CAPITOLO 8 - Calligrafia


«Dodicimila caratteri? Ti rendi conto che è impossibile che li impari tutti!» protesta Oh-aew di fronte al libro di testo.

«E chi dice che devi farlo? Ti basta passare l'esame. Te ne bastano milleduecento. Devi prendere una certificazione, mica scrivere un poema.»

«Milleduecento... faccio fatica con duecento, meglio l'inglese, che ha solo 26 lettere.»

Teh batte la matita contro il foglio, concentrato. «E' diverso. In cinese non sono lettere, sono parole. Devi provare ad associare ogni carattere a un'immagine collegata al significato di quella parola.»

«Per me sono tutti uguali. Un miscuglio di segni senza senso.» Oh sospira di scoraggiamento. «Come hai fatto a impararne tanti?»

Teh si stringe nelle spalle. «Mi sono esercitato un sacco» risponde, estraendo dalla pila di libri che ha davanti un quadernone, le cui pagine sono divise in piccole caselle quadrate, in modo da fare entrare in ciascuna un singolo sinogramma. E' un quaderno spesso ed è completamente pieno. Teh lo appoggia in verticale al tavolo tenendolo aperto a una pagina qualsiasi. «Vedi?Calligrafia. Tutti i santi giorni. Non c'è niente di meglio che scrivere una cosa centomila volte per ricordarsela.»

Oh-aew sfoglia le pagine ricoperte di segni fitti fitti.

«Ci hai mai provato?» chiede Teh, indicando il quaderno.

«Sì, certo, ma... non così tanto. Mi sento stanco solo a pensare che l'abbia fatto tu.»

Per Teh la stanchezza è un concetto molto lato. Puoi sentirla solo quando hai finito e sei andato anche un po' oltre quello che avevi stabilito. E' una cosa che Tarn capisce perfettamente, ma Oh-aew forse no. «Lo so che è noioso, ma bisogna farlo. A furia di scrivere il cervello impara e ricorda. Mi sono abituato, ogni volta che ho qualcosa che non mi si leva dalla mente, ma non voglio dirla, mi sfogo scrivendola in caratteri cinesi, tantissime volte.»

Oh-aew ha trovato una parola che si ripete per venti pagine almeno. «Questa l'hai scritta dappertutto. Perché?»

Teh la riconosce a distanza: rivale. Una parola che racchiude un'ossessione. Non è bravo a nascondere le emozioni improvvise: deglutisce, contrae le spalle, tutto il suo viso si atteggia a un broncio contrariato. «Che ne so, mica posso ricordarmi tutto...»

Oh-aew fiuta la menzogna come un segugio, fissa le pagine con maggiore interesse. La sua empatia supera la barriera di non conoscere il significato della parola.

Mentre Teh allunga le mani per riprendersi il quaderno, Oh lo tira via, fuori portata.  «Riguarda me, per caso?» insinua, con un sorriso malizioso.

Teh è spaventato, quei confronti diretti sul terreno dell'emotività lo trovano sempre in svantaggio. Nega senza convinzione e si sporge per cercare di afferrare il quaderno. Più si sbraccia più Oh-aew si convince di essere nel giusto. «Allora sono davvero io!»

«Ridammelo!»

«Sono io? Che significa?»

«Lascialo! Dai, smettila!» Teh riesce a riprendersi il quaderno e lo seppellisce in fondo alla pila. Il disagio è un abito che non sa proprio portare.

«Allora, sono io?» insiste Oh ridendo.

«Tu cosa?» Teh si alza e sparisce nel corridoio. La fuga è pur sempre una strategia.

«Dove vai?»

«Vieni con me.»

«Dove?»

«Vieni, dai, voglio farti vedere una cosa.»

La cosa è sotto al letto di Teh, nella stanza che condivide con Hoon. Si tratta di una grossa scatola di plastica semi-trasparente, coperta di adesivi, di quelle dove i bambini ripongono alla rinfusa i giocattoli.

«Hai voglia di giocare?» chiede Oh perplesso.

«Non è quello che pensi» risponde Teh, togliendo il coperchio. Estrae un blocchetto di cartoncini attaccati a un anellino metallico. «Ecco qui.»

«Cos'è?»

«Sono flash-card» spiega Teh, mostrando i cartoncini. Su ognuno è riportata una parola cinese, sul retro il significato in thai e in inglese, con tanto di pronuncia. «Ogni blocchetto contiene venti caratteri, tutta la scatola sono milleduecento. Io pesco un blocchetto al giorno e memorizzo tutte le parole.»

Oh-aew è perplesso.

«Sono tue, te le regalo» dice Teh, spingendo la scatola verso Oh-aew.

Oh alza lo sguardo: negli occhi dell'altro vede riflesso il valore di quel regalo. L'altruismo di Teh, quello sconsiderato e autolesionista, è ancora intatto. «Sei sicuro?»

«Mn» dice Teh, accarezzando con le dita i blocchetti nella scatola. E' ovvio che gli dispiace separarsene. «Se continuo a usarli diventerò troppo bravo.» Le fossette sono così profonde che sembrano incise nelle guance. «Dai, prendili, non fare storie. Però devi esercitarti, tutti i giorni. Devi memorizzarle. E devi fare calligrafia e ripassare anche la pronuncia. La pronuncia è importante. Quando ci vediamo poi ti interrogo.» Sono parole buttate lì senza criterio, tanto per mascherare un po' di dispiacere.

Durante quel fervorino, Oh si prende tutto il tempo per osservare Teh. Sul suo viso non cessa mai di scorrere una corrente infinita di microespressioni involontarie, che dicono tutto di lui. Un piccolissimo tic al sopracciglio destro, che scatta con il nervosismo; le narici che si allargano quando è in tensione; il sorriso che qualche volta parte dagli occhi (quando è felice) e qualche volta dalle fossette (quando è divertito); sguardi obliqui che ridefiniscono la tensione sugli zigomi, la mascella che si indurisce facilmente, decine di inclinazioni delle labbra, ognuna con il suo senso preciso. Un intero dizionario di emozioni, in cui Oh-aew rischia sempre di smarrirsi.

«Certo, se non ti interessano...posso tenermeli» insinua Teh, tirando verso di sé la scatola.

Oh la afferra e la tira a sua volta, sorridendo. «Li prendo, certo che li prendo.»

«Ti eri imbambolato, ho pensato che non li volessi.»

A un regalo di quella portata, Oh non rinuncerebbe mai. «Stavo solo pensando che... non mi stupisce che tu sia tanto bravo.»

Ti ammiro è quello che davvero sta dicendo Oh . Quel posto in prima fila  te lo sei meritato.

Ma a Teh arrivano sempre e soltanto le parole pronunciate, quindi si trova a incassare con un po' di imbarazzo nient'altro che un complimento  improvviso, che subito sparisce nel gorgo del suo desiderio di approvazione.

Oh-aew ha capito che il suo messaggio non è arrivato a destinazione e si sente pressato dall'interno a esprimere di più. «Aiutami» sussurra all'improvviso, stringendo il bordo arrotondato della scatola. «Aiutami finché non sarò ammesso.»

E' insieme una preghiera, un'invocazione e un tributo di adorazione, nonché la chiave che fa scattare un lucchetto segreto, un doppiofondo dell'anima di Teh, da cui sgorga la risposta: «Ne sarei felice.»

«Felice? Addirittura?»

«Non so bene perché, ma è così. E mi piace. Dillo di nuovo.»

Oh-aew si gode ancora per un attimo la felicità che è rimasta intrappolata negli occhi di Teh. 

«Aiutami finché non sarò ammesso. Aiutami finché non sarò ammesso. Aiutami finché non sarò ammesso» ripete querulo e canzonatorio come un bambino.

Il doppiofondo si è richiuso, ma qualcosa del suo contenuto è ancora nell'aria. Gonfiandosi, riempie tutti gli spazi fra le cose.

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