CAPITOLO 3 - Il giorno in cui tutto è cambiato
Le peggiori malattie sono quelle i cui sintomi restano latenti. Passano inosservati nella miriade di piccoli malesseri, di segnali ambigui che ci invia il corpo di continuo. E si rivelano solo alla fine, quando è troppo tardi.
Così era successo anche a Teh e Oh-aew: l'inizio della fine era passato quasi del tutto inosservato, in una tiepida giornata di novembre del secondo anno.
L'insegnante di cinese, la signorina Nuan, aveva comunicato che avrebbero fatto uno spettacolo teatrale, in cinese naturalmente. Non era necessario essere fini osservatori per sapere chi era l'alunno ideale per la parte del protagonista: la madre di Teh era cinese quindi lui lo parlava benissimo e non c'era nessuno che desiderasse più ardentemente calcare le scene.
Tutto questo la signorina Nuan lo sapeva bene, ma ciò che le premeva non era favorire un ragazzo già eccellente nella sua materia, bensì creare un'occasione per qualcuno che ne avrebbe tratto più beneficio.
Agli occhi degli studenti, però, escludere Teh era stata una decisione molto ingiusta, l'ennesimo stupido errore commesso da un adulto. E Teh avrebbe protestato vivacemente, se fosse stato scelto chiunque altro, a parte il suo migliore amico. Invece la signorina Nuan aveva proprio scandito il nome di Oh-aew, così Teh si era trovato ad applaudire insieme agli altri, masticando un boccone molto amaro.
Oh-aew, a dire il vero, non era affatto entusiasta. Non che gli dispiacesse essere stato scelto, ma pensava che recitare in una stupida rappresentazione scolastica non valesse il prezzo dell'amicizia. Aveva anche parecchi dubbi pratici sul fatto di riuscire a cavarsela dignitosamente, ad esempio come avrebbe fatto a superare la timidezza o a ricordarsi tutte le battute, visto che in cinese non era mai stato molto bravo.
«Ci lavoreremo insieme» lo aveva rassicurato Teh, stringendogli la spalla. Aveva proprio quello sguardo fiducioso di chi non fallisce mai il bersaglio. «Ce la farai. Ci sono io. Ti aiuterò io.»
Ce la farai. Ci sono io. A Oh-aew non serviva altro al mondo che quella confortante certezza.
E ci avevano messo l'anima. Nascosti nel cortile di un vecchio tempio sempre chiuso, avevano ripetuto le battute ancora e ancora, e così la coreografia del combattimento, le espressioni del viso, le azioni, le posture. Avevano cantato mille volte la colonna sonora dello sceneggiato a cui lo spettacolo era ispirato, che era poetica e bellissima, forse un tantino sdolcinata.
Vedendo Oh in costume di scena, una piccola fitta di gelosia era tornata a bruciare nello stomaco di Teh, come una brace non ancora spenta. Si era detto, in un impeto di autostima, che lui avrebbe fatto molto meglio; ma era un pensiero meschino, che lo aveva fatto vergognare. E poi Oh aveva bisogno di lui, era troppo emotivo e come sempre si perdeva in un bicchier d'acqua: i dubbi e le ansie dell'ultimo minuto se lo mangiavano vivo.
Al margine del sipario Oh-aew tremava di paura. Pensava di dimenticarsi tutto, anche le battute che avevano ripetuto fino a un momento prima. Teh le ricordava tutte, perfettamente. Avrebbe dovuto esserci lui sul palco. Oh pensava che fosse un'ingiustizia bella e buona, eppure ora che era bardato, con la parrucca e la spada, non avrebbe volentieri ceduto quel piccolo momento di gloria. Era forse la prima occasione di realizzare qualcosa, di riuscire, di fare buona figura e bella impressione. E poi Teh ci aveva messo così tanto impegno ad aiutarlo, che fallire sarebbe stato inaccettabile.
«Ke yi ma?» [Lo facciamo?, in cinese] aveva chiesto Teh, circondando col braccio le spalle di Oh-aew. Era un rito, uno di quelli privati, un po' come varcare le soglie col piede sinistro, possibilmente all'unisono.
«Ke yi!» [Facciamolo!, in cinese] avevano risposto all'unisono, coi pugni stretti! Niente che iniziasse con quelle parole poteva davvero andare male.
Infatti non era andata affatto male. Pur con qualche imprevisto, lo spettacolo era arrivato all'ultima scena e Oh se l'era cavata alla grande. Alla fine, gli applausi erano piovuti e Teh, che aveva assistito col fiato sospeso da dietro le quinte, era quello che applaudiva più forte.
Oh-aew si sentiva colmo fino all'orlo di una felicità nuova, nutrita dall'ammirazione altrui. Aveva scoperto che piacere gli piaceva. Che recitare gli piaceva! Che gli applausi lo mandavano in visibilio! Ma era tutto merito di Teh, naturalmente, e Oh scoppiava dal desiderio di dirglielo.
«Merda! E' stato fantastico!» gli aveva urlato Teh, correndogli incontro appena era sceso dal palco e avvolgendolo in un abbraccio selvaggio. «Sul serio, sei stato bravissimo! Super! Eccezionale!»
Eccezionale. Oh-aew si sentiva su di giri.
«Mi è piaciuto da morire, Teh. Ero nervoso, all'inizio, me la facevo sotto, ma poi... poi è stato fantastico!»
«Fantastico!» gli aveva fatto eco Teh, saltellando insieme a lui.
«Non so come avrei fatto senza di te! Sul serio! Sul serio!» aveva detto Oh, scrollando l'altro per le spalle.
Teh sorrideva, le fossette in piena vista, come se sul palco ci fosse stato lui. Quel sorriso era sceso dritto nel cuore di Oh-aew, a depositarsi in un posto dove non si sarebbe mai più cancellato. Ma non poteva saperlo, in quel momento. In quel momento, erano solo felici.
«E sai un'altra cosa, Teh? La signorina Nuan mi vuole ancora come protagonista! Ha detto che vorrebbe che recitassi anche nel prossimo spettacolo! Ci pensi?»
Teh ci aveva pensato. Aveva pensato al palco, al costume, agli applausi. Non aveva affatto pensato alla classe di cinese, ai brutti voti di Oh-aew, alle ragioni della signorina Nuan. E il sorriso non era già più lo stesso di prima. «Che le hai risposto?»
«Le ho detto di sì! Certo che sì.»
«Ah.»
«Ma sì! Recitare mi piace tantissimo! Voglio migliorare!»
«Davvero? Pensi di farcela?»
«Sì! Sì, voglio diventare più bravo! Sul palco, prima, ero al settimo cielo!»
«E da quando ti piace così tanto?»
Oh era troppo felice per misurare i giorni con un calendario e il tempo con un orologio. Il suo cuore era ancora perduto nella contemplazione del sorriso di prima. «Da quando? Boh! Che ne so! Da quando abbiamo provato al tempio, mi sa. Sì, dal tempio! E' lì che mi sono appassionato.»
Teh non aveva risposto. Oh-aew si era illuminato: «Voglio fare l'attore!» aveva esclamato, pazzo di gioia.
Le parole che Oh aveva detto erano esattamente quelle, ma significavano: voglio condividere il tuo sogno. Voglio che lo sogniamo insieme!
Oh-aew era convinto, a quel tempo, che tutti sapessero leggere le parole vere oltre le parole schermo, le parole pensate oltre quelle pronunciate, come faceva lui. Credeva fosse un talento comune e lo dava per scontato. Ma si sbagliava di grosso e la vita stava per dimostrarglielo.
Teh infatti si era spento, come una lampadina fulminata. Il suo cervello girava a vuoto su quello che gli sembrava un furto, un tremendo tradimento. «Ah vuoi fare l'attore. E com'è che non mi hai mai detto che ti piace recitare?»
Anche Oh-aew stava spegnendosi, lentamente, di delusione e di rammarico «Perché non lo sapevo, non ero sicuro. Fino a stasera non ero sicuro. Ora sono sicuro e te lo sto dicendo: voglio fare l'attore!»
Voglio farlo con te! erano le parole vere, le stesse di prima, ma di nuovo erano cadute nel vuoto del silenzio di cui erano fatte.
«Sembra quasi che tu non me l'abbia detto apposta, per rubarmi la parte!» l'aveva accusato Teh, con un rancore inedito.
Oh era incredulo. «Non volevo nemmeno recitare, all'inizio e tu lo sai benissimo! Mi ha scelto la Nuan!»
«E quindi? Hai sempre saputo che io ci tenevo, che la volevo io, la parte!»
L'ingiustizia di quelle accuse era urticante. «E io te la volevo cedere! Tu mi hai spinto ad accettare!»
Era vero, maledizione, ma Teh si sentiva addosso una frustrazione insopportabile e un disperato bisogno di sfogarla. Era geloso, terribilmente. Perché per la prima volta aveva preso in considerazione di competere con Oh-aew e, quando ci aveva pensato, si era reso conto che vincere non era scontato. Oh era oggettivamente più bello e in costume stava meglio di lui. Quando combatteva con la spada era cento volte più elegante. E quella sera, a parte tutto, aveva davvero fatto un ottimo lavoro. Nel turbine di questi pensieri, nel sangue che andava alla testa, le parole gli uscivano di bocca senza controllo: «Sei un traditore! Ti ho aiutato perché ti credevo mio amico!»
Quello era stato il primo affondo. Il primo sangue di quel duello. La prima cicatrice di Oh-aew.
«Non avrei mai pensato che proprio tu saresti diventato un mio rivale!»
Rivale? Oh-aew non credeva alle sue orecchie. Non aveva mai pensato che Teh potesse essere così scemo. Non aveva mai pensato che potesse fargli così male. Difendersi era stato un istinto. «Che c'è? Sei invidioso come sempre? Hai paura di me? Magari posso fare meglio di te!»
Teh era impallidito. «Meglio che neanche ci provi! Lascia perdere!»
«No, che non lascio perdere! Stai facendo lo stronzo!»
«Lascia perdere» aveva urlato Teh fuori di sé e poi aveva proseguito, gridando ancora più forte: «Mollerai tutto come sempre. Uno come te non ce la farà mai!»
Il disprezzo di quella frase aveva trafitto Oh-aew come una lancia, proprio nel punto vitale in cui si annidavano le sue insicurezze e la strisciante consapevolezza di valere ben poco. Non era mai stato ferito da una distanza così ravvicinata e il dolore era stato così acuto da toglierli la ragione.
Se fosse stato lucido, avrebbe capito che non era stato Teh a gridare, ma il buco che aveva dentro. Che il veleno nel suo sangue aveva scelto le parole, la collera le aveva urlate. Avrebbe capito che il disprezzo era reale, ma non era rivolto a lui. Teh stava urlando a se stesso le proprie intime paure.
Ma Oh-aew era troppo giovane. Troppo orgoglioso. E sanguinava troppo.
Si erano separati trattenendo le lacrime. Si erano odiati per pochi minuti e poi si sarebbero rimpianti molto a lungo. L'orgoglio aveva fatto il resto: il litigio era degenerato in una in una lotta di ostinazione, un risentimento a oltranza che aveva nutrito un silenzio distruttivo e la convinzione, da ambo le parti, di essere l'unica vittima di un tradimento inaudito.
Poi Teh aveva cambiato scuola, un paio di mesi dopo, quando la sua domanda di borsa di studio era stata accettata in uno degli istituti migliori della provincia. E non si erano mai più rivolti la parola.
Così il gelo della distanza aveva bruciato tutti i fiori dell'amicizia. Quanto fossero forti le radici, solo il tempo lo avrebbe detto.
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