Scopo

La poesia non è un modo di esprimere un'opinione. È un canto che sale da una ferita sanguinante o da labbra sorridenti.

Khalil Gibran - Sabbia e spuma

«Non potrò fasciarti le mani in eterno. Devi averne maggiore cura.»

Chiara stringe la benda. Bianco lino stridente contro i piagati, callosi palmi di Francesco, ingrigiti di malta, polvere e lerciume. Ha spalmato un unguento a base di olio d'oliva e cenere sulle vesciche portato da casa. Sgattaiola di soppiatto, coadiuvata da Annetta, sorelle, cugine e amiche, Bona e Pacifica di Guelfuccio in primis, sotto il naso altero dello zio Monaldo. Crede che la scapestrata disgrazia vivente di Pietro di Bernardone la istighi a comportamenti inappropriati.

Suo padre, di tutta risposta, benché sia indaffarato nell'impegnativa ricerca di un marito per la sua secondogenita, si è lasciato scappare, ridendo:  «Istigare? Non conosci tua nipote Monaldo. Chiara è più testarda d'un bue e più radicata d'una mandragola nelle sue convinzioni. Ha il piglio d'un condottiero e la dolcezza d'una madre nostra figlia. Comanderà la sua futura casa a bacchetta.»

Le formicola l'impulso di bacchettare Francesco per come si concia le mani, effettivamente. Lungimirante suo padre, non ha tutti i torti. Comunque sia, la cosiddetta disgrazia ambulante s'è trapiantata a San Damiano, ricomparendo a rate in città per elemosinare pietre e suscitare sdegno e scompiglio nei cittadini e commiserazione verso la sua sventurata famiglia. Non si è cambiato da quando padre Livoni l'ha accolto come chierichetto, e sgobba, s'incurva, fissa e incastra con la giubba sbottonata e chiazzata di sudore, la blusa floscia, i calzoni strappati.

Francesco ha assemblato quattro assi in un'amatoriale impalcatura - si nota che non se ne intende del mestiere, ma s'arrabatta come può - e raccattato una vecchia carrucola cigolante. Le piccole pesti del lebbrosario gli agevolano la fatica, ordinandosi in fila e passandogli, di mano in mano, le tegole per coprire il tetto.

Menomale che Chiara non soffre di vertigini. Dai, non è poi così alto questo ponteggio. Rudimentale, ma non per questo pericolante.

«Gli effetti del lavoro, naturali.» ridacchia Francesco, imperlato di sudore.

Annetta depone su un cumulo di pietre da scartare il canestro di vivande. Chiara le ha cacciate nell'involto apposta per lui, ringraziando i cuochi per la generosità.

Il suo pallore non la rallegra. Gli accosta il palmo alla fronte, scansando ciocche dispettose, intrise. Come sospettava. «Ti sta venendo la febbre.»

«Sono febbricitante d'amore per Dio!» ride scrosciante quell'altro, prendendola con leggerezza. Controlla le mani bendate, come nuove, riprendendo a spostare il macigno di prima sulla parete incompiuta. Sbuffando per lo sforzo, un peso eccessivo per il suo corpicino esile, malaticcio, non edotto alla stanchezza manuale, la depone nello spazio tra altre due, riempiendolo, posandola e massaggiandosi la schiena.

Una risposta insufficiente per Chiara. Lancia il bandolo di bendaggi giù, ad Annetta.

«Francesco, sono seria.» dice, mani ai fianchi. «Devi riguardarti. Fermati, prendi fiato un attimo. Se vai avanti rischi un tracollo.»

Lui va avanti, instancabilmente, come una laboriosa ape operaia saltella di fiore in fiore a impollinare, così scende e risale dalla scala in rami annodati, applica uno strato di calce, mescola l'impasto torbido e spugnoso nel secchio, installa e fissa le tegole sull'intelaiatura del tetto, ricevendole dai bambini, sega, martella.

Chiara stenta a sorvegliarlo, tanto celere e affaccendato si ritrova.

«E allora?» inquisisce, con una punta d'ironia e provocazione, Francesco, sorridendole e cernendo quali calcinacci sbriciolare nella soluzione d'intruglio.

«E allora non potrai riparare la sua casa!»

Applausi dal basso. Padre Livoni.

«Brava!» esclama il curato. «Finalmente qualcuno con un po' di discernimento! Ficcaglielo in quella capoccia cocciuta! Non dorme da due giorni.»

Due giorni?! Ma se li cerca i malanni! «Francesco!»

Il birbante scrolla spallucce indifferenti. «Non ne vedo la necessità.»

La necessità di dormire, questa è tragicomica. Come fa a tirare avanti?

«Sarai esausto.»

Francesco issa sulla carrucola una cesta di detriti, sorridendo serafico.

«Anche non dormire è una penitenza data a Dio.»

Chiara si arrende. Sta parlando a un mulo. Peggio: a un bambino. «Francesco, guarda che se non riposi non torno a casa!»

«E chi lo sente poi tuo zio?» Salta giù dalle impalcature, infervorato, ridendo a squarciagola, quella sua risata cristallina e gorgogliante. «Oh Chiara! È bellissimo, è fantastico, è strepitoso! Come posso dormire quando so che il mio Signore mi ama? E mi ama a tal punto da farsi inchiodare a una croce e denudarsi nella sua umanità, mostrando a tutti le sue piaghe? E non tiene per sé nemmeno la propria madre, anzi, ce la rende nostra e amorevole! E... e... crea per noi tutte queste incredibili meraviglie!» Spalanca le braccia sotto la volta pomeridiana, un illogico, sfrenato, infinito, abbraccio. «Il cielo, la luna, le sorgenti, il sole, le stelle, l'erba, i fiori, le api... come?! Vorrei, no, devo, no! Sento che devo gridarlo al mondo intero o esploderò!» Scala un muricciolo franato, ponendo le mani a imbuto. «IL SIGNORE CI AMA! GUARDATELO IMMOLATO PER AMORE! PER NOI! IL SIGNORE CI AMAAAA!»

Lo udranno fino a Cannara e Bettona! Chiara si raccoglie le gonne, scendendo dalla scaletta, sbattendosene dell'orlo insozzato. Farnetica davvero come un pazzo, un logorroico, sproloquiando dell'amore che lei rincorre dalla nascita.

«Francesco-»

La bracca per le spalle, concatenando lo sguardo al suo, un riso eccitato sgorga. «Non posso fermarmi, mangiare e dormire sono bisogni superflui... devo diffondere questa luce Chiara! È accecante! È sconvolgente!»

«Lo so.»

«Come?»

Gli accarezza la guancia, scrostandogli una macchia di calce.

«Lo scorgo nei tuoi occhi.»

Occhi fiammeggianti, esaltati, il suo corpo accalorato dall'emozione. Il tempo si dilata, consacrandosi all'infinito, all'eternità, un contatto e una vicinanza di sguardi, di rotte definitive, lunghe da sfidare l'arroganza dei secoli.

Loro due contro il mondo e le sue menzogne, le sue prerogative, le sue leggi.

«Ti ho stanato finalmente!» ruggisce un vocione sulla soglia.

Pietro di Bernardone, fumante ira, oltraggio, disperazione, acciuffa il figlio disastrato per il braccio, scagliandolo a terra e malmenandolo di calci. Chiara è interdetta, si fa avanti. Ma perché?! Che trattamento incivile è?! Annetta, prontamente, si frappone a scudo tra lei e il pestaggio, allontanandola.

«Pensavi di poterti nascondere da me?» Pietro schiaffeggia il figlio senza pietà, si sfila la cintura. Un presentimento oscuro insidia Chiara. Oh no. «Da me?! La mia pazienza è ai ferri corti, pazzo scriteriato!» Lo solleva per il collo, serrandolo, buttandolo via come un sacco d'immondizia. La spina dorsale di Francesco si schianta dolorosamente tra pietre, schegge, cocci. «Mi stai rendendo lo zimbello d'Assisi! Te ne rendi conto?! Ma adesso basta.» Il mercante trae un lungo sospiro. «Basta. Mi risarcirai fino all'ultimo soldo! Fino all'ultima stoffa!»

Stoffa.

Francesco s'illumina. Si rialza a sedere, occhieggia Chiara e un sorriso si disegna sul volto sudato. «Ma certo! Ti ringrazio padre mio!»

Scorrazza via rapidissimo, risalendo a gran velocità il fianco del Subasio, perdendosi nel folto degli ulivi e dei cipressi. Chiara e Annetta l'osservano rimpicciolire e scomparire, basite. Mai quanto Messer Pietro.

«C-Come?» balbetta, preso alla sprovvista da quella reazione. «Cosa? Dove vai? Torna qui ladruncolo!» Lo insegue alla sua ricerca. «Ladro! Ladro d'un figlio!»

Cosa succederà? Chiara gli corre dietro, ma la balia la afferra per il polso.

«Non impicciamoci se non ci riguarda. Qua ne esce un bel casino.»

Uno scandalo. Una ribellione rivoluzionaria, la scintilla appiccante il fuoco.

Chiara lo presagisce. Nell'aria spira un sentore di novità, di risveglio.

Non se lo vuole perdere.

«Francesco se ne uscirà libero.» Trattiene a stento le lacrime. «E anch'io.»

Tutti. Assisi, il mondo, non sarà piuttosto lo stesso.

E, in fondo, è proprio questo il bello.

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