CAPITOLO 30 - Offre la casa
L'effetto di un analgesico potente, dopo una lunga sofferenza, somiglia parecchio a una sbronza. Il calore della droga che corre nelle vene spegne i nervi, placa il corpo e infine esplode nella testa in una pioggia di euforia.
Precisamente così si sente Oh-aew, acceso e scottato, ubriaco di gioia inaspettata, come se il destino si fosse deciso a ripagarlo, in quel modo incredibile, di tutto lo strazio degli ultimi tempi. Fra tre giorni andrà a Bangkok e firmerà per l'ammissione: niente più studio antelucano, niente più ansie e dilemmi, niente lezioni pomeridiane, niente avvilenti simulazioni, nessuna ombra sul suo futuro. A dire il vero, Oh se lo sentiva. Fin da quando gli avevano comunicato che era primo nella lista di attesa ne aveva avuto come il sentore, una sorta di flebile premonizione, alla quale non sembrava sensato dare credito. E invece, contro ogni aspettativa, è andata a finire proprio così, con un trionfo dolce e improbabile in ugual misura.
E' il messaggio di Mod, in mezzo a una sfilza di congratulazioni stupite e spensierate, a metterlo in allerta.
Che culo immenso! Chissà chi ha rinunciato!
Rinunciare. In uno schiocco di dita il tempo si ferma e il cervello di Oh si inceppa su quel verbo. Non ci aveva pensato. L'entusiasmo non ha lasciato spazio alla logica. Eppure, dev'essere andata proprio così: qualcuno ha rinunciato.
Chi mai sarebbe così pazzo?
L'idea di conoscerlo, un pazzo di quel calibro, si insinua nella mente di Oh, velenosa e strisciante, con un carico di dubbio e un'opprimente sensazione di sconfitta, un senso di rifiuto e di tragedia imminente.
Di Teh, dall'alba, quando è partito pr Bangkok, nessuno degli amici ha notizie. Sull'agenda di Oh, nel riquadro del giorno di oggi, i caratteri piccoli e regolari della sua grafia contrassegnano il grande giorno della firma per l'ammissione. Sono passati secoli, ere. Nel tempo trascorso da allora, sono nati e sono morti mondi nuovi.
«Pronto?» risponde la voce chiara di Tarn.
«Ciao, sei Tarn?» esita la voce sconosciuta all'altro capo della linea.
«Sì, chi parla?»
«Sono Oh-aew, l'amico di Teh.»
Poche parole, con una lunga scia di significati. Tarn li esplora con la mente a velocità supersonica, mentre resta in ascolto.
«Io... credo che Teh abbia fatto qualcosa di molto stupido. Ho bisogno del tuo aiuto. Per favore.»
A Oh costano, quelle parole. Scivolano via veloci dalle sue labbra, ognuna con il suo carico di impotenza e di preoccupazione. E più ci pensa, più si convince di aver ragione e che stupido non sia affatto la parola giusta.
***
Teh barcolla verso casa, ubriaco di angoscia e di stanchezza. Ha chiuso il suo cerchio personale, tornando al punto di partenza più povero di come era partito e molto più confuso. Al fatto che dovrà pur confessarla, la pazzia che ha commesso, non ha voluto pensarci. Del resto, da quando se n'è andato da quell'aula e si è chiuso la porta alle spalle senza spiegazioni, si sente il cervello annebbiato e gli sfugge il senso delle cose, come se il mondo avesse cambiato tutte le sue chiavi di lettura senza scomodarsi ad avvertire. Solo una cosa si ricorda: perché l'ha fatto. O meglio per chi. E non è ansioso di confessarla.
Il cartello "Offre la casa" è la prima cosa che vede, esposto al centro della vetrina del ristorante. E' il modo di sua madre di festeggiare le grandi occasioni. Questa doveva esserlo.
«Eccolo! E' arrivato il nostro studente universitario!» lo accoglie lei festosa, nel locale stracolmo di clienti. Gli corre incontro con le braccia aperte e un vestito rosso sgargiante, il colore della felicità e della fortuna. «Il mio studente universitario» ripete, con l'orgoglio che le danza nella voce.
Teh ha sognato questo momento per una vita: essere il protagonista anziché un personaggio secondario di quella famiglia. Al centro delle attenzioni, dei complimenti, delle aspettative. Qualcuno di cui vantarsi, da lodare e da invidiare, da prendere ad esempio. Qualcuno che non valga meno di Hoon.
Invece, mentre varca la soglia, si sente perduto, estraneo a se stesso. A quanto pare, non è lui, quel qualcuno.
«Facciamo un applauso al nuovo studente universitario!» propone un cliente. E tutti lo seguono, in un tripudio generale che per metà è una forma di ringraziamento per il cibo offerto e per metà è autentico. Partecipazione spontanea a una gioia collettiva.
Hoon, seduto in fondo alla sala, accanto a Nozomi, è quello che applaude più di tutti, battendo le mani sul piano del tavolo.Il suo orgoglio è sincero, come il suo affetto.
Teh si trascina attraverso la sala, la madre quasi lo spinge. Una stanchezza sovrumana rende i suoi passi lentissimi e grevi. Congiungere le mani per ringraziare è uno sforzo al limite delle sua possibilità, ancora peggio cucirsi in faccia un sorriso avaro e stentato, fisso, inutile.
«Vieni, mangia un po' di Hokkien Me» lo invita la Signora Su. «E' andato tutto bene? Stai bene?»
E' chiaro che per lei le risposte a quelle domande siano scontate. Non potrebbe andare meglio di così. Il suo sorriso è talmente largo che la scia di luce che emana mette in ombra la realtà e le impedisce di vederla con chiarezza.
«Tutto bene, ma'» biascica Teh, crollando sulla sedia. Sono le parole giuste, ma il tono è tutto sbagliato. Gli occhi attenti del fratello lo scrutano.
«Allora, è stato emozionante?» continua la Signora Su, dispensando altri sorrisi radiosi, e carezze, e sguardi compiaciuti. «Vieni, siediti, siediti» lo incita, anche se di fatto è già seduto.
La mente di Teh è assopita, lontana, in uno stato di stallo interiore che evade la realtà. Per questo, la vista di Tarn lo sorprende. E lo sguardo di lei, carico di supposizioni pronte a diventare raffiche di accuse, lo terrorizza.
Tarn sa. O crede di sapere. O intuisce, suppone. E lo sta già condannando.
«Anche Tarn è venuta a congratularsi, vedi?» cinguetta la Signora Su.
Tarn siede accanto a Teh, rigida; sotto la superficie del suo sorriso dolce, si agitano l'incredulità e lo sconcerto.
«Sei molto stanco, figliolo?» domanda la madre, che finalmente ha colto qualcosa di anomalo nella reazione del figlio, una mancanza più che altro.
«Non tanto, Ma'» spiega Teh, corrucciato. «Ho solo un po' di nausea»
Gli occhi di Tarn sono spenti, e fissi in avanti. Anche lei ha la nausea.
«La prima volta che si vola, un po' di nausea è normale» lo conforta la madre, chinandosi su di lui, con una carezza affettuosa.
E' una grande verità che le persone, quando sono determinate a trarre una certa conclusione, riescano sempre e comunque a trovare evidenze a sostegno, anche di fronte alle smentite più sfacciate. Persino Hoon, intento a godersi la compagnia di Nozomi, continua a ignorare gli innumerevoli, e tristemente ovvi, segnali di disagio di Teh.
Solo Tarn li considera. In quella stanchezza, in quella nausea, nei tratti tirati, negli occhi fissi e tristi, nei respiri corti, lei vede la verità. Quella che le ha suggerito Oh, ma non soltanto quella. Una verità ancora più complicata e ambigua, che affonda lunghe e solide radici nelle motivazioni di quel gesto incomprensibile, più che nel gesto in sé.
«Ti ci abituerai, all'aereo» continua sorridente la Signora Su, che già s'immagina il figlio in carriera, perennemente in volo da un capo all'altro del mondo, come gli attori acclamati. «Oggi ha volato per la prima volta!» annuncia tronfia ai clienti. «E di sicuro ce ne saranno moltissime altre!»
Un coro di risate accoglie con indulgenza questi vanti materni. Teh abbassa il capo sconfitto, Tarn guarda fisso in un piatto in cui non ha neanche tentato di affondare le bacchette. Sente che, se non chiarisce subito la faccenda, esploderà.
Afferra il cellulare e digita in fretta un messaggio. Il suono della consegna arriva in un istante, dalla tasca di Teh.
Hai ceduto il tuo posto a Oh-aew?
Teh si volta a guardarla con occhi enormi, spaventati, seri, nei quali si staglia la verità senza veli. Una verità enorme e sconvolgente, a cui Tarn non riesce ancora a credere, meno che mai a darle un senso.
Stai affrontando tutto questo per lui?
Teh si volta di nuovo e stavolta non è più spaventato. Perché le cose stanno proprio come dice lei e ritrovare a un tratto la consapevolezza delle proprie motivazioni è un sollievo e anche un'iniezione di orgoglio, l'esatta misura della distanza fra follia e sacrificio, ai bordi opposti di un baratro in cui si è gettato a capofitto poche ore prima, semplicemente appoggiando sul banco la penna.
Tornano entrambi a guardare di fronte, ciascuno tentando di elaborare quello che accade, giusto mentre sta accadendo. Una confessione, una consapevolezza, una distorsione, un vizio, un sentimento, una colpa, infinite bugie inconsapevoli e una singola verità, così lucida da essere splendente, e al contempo macchiata senza rimedio.
Ma intorno a loro, c'è ancora un festeggiamento in corso.
«Teh è proprio formidabile. E' riuscito a entrare con l'accesso diretto, prima di tutti. E' veramente un bravo ragazzo, Su, sei fortunata! Nostro figlio non fa che pensare al calcio...» dice qualcuno.
«Si è impegnato sempre tanto, nello studio!» commenta qualcun altro.
Teh si chiede se davvero stiano parlando di lui e come mai non senta proprio nulla. Nessuna emozione, nessun compiacimento, nessun senso di colpa, nessun rimpianto. Vorrebbe solo andarsene di lì. E parlare con Oh, chiarire ogni cosa. E sciogliere quel nodo ingarbugliato che si sente dentro e di cui non trova i capi.
«E' incredibile come vola il tempo, sembra ieri che era un bambino e ora entra all'università... » commenta la Signora Su, con un rimpianto che non prova veramente. «Forza! Facciamo un brindisi!» propongono da uno dei tavoli più lontani. Significa che è uno sconosciuto: nella gerarchia segreta del ristorante della Signora Su, più un tavolo è vicino al fondo della sala (dove si siede sempre la famiglia), più il cliente è tenuto in riguardo.
«Sì, giusto! Un brindisi!» approva la Signora Su, entusiasta. Afferra il suo bicchiere e lo solleva. «In alto i calici! Tutti insieme!»
Anche Hoon e Nozomi alzano i bicchieri, tutto il locale sta brindando. Solo Teh e Tarn restano seduti composti, guardando i piatti intonsi che hanno di fronte.
Hoon deglutisce e si forza a ignorare qualsiasi cosa stia accadendo. Preferisce pensare che sia in corso una lite, un bisticcio da innamorati. Il poco tempo che ha per stare con Nozomi prima che lei rientri in Giappone non vuole sprecarlo preoccupandosi per un fratello che è fatto per metà di inquietudine.
«Hai dei figli pieni di talento, Su» dice una voce femminile. «E stanno anche per sistemarsi» insinua melliflua.
Per Su, quelle lusinghe sono balsamo sulle ferite di una vita. Non desidera altro che vedere i figli mietere la ricchezza e la felicità che lei ha seminato per loro. Il fatto che siano fidanzati, che anche in quel campo non siano secondi a nessuno, la riempie di soddisfazione.
«Ormai sono adulti, questi due. Possono avere delle fidanzate... » ride, fingendo di sgridarli, con gli indici che oscillano. «E che belle fidanzate!»
Ognuna di quelle parole sfrigola sulla pelle di Tarn. Ha immaginato tante volte come sarebbe stato trovarsi seduta lì, a quel tavolo, al centro di motteggi come quelli. Era pronta a trovarsi in imbarazzo e tuttavia compiaciuta, una specie di altalena fra la vanità solleticata e il disagio, che l'avrebbe fatta arrossire e resa ancora più carina. E poi avrebbe avuto Teh dalla sua parte, devoto e innamorato in tutte le sue fantasie.
Invece Teh non dice una parola, guarda un punto imprecisato sulla parete di fronte e sembra non sappia fare nient'altro a parte respirare. Troppo in fretta.
«Guardate che belli, già sistemati tutti e due» scherza la Signora Su, chinandosi appoggiata al piano del tavolo, con un'allegria che si spegne subito nello sguardo stordito di Teh. Hoon lo osserva a braccia conserte e sospira.
Anche Tarn lo osserva e non riesce a credere che sia quella, la persona di cui si è innamorata. Non lo riconosce. Si chiede se abbia mai saputo chi fosse. Si chiede come possa, dopo quello che ha fatto, starsene lì seduto a farsi lodare, in mezzo ai complimenti, ai brindisi e agli applausi.
Non è Teh, quello. E' una versione fasulla di lui, una copia malriuscita, priva di tutte le attrattive, meschina e sperduta, inerme e insicura. Tutto il contrario del ragazzo che l'ha corteggiata per anni e l'ha fatta sentire speciale.
Eppure, il suo Teh deve essere ancora lì, da qualche parte. E quello che Tarn vuole è provocarlo, infrangere la corazza di abulia, ritrovarlo. Scatta in piedi, mentre ancora risuonano gli applausi. «Mi scusi» dice gentilmente alla padrona di casa, con un sorriso di circostanza e un tono anche troppo deciso. «Ma... io e Teh non stiamo insieme. No. Siamo solo buoni amici.»
Su quelle parole inaspettate si disperdono il brusio della sala e il sorriso della Signora Su. Tarn resta in piedi, senza sapere da che parte guardare.
«Io vado Ma', scusa, ma sono proprio esausto» biascia Teh, come fosse ubriaco. «Chiedo scusa a tutti» aggiunge, mentre già è di spalle e sta per sparire oltre la porta interna. Tarn lo segue a passo marziale. Nella sala, tutti sono intenti a mangiare e a fingere che non sia accaduto nulla.
Tarn sbotta sulle scale: «Perché non hai detto niente, Teh?»
Teh accelera il passo e si rifugia nella propria stanza.
«Perché non hai reagito quando ho detto a tutti che non stiamo insieme?» urla Tarn, ferma a metà della rampa. La sua voce rimbalza contro le modanature del corrimano e gli intarsi del corrimano. «Hai paura che scoprano quello che sei?» grida, fuori di sé.
Teh si precipita fuori dal suo rifugio e ridiscende i gradini con furia: «Che cazzo vai dicendo?» le sibila, a un palmo dal naso.
La fronteggia, si impone dall'alto della sua statura. «Non sono un cazzo di niente!» afferma, con rabbia, con panico, con dolore, con gli occhi sgranati e fuori dalle orbita, il viso contratto.
Non sono un cazzo di niente, ripete a se stesso. Mille volte. E' più vero che mai.
«E' meglio se ora vai a casa» le dice, più con stanchezza che con risentimento.
Tarn si volta e inizia a scendere, trascinandolo per un polso.
«Vai a casa!» ribadisce Teh.
«No! Non ci vado! Resto qui!» protesta Tarn, continuando a tirarlo.
Finché non è Teh a fermarsi e divincolarsi. «Perché hai dovuto per forza mettere mia madre in imbarazzo?» le urla in faccia. «Hai visto quanta gente c'era di là? Non potevi lasciar perdere e basta?»
Negli occhi di Tarn c'è una delusione così smisurata e invincibile che a Teh dà le vertigini. Vorrebbe essere adirato con lei, e lo è. Ma sente di non avere le forze, per un litigio lungo e articolato. A stento potrebbe racimolare energie sufficienti per trascinarsi in camera, e rimettere insieme tutti i pezzi mischiati di se stesso.
«Tarn, te lo chiedo per favore, potresti tornartene a casa tua, adesso?»
Tarn scuote il capo. E' ferita, indignata, la sua espressione è quella di un oltraggio così profondo che frena le lacrime.
«Ti prego, vai a casa» insiste Teh, con gli occhi chiusi e un sospiro di esasperazione.
«Ma tu, Teh, lo sai come mi sento? Ci hai pensato?»
No. E' ovvio che, con tutto quello che ha in testa, non ci abbia affatto pensato. E che, in fondo, in quel momento non gli importi.
Per questo, Tarn deve dirlo: «Mi sento come se mi avessi sempre usata!»
Teh non risponde. Resta fermo a guardarla, cercando negli occhi di lei qualche appiglio, qualche indizio su quale risposta vorrebbe, per ottenere il risultato di smontare tutta quella rabbia e convincerla ad andarsene e lasciarlo in pace.
Quella calma, quell'apatia, il fatto che neanche tendi di difendersi o di negare, fanno impazzire Tarn, sbriciolando in un colpo il suo cuore e le sue speranze. «Non so più neanche se sei mai stato sincero con me!» grida, spintonandolo con forza.
E Teh sente umida la sua faccia. Gli colano gli occhi e il naso, ha un sapore salato e acido in bocca e non ha idea di cosa dovrebbe dire. Sembra che tutti al mondo, nessuno escluso, si aspettino qualcosa da lui.
«E adesso stai buttando via tutto per un altro?»
Un altro.
Altro rispetto a cosa? Rispetto a chi? Teh non riesce a immaginare parola meno adatta. Ma tutto quello che può fare è asciugarsi la faccia con il dorso della mano e fare da bersaglio inerte alla collera di Tarn.
«Non importa che tu mi abbia ferito, Teh» prosegue Tarn. Ma è chiaro che invece importa. «Quello che non sopporto è il male che stai facendo a te stesso!» grida, con l'indice che preme sul suo petto. Preme forte, come se volesse perforarlo e arrivare fra le costole, dritto al cuore, per farlo sanguinare e purgarlo da tutta la follia.
Teh incassa. Incassa senza parlare, perché non è Tarn l'interlocutore dei suoi dubbi, della sua sofferenza, del suo senso di colpa. Incassa perché, in fondo, sente di meritare qualsiasi biasimo.
«Ti prego, vai a casa» le dice, rassegnato, quasi dolce.
«No!» ribatte Tarn. «Non pretendo che tu mi chieda scusa. Anche se me le merito, le tue scuse. Però penso che in un momento del genere, l'unica persona a cui dovresti davvero chiedere scusa è tua madre!» Tarn ha vomitato tutte quelle parole in fila come se le occludessero la gola e dovesse liberarsene per respirare. Le ultime le ha gridate, con rancore e con disperazione. Teh reagisce stringendo gli occhi e incalzando il collo, le incassa come se fossero percosse, come se ogni sillaba fosse un colpo, un livido, una fitta di dolore. Senza difendersi, però, senza reagire, come fanno gli inermi.
«Stronzo!» infierisce Tarn, che ormai ha rinunciato. Non c'è provocazione che tenga, non c'è reazione che potrebbe equilibrare la delusione che sente. Lo spinge via e si dirige alla porta, dove quasi si scontra con la madre di Teh, in cerca del figlio.
«Arrivederci» si congeda, fra le lacrime.
E mentre la guarda allontanarsi, la Signora Su ha già deciso che, qualsiasi cosa sia successa in quella stanza, non può che essere di Tarn la colpa. Teh non c'entra, infatti lo abbraccia. Il sorriso di prima è svanito, ora è preoccupata. Il sesto senso materno le dice che qualcosa non va. Qualcosa di serio.
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