CAPITOLO 27 - Senza respiro

Di salire fino in camera di Oh-aew, a Teh manca il coraggio. E' già stata dura decidersi ad andare di persona all'isola; varcare la soglia senza invito sarebbe troppo.

Quando Teh si sporge dalla porta d'ingresso, scorge, sul ballatoio del piano superiore, Oh che sfoglia il frasario illustrato, appoggiato alla ringhiera.

Fino a poco fa, non vedeva l'ora di godersi tutte le espressioni del suo viso, ma adesso che è lì, che lo osserva voltare le pagine con occhi cupi e mani svogliate, si scopre pavido e inerme. La sola idea che Oh possa mostrarsi indifferente, o peggio, incapace di cogliere il senso profondo di quel dono, lo fa star male.

Quindi passeggia all'esterno dell'edificio, lanciando in avanti le gambe tese, come un bambino, lo sguardo basso, le mani in tasca, piedi impazienti che percorrono un milione di volte la stessa area rinchiusa fra i marmi del patio e l'inizio della spiaggia.

Oh-aew è ancora molto in collera con Teh. Ha pianificato di resistere a ogni tentativo di riconciliazione, a ogni subdola tentazione, a ogni rigurgito di fiducia e di desiderio. Perché, infine, c'è solo da farsi male, con lui. Solo speranze distrutte, tensioni insoddisfatte, sentimenti calpestati. Anche involontariamente. Com'era quell'espressione? Bang dao mang. Aiutare al contrario.

Da Teh non accetterà nessun regalo, perché qualsiasi cosa provenga da lui, costituisce un'insidia alla serenità personale, se non alla sanità mentale. Sfoglia le pagine del quaderno con questo proposito ben chiaro in mente.

E' solo un quaderno. 

Solo fogli di carta rilegati su cui sono appiccicati ritagli di giornale. Oh passa le dita sui bordi dei disegni incollati in copertina, con la tentazione di grattare con l'unghia, per sollevarli un po' e scoprire quello che c'è sotto, oltre la colla, oltre la carta pressata, il colore, la cellulosa: le mani di Teh, l'odore di Teh, il cuore di Teh, che non gli apparterrà mai.

Le prime pagine le scorre con risentimento.

E' solo un quaderno.

Se non fosse che, proprio come Teh, ogni pagina di quel quaderno ha più di un livello: quello della parola, quello del pensiero e quello delle cose nascoste. Flebili tracce, indizi rivelatori di sottotrame nella scelta di ogni singola immagine, nella loro sequenza, nella composizione, nei dettagli che sembrano semplicemente decorativi. Non c'è nulla di semplice, in Teh, nulla di superfluo.

E' solo un quaderno.

Volta ancora una pagina: Bang dao mang. Aiutare al contrario: un bimbo che imbratta per gioco un pavimento appena lavato, la madre esasperata che lo sgrida. Ma nel tessuto di quella scena estranea, se ne intravede un'altra, che vive dei dettagli.

"La strada per l'isola" dice una scritta in thai, criptica e in apparenza slegata dal concetto principale, evidenziata dal ritaglio di un ibisco rosso. Oh sa benissimo di che isola si tratta: quella del resort, come rappresentazione di quella molto più astratta che è lui stesso. 

Mi hai ferito sono le ultime parole che ha detto a Teh. Bang Mao Dang: non volevo.

Prima che se ne accorga, Oh sta già piangendo. Un po' di rabbia, un po' di tristezza, un po' soprattutto di compassione per se stesso e per le proprie debolezze. Una sola debolezza, in realtà, che lo aspetta di sotto.

Resistere alla tentazione di andare incontro a Teh è un'impresa oltre le sue forze. Oh scende le scale lentamente, tentennando a ogni gradino, spinto verso il basso dalla gravità dei sentimenti e trattenuto dall'inerzia della convinzione che non ne verrà nulla di buono.

Infine, si fronteggiano, un passo oltre la soglia.

Tacciono, perché sono sospesi sul confine dei sentimenti ed è un equilibrio troppo delicato per sopportare il peso anche solo di una sillaba.

Le paure e le speranze di Teh premono contro le insicurezze di Oh-aew, producendo larghe crepe nella sua armatura, dalle quali filtra una luce abbagliante. Teh trattiene il respiro, evita di sbattere le palpebre, aspetta.

All'improvviso, Oh gli volta le spalle. Vuole tenere privato il tormento. Vuole illudersi di poter ancora decidere di risalire le scale e dimenticare tutto, che tutto dipenda da lui, almeno stavolta.

Ed è così, in quel momento. Teh gli va appresso, abbacinato. I discorsi, i paletti, le giustificazioni si sono sciolti poco a poco nell'aria fresca del mattino, mentre la barca lo portava al resort. Una volta sbarcato, non ne è rimasto quasi nulla. Come quel giorno alla spiaggia, Teh segue Oh-aew senza pensare e senza farsi domande. Lo segue perché ne ha bisogno. Lo segue perché deve e perché vuole. Non vuole altro, in realtà.

Oh si ferma contro lo stipite della porta del salotto, dandogli le spalle. Sembra lo stia mettendo alla prova, invece tenta di dare un'occasione a se stesso. Per fuggire, per cambiare idea, per respingerlo.

Teh lo raggiunge e gli poggia la testa nell'incavo della spalla. L'odore di cocco arriva dritto al cervello come una droga da cui non sapeva di essere in astinenza. Tuffa il viso nel collo di Oh, lo sfiora con le labbra.

Basta questo contatto per far cedere Oh. Chiude gli occhi e tutto si cancella. La pena, la collera, i propositi di vendetta e di risentimento. Restano le labbra di Teh sulla sua pelle, il calore del suo respiro. Così piacevole da essere frustrante, così bello da essere pericoloso. Ed effimero. E forse fasullo.

Oh si volta e si sottrae, fa un passo e si appoggia di schiena all'altro stipite.

«L'ho fatto per te, prova a leggerlo» dice Teh, con tenerezza, guardando il quaderno fra le mani di Oh. Ci sono io.

«Penso che potrebbe esserti d'aiuto» aggiunge. Ti aiuto io.

Oh annuisce in automatico, ma quello che sta cercando è un buon motivo. Un buon motivo per andarsene, per chiudere, per lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. Dev'esserci di certo, questo motivo, ma mentre lo cerca continua a inciampare nella bellezza di Teh, nelle sue espressioni mutevoli, nella supplica che emana dal suo sguardo.

«Hai studiato molto in questi giorni» dice Teh, per una volta senza giudicare, senza rimproverare. «Hai l'aria stanca.»

Quelle parole scivolano sull'anima di Oh come una carezza. E si accorge che lo ha perdonato, che lo aveva già perdonato quando ha aperto il quaderno, quando ha ignorato i suoi messaggi, quando gli ha voltato le spalle in mezzo alla strada. Già mentre lo accusava, lo aveva perdonato e aspettava che tornasse.

Adesso vuole solo baciarlo. E adesso potrebbe, adesso Teh non avrebbe paura.

Però se fosse adesso, contro lo stipite di una porta aperta, sotto una luce abbagliante che scolpisce i gesti, che rivela i segreti, non sarebbe privato. Chiunque potrebbe passare per caso, intromettersi e sprecare, sporcare il loro momento.

Teh ha sospeso tutti i meccanismi di pensiero. E' un ago magnetico orientato sulle labbra di Oh, l'unica cosa che capisce, l'unica che importa. Ora sono vicinissime e il mondo intero odora di cocco, di sole e di acqua salata.

Oh-aew controlla le maree dei desideri di Teh, che crescono quanto più lui si ritrae. Lo cerca, lo segue, vaga assetato fra le piastrelle chiare, gli arazzi incorniciati e gli stipiti intarsiati delle porte, fino a un vecchio paravento dipinto, nascosto dietro il montante della scala. Una sentinella che porta i segni del tempo, testimone muta di mille segreti. Più uno.

Non è un bacio, ma un abbraccio a marcare il ritrovarsi. La prima declinazione del linguaggio degli affetti: tendersi uno verso l'altro, stringersi e smarrirsi nel contatto. Abbandonarsi, accogliersi, scoprire che la meta del viaggio è al punto di partenza, un cerchio simbolico in cui inizio e fine si confondono.

«Ti va di fare una nuotata?» propone Oh, appena riesce a ritrovare i confini di se stesso abbastanza per separarsi dal corpo di Teh.

No. Per niente. Teh non vuole nuotare. Teh ora vuole placare la sete. E anche abbandonarsi, rilassarsi, cedere. «Certo» risponde invece, continuando ad annegare negli occhi di Oh.

Fronte contro fronte, possono guardarsi dentro e poi scambiarsi i pensieri solo chiudendo gli occhi. Non c'è mai stato meno bisogno di parole.

***

Anche galleggiando, restano vicini. L'acqua li lambisce insieme e insieme li culla. Il cielo è troppo grande e il sole troppo violento per non abbassare le palpebre e cercarsi nel buio.

«Mi sento davvero bene» sussurra Teh. E' stupito, credeva che i sensi di colpa lo avrebbero divorato, invece si sente leggerissimo. «Non ho nessun pensiero.» Per uno come lui, è uno stato di grazia.

«Vorrei restare così per sempre» risponde Oh. Ed è esattamente la verità. In bilico sull'orlo di qualcosa che insieme teme e desidera, Oh coglie la grande verità legata alle speranze umane: è l'attimo prima di realizzarle il più appagante. E lui si sente così, un nodo di potenza sul punto di diventare atto.

«Adoro sentire l'acqua a contatto con la schiena. Come se qualcosa mi tenesse a galla, una grande mano forte» dice Teh.

«Però bisogna trattenere il fiato per restare su. Qualche volta, proprio non ce la faccio» mormora Oh-aew, che si sente in apnea da una vita. «Quando voglio lasciarmi andare rilascio il respiro e l'acqua mi ricopre. Affondo piano piano, mi sento sommergere. Ed è una sensazione bellissima.»

Il corpo di Oh sparisce sotto il pelo dell'acqua, quello di Teh lo segue.

Sotto, c'è l'immensa solitudine degli abissi: luci soffuse e tremule, rumori ovattati, un mondo sotto il mondo, in cui fluttuare senza peso.

Scendono ancora, tenendosi le mani, dove non valgono più le regole degli uomini, né le leggi della fisica: la gravità è sospesa, come il giudizio morale, come il respiro.

Tutto diventa possibile, e nuovo, e diverso. Anche baciarsi.

Toccarsi, assaggiarsi, letteralmente respirarsi a vicenda, rubandosi il fiato dal cuore. Sfamare l'anima attraverso le dita. Smettere di esistere sotto il cielo. Per un minuto che vale una vita vivere solo dell'aria di quel bacio.

L'apnea di Oh-aew si scioglie contro la lingua avida di Teh, in una vertigine di felicità inconsulta che scivola fra le labbra sigillate, sotto le mani ingorde, sotto l'orlo del costume, nel cervello, fra le gambe, dentro l'anima.

Anche Teh respira: profonde, immateriali boccate di sollievo. Libero da se stesso, si scopre ansioso, vorace, voglioso. Vorrebbe spingersi oltre, sentire di più, mordere più forte, andare più a fondo, soffocare di sentimenti, annegare di piacere.

Il profondo blu ha leggi proprie, incise nelle onde, nelle forme sfuggenti dei banchi di pesci fra i coralli. L'amore invece non ha forma, è più fluido dell'acqua, resistente a ogni pressione, silenzioso, persistente. Ma non immune al tempo.

Riemergono controvoglia a una realtà greve che incatena al suolo. Lo fanno ridendo e tenendosi per mano, schizzandosi acqua e correndo verso la riva.

Sembra ancora che i due mondi, quello sotto e quello sopra il pelo dell'acqua, possano convivere, che ciò che è iniziato in profondità, possa restare intatto in superficie, deformandosi poco. Ci si può illudere che l'amicizia sia scivolata senza attrito nell'amore.

«E adesso che succede?» chiede Oh-aew, mentre allaccia con premura i bottoni della camicia di Teh. E' una domanda succosa e tenera, come germogli nuovi su un albero antico.

Teh non conosce la risposta. Però si sente stanco, pesante, sgraziato. Crolla con il capo sulla spalla di Oh, che lo accoglie in un incastro perfetto. Si lascia accarezzare il collo e la nuca, le guance, i capelli.

«In che senso? Cosa deve succedere?»

Oh solleva lo sguardo e incontra quello smarrito di Teh. Sente un brivido di paura interno, ma si costringe a ignorarlo. Va tutto bene. Teh è solo confuso, travolto.

«Intendo noi due» spiega Oh, con dolcezza. Le sue mani percorrono le braccia umide di Teh, in un gesto sia di possesso che di conforto.

«Cosa vuoi dire?»

«Come cosa voglio dire?» Oh guadagna mezzo passo di distanza, una cupa disillusione si fa strada nel suo cuore e si riflette su tutti i lineamenti.

Teh vorrebbe solo smettere di parlare, evitare di pensare. Tornare in acqua magari, sgravarsi, fuggire ancora un po' un mondo troppo rumoroso e feroce.

«Non ti piace come siamo adesso?» suggerisce. Non si sente pronto a un salto nel vuoto, a introdurre complicazioni. Teh odia i cambiamenti.

«Come siamo adesso? Cosa siamo?»

«Ecco... siamo amici.»

Amici. Oh si sente soffocare.

«Non ti va?» incalza Teh, in un sussurro pieno di esitazioni.

«Gli amici fanno quello che abbiamo fatto noi prima?»

Teh abbassa lo sguardo. Quello non era vero. Non era nel mondo reale. Non era sotto controllo. Era bellissimo. Ma non esiste. Non esiste veramente. E' una parentesi, una concessione, un sogno. Deglutisce, cercando invano le parole giuste per trasmettere questo concetto. Guarda le gocce che dai capelli gli cadono sui piedi e creando piccole rotonde macchie scure di sabbia bagnata, come sangue.

«Perché fai così?» domanda Oh.

A Teh sembra che per lui sia tutto semplice. Si ferma alla superficie delle cose senza valutarne le conseguenze, le proietta nel futuro senza trasformazioni, senza pensare al volume che occupano fra le aspettative degli altri, le ambizioni, i progetti.

«Mi dispiace» risponde, sinceramente. Oh però ha sbagliato domanda: quella giusta non è perché fa così, ma quali alternative avrebbe.

«Perché, Teh? Ho fatto qualcosa che non va?» la voce di Oh è querula, afflitta. «DImmi dove ho sbagliato!»

Oh-aew Passa dalla felicità all'avvilimento con una rapidità che a Teh sembra infantile, il segno di sentimenti mutevoli, della volubilità di fondo che è sempre stata un suo difetto.

«Mi dispiace, davvero. Non succederà più» si scusa Teh. Sapeva che avrebbe pagato quegli attimi di abbandono. E il conto è salato.

«Io lo so che provi lo stesso» si lamenta Oh-aew sull'orlo delle lacrime. «Lo so. E allora perché ti comporti così? Perché?»

Oh-aew piange, aggrappato alla camicia di Teh.

Le sue lacrime alimentano la convinzione di Teh di essere l'unico a poter gestire lucidamente la situazione. E di avere il dovere di farlo.

Poche ore prima, mentre viaggiava sulla barca verso il resort, aveva il cervello offuscato dalla nostalgia e dalla sete. Dalla paura di perdersi un'altra volta. Adesso, finalmente, la sua mente è sgombra e tutto si è fatto più chiaro.

Sono stati gli ormoni, le contingenze, la prossimità, la confidenza a far trascendere la situazione. E' normale, a diciassette anni, essere confusi. Scambiare la lussuria per attrazione, l'affetto profondo per amore romatico. Nel migliore interesse di entrambi, e della loro amicizia, Teh sente di dover restare fermo nelle sue posizioni.

«Ho fatto un errore» mormora, triste ma lapidario.

«Perché? Perché ti comporti così?» Oh gli accarezza le braccia, gli prende le mani «Tu provi lo stesso!»

Teh non sa cosa prova. Emozioni sparse e frammentarie. Qualche singulto di sentimenti, ancora bagnato di acqua di mare. Un'eccitazione del corpo che le lacrime di Oh stanno spegnendo. La testa gli è improvvisamente ricomparsa sulle spalle ed è il caso di cederle i comandi.

«Cosa ti ho fatto, Teh?» le lacrime scorrono sul viso di Oh, abbondanti, eccessive. «Perché mi tratti così? Dimmi perché.»

«Mi dispiace.» Teh deve solo tenere duro, finché anche Oh inizierà a ragionare. Possono essere amici. Amici intimi. Migliori amici. Possono persino essere indulgenti con se stessi, quando la pressione interna è troppo forte. Ma che altro? Cosa può esserci di diverso, per loro? «Mi dispiace» ripete atono, come un disco rotto.

«Non potresti cambiare idea? Ti prego. Ti supplico, Teh!» Oh gli strige forte le mani, le bagna di lacrime. Vorrebbe trattenerlo. Vorrebbe che si lasciasse almeno amare. Per una volta, le istanze che muovono Teh gli sono completamente incomprensibili. Cosa sia accaduto nel breve spazio fra le onde e la spiaggia, fra la passione e il disincanto, non riesce proprio a immaginarlo.

«E' solo che... non mi sento molto sicuro» Teh lo dice in modo innocuo, gentile, con una pacatezza che dovrebbe smorzare l'emotività di Oh e invece sortisce l'effetto opposto. «Un giorno non proverò più quello che provo ora. Un giorno vorrò altre cose. Forse anche tu.»

Il viso di Oh-aew si deforma in una maschera tragica, con un'ampia curva delle labbra verso il basso, occhi serrati, colmi di lacrime.

Le spalle che sussultano, la schiena piegata, il rumore straziante dei singhiozzi stringono il cuore di Teh. Per non cedere deve farsi forza. Vorrebbe consolarlo. Rassicurarlo. Abbracciarlo e spiegargli che è tutto frutto del momento. Che passerà. E' solo una distorsione elastica della loro amicizia, che presto tornerà alla forma perfetta di sempre. E allora il dolore e la confusione finiranno. Basta resistere. Resistere tenendosi per mano, vicini fin quasi a toccarsi, ma lasciando abbastanza spazio per poter negare le evidenze.

«Non hai niente da dire? Allora parlo io!» la voce di Oh vibra di dolore. «Quel giorno è arrivato. Quel giorno è oggi» Oh lascia andare le mani di Teh, come se fossero pesantissime. «Tu non sai cosa siamo, ma io so cosa non siamo. Da oggi non siamo più amici.»

I momenti estremi dilatano il tempo. Le parole piovono come granate dentro Teh, esplodono sgretolando le sue certezze. Ripiomba indietro nel tempo, agli anni passati a fingere di essersi dimenticati e pensarsi, rimpiangersi, pentirsi di nascosto.

Oh-aew non minaccia mai a vuoto. E' paziente, leale, disposto al perdono. Ma crescere lo ha reso risoluto: passa in un istante dalla parola all'atto. Se ne va e basta. In un attimo di lui restano solo orme leggere  sulla sabbia e i petali calpestati degli ibischi lungo il suo cammino.

A piangere per ultimo è Teh. Appena si trova solo. Con le mani vuote, le spalle scosse dai singhiozzi e lacrime enormi che scivolano lungo le guance. Sanguina da ferite che non sapeva di avere, che si è inferto da solo, colpendo a casaccio, nel tentativo di difendersi dalle sue stesse paure. Si sente stupido. Si sente tradito. Si sente abbandonato. Svuotato, defraudato, derubato da se stesso della felicità che aveva stretta in mano solo pochi minuti prima. Deluso. Disperato. Innamorato.

Sta ancora piangendo quando arriva al molo. Piange accasciato sul motorino che rifiuta di partire, allineandosi al suo scoramento. Piange al telefono con Hoon, che lo consola, e poi nel sidecar, nascosto fra le casse di verdura.

Piange perché è stupido. Perché è cieco. Perché Oh-aew se n'è andato per colpa sua e lui lo vuole ancora. Perché non può riavvolgere il tempo. Perché non può più baciarlo. Perché è tutto sbagliato, loro due, lui stesso.

Perché non sono più amici.

Hanno smesso di esserlo da tempo. E lui se n'è accorto solo adesso. E adesso è troppo tardi.

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