Capitolo 19





La monotonia distrugge la vita.

L'ordinario, il susseguirsi delle solite cose rendono le giornate prive di senso e colore.

La mattina preparo Allie, la porto a scuola e poi via di corsa al lavoro, o meglio, ai miei due lavori che a stento coincidono con gli orari. Eppure questa settimana è stata totalmente diversa, se non splendidamente perfetta.

Chissà perché da quando c'è lui...

Chris, Chris, sempre Chris.

Ho adorato il modo in cui, quel pomeriggio, si sia preso la briga di portarci al parco a mangiare un gelato. Il suo modo di battibeccare con me sulla scelta di prendere un cono più grande del dovuto ad Allie e la sua faccia imbronciata quando ha dovuto finirlo al posto suo. È sempre rimasto restio nel suo solito personaggio composto - ma lo sguardo luminoso e il sorriso che nascondeva quando si è tenuto il piccolo coccodrillo, erano decisamente quelli di una persona magnificamente felice.

Felice come lo sono stata io durante tutta la settimana, quando riuscivo ad incontrarlo a lavoro per pochi istanti. Restavamo lì dentro alla stanza piena di persone a rincorrerci con gli sguardi e a rubarci sorrisi senza che gli altri se ne rendessero conto. Come due ragazzini alle prime armi evitavamo di parlarci, ma ci dicevamo tutto attraverso gli occhi.

E poi fuori.

Ieri sera, fuori dall'edificio è stato magico.

Sono uscita tranquillamente dalla porta d'ingresso, salutando la receptionist che si è solo degnata di tirare su la testa e fare una smorfia prima di spegnere le luci - pensavo che fossimo rimaste solo noi due, ma non appena ho messo piede nel marciapiede sono stata tirata con forza, ritrovandomi plasmata al suo viso con la borsa rovesciata a terra.

Un bacio pazzesco, pieno di tutte le emozioni contenute nei giorni precedenti. Uno di quei baci che si vedono solo nei film, con il contorno della pioggia fitta che batteva sopra le nostre teste ignare di tutto il resto, prese solo dal mostro momento racchiuso in una bolla. Il modo in cui mi stringeva, tenendomi salda al suo corpo, le sue mani dentro ai miei capelli e le sue labbra calde sono stati i motivi necessari per farmi aprire gli occhi e rendermi conto che non è un passatempo o uno sfogo qualsiasi. Io ho bisogno di stare tra le sue braccia. Ne ho bisogno per affrontare al meglio la giornata, per dormire meglio la notte, per sentirmi completa.

E so per certa che lui lo sa. Lui sa che effetto ha su di me, non ha bisogno che sia io a dirglielo. Sa benissimo come reagisco di fronte alle sue piccole attenzioni, ai suoi sorrisi, al suo senso dell'umorismo. Non mi sento vulnerabile per questo, mi sento libera, priva della mia pesante armatura che mi portò sempre dietro.

Chissà per quanto ancora ci saremmo baciati sotto a quello scroscio d'acqua gelida- se non fosse stato per Marcus, che con un semplice "respirate" fece scoppiare l'amico in una risata, sicuramente avremmo continuato per ore e ore. Per non parlare poi dell'espressione sconvolta di Patricia, che realizzò lì su due piedi di essere stata messa da parte da una ragazzina che fa le pulizie alla sua scrivania.

Mi sono sentita decisamente soddisfatta.

Sembrava che Chris volesse far sapere di non essere più su campo, che, come me, sia preso al cento per cento in qualcosa che è nato e si è voluto in pochissimo tempo.

Sarà forse l'inizio di una cosa seria?

Per adesso mi godo i nostri attimi in santa pace e quando lui non c'è, mi prendo la briga di pensarlo.

Come adesso, con la pila di piatti tra le mani e gli occhi di ormai sogna sempre ad occhi aperti.

«Secondo me dovresti metterla la cintura.»

«Dici? La festa è molto elegante e ci saranno sicuramente tanti snob, voglio essere in tiro quanto loro.»

«Pensa solo a farti notare da quel povero manzo.»

Jason ha ragione - non è un caso che abbia scelto l'abito più vistoso e chic dell'armadio, voglio che Chris perdi la testa.

Ringrazio il cielo che a volte faccio spese inutili di vestiti per occasioni che non si sono mai presentate, almeno adesso potrò sfoggiare qualcosa di diverso e chissà, magari sistemarmi i capelli una volta per tutte.

Ho sempre voluto tagliarli, magari corti fin sopra le spalle - ma quando martedì sera ho chiesto un parere a Chris, ho capito che forse sarebbe meglio evitare, visto le sue minacce di lasciarmi a piedi se avessi solo provato ad accorciarli di qualche centimetro.

«Vada per la cintura!» Dico piegandomi sulle ginocchia, sistemando attentamente ogni stoviglia lavata.

Come in ogni pomeriggio, il locale è completamente vuoto, quindi ne approfittiamo per rilassarci un po' e sistemare tutte quelle cose che restano in disparte per tutta la settimana. Ovviamente tocca a me, visto che i miei amati colleghi, Jason compreso, preferiscono di gran lunga startene seduti nel loro dolce far niente.

Io non riesco a starmene con le mani in mano, devo passare il tempo in qualche modo - odio annoiarmi.

«Puoi passarmi lo straccio?» Mi alzo indicando il canovaccio bianco posto sul tavolo in cui risiede il mio migliore amico, completamente sdraiato su due sedie con gli occhi chiusi.

«Arrangiati, sto meditando.»

«Sì, voglio proprio crederci.»

Borbotto uscendo dal bancone, aprendo la piccola porta di legno con il fianco. Noto che ci sono ancora delle tazzine sporche su uno dei tavoli e sbuffando più forte mi appresto a raccoglierle di fronte allo sguardo assente di Michael.

Che gran lavoratori che ho al mio fianco.

Mentre cerco di tenere in equilibrio tutto in una mano, sento un suono strano in lontananza. Proviene dall'esterno e sembra avvicinarsi aumentando il volume sempre di più.

Guardo Jason che ha aperto gli occhi e si è alzato ad ascoltare anche lui di cosa si tratta. Sicuramente qualche idiota che guida con la musica a palla alle tre del pomeriggio. Non li sopporto proprio, tutti quei ragazzi che viaggiano con il rombo delle loro casse, pensando di conquistare il mondo con le loro auto nuove di zecca.

Scuoto la testa girandomi verso il bancone con tutte le mie tazzine indosso, stando attenta a non far rovesciare niente a terra.

Il suono metallico e le campanelle alle mie spalle segnalano la presenza di un cliente.

«Salve, vuole ordinare qualcosa?»Lo accoglie tranquillamente Michael.

«Un caffè, grazie.»

Non può essere.

Il sangue si gela dentro le mie vene facendomi cadere tutto quello che avevo tra le mani.

Riconoscerei la sua voce anche a distanza di anni luce - forse per il suo timbro o per il suo accento particolare, una di quelle voci che non dimentichi facilmente, che sono in grado di risvegliare ricordi talmente profondi e nascosti che pensavo di non aver nemmeno vissuto.

«Xena! Vedo che non sei cambiata di una virgola, ancora vivi tra le nuvole?»

Xena.

Non sentivo quello nomignolo da anni, da quando se n'è andato, portando via con sé tutto quello che abbiamo passato insieme.

Cerco di respirare tranquillamente, non voglio che mi veda debole ancora una volta, non devo darle alcun tipo di potere su di me. Sono cresciuta, mi sono rafforzata e la sua assenza è stata solo un toccasana per la mia salute fisica e mentale.

Deve vedere come sono riuscita ad andare avanti senza di lui. Così mi ricompongo e prendo il coraggio necessario per voltarmi.

Scelta sbagliata.

Vedere i suoi occhi mi fa solo sprofondare negli abissi.

Il suo viso è più maturo, segnato dai segni del tempo e da un accenno di barba sottile. Le labbra, ricurve come suo solito in un sorriso agghiacciante, sono le stesse di due anni fa e lo sguardo non è cambiato affatto.

Faccio fatica a riprendermi in questo momento, così sposto semplicemente la mia attenzione sulla figura di Jason, che se ne sta dietro di lui a fissarlo come se fosse un fantasma.

Voglio mandarlo via e urlargli contro di sparire per sempre, ma non è qui per me. Non più ormai.

E per quanto mi sforzi di odiarlo con tutto me stessa, mi rendo conto che sto osservando una persona che ho amato.

E ha i suoi stessi occhi.

Gli occhi della mia bambina si rispecchiano nei suoi come se fossero stati presi dallo stesso pozzo dei desideri. Sono di un blu talmente profondo da far invidia al migliore degli oceani.

«Sbadata quanto bella, come stai?»

Realizzo solo adesso di essere rimasta più del dovuto a guardarlo, così raccolgo l'ultimo briciolo di dignità che mi è rimasto e lo raggiungo, camminando attenta a non inciampare sui cocci caduti a terra.

«Che cosa vuoi Evan?» Ringhio furiosa lasciando qualche metro di distanza da noi.

«Ho sempre amato il modo in cui dici il mio nome.»

La sua voce diventa ancora più profonda mentre io lotto con tutte le mie forza per rimanere calma ed impassibile alle sue solite provocazioni.

Sono forte, spaziale, una donna che si è lasciato il passato alle spalle e guarda al futuro.

«Sto lavorando, non ho tempo per le tue stronzate. Arriva al punto.» Dico incrociando le braccia e tenendo una postura rilassata, per nascondere il tremolio delle mie mani.

Michael mi sorpassa camminando dietro al bancone per preparargli il caffè ed io vorrei solo che aggiungesse del veleno al posto dello zucchero.

«Possiamo sederci e parlare?»

Sbuffo distrutta lanciando uno sguardo di aiuto a Jason prima di voltarmi e sedermi su uno dei tavolini completamente vuoti. Lui mi segue tranquillo facendo tintinnare le chiavi che rimbombano fastidiosamente all'interno del piccolo locale.

Ho sempre odiato il suo metallico che si porta dietro, come un'ascia che strida sul pavimento insieme alla sensazione di inquietudine, tipica dei film suspense.

Evan è come un film suspense.

Non sai mai quale sia la sua prossima mossa e mentre attendi con ansia il suo totale declino, lui se ne esce con battute assurde e stravaganti.

«Sei diversa. In senso buono intendo.»

Alzo lo sguardo dalle mie mani notando la sua postura comoda mentre se ne sta con un braccio appoggiato lungo la poltrona e l'altro che penzola pigramente.

«E tu sei sempre lo stesso.»

Nonostante i suoi capelli più corti e la barba è rimasto uguale. Le solite occhiaie, le piccole rughe sparse il viso, lo sguardo glaciale attraverso i grandi occhi azzurro.

«Cosa vuoi?» Vado dritta al punto schiarendomi la voce.

So già cosa voglia, ma ho bisogno di sentirlo di persona. Ho bisogno di capire perché solo adesso abbia deciso di palesarsi con così poco preavviso.

Cosa spinge un uomo ad abbandonare la propria figlia? Io morirei senza Allie, lui a quanto pare no.

«Lei dov'è?»

«Credi di poterla vedere così come se niente fosse? Sono passati anni, di certo non si ricorderà di te!»

Odio la facilità e la sfrontatezza con cui riesce ad aprire questo argomento, come se si trattasse di una cosa frivola e di poco valore.

Per quanto cerchi di restare calma e non dare i numeri, la mia voce ancora una volta mi tradisce lasciando dimostrare il mio evidente fastidio.

«Alex, lascia che ti dica una cosa.» Lo guardo furiosa mentre si sistema meglio sulla sedia, portando entrambe le braccia sul tavolino, avvicinandosi forse troppo al mio spazio vitale. Al muro immenso che ho creato tra di noi dopo che se n'è andato.

«Ho fatto una miriade di stronzate e tu lo sai bene, sono arrivato davvero ad un punto di non ritorno...»

Vorrei intromettermi e fermarlo prima che tocchi tasti dolenti della nostra assurda relazione, ma trovo la forza necessaria a farlo continuare mentre lui gioca con la saliera al centro del tavolo senza alzare mai lo sguardo.

«Sto bene adesso, mi sono sistemato, ho trovato un lavoro che mi piace e ho comprato una casa forse un po' troppo grande.» - Sbuffa in una piccola risata con gli occhi rivolti verso il vuoto. - «Mio padre mi ha dato dello stupido per aver scelto una casa del genere, non sono neppure riuscito ad arredarla, ancora dormo sul divano...credo di averla scelta pensando a lei...»

Osservo attentamente i suoi occhi fissi sulla finestra di fianco a noi - la luce dei raggi solari batte sul suo viso risaltando il suo evidente rammarico.

«Mi pento ogni notte di essermene andato, non solo ti ho fatto soffrire, ho lasciato che tu crescessi nostra figlia da sola. Avevi bisogno di me ed io ti ho voltato le spalle continuando a rovinarmi la vita come meglio sapevo fare...non merito il tuo perdono. Voglio solo vederla, conoscerla, voglio che sappia che lei ha un padre che le vuole bene nonostante sia incapace di dimostrarlo...voglio conoscerla Alex...»

La sua voce si incrina e per un momento sento un macigno sul petto che mi porta a sentirmi in pena per lui. Non è mai stato un tipo di molte parole e frasi complesse, si è sempre limitato a dire bene o male. Sentirlo così aperto e incredibilmente vulnerabile lascia sfumare tutta la mia rabbia facendo posto a milioni di interrogativi sul da farsi.

Non so se posso fidarmi ancora, non si tratta più del mio cuore infranto, ma di quello di Allie e se qualcosa dovesse andare storto, ne morirei.

Io posso permettermi di avere il cuore a pezzi, lei no.

«...ti prego.»

Sussurra incontrando il mio sguardo, facendomi riflettere nei suoi occhi lucidi la sua più totale sincerità.

È pentito, sta male, soffre, esattamente come è successo a me. Potrei esserne felice perché gliel'ho augurato tantissime volte, ma non è così. Non mi piace vederlo in questo stato, non è lui di fronte a me, non è l'Evan che ho conosciuto tre anni fa in quel piccolo locale sperduto nel Mane.

Quel ragazzo sbarazzino con la risata facile, la birra nella mano destra e la giacca di pelle nera sulle spalle, assieme a tutti i suoi problemi.








Spazio Autrice!


Sono tornata con la new entry: EVAN BARNES.

Che ne pensate di lui? Oltre ad essere un gran fico ovviamente...

Ho aggiornato anche il Cast, in caso volete dare un occhiata, fatemi sapere le vostre impressioni su questo capitolo, accetto anche idee e insulti tranquille! ❤️❤️

Ci vediamo presto,

Marian💕

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