi dimenticandomi chi sono. Dimenticandomi perché mi trovo qui, in un locale sconosciuto, in una città sconosciuta tutta sola nel cuore della notte.
«Vodka Tonic Jimmy!»
«Questo è l'ultimo però!» Borbotta il vecchio signore con il sigaro che gli penzola dalle labbra.
«Avanti! Non fare il guastafeste!»
Finalmente qualcuno si è fatto avanti e l'ha distratto da me - erano svariati minuti che provava ad intrattenere una conversazione, ricevendo in cambio solo scrollate di spalle e sbuffi silenziosi.
Ora come ora non ho il coraggio né la voglia di alzare lo sguardo e rispondergli. Non ho neppure i soldi per pagarmi da bere, con i miei risparmi devo solo cercare un posto dove dormire il prima possibile o le gambe mi cederanno facendomi cadere come gelatina su questo sporco pavimento. Sono stanca, affamata e emotivamente distrutta. Non dormo da giorni se non per quelle poche ore in autobus - ore che sono state fatali, visto che ho perso la mia fermata, ritrovandomi nel bel mezzo del niente, con il caldo afoso sulla testa e la gola completamente secca. Ed ecco come sono arrivata dentro questo locale, dove ciò che mi importava era soltanto trovare un posto dove sedere senza per forza dover risultare strana o una senzatetto.
Aspetta, ma io sono una senzatetto. Non ho un posto dove dormire!
Sbuffo forse troppo sonoramente, la musica dietro di me ha smesso lasciando spazio a le voci delle persone che parlano animatamente.
Frustrata porto entrambe le braccia sopra al bancone, picchiettando le mani sulla testa per cercare di scacciare via tutta l'ansia. Ho un gran mal di testa e un forte senso di nausea, forse per la fame, o forse per l'odore del sigaro misto all'alcol.
«Pessima giornata?»
«Lascia stare ragazzo, ci ho già provato, non ne vuole sapere di parlare.» La voce roca del vecchio mi sveglia dal mio stato di trance, così mi accorgo finalmente della persona di fianco a me.
Annuisco piano alla sua domanda senza aprire gli occhi, potrei perfino addormentarmi in questa posizione. Non ho idea del perché abbia accennato i miei primi segni di vita.
«Jimmy, portale una birra.»
«Argh!» Borbotta nuovamente il vecchio prima di girarsi e frugare nel frigo.
Ancora una volta la mia stanchezza non mi permette di capire cosa stia succedendo, così sobbalzo quando il vetro si scontra con il legno di fronte a me.
La birra quindi è mia?
«Gr...grazie...» Balbetto lanciandogli un'occhiata fugace senza muovere la testa, giusto per vederlo meglio, ma non riesco a focalizzarlo per niente, se non per dei semplici capelli scuri.
Prendo la bottiglia nervosamente tra le mani e bevo piano il contenuto fresco. Non è acqua, ma può andar bene lo stesso - almeno è la prima cosa che metto nello stomaco da questa mattina.
«Non ti ho mai vista da queste parti, di dove sei?»
«Texas.» Bevo un altro po' del liquido giallastro forse troppo velocemente.
Non sono abituata all'alcol, anzi per l'esattezza non ho mai bevuto niente di alcolico all'infuori del vino rosso durante le cerimonia della pasquali.
«E hai un nome Texas?»
Resto in silenzio nel sentire il nome del mio stato, ripensando alla mia piccola contea con tutta la mia famiglia e alla reazione che avrà avuto mia madre non appena si fosse accorta del biglietto sul comodino.
"Ciao mamma sto soffocando, ho bisogno di spazio. Saluta papà, vi voglio bene."
Bella figlia che sono, esemplare.
Potrei dire di rimando di non essere stata cresciuta a dovere, ma non è così. Devo tutto ai miei genitori, grazie a loro ho frequentato la migliore scuola privata della città, ho sempre avuto un piatto caldo dove mangiare e un posto sicuro dove rintanarmi. Ma non ho avuto la libertà che tanto desideravo e che ancora bramo disperatamente. Io voglio vivere. Non con le loro regole e la loro religione, voglio vivere come vorrei.
Il tocco sconosciuto mi riporta alla realtà, scacciando via i miei pensieri e immediatamente mi alzo piagando il suo braccio dietro alla schiena, alzandogli il gomito sempre più in alto e con la mano libera premo sulla sua testa, tenendolo fermo contro il bancone.
«Cazzo! Ehi, scusami! Non avevo intenzione, io...cazzo!»
Mi rendo conto solo adesso di quanto sia ridicola e paranoica, così lo libero all'istante e abbasso la testa portandomi i capelli dietro alle orecchie.
Il vecchio dietro al bancone sorride come se niente fosse mentre il ragazzo si sistema la maglia prima di puntare lo sguardo su di me.
Respirando a fatica trovo il coraggio necessario e alzo la testa per la prima volta.
Ha gli occhi più profondi e penetranti che abbia mai visto, nonostante le luci soffuse e buie del locale, riesco a vedere la brillantezza nelle sue iridi blu.
«Niente male. Sei così carina con la tua gonnellina di jeans e poi lotti come un ninja.»
Rimango in silenzio ad osservarlo, soffermandomi su ogni centimetro del suo viso - non lo sto faccio apposta, non riesco a smettere. È ipnotizzante.
«Xena...ti chiamerò così. La principessa guerriera, hai presente?»
Sorrido abbassando la testa, rendendomi poi conto che si tratta del primo sorriso di una giornata così pesante. Anzi, a dir la verità è il primo sincero dopo un'enorme quantità di tempo – tutto questo per via di uno sconosciuto che mi ha appena affibbiato il nomignolo più stupido che ci sia.
«Ragazzo! Attacchi tra un minuto!» Il vecchio lo chiama indicando il palco alle mie spalle.
Lui si gira verso il bancone dicendo qualcosa che non riesco a sentire, poi riporta l'attenzione su di me sorridendo.
«Finisco tra venti minuti, non andartene ti prego.»
Senza un vero e valido motivo annuisco guardandolo ancora negli occhi finché lui pone fine al nostro piccolo contatto e corre via verso il palco, lasciandomi sola ad osservarlo mentre si porta la chitarra sulle spalle.
«Grazie del passaggio.»
Slaccio la cintura tenendo sempre lo sguardo basso. Non mi sento in imbarazzo in sua presenza, ormai il ghiaccio lo abbiamo rotto anni fa – semplicemente mi piace evitare i suoi occhi, per non rischiare di inciampare al di là della finestra che ho lasciato spalancata quando ho deciso di accettare che restasse qui nei paraggi per qualche giorno. Per poter conoscere Allie.
Non mi pento di aver accettato, è giusto che mia figlia non cresca con delle domande sul padre. Che lui ci sia o scappi via, di nuovo. Ed è giusto che lui la veda ancora una volta; deve vedere i suoi capelli biondi, il suo sorriso contagioso e la sua lunga collezione di supereroi. Deve vedere con i suoi stessi occhi quanto sia fuori dal comune e speciale Allie e che merita davvero di essere amata da un'altra persona, soprattutto dal padre.
«Hai il mio numero adesso, fammi sapere quando posso incontrarvi.»
«Senz'altro.» Sorrido forzatamente guardandolo per un millesimo di secondo prima di scendere dalla sua auto e camminare velocemente lungo il piccolo vialetto che mi porta a casa.
Evan non è cattivo.
Non lo è mai stato.
Ha avuto i suoi momenti no durante la nostra relazione, ma è normale – non siamo perfetti. Io stessa mi sono comportata male diverse volte con lui senza un valido motivo.
Ci siamo fatti molto male a vicenda.
Lui è sempre stato quello più attaccato e attento dei due, se c'era qualcosa che non andava, se ne rendeva immediatamente conto. Sempre se non era ubriaco o strafatto. Ha avuto grossi problemi con l'alcol e le droghe, forse dovuto al suo bizzarro stile di vita. Il giorno frequentava il college, prendeva perfino buoni risultati per quelle poche volte in cui si presentava. Il problema era la notte. Suonava in una rock band alternativa, almeno così si definivano quei quattro pazzi scatenati. E oltre a fare musica, facevano molto baccano e si divertivano a bere in continuazione - sommato agli spinelli che venivano aspirati come fossero del semplice ossigeno.
L'ho raccolto da terra un milione di volte circa.
Io al contrario lavoravo duramente per poter mettere da parte i risparmi necessari ad andarmene da quella strana città. Mi divertivo con Evan e i suoi amici, ma non era la vita che faceva per me e lui questo lo sapeva. Era disposto a partire insieme e sistemarci altrove.
Stupidi giovani e incoscienti.
Ci promettevamo cose più grandi di noi, immaginandoci in un futuro abbracciati l'un l'altro con la sua chitarra blu su una spiaggia deserta e i miei occhi chiusi nel dolce suono della sua voce misto alle onde del mare. Ho sempre amato le sue canzoni, i suoi testi parlavano di sogni e speranze mentre la sua vita cadeva a rotoli.
Ciononostante eravamo la coppia perfetta alla luce del giorno, tutti ci invidiavano e ripetevano i continuazione quanto fossimo splendidi insieme. In effetti andavo ai suoi concerti sempre in prima fila e morivo ogni qualvolta mi osservava piegandosi sul palco e cantando solamente per me.
Ed io avevo occhi solo per lui.
Fuori dai riflettori però, eravamo un vero e proprio caos fatto di urla, pianti e cose gettate ovunque. Ho perso il conto delle volte che mi sono chiusa in bagno a curare le mie ferite per poi uscire ed aiutarlo con le sue. Ma a noi andava bene così.
Finché qualcosa si è rotto.
Ed eccoci al punto in cui devo decidere come presentargli sua figlia con il cuore in gola.
Giro la chiave nella porta guardando appena dietro le mie spalle la sua auto ancora ferma nello stesso punto. Gli ho detto chiaramente che Allie sarebbe tornata più tardi assieme alla baby sitter che ha deciso di portarla a fare merenda con altri bambini. Ma non credo che sia ancora qui per questo.
«Evan.»
Mi giro prima di aprire la porta urlando il suo nome poco convinta.
Lo vedo mentre alza entrambe le sopracciglia e si sporge dal finestrino aspettando che continui.
«Se hai bisogno di un posto dove dormire...» Farfuglio incerta ripercorrendo i passi verso la sua macchina. «Il divano non è poi così male, ci hanno dormito praticamente tutti i miei colleghi...cioè solo se vuoi ovviamente.»
Mi mordo l'interno della guancia mentre aspetto che risponda.
Sono una stupida lo so, ma so per certo che non ha un posto dove andare, non mi va di lasciarlo in mezzo alla strada. Lui lo ha fatto con me, perché io non dovrei?
«Dalle foto sembrava molto interessante la doccia di quel motel, aveva delle strane macchie simile al sangue...però se proprio insisti.»
Scuoto la testa allontanandomi mentre lascio che apra lo sportello. Prende un borsone dietro a sedili e la custodia della sua chitarra, ormai l'unica sua fedele compagna.
«Beh, non ho una jacuzzi, ma le macchie di sangue le ho tolte.» Dico camminando di fianco a lui superandolo per aprire, sentendo il suono della sua risata che mi riporta nel passato come una secchiata di acqua gelida.
***
Batto incessantemente i piedi a terra dal nervosismo, sono quasi le cinque del pomeriggio e Zoe mi ha avvisato che sarebbero arrivate a momenti. Non ho idea di cosa accadrà tra pochi minuti.
Allie non farà assolutamente nulla, lui è un completo sconosciuto ai suoi occhi. Sono preoccupata per come possa reagire Evan e non ho idea del perché. È ovvio che non le salterà in braccio gridando il suo nome, ma dentro la sua testa si è fatto un'idea.
Anch' io se fossi in lui avrei un'immagine nitida di come vorrei incontrare mia figlia per la prima volta dopo anni.
Il suono dell'acqua mi disturba, ma non potevo negargli una doccia, non dopo ore di viaggio in auto per arrivare fino a qui.
Dannazione! Perché sono così buona con le persone? E soprattutto perché lo sono con lui!?
Il telefono davanti a me vibra ancora una volta facendo apparire l'immagine di Jason sullo schermo. Non ho intenzione di rispondergli, non adesso almeno o scoppierò in un caotico attacco d'isteria. Ho ignorato perfino i messaggi di Chris dove mi ricordava per l'ennesima volta l'orario per domani sera.
Non sono dell'umore giusto per parlare con lui, anche se lo vorrei tanto.
Il campanello suona ed io salto letteralmente in aria correndo ad aprire. Perfino la caldaia ha smesso di far rumore e ciò indica che Evan ha già finito.
Ma non poteva restarci ancora un po' sott'acqua? Che so, magari per tutta la vita.
«Mamma!»
La piccola si getta tra le mie braccia appena mi piego alla sua altezza e la stringo forte, forse più del dovuto. Inspiro a fondo tutto il suo odore cercando di riempire bene i polmoni di lei, che in caso non avessi più ossigeno, mi rimarrebbe perlomeno un piccola scorta da parte.
Saluto Zoe ringraziandola di tutto come sempre e mi appresto a sganciare il giubbino ad Allie che aspetta pazientemente di correre in bagno.
Perché proprio ora?
«Mamma! Pipì! Pipì!»
Mia figlia è incredibile.
Ha paura dello scarico del bagno pensando che sia un mostro pronto a mangiarla, quindi ancora spesso e volentieri se la fa a letto. Eppure stasera ha avuto la brillante idea di voler provare il vasetto di nuovo dopo mesi e mesi di tentativi falliti e lenzuola buttate nel cestino. Dovrei esserne felice, eppure sento il bisogno di strozzarla quando fa così.
«Aspetta! Il bagno è occupato!»
«Mamma! Pipì!»
La sua voce squillante mi agita ancora di più e come una matta comincio a correre per tutto il salotto alla ricerca di qualcosa da usare al più presto possibile. Potrei prendere una tazza, ma sarebbe fin troppo strano e al quanto fuori luogo.
«Allie, resisti!» Mi appresto a scappare lungo il corridoio inciampando sui miei stessi piedi, raggiungendo la porta della mia stanza. Prendo il catino blu che uso di solito per mettere i vestiti puliti e lo svuoto di tutta la mia biancheria buttandola sul pavimento mentre raggiungo mia figlia che piegata in due stringe i denti saltellando.
«Vieni!» L'aiuto a tirarsi giù i pantaloni e la sollevo tenendola a mezz'aria mentre lei sorride rilassata lasciandosi completamente andare.
«Se domani mattina il tuo letto è bagnato, giuro che ti uccido.» Dico esausta per la corsa improvvisa mentre lei se la ride giocosamente, strofinando il suo piccolo naso sul mio.
Finito il piccolo teatrino lascio che corra in camera sua a prendere i giochi mentre ripulisco a terra il casino che ho fatto lanciando tutti i vestiti in aria.
La serratura del bagno scatta e mi fermo sul posto ricordandomi solo adesso di Evan.
L'avevo praticamente rimosso, maledizione!
«Devo usare il bagno. » Dico solo con il catino contenente la pipì di Allie tra le braccia.
Lui annuisce serio facendomi passare.
Sicuramente sta pensando che è arrivato il momento tanto atteso. La sua faccia è completamente rigida e potrei dire nervosa come non mai dal modo in cui i suoi occhi mi seguono dentro al piccolo bagno mentre apro l'acqua della doccia lavando il cestello blu.
«Vieni...» dico incerta fermandomi di fianco a lui mentre la voce di Allie risuona lungo tutto il salotto mentre canticchia a modo suo la canzoncina della pubblicità delle scarpe.
Evan inspira profondamente trattenendo il fiato più del dovuto – incontro il suo sguardo e noto i suoi occhi lucidi indugiare più a fondo e urlare quanto siano spaventati. Lo sono anche io, ma sicuramente per lui deve essere molto più difficile. Così, lascio perdere tutti i miei rimpianti e la mia rabbia e allungo la mano sfiorando il suo braccio.
I suoi occhi scattano sul primo contatto che gli ho rivolto dopo così tanto tempo ed io cerco di mantenere la calma più assoluta restando ferma e solida sul posto.
«Andrà tutto bene.» Apro il palmo della mano incitandolo a seguirmi, così lui ancora poco convinto accetta il mio invito e la stringe appena camminando piano lungo il corridoio.
Sento il suo corpo irrigidirsi e la sua presa aumentare non appena Allie corre verso di me strillando come una matta e ridendo a più non posso.
«Mamma! Hulk!» Urla indicando la televisione dove stanno passando la pubblicità del suo supereroe preferito.
Mi giro sorridendo verso Evan e cammino verso il salotto lasciandomelo alle spalle.
«Allie, vieni qui. Voglio farti conoscere una persona.» La chiamo tranquillamente mentre la sua faccia è letteralmente attaccata alla piccola tv. «Allie...» insisto notandolo ancora quasi del tutto nascosto dietro allo stipite della mia porta, mentre la osserva con gli occhi completamente sgranati.
«Chi è?» Urla girandosi verso di lui, con i capelli biondi a ricoprirle buona parte del viso.
Eccoci qua.
È arrivato il momento che non mi sarei mai minimamente immaginata di assistere. L'ho sperato più volte sì, ma vederlo realizzare qui, nel mio piccolo salotto, è una cosa che mi coglie del tutto impreparata.
Osservo attentamente la scena di fronte a me, spostando gli occhi dalla bambina che cammina tranquillamente in sua direzione, a Evan che, colto alla sprovvista, si avvicina con gli occhi pieni di terrore.
«Ciao.» Dice lei allungando la mano verso di lui come suo solito fare.
Gli ho insegnato a dare la mano quando conosce qualcuno e lei continua a farlo in modo esemplare. Sono fiera di lei e della sua capacità di interagire con gli altri.
Evan lentamente si abbassa fino ad accovacciarsi completamente sulle gambe, senza mai staccarle gli occhi di dosso. Da questa posizione riesco solo a vedere la testa bionda di Allie e vorrei spostarmi per assistere meglio alla scena, ma decido di restare seduta sul bracciolo del divano e lasciargli il loro spazio. Il loro momento insieme e sperare in una possibile connessione tra i due. Ci starei male se lei lo respingesse, non l'ha mai fatto con nessuno.
Credo che sia completamente sbagliato pensare che per lei è indifferente conoscerlo o meno adesso, visto che è piccola e appena riesce a comporre frasi complete. Nella sua testa i pensieri sicuramente sono molto definiti e anche i sentimenti. Penso che lei sappia di avere una persona in meno nella sua vita ma che non riesce ad esprimerlo come vorrebbe. Mi ha chiesto una sola volta di suo padre ed io le ho solamente risposto che abita lontano. Da brava codarda, ho usato la scusa più comune e banale che ci sia, lasciandole la speranza di poterlo andare a trovare un giorno.
Beh, adesso lui è qua. E questo deve essere uno dei giorni più belli della sua vita.
«Io sono Evan.» Lo sento mentre si presenta attentamente di fronte a lei, sporgendomi di lato per osservare le loro espressioni.
Chi sono io per vietare a mia figlia di incontrare una parte di sé? Sì, sono sua madre, ho molti diritti su di lei legalmente, se non tutti. Ma Allie è una persona a sé, con sentimenti suoi e gusti ancora da evolversi. È un suo diritto universale conoscere le sue radici, il mio compito è solo quello di proteggerla in questo caso.
È il momento.
Prendo un lungo respiro prima di aprire bocca.
«Lui è il tuo papà.»
Evan si scosta verso destra, sgranando gli occhi e aprendo la bocca, pronto a morire mentre incrocia il mio sguardo. Non si aspettava di certo che sarei andata dritta al punto, beh...a dire il vero non credevo neppure io di riuscirci. Ma lo devo a mia figlia, solo a lei.
«Davvero?» Esclama lei alzando un braccio sul suo viso toccandogli la fronte e poi la guancia, picchiettando appena con il piccolo indice.
Il fiato mi muore in gola mentre li guardo attentamente con il cuore a mille - mi sudano perfino le mani dall'agitazione.
Ho abbassato al minimo il volume della tv e in questo silenzio riesco solo a percepire il battito dei nostri tre cuori che battono all'impazzata. Un vero e proprio concerto di emozioni in casa mia.
«Wow! Papà!» Rompe il silenzio urlando a squarciagola prima di gettarsi su di lui, abbracciandolo forte e strillando come una matta tra le risate.
Finalmente riesco a vedere il viso di Evan e mi trattengo con tutte le mie forze osservando come i suoi occhi siano sul procinto di scoppiare come un fiume in piena. Potrei piangere anche io, non è di certo una scena facile da digerire.
«Sì...sono io.»
Sussurra stringendola a sé lasciandosi finalmente andare in un pianto silenzioso mentre chiude gli occhi e inspira affondo tutta l'essenza e l'amore che si riceve quando si tiene a sé la persona più importante della propria vita.
So cosa si prova, è successo esattamente a me la prima volta che l'ho presa in braccio.
«Mamma! Lui è papà!» Urla girandosi verso di me prima di stringerlo ancora.
Riesco a stento a sorriderle mentre stringo forte il bracciolo sotto di me. Vederla così allegra mi rende sicura e fiera della mia decisone.
Vederla così felice è l'unica cosa che conta.
«Grazie.» Sussurra Evan guardandomi.
Non si tratta di me o di lui e dei vari problemi che hanno portato al capolinea la nostra relazione.
Qui non siamo noi i protagonisti.
Allie. Lei è il centro gravitazionale, lei è tutto.
SPAZIO AUTRICE
Avevo detto che avrei pubblicato subito stavolta! Felice di essere arrivata a quota duemilaaaaa! Vi adoro, grazie grazie grazie!
Bene, tornando alla storia...ho alcune domande da porvi e ci terrei tantissimo di sentire il parere di tutte quante. TUTTE.
-Vi è piaciuto il piccolo flashback di Alex ed Evan? Se la riposta è sì, vi piacerebbe che ci fossero degli altri, magari per capire meglio la loro storia che ne so. Mi affido a voi.
-Che ne pensate di Allie e suo papà? Io li ho amati sinceramente, ma secondo voi lui fa sul serio o sparirà ancora una volta?
-CHRIS WHERE ARE YOUUUUUUU!!?? So che vi manca ehehehehehehe
Anyway, risponde tutte che sono curiosa di sapere cosa vi piacerebbe ricevere!
Grazie mille, anzi DUEMILA!
Un bacio,
Marian❤️
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top