Prove
In verità, quella che voi chiamate libertà è la più forte di queste catene, anche se i suoi anelli brillano al sole e vi abbagliano gli occhi.
Kahlil Gibran - Il Profeta
Condivide solo con Papa il suo progetto, Maman si roderebbe dall'angoscia, tartassandolo a più non posso e scongiurandolo di non partire. Con Angelo accenna qualcosa, buttato lì, ma è talmente eccitato dalla nuova, fiera, prospettiva, che occupa il tempo libero dal lavoro in bottega preparando e disponendo insieme a Papa, in un sorta di loro complotto segreto, il corredo d'armi.
Non può scendere in battaglia con la ferraglia scassata e ammaccata dell'altra volta. Quell'armatura, lo scudo, le bardature, erano costati un occhio alla testa, Francesco se lo ricorda bene, ma, tra poco, entrerà tra i ranghi d'un conte, un potente signore, e sarebbe uno sciocco a sfigurare. Perciò Pietro di Bernardone spende, spende e contratta, delegando ai fabbri e alle fucine ordini di magnifica fattura.
«Abbaglierai tutti figliolo!» esclama, arruffandogli i capelli.
Francesco a stento contiene l'entusiasmo, l'impazienza.
Papa ha avuto ragione. Una nuova, proficua, opportunità ha bussato alla sua porta, irrigando il suo cuore brullo con l'acqua della vita. Ridesta il suo lato baldanzoso, gagliardo. Doveva solo saper aspettare! Al seguito di Gualtiero di Brienne, uno volitivo, un combattente nato, non s'abbasserà nel fango e nel lerciume dell'ecatombe di Perugia. Lì erano scaramucce tra città, rivalità e campanilismi vecchi di secoli. Qui l'impresa è molto più alta, nobile, sentita!
Frequenterà solo i migliori, rampolli figli di nobili facoltosi, principi, eredi di fortunati ducati e sterminati feudi. Chi si unisce, in fin dei conti, alla carica d'un principe? Non certo i pezzenti, gli accattoni, i contadinotti analfabeti!
Se entrerà nei favori del duca potrebbe venire renumerato con gli speroni.
I tasselli, prima scompaginati, del suo sogno, si stanno riassemblando, componendo un quadro più nitido, chiaro. Francesco si ripiglia, riprende a ridere e dissipare scanzonato in taverna, a pagare le abbuffate agli amici, levando brindisi.
«Al roseo avvenire!»
Al suo. E a quello che, per riverbero, conosceranno i suoi cari.
Il vuoto nel suo petto si sta chiudendo finalmente!
Non fa altro che pensarci, in trepidante attesa, notte e giorno. Il sorriso rinasce e non pensa più alla morte come una ladra della vita. La toglie? Macché! La moltiplica! La centuplica! Un cavaliere caduto in battaglia diventa immortale e le sue gesta vengono cantate nei secoli, rivivendo in eterno, grazie al potere straordinario delle storie e delle parole. Se le cose si dipaneranno favorevolmente potrebbe addirittura imbarcarsi per la Terra Santa e partecipare alla più cristiana delle missioni.
Non vede l'ora. Galanti duelli, commilitoni degni del suo rango, cavalcature che sfilano eleganti nel corteo del conte...
Sovrappensiero, Francesco è parecchio distratto in questi giorni. Angelo, offeso dal fatto che non gli abbia rivelato niente in anticipo - era un segreto tra lui e Papa, che c'è di male? - lo richiama in bottega sì e no una dozzina di volte.
«Sei in estasi?»
Francesco trasecola. Il negozio è pieno. I clienti ispezionano le stoffe, ne valutano l'ordito, la geometria della tramatura, i decori e gli inserti.
Suo fratello lo fissa imbronciato. «Allora?»
Si da dello sbadato. «Scusa, stavo-»
«Sognando a occhi aperti.» Angelo sale la scala ancorata alle scaffalature, sistemando un rotolo. Dal suo tono scontroso si evince, palpabile, quanto il dolore per non essersi confidato con lui gli scotti ancora. «Pensa a lavorare.»
Sì, certo. «Adocchiare le più belle fanciulle d'Assisi vuoi dire!»
Un chiocciolio di risatine vibra da un gruppetto di donzelle. Pietro si vanta, roboante, che i suoi due bei ragazzi, eleganti e gentili, attirino le clienti più di una qualsiasi pubblicità. Stoffa di mercante, eccellenti! Conoscono mille modi per descrivere la qualità d'una stoffa. Diecimila per illustrare la fattura d'un tessuto. Un milione per accostare i colori negli abbinamenti in voga al momento.
Sangue del suo sangue, hanno memorizzato a menadito i risvolti e gli scompartimenti dei magazzini, le profondità del fondaco, le tecniche di tintura e lavorazione.
Ridacchiano civettuole tutte... tranne una.
Chiara Scifi.
Scortata dalla madre. Madonna Ortolana onora l'abbondanza insita nel suo nome e la figlia, in confronto, è un ramoscello delicato, esile, flessuoso.
Superata l'età delle bambole e dei dileggi, Chiara fluttua nel limbo della prima pubertà, appena sviluppata e affacciata all'adolescenza. Una ragazzina che s'erge fiera, dignitosa, irradiando compostezza dalla nube dorata e fluente, spiovente sulle spalle in un'alluvione di boccoli. Sulle maniche aderenti della gonnella rosa antico, taglio semplice, castigato, s'attorcigliano ricami ornati di filo purpureo. Dai tagli praticati in corrispondenza delle spalle - osservando una moda recentemente esplosa - sbuffano rigonfiamenti della camiciola diafana, chiusi da lacci, nastri e nappine, sbucante anche dalla scollatura fiorente di elementi e ornamenti vegetali.
Vestiario leggero, adattato alle sue forme in boccio e alla calura terribile di quest'estate. Fornace gli si addice, confacente.
Francesco, disorientato, s'impalla.
È lei.
L'azzurro magnetico dei suoi occhi, opachi di paura quel giorno lontano, trapelanti pensieri di cielo ora...
«Sei tu.» prorompe d'istinto.
Chiara arrossisce timidamente, allontana lo sguardo, salvo ripiombare su di lui e trafiggerlo con i suoi dardi affilati di zaffiro, appellandosi al coraggio.
«Chi... chi dovrei essere se non... io?»
«No, cioè...» biascica Francesco, sconvolto da un brivido. Ottima presentazione, fenomenale, complimenti! Attacca bottone anche con i sassi e davanti a lei s'impasticcia! Tossicchia via la tensione. «Posso esservi utile Madonne?»
«Dobbiamo rifornici per il corredo di Chiara.» spiega Ortolana solare.
La figlia s'oscura alla menzione dell'indispensabile assortimento di lenzuola, abiti, trapunte, stoviglie, suppellettili, utensili e altre cianfrusaglie funzionale alla sposa e alla sua dote. S'irrigidisce, alzando, nauseata, gli occhi al cielo, emettendo un basso lamento. Fidanzamenti e matrimoni non le devono andare a genio.
«Mamma...»
«Ho quello che fa al caso vostro!» le blandisce Francesco, frugando sugli scaffali e guidandole a un ripiano sgombro. «Ci è giunta oggi una partita di tessuti provenzali da mozzare il fiato! Sarai l'invidia delle fanciulle d'Assisi Chiara!»
«O lo zimbello...» farfuglia l'altra, ripresa con un'occhiata di rimprovero dalla madre.
Francesco srotola il rotolo, un sontuoso damasco dal doppio bagno nel pigmento di cadmio, preziose guarnizioni dorate dai riflessi stupefacenti. Ne decanta i pregi, sfoggiandola tra le mani, combinando anche possibili abbinamenti, confrontandoli con filati di fattura meno pregiata. Si muove meccanicamente, un automa. I suoi occhi volano, appena può, atterrando su Chiara, annoiata più che ritrosa e pudica.
I suoi occhi cerulei, limpidi, non sono cambiati da quel giorno.
Cos'è quest'agitazione che lo bracca? È una ragazzina che si sta plasmando nelle dolci forme d'una donna, una delle femmine di Favarone d'Offreduccio degli Scifi. Non ha alcunché di speciale, esclusa la distintiva massa bionda della chioma. Centinaia di persone al mondo hanno gli occhi chiari, lei non è l'unica!
«Francesco?»
Quando i loro sguardi s'intrecciano Francesco è riluttante a interrompere quella connessione. Chiara lo scosta, schiva, imbarazzata, indirizzandolo altrove, reagendo quasi l'avesse punta. S'arriccia un boccolo intorno all'orecchio. L'espressione confusa contrasta con il broncio morbido, altero, increspante le sue labbra.
«Francesco!»
Angelo ha dovuto chiamarlo insistentemente. Francesco ripiomba nella realtà, l'incantesimo con Chiara infranto.
«Perdonate...» s'affretta impacciato a scusarsi con le clienti.
Angelo gli rifila uno scappellotto, dettato più dalla sua collera in questi giorni che dall'incidente. «Hai la testa fra le nuvole oggi?»
Suo fratello ha preso tutto da Papa quando si parla di rabbia repressa. È capace di covare risentimento a lungo prima di implodere.
«Madonna Ortolana era curiosa di tastare anche il velluto scarlatto delle Fiandre.»
Oh, quello, sì. Fabbricato con precisione dagli artigiani. Francesco si volta, recupera il rotolo, tenendolo sottobraccio.
«Fate la carità...» implora una voce stentorea.
Un mendicante zoppo, cencioso, si trascina claudicante all'interno della bottega, tendendo una mano piagata. Chiara gli porge i suoi risparmi, pochi spiccioli. Il vecchio sdentato le tempesta la mano di baci di patetica gratitudine.
Che spettacolo indecente. Ci mancavano solo gli accattoni a disturbare il lavoro!
«Pussa via miserabile!» lo scaccia Francesco. Dove pensa di trovarsi? Questo è un ritrovo di gente perbene, raffinata, non un ospizio! «Stai ammorbando la bottega con il tuo tanfo da cane rognoso! Vattene!»
Il mendicante indietreggia, cascando a gambe all'aria. «Gentil signore...»
Gentil signore un corno! Sta pure deturpando la rispettabilità del luogo con le sue figuracce ridicole! «Ti ho detto di andare via!»
Papa lo segnala a un servo, scacciante quell'obbrobrio senza tante cerimonie.
Ma guarda un po' tu quale insolenza.
Francesco si rimette dietro il bancone, riagganciando da dove si era interrotto. «Sono mortificato. Dov'eravamo?»
Chiara è una maschera livida, un lampo di sdegno attraversa i suoi spicchi di cielo. Non spiccica favella da allora in poi, la madre dirigente le trattative e concordante sul prezzo, esprimendosi a monosillabi con apatia se interpellata.
L'ha oltraggiata? Rifiuta di guardarlo. Che ha commesso? Un puzzolente pulcioso infastidisce e la colpa è sua? Da quando in qua? Andata in porto la compravendita, la ragazzina e la madre mollano gli ormeggi, la prima, sembra, con aria sollevata.
Francesco non afferra dove diamine abbia sbagliato.
Più tardi, rimasto solo, ripensa a quei momenti, a Chiara, al mendicante. Non riesce a cancellarselo dalla mente. La bontà di lei e la sua... maleducazione.
«Se fosse entrato un re, un conte o un duca l'avrei trattato con ben altri riguardi.»
Ma perché? Che differenza c'è? Un cavaliere giura di fornire assistenza a chiunque indistintamente, sollecito verso chi è nei guai. Quel mendicante era un bisognoso, elemosinante qualche moneta, un tozzo di pane, della sussistenza. Francesco è roso dal rimorso. Ha sfigurato davanti ai suoi ideali, davanti a Chiara.
Corre in strada. Dove si sarà cacciato il mendicante? Deve rimediare al suo danno! Lo scopre sulla scalinata del Tempio di Minerva, avvolto nei suoi stracci.
«Mi sono comportanto indegnamente poco fa.» sentenzia Francesco, parandoglisi innanzi e riversandogli cinque o sei monete nel palmo, serrandogliele bene tra le dita, prima che gli scivolino via. «Tenete buon uomo.»
L'accattone si pietrifica, spiazzato, incredulo dall'oro che stringe, sufficiente per sfamarsi per un paio di sere, dormire al caldo, rimpiguarsi.
«V-Voi...»
Francesco lo tocca, ritraendosi. I rudi scampoli gli graffiano i polpastrelli.
«Le vostre pezze sono indecenti! Ecco, vi regalo questa.»
Si sfila la giubba, deponendola intorno al macilento corpo dell'uomo. Quello trema, commosso. Il giudizio della gente pesa su Francesco, lo accoltella. Il sole lo scioglie, quel giudizio, gli accarezza la blusa bianca e lui se ne crogiola, contento.
È contento della sua buona azione.
Gli si rimescola qualcosa, in pancia, un presagio, un senso.
Qualunque presentimento sia non turba la sua partenza, in un pomeriggio soleggiato, Maman, Papa e Angelo che si accomiatano da lui nello spiazzo antistante casa.
Monta un corsiero purosangue, Francesco, i finimenti intessuti d'argento, la gualdrappa un caleidoscopio di colori romboidali. Lancia dritta, scudiero con stipendio pagato per mesi, armatura smaltata, una manifattura talmente lucida da poterci riflettere dentro, istoriata con rifiniture di gemme.
Tesori preziosi provenienti dalle sabbie d'Oriente, esportati dalle carovane e dai traffici mercantili, esploranti quelle lande ai confini estremi del dominio cristiano e delle terre moresche, popolate da selvaggi, Saracini, bonzi e creature fiabesche, pane per gli autori dei meravigliosi bestiari miniati. Scintilla lo zaffiro, la pietra blu che emula l'altezzoso arco celeste e le fonti gelide, al centro della placca toracica, e lo smeraldo proietta sommessamente la sua luce piú verde dalla sommità dell'elmo, culminante in un pennacchio piumoso. Ultima, abbellendo gli spallacci, una coppia speculare di carbonchi di fuoco, emananti raggi roso dall'oro puro.
«Sei ancora arrabbiato?» Non vuole partire senza riappacificarsi con Angelo.
Suo fratello scioglie il broncio, sospirando. «No... mi dispiace, mi sono solo sentito...»
«Tagliato fuori. Ti capisco fratellino.» Francesco gli imprime un bacio sulla fronte, sopra la riccioluta aureola bionda. «Fai il bravo, mi raccomando.»
Angelo arriccia le labbra, divertito. «Ma se sono io il razionale tra noi due!»
«Calcolatore.» ride bonario Papa, arruffandogli i capelli. «Una mente da mercante, l'avventatezza è tipica dei cavalieri come tuo fratello!» Proprio a lui si rivolge, il primogenito incarnazione di tutti i suoi progetti, realizzazione di anni di sacrifici e compimento delle sue ambizioni. «Portaci quel titolo figliolo, siamo d'accordo?»
«Ci puoi scommettere Papa!»
Pica, pallida e cupa, lo scopiazza di sbaciucchi con uno attaccamento rasentante il morboso. «François, fais attention...»
«Ne vous inquiétez pas Maman.» la consola Francesco, svettando sopra di lei e i suoi veli svolazzanti dall'alto della sella. «Je reviendrai.»
In uno slancio struggente, lacrimante d'angosciosa malinconia, Maman gli afferra le mani, strofinandosele contro la guancia e bagnandole di pianto. «François, mon François, je prierai pour toi... tous le jours...»
Francesco reprime un gozzo ballonzolante alla gola, gli occhi annebbiati. Maman, la sua cara, dolce mamma, che l'ha viziato e coccolato, prediletto e amatissimo, le sue candide e affusolate mani, il viso ovale, i tratti angelici di certi superlativi affreschi...
Ma tornerà. Non è un addio. E quanto la renderà orgogliosa!
«Tieni.» Gli ficca in mano un libriccino sgualcito, pagine vizze, scolorite, incartapecorite e fragili dagli anni. «Ti custodirà intero e ti ricondurrà a noi.»
Francesco lo sfoglia rapidamente, un fruscio di paginette.
«Sarebbe?»
«L'èvangile.»
Il Vangelo? Come se gli servisse! Francesco lo ritiene un peso superfluo. Ma è un dono di Maman e non le spezzerebbe mai e poi mai il cuore.
«G-Grazie...» biascica un vago ringraziamento.
Le attenzioni spasmodiche non cessano al regalo d'addio. Spinge di speroni, un colpo e il suo fido destriero sta macinando terreno, accorciando le distanze tra lui e il suo destino glorioso, il suo luminoso, ridente avvenire. Braccia e mani si levano a salutarlo. Francesco gira la cavalcatura un'ultima volta prima di scomparire, inghiottito dalle vie. Papa e Angelo ondeggiano le braccia, Maman tormenta e appallottola un fazzoletto trinato, un argine esondato di commozione.
«Copriti bene, rappelle-t'en!»
«Pica!» schiamazza Papa. «Finiscila con le tue carinerie, il ragazzo va alla guerra!»
«Mais monseiur, lo sapete che è sempre stato di costituzione fragile...»
Ci sono volte in cui la vita ti regala i pretesti peggiori per prendere a pugni qualcuno.
Sono quei momenti in cui ti ritrovi, d'improvviso, con gli occhi spalancati e le guance ardenti e rosse di vergogna per colpa di uno scherzo innocente perpetrato da altri.
Attimi di vita che finiresti persino col rimpiangere se, col senno di poi, non ti rendessi conto di quanto la gioventù non sia in fondo un cielo troppo stretto e che, a differenza di quello abituale, immutabile e blu sotto al quale corrono e s'affrettano quotidianamente tutti, finisce sempre col terminare.
Francesco di Bernardone, quel buffone scriteriato d'un perdigiorno, è consapevole della caducità delle cose? La vita, tanto per citarne una?
Chiara è convinta di no.
Scapicolla per i vicoli di Assisi, pane e offerte con cui allietare l'oscura e dimenticata esistenza di quei derelitti giù al lebbrosario, approfittando d'un assenza di suo padre e dei suoi zii, infagottati nelle grinze della sua tunica. Non avvista nessuno di sospetto in strada, deserta, nessuno la ferma. I viali laterali, le arterie e i chiassi, sono meno ostruiti delle vie principali, trafficate da carri, greggi, cavalli, a dispetto della sporcizia e degli escrementi ristagnanti in pozzanghere di liquami.
Ringrazia la Divina Provvidenza per averla fatta nascere in questo dedalo di cittadina.
L'acciottolio di zoccoli in avvicinamento le fa accapponare la pelle. Chi è? Se la scoprono? E se le chiedono dove si stia recando in completa solitudine? Con il cuore rombante Chiara accellera la sua corsa, pregando d'incappare in una rientranza tra due palazzi, una scorciatoia, una salvezza...
«Ma buongiorno Madonna!»
Il cavallo le piomba davanti, sbarrandole la strada.
Per lo spavento Chiara rischia di capitombolare sul selciato, scivolando all'indietro. L'animale s'imbizzarisce, nitrendo. Il pietrisco si avvicina pericolosamente, l'aria fischia nelle orecchie e Chiara spalanca la bocca, spaventata dall'impatto inevitabile con il terreno, paralizzata dalla paura, dagli zoccoli scalcianti che la potrebbero calpestare e ridurre in polvere.
Un braccio, prontamente, la salva dal precipitare.
Non si verifica nessuna colluttazione, nessuna bruciante abrasione in una nuvola di detriti, ghiaia e pulviscolo.
Il panico evapora, un calore sconosciuto le crepita sotto la pelle, un rantolo e l'aria le invade i polmoni. Con uno strattone vigoroso Chiara si dimena, staccandosi dalla stretta, la cortina dei capelli che sobbalza, ribaltandosi in avanti, sulla fronte.
La scosta, il sole accende le ciocche di bagliori incandescenti.
Immobile, per un istante sospeso, Chiara s'immerge nello sguardo scuro e vispo del suo salvatore, ci annega, sprofondandoci, il tempo s'azzera.
L'intensità di quegli occhi...
«Dove sta correndo così trafelata una signorina perbene come te?»
Il destino è beffardo. Chi doveva capitare a tirarla fuori dai pasticci se non lui?
Il balordo re supremo delle pagliacciate d'Assisi.
Francesco di Bernardone.
Quel cafone! La sua maleducazione, tempo fa, in bottega, verso quel poveretto, l'ha sconcertata. È un villano, uno sconcio villano, dalla puzza sotto il naso e l'aria presuntuosa, superba, di un cocco di papà e bamboccio viziato! Crede che il mondo s'inchini ai suoi piedi e tutto gli sia dovuto.
Ah, perché la febbre non gli ha fritto il cervello?!
Presupponendo che ne abbia mai posseduto uno.
Chiara storce la bocca, gli occhi saettanti alla ricerca d'un varco, una fenditura tra le muscolose gambe del destriero o un viottolo laterale in cui imbucarsi e fuggire quanto più lontano possibile da questo molesto essere umano.
Ne individua uno alla sua portata, una scalinata stretta stretta compressa tra due abitazioni. Raggiante, si fionda in avanti.
«Dove pensi di squagliartela gentil punzella?»
Francesco tira le redini e le blocca la strada. Chiara si volta, ritenta. Percorso chiuso nuovamente. Scorge un'uscita alla sua destra. Francesco le si para davanti. Allora svolta. Niente da fare. Irritata, Chiara pesta i piedi.
Quello ride!
Ride, ostentando i suoi denti bianchissimi, quel sorriso ammaliante da far cagliare il latte alle ginocchia a sue coetanee vanesie e sciocchine. Cosa ci vedano di attraente in questo pallone gonfiato rimane mistero. Ride Francesco, per lui tutto un gioco, conciato in quella baracconata d'armatura pacchiana, sfavillante, avida della luce solare, rubini infuocati e schegge di glaciale zaffiro applicati sul metallo.
Chiara conficca le unghie nel palmo, mantenendo il fagotto di viveri ben avvoltolato tra i drappeggi e le falde della tunica, serrandolo al petto.
Ride lui, un gorgoglio folle, peculiare, acuto e al contempo cristallino, insistente, ingordo di vita e assetato di avventure. Contagioso, deve rilevare Chiara. Facile comprendere perché questo smilzo, malaticcio ragazzaccio dall'apparenza vile, tutt'altro che memorabile o appariscente, raccolga tanti proseliti nella sua banda di amici al punto da venire acclamato goliardicamente quale Re delle Feste.
Il riso s'affievolisce, Francesco le riserva un ghigno sarcastico.
«Da gentiluomo ti sto salutando.»
Sai che gentilezza. «E io, da gentildonna, ti sto evitando.»
Un passaggio alla sua sinistra! Chiara si lancia, quando un giovanotto brufoloso dall'aria svogliata s'interpone tra lei e la fuga. Lo scudiero di Francesco, ne conviene dall'abbigliamento sciatto e trasandato.
«Lasciami passare!»
«Spiacente Madonna.» bofonchia il ragazzo. «Rispondo solo al mio signore.»
La rabbia le sta ribollendo nello stomaco. «Risponderai a mio padre della tua deplorevole insolenza se non ti sposti immediatamente!»
Non hai mai adoperato il potere del suo casato quale minaccia, mai l'è servito finora. Se l'è sempre cavata da sola. Ma adesso questi due manigoldi si sono messi in testa d'importunarla! All'evocare il nome di Favarone di Offreduccio degli Scifi la spacconeria e la sicurezza dello scudiero vacillano.
Il ragazzo arretra, timoroso. «Non-»
Una paventata minaccia insufficiente a scalfire la prepotenza di Francesco di Bernardone o a insinuare in lui il benché minimo spavento.
Incombe su di lei in tutta la stazza aggiunta dalla sella, frenando il cavallo a pochi centimetri da dove Chiara s'è arrestata. «La mia presenza t'urta così tanto?»
«La tua presenza m'è indifferente.» borbotta innervosita Chiara.
«Allora cos'aspetti a rincuorare il tuo aitante cavaliere?»
Molte donne di discutibile moralità s'offrirebbero di rincuorarlo nelle osterie.
«Preferirei rincuorare un serpente!»
Francesco le indica un punto alle sue spalle. «Eccoti accontentata!»
Un serpente?! Dov'è?! Chiara trasalisce, schizzando un balzo e gettandosi contro il ventre tondeggiante del corsiero. La paura le gela il sangue nelle vene. «Oh mamma!»
Tra le pietre non striscia nessuna serpe squamosa.
E si è riparata contro il cavallo di Francesco, il quale le sta stringendo la mano.
«Constato che tu abbia cambiato idea.» le dice, sorridendo sornione.
Chiara si scansa, scandalizzata, la pazienza al limite. «Nei tuoi sogni!»
E nei suoi più nefasti incubi!
Vuole solo provocarla. Non deve dargliela vinta o fornirgli pretesto perché da quella boccaccia scaturiscano altre cretinate.
«Lasciami in pace!» esclama stizzita, comprimendosi l'involto al petto. «Non voglio avere nulla a che spartire con te!»
«Sto partendo per le crociate.» la ragguaglia Francesco, senza che nessuno l'abbia interrogato. «Militerò nei ranghi di Gualtiero di Brienne.»
Chiara si augura che lo infilzino su una picca e i Saracini gli mozzino quella sua lingua biforcuta. «E con ciò?»
«Con ciò...» Dal viluppo di redini Francesco estrae la sua lancia, sottile e alta, laccata di pittura rossa e spirali, allineandola in direzione di Chiara, sfiorandole una ciocca di capelli. «Che cavaliere sarei senza un pegno d'una donzella?»
«Fattelo dare da una delle meretrici che insemini!»
Sta per svignarsela, dandogli le spalle e tanti saluti, ma Francesco si avventa in avanti, agguantandola per il polso. Chiara grugnisce, lotta per sciogliersi dalla stretta micidiale, ma Francesco la trattiene, sospingendola a forza a sé.
«Le loro vene sono aride, le loro famiglie umili. Una donzella di nobili natali può solo concedermi i suoi favori. La conosci l'usanza dei tornei no?»
Privarsi d'un proprio fronzolo, un panno o una giarrettiera o una banderuola, e annodarla intorno alla lancia del concorrente favorito - di solito combaciante con lo spasimante - in segno di portafortuna e buon augurio per la vittoria.
Chiara è a carente di questo genere di talismani cavallereschi e, se anche li custodisse in tasca o altrove, di certo non li regalerebbe a Francesco di Bernardone, buzzurro dei buzzurri d'Assisi!
«Non ho niente.» sentenzia lapidaria.
«Io sospetto il contrario...» La punta s'abbassa al rigonfiamento del suo bottino, Chiara si compatta il pane, raccogliendo il sacco tra le pieghe. «Cosa nascondi?»
«Niente che ti riguardi!» Sporco impiccione!
Francesco impiglia volutamente la punta nel tessuto, tirando con uno strappo violento. Il manto cede, il fagotto s'apre e le pagnotte rotolano sulle pietre. Stupore si disegna sui tratti del suo aguzzino. La lancia è intrappolata nell'intrico. Nel tentativo di liberarla Francesco spinge inavvertitamente con eccessivo vigore e squarcia, in un movimento rude, il lembo della sua tunica. Chiara è interdetta.
«Tu-» Non ha più parole. Cavoli, è... è... impossibile!
«Sono desolato.» Infatti si sganascia il gran burlone.
Chiara raccatta il pane, desiderosa più che mai di filarsela lontano, lontanissimo da Francesco e i suoi teatrini d'arroganza e superbia.
L'imbocco d'un vicolo laggiù, la scalinata che s'addentra nei meandri d'Assisi! Se solo riuscisse a raggiungerla senza ostacoli. Un ostacolo battezzato Francesco di Bernardone prettamente. Chiara si arma di perseveranza e sta per battere il primo passo. Francesco le taglia la strada, frapponendosi tra lei e la libertà.
Maledetto lui! Ha anche dei tempi da rispettare! Mamma e sorelle e cugine non possono coprirla per un lasso infinito. Deve riapparire tra le mura domestiche prima che Favarone, Monaldo e fratellanza siano rincasati!
«Lasciami andare!» gli intima.
«Non senza il mio pegno.»
Chiara gli sputa dritta nell'occhio. Lo scudiero soffoca maldestramente una risata.
«Eccolo il tuo pegno capitan gradasso!»
«Che linguaggio forbito utilizziamo...» Si ripulisce dalle chiazze di saliva. «Ma le parole sono aria e non mantengono il ricordo d'una fanciulla.»
Non la lascerà in pace finché non l'avrà soddisfatto. Rassegnata, Chiara si straccia il lembo sfasciato della tunica. Ormai è una pezza buona a strigliare i pavimenti. La lega stretta intorno alla punta della lancia.
«Ecco. Ora vattene a giocare ai tuoi massacri.»
L'altro ride. Di nuovo. Che vuole adesso?! Continuare a infierire?
«Un bacio a suggello del tuo affetto per me.»
Ha ottenuto la conferma che questo sia tutto suonato. Sconvolta, Chiara non gliene manda a dire. «Scordatelo!»
«Non rispetti gli attributi d'una donzella aristocratica te, lo sai?» ghigna Francesco, spietatamente derisorio.
La punge nell'orgoglio. La nobiltà non si eredita con il sangue, ma è innata nell'animo. Sai quante tare nelle nidiate benestanti si fregiano d'aver meritato i loro titoli e poi attuano bastian contrario! Suo cugino Rufino si candida a esempio lampante.
«Saranno affari miei quello che rispetto o no?»
Francesco le tende la lancia. Pretende il suo bacio o non se ne andrà.
«Un bacino innocente...» la supplica mellifluo.
L'ha presa di mira solamente per umiliarla.
Sta per sfiorare il legno con le labbra. Francesco gliela sfila da sotto il naso, stuzzicato da una prospettiva più diverterte. «Aspetta.»
Sfodera la spada, sprigionante barbagli glaciali. Sul pomolo dell'elsa un cuore di rubino è sbranato tra le fauci d'un lupo. Bestiale come Francesco non sarà mai, neanche tra cent'anni. Un lupo si è scelto, tra tutte le fiere temibili.
Gli si confacerebbe una papera. Offensivo nei confronti delle papere.
L'acciaio avvampa ai raggi del sole, uno specchio inciso e ribattuto. Francesco lambisce i suoi capelli. Un brivido percorre Chiara, gelido strumento di morte carezzante la sua pelle serica, giocherellante con le sue ciocche.
Resta eretta, impassibile. Non cederà, non cascherà nei suoi tranelli suadenti.
«Benedici la mia lama con un bacio.» comanda Francesco.
Chiara non batte ciglio. Suona infantile, uno stupito marmocchio capriccioso.
Ma nell'impazienza di Francesco non c'è traccia fanciullesca. «Fallo.»
«Altrimenti?» pone atona.
«Ehm...» Non si era aspettato una ribellione alla sottomissione. «Dirò a tutti del pane che trasporti di nascosto!»
«Neanche sai dove lo porto!»
«Appunto, potresti averlo rubato.»
Nel regno delle ipotesi squinternate.
«Se ti accontento... la smetterai di tormentarmi?»
«Hai la mia parola.» giura Francesco, il guanto nella cotta di maglia picchiante sulla corazza decorata.
Uno come lui la saprebbe rimangiare seduta stante la sua ignobile parola. A breve verrà proclamato paladino, riflette Chiara. I cavalieri non si compromettono mai rifiutando un aiuto a chi lo necessita e infrangendo i voti assunti.
Francesco è obbligato a mantenere fede al giuramento.
«Molto bene.» Stampa un bacio veloce sull'acciaio, assaporandone il gelo, saggiandone la levigatezza. «Tieni.»
Francesco pare compiaciuto. «Ora sì che sono pronto per scendere in guerra!»
E per farsi accoppare possibilmente male senza scampo.
«Vi ringrazio damigella!» esulta, rinfoderando la lama. «Detengo i connotati d'un vero, prode, cavaliere! Sventrerò Saracini infami e sgozzerò orde di infedeli!»
Le previsioni potrebbe ribaltarsi. Chiara non lo reputerebbe un male.
Voltando il cavallo, Francesco lo sprona di speroni, dirigendosi verso il portale dele mura, martellando e rivoltando il terriccio in zaffate di polvere. Lo scudiero lo affianca, correndo. Finalmente! Chiara si sente liberata. Si tuffa a capofitto nel primo vicolo alla sua portata, saltando di scalino in scalino, lo strascico ingravidato dall'aria, il vento la schiaffeggia. Libertà! Sconfinata libertà!
Si sostiene il malloppo, la gonna sfrangiata. Come la giustificherà a casa? È rimasta impigliata sotto uno zoccolo? Pressata da una ruota d'un carro? Non guardava dove posizionava i piedi e incautamente ha sbattuto contro... contro un palo!
Vale di più un uomo sofferente che un blando vestito stracciato.
Nella piazzetta davanti a Porta San Rufino non ronza una mosca.
Il silenzio è calato, Assisi sonnecchia nell'immobilità umidiccia del solleone e il calore formicola sotto lo strato dell'epidermide di Chiara, imporporandole le gote.
Francesco le ha fatto solo sperperare tempo.
I loro sguardi si sono toccati, fondendosi, compenetrandosi, per quei pochi, iniziali, secondi, prima che il suo salvatore svelasse la sua identità.
Si è trattato solo d'uno sguardo.
Solo di uno sguardo.
Irrilevante.
Allora perché il respiro le si è tappato in gola?
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